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venerdì 31 maggio 2013

UN FIORE NEL FANGO

Settima puntata

Rosalia aprì gli occhi con fatica, l’odore dei medicinali le entrò nelle narici, la prima cosa che vide fu il soffitto bianco, girò lo sguardo intorno senza capire, finalmente intravide una persona che indossava un camice bianco :
“Dove sono ? Cosa è successo?”, chiese smarrita.
“Adesso deve stare tranquilla, va tutto bene”, il giovane medico si avvicinò al letto e Rosalia si rese conto di essere in un ospedale.
 “Sono tanto debole”, riuscì a sussurrare.
“Non si preoccupi, ha perso molto sangue, però il suo amico l’ha aiutata!”. Il dottore si volse verso Claude che era seduto su una sedia un po’ in penombra.
Rosalia cercò di alzare la testa per guardare, ma ricadde sul cuscino stremata.
“Claude, sei qui?”, chiese con voce flebile.
Lui si avvicinò al letto:
“Non ti affaticare, non mi sono mai mosso, aspettavo che aprissi gli occhi, dopo l’anestesia”
Lei improvvisamente ricordò l’attimo in cui la lama le era entrata nel torace:
“Sono stata ferita…adesso mi viene in mente tutto, perché il medico ha detto che mi hai aiutata?”.
Il dottore intervenne:
 “Era in pericolo di vita per una forte emorragia, c’era urgenza di una trasfusione ma in ospedale non c’era il sangue del suo gruppo, l’avevamo richiesto, ma dovevamo aspettare che arrivasse . Per fortuna Claude aveva il sangue adatto e si è offerto di donarlo per salvarle la vita”.
 “Grazie”, sussurrò Rosalia, allungò una mano per stringere quella di Claude.
“Non facciamo tante storie, cosa dovevo fare? Lasciarti morire?”, brontolò lui mentre stringeva fra le sue la mano di lei.

Rosalia  uscì dall’ospedale dopo tre settimane, Claude non l’aveva lasciata un solo giorno,
le era stato accanto senza mai farlo pesare. Lei si stava affezionando a quel ragazzo innamorato cotto, che non riusciva a starle lontano, e se pensava che gli doveva la vita si sentiva un verme perché purtroppo
  il suo sentimento si fermava alla gratitudine e all’amicizia, gli voleva bene come a un caro amico. Claude capiva che non poteva ottenere da lei quello che desiderava, ma nonostante questo non ce la faceva a staccarsi , si accontentava di starle vicino sperando sempre in un miracolo….
Tornarono nel piccolo appartamento di Montmartre, Valentina li accolse con un grande abbaccio:
“Bentornata Rosalia,  tutto è rimasto come quando l’hai lasciato tu, questa volta non ho altri ospiti da presentarti…”, guardò con intenzione Claude che stava entrando in quel momento.
Rosalia era un po’ spaesata, si era abituata alla vita semplice e agli ampi spazi del casolare in Provenza, e quel bilocale dove in ogni centimetro libero c’era sistemato un mobile le dava un senso d’oppressione. Guardò Claude: “Si stava meglio da nonna Josephine”, disse con un leggero sorriso, “ma cercherò di abituarmi ancora a questo buco”.
“Presto potrai comprarti una casa più grande dove vuoi tu”, le disse Valentina, “i tuoi lavori sono diventati di moda, non sai quante telefonate ho ricevuto per sapere come stavi!…sono venuti anche i giornalisti della TV, radio, stampa….mi sono sentita importante anch’io”, e qui Valentina si diede una sbirciatina allo specchio dell’anticamera, “ho dato una foto in cui eravamo insieme, sai non si sa mai…però hanno pubblicato solo la tua, pazienza!”, concluse delusa.
Rosalia sorrise, non si aspettava di diventare famosa, forse era una compensazione per ciò che aveva perso: l’amore, la famiglia, la sua terra…
La giovane scultrice era contesa in tutti gli ambienti artistici, le furono commissionate parecchie opere,  passava il suo tempo in un laboratorio dove aveva sistemato tutto ciò che le occorreva per lavorare in santa pace; Claude la raggiungeva di tanto in tanto…una sera si fermò più del solito, anche per dare una mano a sistemare i lavori. Stavano spostando una scultura quando si trovarono tanto vicini che lui non poté fare a meno di abbracciarla; lei dolcemente si scostò:
“Ti prego, Claude, non roviniamo tutto!”, sussurrò.
Il ragazzo la guardò negli occhi: “ Io ti amo, lo sai”.
“Lo so”, rispose lei, “ma ti ho sempre fatto capire che per ora non posso innamorarmi di nessuno”.
“C’è un altro?”, le chiese lui con la voce che gli tremava.
Rosalia rimase in silenzio, aveva un nodo alla gola, non voleva confessare tutto a Claude, ma del resto se non gli raccontava la sua storia, lui non poteva capire.
“Sì”, rispose allora dopo molta esitazione, “c’è stato e non lo posso dimenticare, ti chiedo solo di capirmi e di aspettare che quello che provo ora, sfumi nel tempo. Io ti voglio bene, ma devo essere certa che si trasformi in un vero amore”
Claude capiva fino a un certo punto, lei non gli aveva detto chi era il suo rivale. 
“E’ rimasto in Sicilia?”.
 “Non lo so, forse non lo rivedrò mai più…ma non mi sento di amare nessuno, per adesso”, concluse guardandolo negli occhi.
“Non voglio sapere altro”, rispose lui, “ aspetterò… lasciami però una porta aperta”, supplicò.
“Ti voglio molto bene…sei l’unico amico sincero che abbia mai avuto, se hai un po’ di pazienza forse le cose cambieranno”. Per Rosalia pronunciare quelle parole era un sofferenza perché era veramente affezionata a Claude e gli era riconoscente per come le era stato vicino in quel burrascoso periodo, e soprattutto per il suo gesto generoso di averle donato il sangue, ma  non voleva illuderlo inutilmente, era meglio mettere subito in chiaro ciò che provava per lui. Qualche volta le dispiaceva di essere così rigida, ma il ricordo di Giulio non l’abbandonava, c’era soltanto il tempo che poteva aiutarla a dimenticare e allora chi avrebbe voluto accanto a sé era proprio Claude.
Dopo quel momento di verità, per entrambi il loro rapporto era diventato più facile, non potevano fare a meno l’uno dell’altra, ognuno dei due chiedeva consiglio prima di prendere una decisione, ma non avevano più pronunciato la parola amore. Claude si era rassegnato ad aspettare, Rosalia non gli aveva detto di no e questa era la speranza alla quale si aggrappava nei momenti di malinconia.
+++

Dal momento in cui aveva visto la foto di Rosalia sul quel giornale francese, Giulio non ebbe più pace, il primo impulso era stato quello di prendere il primo aereo per Parigi, ma  troppi impegni e troppe scadenze lo trattenevano a Milano. Sapeva però che lei era là e che l’avrebbe ritrovata, era solo questione di giorni. La data del matrimonio era sempre più vicina ed era diventata un incubo, la notte non riusciva a prendere sonno invaso da pensieri negativi: gli dispiaceva per Clara, ma non se la sentiva di ingannarla, la donna che voleva era Rosalia, qualunque altra non lo interessava , prima però doveva vederla per sapere quanto era rimasto in lei del loro amore. Era passato molto tempo…forse per lei non era stato così importante…
Quando riuscì a partire non sapeva a cosa sarebbe andato incontro: non aveva la minima idea di dove cominciare a cercarla, aveva paura di non trovarla: in una città come Parigi non era facile rintracciare una persona. Decise di recarsi alla redazione del giornale che aveva pubblicato l’articolo e la foto: con l’aria spaesata entrò negli uffici e si diresse in segreteria. Aveva in mano il foglio del quotidiano:
“Vengo da Milano per rintracciare questa persona”, disse alla ragazza che lo fissava senza capire. Sfoderò il suo imperfetto francese e rifece la domanda. La donna alzò le spalle:
“Mi dispiace, signore, non possiamo dare l’indirizzo…deve chiedere al direttore”, rispose, cercando di mascherare con un sorriso la  risposta negativa.
In quel momento, un giovanotto entrò: “Questa è la ragazza italiana di rue  Martin ….molto carina!”, disse gettando un’occhiata alla pagina di giornale che Giulio teneva in mano:
“Grazie, sei un amico!”, esclamò lui avvicinandosi: “sai anche il numero?”, continuò.
L’altro alzò le spalle :  “Mi dispiace, non sono andato io…”.
“Non importa, la troverò”, si precipitò alla porta e uscì di corsa.
Quel piccolo episodio era un buon presagio: forse la fortuna era dalla sua parte e l’avrebbe aiutato a riabbracciare Rosalia. Con un taxi si precipitò nella via che gli aveva casualmente indicato quel redattore, ma quale era la casa in cui cercare? Era una strada lunga, colorata dai negozi con le insegne variopinte, animata dalla gente indaffarata che a quell’ora di mattina riempiva i marciapiedi. Molti turisti si soffermavano a guardare le bancarelle che vendevano di tutto. Le case erano quasi tutte uguali, con i tetti stretti gremiti di comignoli, sui muri gialli il tempo aveva lasciato i segni.
Giulio entrò in un cortile e chiese di Rosalia a un gruppetto di donne che stavano chiacchierando, queste lo guardarono meravigliate: nessuno la conosceva. Entrò nelle panetterie, nelle macellerie, in quasi tutti negozi che incontrava, ma senza risultato.  Non voleva darsi per vinto…a costo di bussare a tutte le porte di tutti gli appartamenti di quella via. Caparbiamente continuò, finché capitò in un bar frequentato da artisti:
 “Rosalia”, disse uno di loro calcando l’accento sulla a, “è mia amica”.
“Sai dove abita?”, chiese Giulio concitato.
“Sì…vedi quel portone verde? Abita là, al quarto piano”, rispose il ragazzo, poi aggiunse incuriosito: “Sei venuto a comprare le sculture?… è molto brava…”.
“Lo so, vengo dall’Italia solo per lei”, rispose lui euforico.
Uscì di corsa dal locale accompagnato dallo sguardo stupito di tutti.
Davanti a quella porta il cuore gli batteva all’impazzata: era già lì da qualche minuto…nessun rumore si udiva all’interno. Finalmente uno scalpiccio gli fece capire che qualcuno sarebbe arrivato ad aprire.
Un ragazzo biondo, assonnato, si presentò sull’uscio.
“Desidera?”, gli chiese sbadigliando.
Giulio era rimasto immobile, fissava lo sconosciuto:
“Cerco Rosalia”, le parole gli uscirono a fatica.
Lo sguardo dell’altro lo esaminò da capo a piedi: “Italiano?”, domandò ancora.
“Sì…ma questo non ha nessuna importanza”. Giulio era nervoso, “Vorrei sapere se posso vedere Rosalia”, continuò seccamente.
“In questo momento non è in casa”, il ragazzo tentò di chiudere la porta, ma Giulio glielo impedì. “Le dica solo che l’ha cercata Giulio…è molto importante”.
Subito dopo si trovò a fissare i battenti chiusi. Scese le scale con il morale a terra: l’aveva trovata, ma non nel modo che aveva sognato…forse l’uomo che era venuto ad aprire era il suo nuovo compagno, forse per lei quelle notti d’amore erano state solo una parentesi…eppure  aveva sentito fra le sue braccia che le emozioni erano le stesse. Per rispondere a tutte queste domande doveva incontrarla, guardarla negli occhi e sentirsi dire da lei… “Ho un altro, non mi interessi più”. Solo così si sarebbe rassegnato a tornare a Milano e a sposare Clara. Deciso a non lasciar perdere nulla per riuscire a parlarle, Giulio decise di appostarsi nei paraggi per fermarla al rientro.
Quando Claude  tornò dentro, la voce di Rosalia uscì da dietro la tenda della doccia: “Chi era?”, chiese.
“Un tale che voleva vendermi dei libri”, rispose lui cercando di essere il più naturale possibile.
 In realtà era confuso e nervoso, non sapeva chi fosse quell’uomo che aveva chiesto di Rosalia: il suo amore italiano?  Un altro della banda? Gli era venuto d’istinto dirgli che non era in casa…solo per proteggerla aveva agito in quel modo…Forse avrebbe dovuto parlarne con lei…o forse no, era meglio tacere e portarla via ancora una volta per tenerla lontana da tutto quello che l’aveva fatta soffrire..
Rosalia si stava preparando ad uscire, doveva andare al laboratorio a finire il lavoro che le avevano ordinato.
“Aspetta!”; esclamò Claude facendola sobbalzare, “vengo con te!”.
“Lascia stare…conosco la strada”, rispose lei innervosita.
Lui fece finta di non sentire: “Sono pronto”, disse allacciandosi il giubbotto.
Giulio li vide uscire insieme, restò fermo a guardarli mentre si allontanavano, l’emozione di averla rivista fu  forte, il cuore cominciò a battere veloce: dopo un profondo respiro si riprese e, quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo li seguì. Lungo il percorso li osservava parlare, lei ogni tanto si appoggiava a lui, e ogni volta che gli sorrideva sentiva una fitta dentro: sembravano una coppia di innamorati. Quando entrarono in un portone, Giulio rimase a fissare quel legno ingiallito senza avere il coraggio di toccare la maniglia. Poi si fece forza e spinse l’uscio che era rimasto socchiuso. Un grande spazio ingombro di ogni sorta di oggetti gli si parò davanti ; Rosalia gli voltava le spalle: stava infilandosi un camice azzurro, Claude era dietro di lei e, sentendo la presenza di qualcuno, si voltò:
“Cosa vuoi ancora?”, esclamò, “si può sapere chi sei?”.
Lei si girò e lo vide,  lo fissava con gli occhi sbarrati  come di chi ha visto un fantasma: “Giulio!”, disse finalmente quasi sussurrando. Lui non si mosse, lei gli corse incontro e lo strinse in un lungo abbraccio. “Sei proprio tu…”, si scostò per guardarlo in viso, negli occhi verdi brillavano lacrime di gioia.
 Giulio sentiva il profumo dei suoi capelli ed era felice, sentiva che lei non l’aveva dimenticato, finalmente poteva dire di aver ritrovato il suo amore.
“Non ti lascerò mai più, principessa”, mormorò accarezzandole la fronte.
“Non credevo di ritrovarti, ora potremo stare sempre insieme”, rispose lei appoggiando la testa sul suo petto. 
Claude li guardava e capì che aveva perso per sempre Rosalia.  Anche lei si voltò verso di lui e il suo era uno sguardo per chiedergli perdono.
+++
Le lacrime scendevano senza ritegno lungo le guance di Clara mentre contemplava il suo abito da sposa diventato inutile.  Giulio non era tornato da Parigi, in una lunga telefonata le aveva raccontato la sua bella storia d’amore, peccato che la protagonista era un’altra… in fondo al suo cuore aveva sempre saputo che non l’aveva mai amata veramente, forse era meglio così. Almeno lui aveva trovato la felicità.
Fine.


venerdì 17 maggio 2013

UN FIORE NEL FANGO



Sesta puntata

In Provenza, la primavera è una stagione meravigliosa: il profumo della lavanda impregna l’aria, i colori del paesaggio variano dal verde brillante dei prati al giallo delle mimose fino all’azzurro del cielo.  In giardino Rosalia si godeva la bella giornata lavorando. Sotto il tocco delle sue mani esperte stava prendendo forma una testa di donna.  La distrasse il suono del cellulare  posato sul tavolino degli attrezzi..
“Sono Claude, come stai?”.
“Qui tutto va a gonfie vele”, rispose tranquilla, “sto ultimando il lavoro, devi venire a prendere le statue, il gallerista le vuole esporre per dopodomani, mi raccomando, ti aspetto”. Dopo un momento di pausa Rosalia riprese più titubante: “E…dell’uomo, nessuna notizia?”
“Per ora niente di nuovo…ti conviene restare dove sei, da nonna Josephine non ti cercherà nessuno”, rispose lui con tono rassicurante. “Allora ci vediamo domani…”.
Rosalia sorrise, quel ragazzo era così premuroso nei suoi riguardi che cominciava ad affezionarsi. Dopo la sera dell’aggressione e la confessione della sua forzata appartenenza alla banda del rapimento di Giulio, si era proposto di aiutarla:
 “Bisogna sparire, subito…altrimenti quello ritorna! Ti porterò da mia nonna, in Provenza, così nessuno saprà dove sei”, le aveva detto concitato.
 Erano partiti quella sera stessa e lei si era trovata in una casetta al limite di un bosco, ospite di una signora dai capelli bianchi che l’aveva accolta con tanta gentilezza che si era sentita subito a proprio agio.
 Ormai erano mesi che era ospite di nonna Josephine, si era rimessa a lavorare per non pensare. I rapporti con il mondo dell’arte li teneva Claude che continuava a frequentare l’accademia. Il suo nome cominciava a circolare fra gli addetti ai lavori e i critici parlavano tanto bene di lei che un importante gallerista di Parigi le propose una personale.  Era la prima volta che qualcuno così importante le chiedeva di mettere in vendita le sue opere: almeno in campo professionale aveva delle grandi soddisfazioni. Ma i sentimenti erano confusi e, nonostante Claude le facesse continuamente capire di essere innamorato, lei non voleva pensare all’amore. Il ricordo di Giulio le era rimasto talmente dentro che non riusciva a immaginare vicino a lei nessun altro all’infuori di lui. E più passava il tempo  più le rimaneva il dolore di non poterlo rivedere: con lui aveva passato poche ore, ma in quelle ore aveva provato sensazioni che mai immaginava di provare: aveva toccato la felicità e sarebbe stato difficile trovare un altro che risvegliasse in lei questi sentimenti.
Claude arrivò puntuale, e non poté fare altro che complimentarsi con lei:
 “Farai un gran successo”, le disse contemplando le opere di Rosalia “ma tu devi restare qui, è più prudente”.
Ma ormai lei non voleva più rimanere estranea al mondo per cui aveva tanto lavorato, inserirsi di nuovo fra gli artisti e fra i compagni di accademia era fondamentale.
 “Non chiedermi questo, non sarei capace di stare ferma un minuto, voglio vedere cosa dice la gente davanti alle mie sculture, voglio leggere nei loro occhi se devo proseguire su questa strada o se ho sbagliato tutto e non vale la pena di continuare”.
Le insistenze di Claude per tenerla lontana da eventuali pericoli non ebbero nessun esito. Rosalia partì con lui per Parigi.
La sala della mostra era affollata da bella gente, molti si soffermavano a lungo ad ammirare le opere, i commenti erano per la maggior parte positivi, Rosalia si sentiva inorgoglita e felice, il proprietario della galleria, a fine giornata era euforico: “Ho venduto quasi tutto”, le disse entusiasta. “d’ora in poi dovrai lavorare solo per me”.
 Alla ragazza vennero le lacrime agli occhi: finalmente ce  l’aveva fatta, aveva sfondato in un mondo tanto difficile e complicato, da sola, con le proprie forze. Abbracciò stretto stretto Claude:
 “Grazie”, gli sussurrò nell’orecchio, “senza di te non sarei arrivata a tanto”.
Lui sprofondò il viso nei suoi capelli neri: “Ti amo”, le disse sottovoce.
Uscirono a braccetto per andare a festeggiare in compagnia degli amici che si erano precipitati in gruppo  al vernissage.  Mentre raggiungevano le macchine posteggiate in diversi punti della strada, Rosalia si sentì afferrare per un braccio:
 “Sei tornata, finalmente, ero sicuro di ritrovarti. Non si sfugge alla mia vendetta”.
 La voce roca che pronunciava queste parole apparteneva allo stesso uomo che l’aveva aggredita molti mesi prima. Non si era ancora resa conto di quello che le stava succedendo, quando sentì una fitta attraversarle il torace.
 “Rosalia!”, gridò disperato Claude accorrendo in suo aiuto; l’uomo si allontò di corsa, le sue forze s’ingigantirono, fece un balzo e lo raggiunse prendendolo per le spalle, incurante del coltello che l’altro teneva ancora in mano. Con un pugno lo stese a terra e lo disarmò; mentre chiamava la polizia gli teneva un piede sul torace; senza perdere di vista un solo istante Rosalia stesa per terra che si lamentava. Fortunatamente le forze dell’ordine arrivarono dopo pochi minuti e arrestarono il delinquente che si dimenava sotto il tacco di Claude.  Rosalia non aveva la forza di alzarsi, rimase così finché non arrivò l'ambulanza  che a sirena spiegata si diresse verso l'ospedale più vicino.
Davanti alla sala operatoria Claude non capiva più niente, era talmente in tensione che non sapeva stare fermo, si tormentava le mani e passeggiava freneticamente nel corridoio aspettando che qualche medico gli dicesse qualcosa a proposito di Rosalia che era sparita, coricata su una barella, dietro una grande vetrata nella quale era proibito entrare. Inseguiva ogni infermiere che vedeva passare scongiurandolo di dargli notizie. Finalmente un dottorino con gli occhiali, che indossava un camice verde, uscì dalla porta a vetri e gli rivolse la parola:
“Lei è parente della signorina che è stata ricoverata poco fa?”
" Sono un amico...non ha parenti. Ma, come sta?”, farfugliò Claude.
Il medico scosse la testa:
“Ha perso troppo sangue…dobbiamo fare una trasfusione, ma in questo momento non abbiamo a disposizione il sangue del gruppo 0 RH  negativo. Abbiamo fatto la richiesta in un altro ospedale e stiamo aspettando che arrivi…speriamo non troppo tardi!”
“Cosa vuol dire….Rosalia è in pericolo di vita?”, Claude prese per un braccio il dottore che si scostò.
“Stia calmo, purtroppo devo risponderle di sì”.
Il ragazzo si mise una mano sulla fronte:
 “Io ho quel tipo di sangue!”, quasi urlò.
 Il medico lo guardò per un secondo, poi lo spinse dentro la porta a vetri:
 “Andiamo! Non c’è tempo da perdere!
+++
La signora Anna stava mettendo in ordine le bomboniere:
“Ricordati di invitare anche Luisa, ci tiene tanto e poi è la tua madrina”, disse mentre divideva le scatoline con i confetti in gruppi ben distinti: quelle per le persone importanti, quelle per i parenti, gli amici e i conoscenti.
“Va bene, mamma,”, rispose Clara con la testa china sul biglietto che stava scrivendo. “Non riesco ancora a crederci…fra quindici giorni mi sposo”.
“Sei felice?”, chiese la madre.
“Sono al colmo della felicità”, rispose la ragazza con gli occhi che brillavano, “sposare Giulio è sempre stato il mio sogno…quando ho saputo che si era innamorato di una più vecchia di lui non volevo crederci. L’avevo detto che non poteva durare…infatti è finita come doveva finire. Adesso entro in campo io, e non si libererà facilmente di me, ho intenzione di stare con lui tutta la vita…”.
“Mi auguro che tutto vada come desideri”, continuò la signora  Anna accarezzando i capelli della figlia, “ora va a prepararti, ha telefonato Giulio che verrà a prenderti per andare dall’architetto. Ci sono ancora molte cose da fare per finire di arredare la casa “.
L’architetto Michele Ferrari era un compagno di studi di Giulio, si conoscevano fin dal liceo.
“Ecco gli sposi”, disse interrompendo il disegno che stava facendo, “Vi trovo molto bene…allora la data si avvicina…”, continuò dando una pacca sulla spalla dell’amico.
“Già…”, rispose Giulio. Un’ombra era passata sul suo viso e Clara se ne accorse.
“Capisco che ti senti la corda al collo….ma un po’ di entusiasmo non guasta”, replicò con la voce un po’ stridula. “Bene”, proseguì allontanandosi a osservare i quadri appesi alle pareti, “allora ci vuoi far vedere questi famosi mobili?”, si rivolse all’architetto con un tono nervoso.
“Dobbiamo andare nel salone al piano terra”, rispose lui, “se volete seguirmi…”. Mentre scendevano in ascensore Clara non perdeva d’occhio l’espressione di Giulio: era teso e serio.
L’enorme spazio d’esposizione era occupato da mobili moderni; Ferrari mostrò con orgoglio un contenitore  in legno laccato di nero molto lineare:
“Ecco”, disse rivolgendosi alla coppia, “penserei a un mobile come questo accompagnato da un lungo tavolo in cristallo, che ne dite?”
Giulio non rispose, un gruppo di sculture appoggiate in un angolo, aveva attratto la sua attenzione.
“Che meraviglia…mi piacerebbe averne una. Dove le hai prese?”, chiese all’amico.
Michele si volse:
“Vengono da Parigi, me le ha mandate un mio conoscente….Sono proprio belle, mi hanno entusiasmato  subito. Sono di una scultrice che sta avendo molto successo, si fa chiamare Rosalia, senza il cognome.”
A quel nome il cuore di Giulio si arrestò per un istante, il viso di lei gli si presentò davanti agli occhi come se fosse presente. “Naturalmente è francese”, disse cercando di mascherare il turbamento.
“No, è italiana e ma vive in Francia”, rispose Michele osservando Giulio .. “La conosci?”, chiese scrutandolo in viso.
“Non credo”, rispose lui distogliendo lo sguardo. In quel momento si era avvicinata anche Clara
 “Interessanti…”, commentò mentre osservava le sculture. “Guarda Giulio…starebbero bene nel salone”.
“Come?”, rispose lui distratto. Nella sua mente si accavallavano mille pensieri: Rosalia era scomparsa e potrebbe aver ricominciato una vita in un altro Paese…Ma no, sto facendo dei sogni impossibili, è solo una pura coincidenza, chissà quante donne si chiamano così…e poi non sapevo che fosse una scultrice…però non ha avuto tempo di dirmi niente di lei.
“Giulio…sto parlando con te!”, la voce di Clara lo fece sobbalzare e ritornò alla realtà.
“Hai ragione”, rispose , “sono fantastiche…. falle mandare a casa”. In quel momento il suo pensiero era altrove, non voleva illudersi, ma sentiva che quegli oggetti  avevano qualcosa di arcano, quasi di magico.
 Nei giorni che seguirono Giulio non era più lo stesso: il dubbio si era insinuato in lui quando aveva sentito quel nome, Rosalia, ma non poteva essere lei…cercò di togliersi dalla mente quel chiodo fisso e decise di non pensarci più. Il lavoro in quel periodo lo assorbiva molto e questo gli era d’aiuto, con una certa angoscia vedeva avvicinarsi la data del matrimonio, ma ormai era difficile tornare indietro, cercava di convincersi che stava facendo la cosa giusta; Clara forse era la donna adatta a lui: bella, intelligente, sicura di sé.
Quel giorno arrivò in ufficio leggermente in ritardo:
“Ingegnere”, gli disse subito la segretaria, “ Si è dimenticato di Lafont? È qui già da mezz’ora che l’aspetta”.
“Accipicchia”, rispose Giulio battendosi una mano sulla fronte, “mi è proprio passato dalla mente…fallo passare subito”. Si accomodò dietro la scrivania e attese l’ospite che veniva dalla Francia per discutere di un progetto. L’uomo entrò:
“Buongiorno Lafont, mi scuso per il ritardo, ma …ho avuto un contrattempo, si accomodi prego”, esordì Giulio cercando di essere il più gentile possibile.
L’altro aveva un’aria leggermente seccata:
“Ho avuto tempo di leggermi tutto il giornale…ma non importa, cominciamo subito”, nel dire questo appoggiò il quotidiano parigino, che aveva piegato accuratamente, sulla scrivania.
Senza volerlo Giulio lanciò un’occhiata in quella direzione. Un titolo a metà pagina colpì la sua attenzione:
“Giovane scultrice gravemente ferita .”
 Nella piega del giornale c’era una piccola foto, ma non riusciva a vederla intera.
“Scusi ancora un momento”, disse interessato, “Posso?”. Aprì la pagina e sentì un nodo stringergli la gola: era lei, era Rosalia! Non c’era più nessun dubbio, anche il piccolo neo fra le sopracciglia gli diceva che quella era la sua principessa.

domenica 5 maggio 2013

UN FIORE NEL FANGO

Quinta puntata

La ragazza riaprì gli occhi e vide su di sé il viso di Claude che stava cercando di rianimarla.
“Cosa è successo?”, chiese ancora sotto choc… poi, senza aspettare la risposta si alzò di scatto.
 “Dov’è andato? Voleva uccidermi”, disse spaventata. Il cuore le batteva in petto come un tamburo,  vedeva ancora davanti a sé quella lama che brillava sotto la luce dei lampioni.
“Calmati…per fortuna sono intervenuto in tempo, stavo tornando a casa e, ho visto quell’uomo che ti aggrediva, l’ho afferrato alle spalle in tempo prima che ti colpisse..., ma mi è sfuggitoʺ
L’aiutò a rialzarsi e la condusse con sé cingendole la vita:
“Vieni, andiamo a casa, mi racconterai con calma,! E’ finita, adesso stai tranquilla”.
 Rosalia in quel momento aveva bisogno di qualcuno che la tenesse stretta e abbandonò la testa sulle sue spalle.
 Fra le mura del piccolo appartamento si sentì sicura, Claude si aspettava da lei una confessione: aveva il sospetto che quell’aggressione fosse legata al mistero che lei  si portava dentro fin da quando si erano conosciuti.
 Rosalia tremava ancora di paura, sentiva su di sé il fiato acre di quell’uomo, rivedeva la mano armata  che si stava abbattendo su di lei:
“ E’ stato terribile… credevo proprio di morire”, sussurrò chiudendo gli occhi.
“Andiamo alla polizia”, le disse Claude.
A quelle parole lei si voltò di scatto: “Sei impazzito?…cosa c’entra la polizia…non voglio più parlarne, è stato solo un brutto momento”.
 “Voleva ucciderti. Se non intervenivo in tempo quell’uomo ti avrebbe  accoltellata…te ne rendi conto?”, le disse Claude guardandola in viso per vedere le sue reazioni. Rosalia stava facendo degli sforzi per riprendere il controllo, non voleva dire nulla di più per non tradirsi, la sua storia doveva rimanere segreta!
“Forse era un maniaco…ce ne sono tanti in giro!”, rispose cercando di dare alla voce un tono rassicurante.
Poco convinto lui lasciò perdere. Poco dopo il cicalino del telefono interruppe l’atmosfera che si stava facendo pesante: Claude alzò il ricevitore: “C’è Rosalia?”, una voce sconosciuta uscì dalla cornetta.
“E’ per te”. La ragazza si alzò a fatica dal divano dove era sdraiata e raggiunse l’apparecchio, mentre percorreva quei pochi metri guardò l’amico: “Chi è?”, chiese sottovoce.
 “Non so, rispose lui, non l’ho mai sentito:”
Quando Rosalia rispose diventò ancor più pallida: “Questa volta ti sei salvata…ma ti rivedrò presto e non mi sfuggirai. Chi ha tradito deve pagare…ricordatelo”. La comunicazione s’interruppe e la ragazza mise giù il telefono e rimase per qualche secondo a guardare nel vuoto..
Claude si avvicinò: “Chi era?”, chiese.
 Rosalia scoppiò in lacrime e l’abbracciò. Il ragazzo la sentiva singhiozzare senza ritegno e non sapeva cosa fare, le sollevò il viso bagnato di pianto, la disperazione che leggeva nel suo sguardo gli fece capire che qualcosa di grosso era successo.
“Ti prego”, le disse dolcemente, “raccontami tutto, forse potrò aiutarti”.
Sconfitta, lei cedette: “Va bene”, sussurrò.
 Cominciò a parlare, si liberò di quel segreto che l’opprimeva: raccontò tutto ma non gli disse che si era innamorata dell’uomo che aveva salvato tradendo suo padre.
+++

Da più di un anno Giulio era tornato a Milano. Dopo il sequestro la sua vita era cambiata, a parte il divorzio che ormai era stato legalizzato, anche il suo carattere, i suoi sentimenti non erano più quelli di prima. Era diventato scontroso e sospettoso, tanto che gli amici avevano difficoltà a frequentarlo, sul lavoro era esigente e i collaboratori lo sopportavano solo perché lui era il padrone. Passava le serate in solitudine, guardando la televisione o qualche video di film che lo interessava particolarmente. Quella sera il campanello interruppe la tensione di un giallo che stava seguendo in TV. Si alzò dalla poltrona con fastidio, andò ad aprire:
“Ciao, Giulio, disturbo?”.
 Sulla soglia c’era Clara, un’amica d’infanzia che non vedeva da tanto tempo. Fasciata in un abito attillato che metteva in evidenza tutte le sue curve la giovane donna entrò. Giulio si scostò senza parlare.
“Sorpreso?”, continuò lei. “Potresti anche farmi una migliore accoglienza, dopo tutto non ci vediamo da quando eravamo al liceo”. Clara si accomodò sul divano e accavallò le gambe.
“Come stai?  sono contento di rivederti”, rispose lui impacciato, “è solo che…non ti aspettavo. Ormai sono abituato a farmi compagnia da solo e le improvvisate mi sconvolgono”.
“Certo che non sei molto gentile…ma io non mi lascio intimidire, sono venuta per portare l’orso fuori dalla sua tana, vestiti e usciamo!”. Giulio la guardò sorpreso:
“Veramente non avevo previsto di uscire,  dove vuoi andare?”, le chiese, sul viso aveva l’espressione infastidita di chi si era visto scombussolare una tranquilla serata.
“Per prima cosa a cena perché ho una fame da lupi, poi a ballare e poi…si vedrà”, rispose lei tutto d’un fiato.
 Lui alzò le spalle: “Veramente …ho già mangiato, sai, da solo non ho molta scelta”.
“Non importa, starai a guardarmi…dai, sbrigati che si sta facendo tardi”.
 Travolto da quel ciclone a Giulio  non rimase altro che uscire con lei. La conosceva fin dall’infanzia, era la figlia di un amico di suo padre ed erano quasi cresciuti insieme, lei era sempre stata innamorata di lui,  ma da parte sua non era mai scoccata la scintilla magica: la vedeva solo con gli occhi di un amico fedele, non di più; per innamorarsi aveva bisogno di qualcosa di speciale. Quando conobbe Linda fu attratto dal suo fascino e dalla sua classe e, quando si sposò, Clara ci rimase tanto male che scomparve dalla sua vita. Non si fece più vedere perché non riusciva a nascondere la delusione. Poi aveva saputo che lui era ritornato libero e la caccia alla preda era ricominciata. Prima di andare a presentarsi alla sua porta ci aveva molto riflettuto, poi quella sera non aveva saputo resistere e, l’averlo trascinato fuori era già una piccola conquista.
Nel ristorante dove si erano rifugiati l’atmosfera era accogliente, Clara aveva ordinato antipasti di pesce e Giulio la stava a guardare divertito mentre sorseggiava un bicchiere di spumante ghiacciato.
 “Allora? Non mi dici nulla ?”, cominciò lei, “dopo l’avventura che hai passato dovresti essere solo tu a tenere viva la conversazione, ne hai di cose da raccontare!”
“Ti dispiace se parliamo d’altro?”; rispose Giulio seccato, “non voglio assolutamente tornare su quella parte della mia vita…mi disturba in tutti i sensi”, si era fatto talmente serio che Clara era rimasta sorpresa e c’era stato un momento d’imbarazzo.
“Va bene”, rispose , “se ti da’ tanto fastidio, non ne parleremo più”.
Continuarono la serata in un locale dove si ballava e Clara sfoderò tutte le armi della seduzione, lei era di quelle che non credevano nell’amicizia fra un uomo e una donna, era convinta che prima o poi l’attrazione fra i due poli opposti si sarebbe fatta sentire… La musica che si diffondeva lenta e suadente le dava il coraggio di stringersi a lui: teneva la testa abbandonata sul suo petto, mentre le mani gli accarezzavano la nuca. Era forse la prima volta, fin da quando erano ragazzi, che gli era così vicina:  con gli occhi chiusi, si lasciava trasportare dal suono dolce della musica e per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto che quel momento finisse. Si svegliò solo quando Giulio disse:
“Si è fatto tardi, domani devo andare presto in ufficio, ti dispiace se torniamo?”.
Mentre uscivano dal locale, Clara si appese al suo braccio :
 “E’ stata una bella serata…”, disse con aria sognante.
“Se ti fa piacere usciremo di nuovo insieme”, rispose lui distratto.
 Clara non si aspettava molto di più, si accontentò di quella promessa e, quando si lasciarono gli posò un piccolo bacio sulla bocca:
“Così non ti dimenticherai di chiamarmi”, esclamò.
 Quella notte Giulio la passò quasi in bianco, non era più uscito con una donna da quando era tornato a Roma; l’improvvisata di Clara l’aveva sconcertato: lei era bella, simpatica, ma era soltanto un’amica e non poteva fargli dimenticare Rosalia; ogni notte gli tornavano alla mente i suoi occhi, il viso appassionato, i capelli come seta che accarezzava a lungo dolcemente. L’aveva cercata tanto, ma non era riuscito ad avere nessuna notizia, era scomparsa dalla sua vita come lei aveva promesso l’ultima notte in cui erano stati insieme.

Nei giorni seguenti aveva pensato di telefonare a Clara,  ma ogni volta che si avvicinava al telefono, la sua mano si ritraeva. Aveva capito che, se si fosse fatto vivo sarebbe stato come darle una speranza e questo non lo voleva, gli dispiaceva deluderla poiché sapeva benissimo quello che lei si aspettava da lui.
 Ma Clara non lasciò perdere la partita che aveva iniziato con tanta ostinazione e, un bel giorno, si presentò improvvisamente, come ormai era sua abitudine.
“Visto che Maometto non va alla montagna….”, cinguettò sorridendo sull’uscio, “ Eccomi qui!”.
Impacciato Giulio la fece entrare.
“Mi offri qualcosa per tirarmi su?”, chiese lei sprofondando nel divano. “Per esempio una bella vodka ghiacciata”, continuò togliendosi il giacchino di pelle. Sotto aveva un top argentato che le lasciava scoperte le spalle e lasciava intravedere i seni che aveva piccoli e ben fatti.
“Ai suoi ordini, madame”, rispose lui tentando di scherzare, ma era in evidente confusione.
Portò due bicchieri sul tavolino e la bottiglia di liquore, il liquido gelato gli entrò nello stomaco e gli diede una sferzata. Lei rideva e beveva, dopo parecchi sorsi anche lui era su di giri, la sua volontà era annullata in balia dei fumi dell’alcol. Si trovarono abbracciati senza sapere né in che modo e  né quando era partita la scintilla che li aveva uniti.

Cominciò così, senza che Giulio ne fosse completamene consapevole, la sua storia con Clara: finalmente lei era riuscita ad avere per sé l’uomo che aveva desiderato da sempre.
Clara non si accontentò di una relazione, ma volle annunciare alla famiglia il fidanzamento; ovviamente tutti ne furono felici perché forse era sempre stato il desiderio dei suoi genitori vederla sposata con il figlio del loro miglior amico e Giulio si trovò coinvolto in una cosa che non aveva desiderato, ma che suo malgrado, accettava. Dopotutto Clara era giovane e bella, avrebbe anche potuto diventare una compagna per la vita.
Però, il suo cuore, i suoi più intimi sentimenti erano sempre legati al ricordo della Sicilia e di Rosalia, ma ormai aveva perso ogni speranza di rivederla, si sentiva sconfitto e si doveva convincere che i sogni sono solo sogni, ma la vita continua.
(continua)