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martedì 22 luglio 2014

AFRICA MAGICA




    Luciana aprì gli occhi e si guardò intorno, la zanzariera bianca che ondeggiava sopra di lei le dava un senso di soffocamento, si girò ad osservare il suo compagno che dormiva ancora. Passò una mano sulla fronte per scostare i capelli appiccicati da un sottile velo di sudore, aveva la testa pesante, si era rigirata nel letto per ore prima di prendere sonno, nel momento del risveglio si rese conto che non avrebbe dovuto accettare quella vacanza nel continente nero.. . “Cosa ci faccio qui?”, si chiese alzandosi a fatica. Un insetto corse veloce sul pavimento, lei fece un salto indietro: aveva una specie di fobia a tutto ciò che si muoveva sul terreno, rettili, serpenti, perfino un’ innocua lucertolina le metteva addosso l’ansia.

“Perché non ce ne siamo andati in un hotel quattro stelle in Sardegna…”, brontolò infastidita.

Nonostante in camera ci fosse l’aria condizionata il suo corpo era sudato, si mise sotto la doccia e si lasciò scorrere l’acqua addosso provando piacere nel sentire la sferzata sulla pelle.

Ritemprata andò a svegliare Daniel: “Dai, sbrigati si sta facendo tardi…”.

Lui si stirò soddisfatto della bella dormita:

“Buon giorno, amore, dove andiamo oggi?”, chiese ancora con la voce impastata dal sonno.

Luciana fece finta di non sentire, non aveva voglia di rispondere che li aspettava la visita al villaggio poiché ne avrebbe volentieri fatto a meno.

Uscirono all’aria aperta, il cielo era incredibilmente azzurro solcato da nubi maestose che cambiavano forma in continuazione, il paesaggio aveva colori aspri e bruciati, c’era un senso di libertà e di ampiezza di respiro che conquistava. Luciana dovette ricredersi su ciò che aveva pensato di negativo sull’Africa: solo per ammirare quella natura maestosa valeva la pena di essere arrivati fin lì.

La vista della colazione su tavolate all’ombra di grandi teli bianchi le diede un senso di nausea: era troppo per i suoi gusti, i camerieri correvano indaffarati a servire la comitiva di europei.

“Guarda che meraviglia, andiamo a prenderci qualcosa”; esclamò entusiasta Daniel precipitandosi su quel ben di Dio . Lei mise qualcosa nel piatto: “Non ho molto appetito…”, borbottò con malavoglia. L’organizzatore comunicò che le jeep per la visita al villaggio erano pronte.

Poco dopo erano tutti in procinto di partire: le vetture, dopo aver attraversato una pianura color terracotta, dove gli spazi immensi sembravano quelli di un mondo sconosciuto, s’inoltrarono nella foresta. Luciana stava aggrappata al sedile e sobbalzava ad ogni rumore, la guida illustrava la zona che stavano percorrendo: la vegetazione folta, con le tonalità di verde più diverse, oscurava il cielo, il caldo era attutito dall’ombra delle foglie fitte e oscure.

Arrivarono al villaggio di capanne, donne e uomini seminudi si aggiravano fra le case e sembrava stessero aspettando proprio la carovana di turisti: infatti, non appena li videro, frotte di bambini vocianti si avventarono sui nuovi arrivati tendendo le piccole mani in cerca di qualcosa. Su uno spiazzo un gruppo di giovani si mise in cerchio per iniziare una danza folkloristica.  I componenti della comitiva commentavano divertiti, ma Luciana sentì una stretta al petto: osservava quella gente che si esibiva per i bianchi venuti a vederli come fenomeni di un mondo ancora da civilizzare, più povero ma non per questo meno dignitoso.

Trascinata da Daniel si fermò ad osservare lo spettacolo: al suono dei tamburi ragazzi e ragazze ballavano scuotendosi , il ritmo si faceva sempre più serrato e i danzatori si muovevano in preda ad un parossismo inarrestabile.

Un nero enorme che indossava una tunica arancio arabescata avanzò e, con un cenno della mano fermò lo spettacolo.

L’uomo avanzò e si diresse verso la guida, teneva in mano un cestino colmo di oggetti:

“Ci avrei scommesso la testa, cercherà di venderci qualcosa”, mormorò Luciana con sarcasmo.

“Lo stregone dice che oggi è un giorno particolare, vuole farvi dono di un talismano che vi porterà fortuna”, disse la guida rivolto al resto della comitiva.

Il grande uomo nero avanzò fra di loro e distribuì gli oggetti che teneva nel canestro di paglia, ognuno era diverso dall’altro, arrivato a Luciana le aprì il palmo della mano e vi depose un piccolo serpente di legno, lei si ritrasse spaventata:

“No!…non lo voglio!”, gridò isterica. Tutti la guardarono stupiti dall’eccesiva reazione.

Per tutta risposta lo stregone prese un laccio di cuoio, lo legò attorno all’amuleto e lo infilò al collo della donna che si irrigidì. La mano di Luciana toccò l’oggetto di legno, il suo sguardo si alzò sul viso segnato da righe bianche e rosse dell’uomo che le stava davanti, una strana pace entrò nel suo cuore: “Va bene…lo tengo”, mormorò senza saperlo.

Un sorriso sfiorò le labbra di quello strano enigmatico personaggio che sembrava appartenere a un altro mondo.

“Quanto costa?”, chiese Daniel mettendo la mano in tasca.

Il gigante scosse la testa in segno negativo. L’interprete si intromise: “Non vuole niente, oggi regala i portafortuna, è la festa del villaggio”, affermò.

“Se non lo vuoi lo puoi togliere”, disse Daniel a Luciana sapendo della sua avversione verso i rettili.

“No, lo tengo, non mi dà fastidio”, rispose lei inspiegabilmente tranquilla.

La giovane donna trascorse il resto della giornata a osservare il ciondolo che aveva al collo, senza curarsi di ciò che le accadeva attorno. Daniel la guardava preoccupato, non l’aveva mai vista così mansueta, di solito Luciana era una persona critica, quasi incontentabile, molto sensibile alla realtà che stava vivendo, se c’era qualcosa che non le piaceva non si faceva scrupoli a dirlo.  Alla sera, prima di entrare sotto la zanzariera bianca, si tolse il filo di cuoio dal collo e lo posò sul comodino.

Il giorno dopo c’era il safari, Luciana non voleva partecipare, era un’animalista contraria alla caccia e non poteva sopportare l’idea di inseguire degli animali che vivevano sovrani in una natura fatta per loro. Daniel insistette:

“ Puoi tenerti lontana, ma vieni, ci capita una sola volta di vedere delle bestie selvagge in libertà”, cercò di convincerla. Quante volte dovette insistere per strapparle un sì. Finalmente riuscì nel suo intento: per non dispiacergli lei acconsentì.

“Vengo, ma, se ti azzardi a sparare ti lascio per sempre”, minacciò. Il suo compagno capì che faceva sul serio.

La mattinata era limpida, il caldo soffocante, il cielo africano implacabilmente sereno, la comitiva partì, attraversarono posti in cui ci si sentiva piccolissimi davanti alla potenza del creato.

Si fermarono al campo tendato costruito per ospitare i partecipanti al safari:

“Io rimango qui”, affermò decisa Luciana.

“Dai, vieni con noi, rimarrai sulla jeep”, insistette ancora Daniel. Lei li seguì di malavoglia  e la carovana giunse sulla radura che costeggiava la foresta tropicale dalla quale avrebbero dovuto stanare le fiere.  I battitori si inoltrarono fra gli alberi . I loro tamburi rintronavano nella testa di Luciana che non ce la faceva più, era più forte di lei, non sopportava quel baccano e il pensiero che di lì a poco qualche povera bestia sarebbe stato il trofeo da portare a casa, per dire agli amici : “ho fatto un safari in Africa”, la faceva star male. Tentò di scendere ma l’autista glielo impedì:

“E’ pericoloso, signora”, disse, in inglese, il giovane keniota.

“Mi raccomando, non muoverti, guarderai la caccia grossa da lontano”, le raccomandò Daniel prima di andare con gli altri. La giovane era nervosa, senza volerlo accarezzò il ciondolo che le aveva donato lo stregone, quella mattina non aveva potuto fare a meno di indossarlo, una forza occulta l’aveva spinta a mettersi al collo quell’oggetto.

 Il sole era cocente, pur avendo il casco ed essendo riparata dalla capote della jeep, Luciana si stava sentendo male.

“Cercami un po’ d’ombra”, disse all’autista che era rimasto con lei. Il giovanotto l’osservò preoccupato:

“Devo avvicinarmi alla foresta”, mormorò titubante.

“Ti prego, non ce la faccio più a stare al sole”, supplicò lei.

Il ragazzo controvoglia si spostò e si mise sotto un albero che stendeva i suoi rami nello spiazzo.

“Va bene così?”, chiese premuroso.

“Grazie, sto molto meglio”, rispose la donna tirando un grosso respiro.

Si stese sul sedile e cercò di riposare. Intanto i battitori avevano smesso di picchiare sui tamburi, nel silenzio impressionante della savana gli uomini aspettavano di intravedere, attraverso la fitta vegetazione, le loro prede: un rumore, un bagliore, un fruscio di foglie acutizzava i loro sensi pronti ad intervenire.

Luciana intorpidita con gli occhi chiusi era in attesa di udire gli spari che avrebbero segnato la morte di qualche animale … sentì qualcosa che si muoveva, ma l’ignorò, non voleva aprire le palpebre, ma la sensazione che ci fosse una presenza estranea nell’abitacolo la indusse a guardarsi addosso. Ciò che vide la paralizzò: un piccolo serpente stava strisciando sui suoi pantaloni kaki. Terrorizzata, con gli occhi sbarrati non riusciva ad emettere alcun suono.

“Aiuto!…”, urlava dentro se stessa, ma dalla sua bocca serrata per l’orrore non uscì quel grido. Il serpentello saliva lentamente ma inesorabilmente: il bersaglio da colpire non l’aveva ancora raggiunto, era più in alto.

Il ragazzo seduto davanti non si era accorto di nulla, non voleva disturbare la signora bianca sdraiata, intanto Luciana, immobile, stava morendo di terrore, la sua vita era legata a quell’animale che aveva sempre odiato…il serpente saliva strisciando, un sibilo intermittente usciva dalla bocca aperta, pronta a mordere.

Il rumore di un ramo mosso da un uccello, fece voltare il giovane indigeno che s’ immobilizzò spaventato da ciò che stava vedendo: il serpente sul corpo della donna apparteneva ad una specie fra le più velenose e sapeva che se fosse arrivato a mordere non ci sarebbe stato più scampo per lei.

“Non muoverti, signora”, si raccomandò sottovoce, “adesso lo prendo…però stai ferma!”.

Il suo sguardo s’incrociò con quello della donna che implorava aiuto senza parlare.

Anche il ragazzo non sapeva come comportarsi, aveva paura che l’animale, sentendo rumore potesse scagliarsi e colpire, si avvicinò con cautela ma la bestia era ormai arrivata sul petto di Luciana, mancava pochissimo per arrivare al collo scoperto…lei aspettava il morso e la morte. Il serpente strisciò sull’amuleto dello stregone e da quel momento cambiò improvvisamente rotta: fuggì così velocemente che scomparve alla vista in pochi secondi.

 “Signora, sei salva, è scappato…è tutto finito!”, esclamò il negretto sorridendo felice; la luce dei suoi denti bianchissimi colpì Luciana che, più morta che viva, non si era ancora resa conto che il pericolo era sparito. Guardò incredula e constatò che sul suo corpo non c’era più quell’orribile minaccia. Si alzò a fatica, il suo respiro si fece più regolare, il colorito stava ritornando sul suo viso:

“Cosa è successo?”, chiese attonita.

“Il serpente è fuggito nella foresta…stai tranquilla, non tornerà più. Però non capisco cosa l’ha fatto andare via”, borbottò il ragazzo, poi il suo sguardo si diresse verso il ciondolo che pendeva dal collo di Luciana.

“Chi ti ha dato questo?”, chiese aggrottando la fronte.

“Lo stregone del villaggio”, balbettò la donna ancora sotto choc.

“…questo è magico e ti ha salvata…”, sussurrò mentre sul suo viso passava un’ombra; allungò una mano per toccarlo, ma la ritrasse subito dopo pronunciando qualche parola nella sua lingua. Luciana capì che stava vivendo un momento di magia…l’Africa nera, attraverso lo stregone, era intervenuta per salvarle la vita.

I cacciatori tornarono senza prede, lei raccontò la sua incredibile disavventura a Daniel che l’ascoltò stupefatto e quasi scettico. Il giovane autista confermò tutto:

“E’ stato un miracolo del nostro stregone”, continuava a ripetere, “quel serpente l’avrebbe uccisa”.

Luciana si abbandonò nelle braccia del suo uomo che la strinse a sé: “Non ti porterò più in Kenia, te lo giuro”, le sussurrò.

Sull’aereo che li riportava in patria c’era un signore di colore che si faceva notare per l’imponenza della sua corporatura. Luciana, per raggiungere il suo posto gli passò accanto, lo guardò in viso ed ebbe la sensazione di averlo già conosciuto:

“ Non ti sembra lo stregone?”, sussurrò a Daniel.

“Ma no, smettila, sei ancora sconvolta dall’avventura del serpente”, la rimbeccò lui.

L’aereo atterrò puntuale, Luciana si stava recando a ritirare i bagagli, quando  il gigante nero le si avvicinò:

“Sono contento di rivederla…in buona salute”, disse in perfetto italiano.

Lei si toccò l’amuleto che aveva al collo:

 “Grazie”, sussurrò come in trance.

“Anche questa è la magia dell’Africa…”, rispose lui sorridendo. Si allontanò seguito dallo sguardo attonito di Luciana.


                                                                                                                                                         FINE