Quel venerdì diciassette l’avvocato
Antonio Bennato , da buon napoletano, non si sarebbe mai mosso di casa se non
fosse arrivata la telefonata di donna Amalia, una delle sue migliori clienti,
nobildonna ricchissima proprietaria di innumerevoli stabili dei quali lui era l'amministratore.
“Caro avvocato, l’aspetto oggi
pomeriggio…bisogna intervenire con gli inquilini del condominio di viale Veneto
che non si decidono a pagare l’affitto”.
La voce della donna era sgradevole e l’avvocato allontanò il ricevitore
dall’orecchio.
“D’accordo, signora, cercherò di
arrivare nel tardo pomeriggio”, rispose cercando di essere il più gentile
possibile. Non aveva mai potuto soffrire quell’arpia che pensava solo ad
accumulare soldi…
L’avvocato andò alla finestra,
nuvole grigie cariche di pioggia, stavano coprendo lentamente il cielo. A
malincuore preparò la borsa con i documenti e salutò Carla.
“Ci vediamo stasera , spero di
cavarmela presto”, disse dandole un frettoloso bacio sulla guancia.
La strada tutta curve costeggiava il torrente che scendeva
dalla montagna, Antonio guidava con attenzione, dopo pochi chilometri grosse
gocce cominciarono a battere sul parabrezza. In breve il ritmo della pioggia
aumentò e la visibilità diventò difficile, l'uomo al volante
strizzava gli occhi in cerca di uno spiraglio attraverso quella cortina grigia.
“Ancora pochi chilometri e sono arrivato”, si disse. Con il piede
sull’acceleratore cercava di mantenere una velocità costante per non essere
costretto a frenare, finalmente la villa di donna Amalia apparve dietro
l’ultima curva, affossata nel verde che, sotto la pioggia, prendeva una
tonalità scura, quasi cupa.
La costruzione era molto grande, al centro di un giardino con prati e siepi all’inglese.
L’avvocato suonò ripetutamene il clacson, il cancello di ferro si aprì lentamente, la vettura entrò e si arrestò davanti alla scalinata. Giuseppina, la governante gli andò incontro con l’ombrello aperto: “Venga, la signora l’aspetta”.
La costruzione era molto grande, al centro di un giardino con prati e siepi all’inglese.
L’avvocato suonò ripetutamene il clacson, il cancello di ferro si aprì lentamente, la vettura entrò e si arrestò davanti alla scalinata. Giuseppina, la governante gli andò incontro con l’ombrello aperto: “Venga, la signora l’aspetta”.
“Vada pure”, disse cortesemente l’uomo, “conosco la strada”.
Il salone era
arredato con severi mobili d’epoca, pesanti tendaggi di damasco incorniciavano
le finestre; donna Amalia era sprofondata in una grande poltrona di velluto
cremisi, il viso giallastro coperto di rughe
atteggiato a una specie di sorriso:
“Avvocato, quanto tempo ha impiegato per arrivare?”, chiese con una punta di fastidio nella voce. Antonio la conosceva da tanto tempo e non si fece suggestionare.
“Avvocato, quanto tempo ha impiegato per arrivare?”, chiese con una punta di fastidio nella voce. Antonio la conosceva da tanto tempo e non si fece suggestionare.
“Ha visto cosa c’è fuori?”, ribatté deciso. La donna si
voltò verso la finestra:
“In effetti il tempo è pessimo…”; constatò imperturbabile, “purtroppo il suo ritardo non mi ha consentito di andare a cena e, per ragioni di salute, non posso derogare dall’orario stabilito, perciò per oggi non possiamo parlare di affari…”, gli occhietti vispi di donna Amalia si puntarono sul viso attonito dell’avvocato.
“In effetti il tempo è pessimo…”; constatò imperturbabile, “purtroppo il suo ritardo non mi ha consentito di andare a cena e, per ragioni di salute, non posso derogare dall’orario stabilito, perciò per oggi non possiamo parlare di affari…”, gli occhietti vispi di donna Amalia si puntarono sul viso attonito dell’avvocato.
“Vuol dire che dovrò tornare?”; chiese questi stupito.
“Credo proprio di sì”, rispose la vecchia signora, “a meno
che…”
“…a meno che?”, interrogò ansioso lui.
“Non si fermi a dormire, così potremo discutere domani
mattina…a mente fresca”, propose lei.
Preso alla sprovvista Antonio non seppe cosa rispondere,
in quell’istante una saetta attraversò il cielo e lo scoppio del tuono li fece
sobbalzare. La luce si spense, solo il
bagliore intermittente dei fulmini illuminò la stanza. “Mi conviene accettare”,
pensò l’uomo, “là fuori c’è l’inferno”.,
C’era poco da
scegliere: affrontare il diluvio con la prospettiva di andare incontro a un
incidente oppure rimanere in quella casa
poco accogliente. Mentre stava decidendo una giovane donna entrò tenendo
davanti a sé un candelabro d’argento. Antonio sussultò, alla luce fioca delle
candele si poteva intravedere il viso che sembrava molto bello, ma che in quel
momento assumeva un’aria di mistero. La nuova venuta avanzando lentamente raggiunse Antonio che stava in piedi nei
pressi della vetrata..
“Allora, avvocato?”, sussurrò, “ha deciso?”.
Il tremolio della fiamma accentuava il fascino misterioso dello sguardo. Antonio
si scosse dall’improvviso smarrimento all’apparire della bella sconosciuta.
“Certo.. certo…”, farfugliò, “rimango”.
“Certo.. certo…”, farfugliò, “rimango”.
“Bene”, disse donna Amalia, poi, rivolta a Giuseppina :
“prepara la camera degli ospiti…sulla torretta”, ordinò.
“Sulla torretta?”, domandò la donna stupita.
“Fai come ti ho detto, vai”, il tono imperioso non
ammetteva repliche. ”Prima però, fai servire la cena”, ordinò la signora.
Antonio stava telefonando a Carla per avvisarla che non sarebbe rientrato per dormire.
Antonio stava telefonando a Carla per avvisarla che non sarebbe rientrato per dormire.
L’altra ospite aspettò che finisse e si avvicinò:
“Sono Giada”,
disse, “la nipote di donna Amalia”.
Antonio balbettò qualcosa
mentre stringeva la mano fredda della giovane donna.
Poco dopo presero
posto sulla lunga tavola preparata con vasellame prezioso, la luce fioca delle
candele rendeva l’atmosfera spettrale.
La cena , invece fu abbastanza piacevole: la conversazione dell’avvocato era interessante, e attirava l’attenzione delle due donne che stavano ad ascoltarlo
con piacere.
A un tratto, Giada
disse: “Lei crede ai fantasmi?”.
Antonio non si
aspettava quella domanda a bruciapelo, anche perché doveva rispondere di sì.
Era un argomento che l’aveva sempre affascinato e sul quale aveva perso le
notti sui libri per cercare di saperne sempre di più.
“Sa che in questa
villa appaiono tutte le notti?”.
Il luccichio dello sguardo attraverso il dondolare della luce mise un brivido lungo la schiena dell’uomo.
Il luccichio dello sguardo attraverso il dondolare della luce mise un brivido lungo la schiena dell’uomo.
“Continui”, disse
interessato.
“Su, nella torretta…c’è un’anima in pena…”, la giovane si
interruppe, l’avvocato aspettava che continuasse.
“Lei sa chi è?”,
chiese infine, visto il silenzio dell’altra.
“Era una donna molto infelice…morì suicida, buttandosi nel
vuoto, dopo il tradimento del marito di cui era follemente innamorata…”, la
voce di Giada era diventata un soffio.
Antonio avvertiva un turbamento che lo spingeva a
continuare quel colloquio, ma donna
Amalia, improvvisamente si alzò.
“Buonanotte, io vado a dormire… consiglio di fare
altrettanto”, disse, non c’era altro da fare che acconsentire.
L’avvocato Bennato seguì Giuseppina: la torretta era
situata sul lato destro dello stabile, abbastanza in alto per poter dominare il
parco sottostante. Mentre saliva le scale
Antonio era nervoso; ciò che stava provando era molto vicino alla paura. Quante volte
aveva immaginato di essere il protagonista di una storia di fantasmi per
cercare di squarciare il velo del mistero che c’è oltre la vita…ma in quel
momento avrebbe voluto tornare indietro. La governante gli mise in mano un
candeliere:
“Mi dispiace, per questa notte niente luce elettrica… il guasto non si può riparare,
dobbiamo aspettare domani”.
Antonio deglutì cercando di mantenersi calmo, aprì la porta della camera con le mani che gli
tremavano: credeva nelle anime dei morti che popolano l’aria, ma nello stesso
tempo aveva il terrore di incontrarne una.. “Tranquillo…”, si disse Antonio,
“questa storia è sicuramente una fantasia di quella donna”.
Posò la candela sul
comodino e guardò fuori, la pioggia continuava a scendere, il temporale non era ancora cessato, i fulmini si
susseguivano illuminando sinistramente il giardino. Si sedette sul letto : “Il
materasso sembra ottimo”, borbottò. Diede un’occhiata all’orologio, il tempo
era passato in fretta, infatti era quasi mezzanotte; la fiamma che guizzava nel
buio gli dava ansia, si buttò sulla coperta di seta , vestito…. ancora non si
decideva a spegnere, i suoi sensi erano tesi, ogni rumore, che non fosse quello
della pioggia, lo faceva sobbalzare. “Non riuscirò mai a dormire, accidenti al
momento che ho accettato di rimanere…”.
Ma la giornata era stata pesante, suo malgrado il sonno lo colse
d’improvviso…
Era ancora nel dormiveglia, quando sentì bussare, in un
primo momento non realizzò, ma poi il rumore continuava e lo svegliò
definitivamente. “Chi è?”, esclamò impaurito.
“Sono Giada”,
rispose una voce di donna. Antonio andò
ad aprire. Sulla soglia c’era la giovane
vestita con una lunga camicia bianca, teneva in mano una candela:
“Vedo che anche lei non riesce a prendere sonno”. L’imbarazzo di lui la fece sorridere:
“Vedo che anche lei non riesce a prendere sonno”. L’imbarazzo di lui la fece sorridere:
“Non mi fraintenda, capisco che una donna non dovrebbe
andare nel cuore della notte nella stanza di un uomo…ma io voglio solo parlare,
il temporale non mi fa dormire”.
Antonio, sorridendo, la lasciò passare; improvvisamente la
finestra si spalancò e una ventata di aria fredda invase la stanza, le candele
si spensero. L’uomo cominciò a tremare: “Stia tranquillo…non è successo
niente”, disse lei, e andò a chiudere.
Nonostante fosse
buio Antonio vedeva muoversi la sua figura avvolta nella candida veste. Giada
tornò e lo sfiorò, lui sentì il gelo entrargli nelle ossa e rabbrividì.
“Sarà meglio accendere questi mozziconi”, scherzò per
sdrammatizzare l’atmosfera irreale che si stava creando, in realtà era turbato
e, mentre armeggiava con i fiammiferi
sbirciava il viso pallido di Giada che, con gli occhi fissi nel vuoto,
sembrava estraniata dalla realtà.
“Lo sai perché sono qui, avvocato?”. Lui scosse la testa e
non rispose. “Ho percepito il tuo messaggio e so che hai bisogno di aiuto…”,
continuò lei.
“In che senso?”, chiese Antonio, sorpreso anche
dall’improvviso tono confidenziale.
“Il tuo animo nobile e inquieto è alla ricerca di una
verità, in questo momento sei molto vicino a quello che vai cercando da tanto
tempo…”, sussurrò la donna guardandolo negli occhi.
Lui non capiva, lei gli stava lanciando un messaggio che ancora non
riusciva a captare.
“Sei felice?”; gli chiese ancora Giada, sorprendendolo
sempre di più. Lui pensò a quello che gli aveva regalato la vita: una bella e
buona moglie, una casa accogliente, dei figli…e rispose di sì.
“Per me, invece, c’è stato solo tormento…e infelicità”. Il
suo sguardo colpì Antonio. “Prendi
questo…”, disse ancora lei sfilandosi dal dito sottile un anello, “… non ci
vedremo più, ma ti ricorderai di me per sempre …”, dopo queste enigmatiche
parole le fiammelle si spensero di nuovo. Quando Antonio riuscì a
riaccenderle non c’era più nessuno: la
giovane donna se n’era andata portando con sé un alone di mistero. “Strano, non mi ha nemmeno salutato…la vedrò
domani mattina e le chiederò ciò che voleva dire”, pensò l’avvocato ancora sottosopra per la strana visita. Fece per
coricarsi, ormai la paura era passata e sentiva una grande pace interiore … sul cuscino brillava
una piccola fascia d’oro formata da foglie di edera intrecciate: un gioiello di
fattura antica, intarsiato a mano.. “Lo restituirò appena la vedo”. Lo mise in
tasca della giacca e si sdraiò. Un torpore improvviso lo prese, le palpebre si
fecero pesanti e il sonno vinse ogni resistenza…
L’avvocato Antonio Bennato si svegliò con un cerchio alla
testa, si guardò addosso: era ancora vestito, ricordò la notte trascorsa e
scosse la testa …che incubo! Si alzò e guardò fuori: il cielo era sereno, tutto
sembrava più bello visto col sole… Scese le scale tenendosi una mano sulla
fronte: “Ho bisogno di svegliarmi”, farfugliò con la voce impastata. In altre
occasioni aveva frequentato la villa e sapeva che la cucina era a destra, in
fondo alla scala:
“Presto, Giuseppina, un caffè…forte, mi raccomando”.
“Buongiorno avvocato, lo faccio subito…”, disse la donna
osservando meravigliata Antonio che aveva un aspetto orribile: spettinato, e
con gli occhi gonfi.
Davanti alla tazza fumante, si riprese: l’aroma della
bevanda diede una sferzata ai sensi ancora assopiti.
“Donna Amalia è sveglia?”, disse infine, dopo aver
ingollato un sorso.
“Si è alzata presto”, rispose Giuseppina, “la vedrà nel
salone. Credo che la stia aspettando”.
Antonio si
ricompose alla meglio: la nobildonna, affossata nella solita poltrona, era
nervosa, picchiettava il pavimento con il bastone dal manico d’avorio.
“Vogliamo cominciare?”, chiese senza tanti preamboli.
Con qualche sforzo Antonio riuscì a tenere testa alle
pretese dell’anziana signora: dopo qualche ora di discussioni finalmente
divennero ad un accordo, ma lui era sfinito.
“La ringrazio dell’ospitalità, donna Amalia, ora devo
rientrare…, mia moglie mi aspetta. Vorrei salutare anche Giada…devo restituirle
questo?”, mise una mano in tasca e trasse l’anello con le foglie d’edera.
La vecchia signora
sbarrò gli occhi e impallidì.
“ Mia nipote Giada
è morta un anno fa”, bisbigliò gelida. “Si è buttata dalla torretta…” .
“Ma…” , continuò lui, “la ragazza che ha cenato con noi
ieri sera…chi è?”.
Lo sguardo leggermente sprezzante della donna lo percorse
da capo a piedi:
“Avvocato, si sente bene?.... ieri sera a tavola eravamo
solo in due: io e lei….probabilmente ha visto un fantasma!”, concluse
fissandolo intensamente.
Antonio diventò bianco come un lenzuolo; ricordò le parole
della giovane donna che aveva visto nella notte:
“Sei molto vicino
alla verità che cerchi”, gli aveva detto
E allora capì il messaggio:
Giada gli era apparsa perché lui credeva nella vita oltre
la morte, aveva sempre cercato disperatamente una conferma. Ora ne era
certo.
FINE
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