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mercoledì 30 maggio 2012

ASSASSINIO ALLO CHALET PARADISO


Chi era quel mostro che aveva infierito con tanta ferocia sul corpo di quella ragazza così bella? Il commissario Parisi era abituato a certi spettacoli, ma ciò che vedeva in quel momento gli dava una rabbia sorda. Stringeva i pugni osservando il cadavere della giovane donna immerso nella vasca da bagno, massacrato da innumerevoli coltellate. Se avesse potuto avere fra le mani chi l’aveva ridotta così, non l’avrebbe passata liscia, anche a costo di rimetterci la carriera. Ma nel suo mestiere non era permesso lasciarsi prendere dai sentimenti di vendetta e distolse lo sguardo cercando di calmarsi. Anche l’agente speciale Loredana Caputo, non aveva parole per esprimere l’orrore che provava, stava impalata accanto al suo capo, in silenzio. Si riprese quando Parisi le chiese di chi fosse lo chalet in cui si trovavano.
 «Di Alonso Gonzales», rispose con un filo di voce.
«Quello del caffè?», domandò ancora il commissario.
«Proprio lui!», negli occhi dell’agente passò un lampo di malizia.
«E la ragazza, chi è?», incalzò Parisi.
«Ancora non lo sappiamo», disse lei allargando le  braccia.
«Chi ha avvertito la polizia?», ogni volta la domanda del commissario era come una staffilata. La povera Caputo cercava di stare al passo con il suo superiore.
«La donna delle pulizie, quando è arrivata ha telefonato chiedendo aiuto. Siamo corsi subito».
Il commissario uscì dal bagno e si diresse verso il salone: una donna accasciata su una poltrona guardava nel vuoto.«E’ lei che ha trovato il corpo?», le chiese Parisi.
«Sì….questa mattina sono arrivata presto, ho trovato la porta aperta e ho avuto paura che fossero venuti i ladri, ma non immaginavo di trovare quella ragazza», la donna si coprì il volto con le mani e scoppiò in lacrime.
Un grande difetto di Alex Parisi era che non sopportava di veder piangere nessuno, si avvicinò e le mise una mano sulla spalla:
ʺNon si disperi signora, la lascio andare a casa. Ma le devo chiedere ancora una cosa: la conosceva?».
Lei alzò il viso: «No», rispose,«non l’ho mai vista».
«Grazie, ho finito», la rassicurò il poliziotto.
Lo sguardo del commissario percorse il locale, poi urlò:
«Caputo! Vieni qui, dove ti sei cacciataʺ.
L’agente arrivò di corsa mettendosi sull’attenti.
«Avete perquisito la casa? Interrogato i vicini?», Parisi osservò la sua assistente impalata davanti a lui. «E’ possibile che ogni volta devo dirvi tutto? Muoversi…muoversi, vai a sentire gli inquilini delle case qui attorno».
Loredana se ne andò alzando le spalle, ormai era abituata ai modi di Parisi. Ritornò poco dopo con la faccia di chi non ha nulla di buono da raccontare: «Commissario, nessuno la conosce».
Parisi l’osservò per qualche secondo, si mise una mano sulla fronte come per riordinare i pensieri in tumulto:
«O.K.», disse, «aspettiamo il medico legale per stabilire l’ora del decesso poi si vedrà».
Il dottor Maggi arrivò puntuale, esaminò il corpo con meticolosità professionale e sentenziò:
«La ragazza è morta ieri tra le ventidue e le ventiquattro, le sono stati inferti dieci colpi di arma da taglio, la morte è avvenuta per dissanguamento».
Detto questo il medico riprese la sua borsa: «Io ho finito», disse laconico, «ci vediamo in commissariato».
Parisi uscì dalla villetta con il capo chino, lo rialzò solo per leggere la targa sul cancello “Chalet Paradiso”. ‘Una beffa del destino’, pensò e se ne andò scuotendo la testa.
Sulla pantera della Polizia che lo riconduceva in città, il commissario aveva ancora davanti agli occhi l’immagine dei lunghi capelli neri fluttuanti nell’acqua rossastra. No, quell’assassino doveva pagare il delitto, non gli avrebbe dato scampo, doveva prenderlo!

L’uomo che stava seduto al di là della scrivania indossava un completo grigio di ottima fattura, la camicia azzurra e la cravatta regimental completavano l’insieme. La carnagione scura denunciava le sue origini sudamericane. Parisi lo osservava cercando di farsi un’idea di chi aveva davanti: ‘bell’uomo, sicuro di sé, che piace molto alle donne’ , pensava scrutandolo.
«Dunque, signor Gonzales, lei non sa chi sia la ragazza che abbiamo trovato morta nella vasca da bagno del suo chalet in montagna?», chiese ironico guardando negli occhi il suo interlocutore che si muoveva sulla sedia in evidente imbarazzo.
«Gliel’ho già detto, non l’ho mai vista!!», rispose innervosito l’altro.
Ma  il fiuto del commissario Parisi era maturato in anni di esperienza: non si faceva prendere in giro e la reticenza di quell’uomo era così evidente!
 Continuò l’interrogatorio per ore facendo pressappoco la stessa domanda finché la sua vittima non si arrese: «Sì… la conoscevo», confessò Gonzales sfinito dalla tortura psicologica del poliziotto, «non posso ancora credere che sia morta, avevamo una relazione, ci incontravamo di nascosto un paio di volte alla settimana nel mio villino. La facevo passare dalla porta del garage così non la vedeva nessuno….si chiamava Barbara, era la figlia del professor Sanfelice».
Parisi l’interruppe: « Il famoso psichiatra?», chiese meravigliato.
 «Sì», affermò Gonzales chinando il capo, ma da un tratto si riprese e puntò lo sguardo sul commissario: «Non crederà che sia stato io?? Sono tornato poche ore fa dal Brasile dove ero andato per acquistare una partita di caffè. Cerchi di sapere chi l’ha ammazzata, lo faccia anche per me…volevo molto bene a Barbara..», la sua voce strozzata era diventata come un lamento. 
Questa volta Parisi volle credergli, sembrava sincero, si accontentò di aver finalmente appreso il nome della povera ragazza uccisa e lo lasciò andare. Prima di uscire, l’industriale si accostò alla scrivania: «Commissario, la prego, non faccia sapere niente a mia moglie», sussurrò.
Parisi lo guardò di traverso: " Vada pure" gli disse poi, quando Gonzales uscì, urlò attraverso la porta socchiusa:
«Caputo! Vai a prendere la macchina…usciamo».
L’agente speciale si fiondò nella rimessa auto della Polizia e poco dopo era al volante di una pantera azzurra.
 (continua)

  






giovedì 17 maggio 2012

CONCLUSIONE "LA REGINA NERA"

Adami salì in camera a prendere il collier di rubini e lo consegnò al commissario che sgranò gli occhi davanti a tanto splendore. 
«Caputo, chiama la scientifica e fai valutare questa collana», disse poi alla sua aiutante rigirando il gioiello fra le mani, «per essere sincero trovo stupende queste pietre», si volse verso Adami e aggiunse, « forse la mia professione mi porta sempre a essere sospettoso».
Sentì su di sé lo sguardo cupo di Valentina:
«Mi dispiace, signora, ma questo è il mio mestiere…», affermò, «se non è come penso, le anticipo le mie scuse. Ora devo andare, ci vediamo domani alle nove in commissariato per il responso della perizia», tagliò corto, salutò e se ne andò seguito dagli sguardi preoccupati di Valentina e suo marito.
Il giorno dopo il dossier della perizia sui rubini dello sceicco era in evidenza sopra tutte le altre pratiche sulla scrivania di  Parisi che continuava a guardare l’orologio in attesa dei coniugi Adami, le sue dita tamburellavano ritmando il tempo nervosamente.
«Avevamo l’appuntamento alle nove…sono le dieci!», sbuffò guardando di traverso il suo braccio destro. Loredana si limitò ad alzare le spalle senza rispondere.
Poco dopo il commissario si calmò:
«Gli Adami sono arrivatiʺ, annunciò finalmente la  Caputo tirando un sospiro di sollievo, non sopportava l’impazienza del commissario e il suo nervosismo….le veniva un cerchio alla testa!
Marito e moglie entrarono, Parisi li invitò a sedersi ed entrò subito in argomento:
«Ecco il responso: il nostro esperto ha sentenziato che…», prese la cartella della scientifica e, lentamente, scandendo le parole continuò, «queste pietre sono degli stupendi…», e qui si fermò guardando in faccia i due che sorrisero:
«…fondi di bicchiere», concluse. Il sorriso si spense sulla bocca dei suoi interlocutori.
Adami si mise una mano al petto: «Presto, Valentina…le pillole, mi sento male…», mormorò con un filo di voce.
Il commissario era a disagio: «Mi dispiace, ma sono soltanto delle meravigliose imitazioni….l’avevo previsto, la verità è come pensavo», concluse restituendo la collana.
Valentina lo guardò mestamente:
 «Allora, commissario è stato il principe…cioè il falso principe, praticamente un ladro d’alto bordo», continuò, nei suoi occhi si leggeva una grande delusione.
«Purtroppo i miei sospetti erano veri, ora continueremo le ricerche di quel tale, le preannuncio però che non sarà facile rintracciarlo, non sappiamo nulla di lui…non ha lasciato sul posto nemmeno le impronte».
«Ma, come ha potuto rubare i gioielli se era con noi al night! …probabilmente aveva un complice», aggiunse Adami che si era faticosamente ripreso dal malore.
«Certamente….», rispose Parisi, «continueremo a cercare ma, mi creda, non si disperi, si calmi e pensi alla sua salute…non ne vale la pena per un mucchietto di gioielli, molto preziosi, ma soltanto degli oggetti», cercò di consolarlo ma l’altro gli lanciò un’occhiata di fuoco e  uscì  con la moglie dall’ufficio quasi senza salutare.
Il commissario non reagì:
«Si sono offesi, volevo soltanto dire che è meglio un furto di una malattia…bah!», e allungò le gambe sotto la scrivania. Loredana Caputo chiese il permesso di uscire.

Qualche mese dopo Valentina stava imbarcandosi su un aereo diretto in Brasile accompagnata da un bel giovane bruno. Sedettero vicini e lei si strinse al suo braccio:
«Sono felice James…o ti devo chiamare Alì», sussurrò, «finalmente è tutto finito…ho riscosso anche i soldi dell’assicurazione e qui dentro…», la sua mano batté sulla borsa
 di coccodrillo, «c’è la Regina Nera…e gli altri gioielli, non poteva andare meglio!!».
«Sei stata fantastica», rispose lui accarezzandole i capelli biondi ,« il direttore aveva ragione: quella cassaforte era a prova di ladro…ma conoscendo la combinazione, tutto è stato più facile. Il nostro complice non ci sarebbe mai riuscito senza il tuo aiuto».
Il grande aereo decollò, Valentina guardò fuori dal finestrino mentre la terra si allontanava:
ʺAddio signor Adami», disse alzando una mano, «poveretto, mi dispiace avergli dato questo dolore, ma in fin dei conti è pieno di soldi fino alle orecchie!...è una brava persona ma non l’ho mai amato, l’ho sposato appunto per la sua ricchezza…lo sai che amo soltanto te».
Appoggiò la testa sulla spalla di James e chiuse gli occhi: cominciava il suo viaggio verso la felicità.
Tutto questo il commissario Alex Parisi questa volta non l’aveva previsto, forse affascinato come tutti dalla bellezza di Valentina che aveva bene interpretato la parte della vittima.  
 FINE



giovedì 10 maggio 2012

seconda parte La regina nera

 La luce dell’alba filtrava dalle persiane ancora chiuse, il commissario Alex Parisi si era addormentato da poco, da qualche giorno soffriva d’insonnia, le ragioni erano tante: il suo mestiere che lo obbligava sempre ad essere al massimo e le cene solitarie in pizzeria dove cucinavano pesante. Stava sognando che il telefono squillava e lui non poteva rispondere…cercava di svegliarsi ma le palpebre erano dei macigni. Improvvisamente aprì gli occhi e si rese conto che il telefono che suonava non era un sogno ma una realtà. Guardò l’orologio sul comodino, erano le cinque e trenta : «Chi è quel rompiscatole che mi sveglia a quest’ora», brontolò .
La voce concitata dell’agente scelto Loredana Caputo uscì dal microfono:
«Commissario un furto colossale al Grand Hotel!!! Stanotte  hanno svuotato la cassaforte del petroliere Adami e hanno rubato la Regina Nera!!!».
«Quale regina? Cosa stai dicendo e…dove sei in questo momento?», ribatté Parisi ancora con le idee confuse.
«Sono al Majestic e la regina è una perla rarissima che vale una fortuna, scusi se l’ho disturbata a quest’ora, ma qui non si capisce più niente, ».
«Senti Caputo, non è morto nessuno…in fin dei conti anche se preziosissimo hanno rubato un gioiello? Troveremo il colpevole. Adesso fai quello che devi fare, interroga, chiama la scientifica, ma lasciami dormire…ci vediamo in ufficio alle otto», rispose lui interrompendo la conversazione.
Non riuscì più a prendere sonno ma alle otto in punto era seduto dietro la scrivania al commissariato.
Loredana Caputo entrò nell’ufficio del capo con il viso stravolto, era stanchissima, il commissario Parisi si fermò un attimo a osservarla:
«Cosa hai Caputo? Sei un po’ pallida…ma adesso raccontami tutto», disse sbrigativo.
La giovane poliziotta gli spiegò come era avvenuto il furto , senza tralasciare nessun particolare: disse dello sceicco che aveva stretto amicizia con i coniugi Adami e del collier di rubini regalato alla signora.
«Vorrei conoscere questo tale così magnanimo. Vieni con me, andiamo al Majestic a interrogarlo…».
Loredana rimase un attimo interdetta,  ma era abituata alla stravaganze del commissario, e poco dopo erano in hotel. Il direttore appena se li vide davanti si confuse:
«In che cosa posso essere utile?», chiese con la voce tremante.
«Vorrei solo parlare con il signor Alì Behari», affermò il commissario.
«Ma non posso disturbarlo, è appena tornato in camera, starà riposando… è una persona molto importante…non so come comportarmi», balbettò il poveretto. Ma Parisi non accettò scuse, e il direttore diede ordine a un cameriere di avvisare il signor principe che avrebbe avuto visite.
Poco dopo il ragazzo tornò: «Il signor Behari non è in camera…è partito».
Il commissario scosse la testa e rimase in silenzio per qualche secondo, poi:
 «Come mai questa fretta?», chiese.
In quel momento Adami e la moglie, che ancora non erano rientrati nelle loro camera, si avvicinarono e si presentarono.
«Vedo che è sorpreso dalla partenza del principe, ma aveva affari importanti da sbrigare nel suo paese, così ci ha detto», affermò il petroliere, «e poi credo sia assurdo sospettare di lui, è ricchissimo…il gioiello che ha donato a mia moglie vale quanto tutti quelli rubati, io me ne intendo, sono rubini meravigliosi».
Parisi si avvicinò e lo toccò su una spalla:
«Dia retta a me che sono vecchio di questo mestiere…li faccia valutare, non si sa mai!».
I due coniugi si scambiarono un’occhiata di terrore.
«Lei si sbaglia commissario! …non credo che Alì ci abbia ingannati, sono certo che quelle pietre sono autentiche», esclamò Adami con voce stridula.
ʺMi permetto di insistere, anzi, li facciamo valutare da un nostro esperto, qualunque sia il risultato è necessario per le indagini del caso», ribatté Parisi.

 (continua)

 Saranno veri rubini???





mercoledì 2 maggio 2012

LA REGINA NERA

La regina nera

Appoggiato al bancone del bar del Grand Hotel Majestic,  un giovanotto bruno stava osservando una coppia che scendeva lo scalone. La donna era di una bellezza sconvolgente: lunghi capelli biondi coprivano le spalle come un manto di seta, il viso dai lineamenti perfetti era illuminato da grandi occhi pervinca, il corpo snello fasciato in un abito nero, metteva in risalto le curve, tutte al punto giusto. La collana di diamanti, che aveva al centro una stupenda perla nera, brillava sul profondo decolté.
L’uomo che l’accompagnava era più anziano di lei di parecchi anni: capelli brizzolati, una piccola barba bianca e grossi occhiali cerchiati di nero.
«Chi sono?», chiese il giovane al barista mentre non abbandonava con lo sguardo i due che si stavano dirigendo nella sala dove era in corso un galà di beneficenza.
«Il petroliere Adami e sua moglie», rispose il ragazzo.
«Ospiti dell’hotel?», chiese ancora il cliente curioso.
«Sì, da qualche settimana».
«Molto bella», ammise l’uomo mentre si allontanava, alludendo alla visione bionda.
Il barista si accorse con piacevole stupore che il cliente gli aveva lasciato come mancia un biglietto di grosso taglio.
«Grazie!», esclamò, ma l’altro se ne era già andato.
Poco dopo l’uomo entrò nella sala della festa e percorse con lo sguardo il locale colmo di gente, poi si diresse deciso verso il tavolo dove era seduta la bella signora con il marito. In mano teneva un bicchiere colmo di un liquido rosato e, quando arrivò nei pressi della coppia, inciampò nell’orlo sollevato di un tappeto e, cercando di rimettersi in equilibrio rovesciò il contenuto del calice nella scollatura della donna  che si voltò infuriata:
«Cosa sta facendo!! Stia più attento, mi ha rovinato il vestito!».
Il giovane aveva la fronte imperlata di sudore. «Stia fermo», disse lei innervosita colpendo la mano che cercava di rimediare al danno con un fazzoletto.
«Sono costernato, la prego di perdonarmi…non volevo», farfugliò lui.
Il marito che fino allora non era intervenuto aiutò la moglie ad alzarsi :
 «Vieni cara, ti accompagno in  camera a cambiarti», la sua voce gelida e l’occhiataccia lanciata all’incauto intruso erano più che eloquenti: «Se ne vada!», sibilò.
L’uomo si allontanò imbarazzato, seguito dagli sguardi incuriositi degli ospiti seduti ai tavoli.
Il giorno seguente un fattorino recapitò nella camera 215 dei signori Adami un grosso scatolone:
«Chi lo manda ?», chiese la signora meravigliata. Il marito consegnò  il biglietto che accompagnava l’involucro alla moglie che lesse lentamente: «La prego di accettare questo omaggio per farmi perdonare la sbadataggine di ieri sera”, tolse dalla scatola uno stupendo abito di raso nero:
 «E’ bellissimo…è di Armani», sussurrò appoggiandoselo sul corpo.
«Valentina!», esclamò spazientito il marito, «Si può sapere chi te lo manda?».
«Il biglietto è firmato Alì Benhari, credo sia quello che ieri sera mi ha rovesciato addosso lo champagne rosé», rispose lei affascinata dall’abito.
 «Non possiamo accettarlo, non conosco questo tale», sbottò innervosito Adami mentre stava chiamando la reception: «Vorrei sapere chi ha mandato lo scatolone che mi è stato recapitato poco fa. C è un biglietto con firma Benhari. Chi è?».
«E’ un principe arabo, ospite dell’hotel », rispose l’usciere.
«Come posso incontrarlo?», chiese ancora il petroliere.
«Il principe cena tutte le sere in albergo», rispose l’altro.
  Adami interruppe la conversazione e borbottò:
 «Lo ringrazierò di persona ma…non era il caso per due gocce su un vestito…».
«Lo metterò stasera», cinguettò Valentina, «sai, questi sceicchi…meglio non contraddirli, magari si offendono».
Quella sera stessa la giovane signora Adami fece il suo ingresso in sala da pranzo fasciata nel lungo abito di seta, molti si girarono a guardarla.
Mentre raggiungeva il tavolo le venne incontro Alì Benhari che s’inchinò sfiorandole la mano con le labbra: «Sono felice che abbia accettato il mio piccolo dono, dovevo farmi perdonare l’involontario danno al suo vestito », i suoi occhi neri e brillanti si puntarono sul viso di Valentina facendola arrossire.
«Sarei molto lieto di avervi miei ospiti stasera», continuò il giovane principe rivolto al marito.
C’era tanto garbo in quella proposta che il petroliere non seppe dire di no.
La serata trascorse amabilmente anche per merito di Alì che aveva una conversazione brillante e raccontava cose interessanti, ad un certo punto si fermò e, guardando il collier di Valentina:
«E’ magnifica quella perla», disse ammirato.
La donna accarezzò il gioiello, «E’ la “Regina nera” una delle  più belle al mondo, regalo di mio marito, disse rivolgendo un sorriso al consorte.
«E’ rarissima», proseguì il principe Benhari, «non ne ho mai viste di così grandi, ha una luce particolare», i suoi occhi neri fissavano Valentina.
Poi si volse verso Adami : «La signora merita anche qualcosa di più vivace. Se permette…», trasse di tasca il cellulare, compose un numero e parlò nella sua lingua mentre Valentina e il marito lo stavano guardando stupefatti. Qualche minuto dopo un ragazzo di colore posò sul tavolo un astuccio. Sempre più meravigliati i signori Adami stavano osservando la scenetta senza dire una parola.
«Ecco cosa ci vuole per la signora!», disse Benhari aprendo la scatola: sul velluto blu scintillava uno stupendo collier di rubini. Gli occhi di Valentina si spalancarono per lo stupore.
«Che meraviglia!», esclamò attratta dallo splendore delle pietre.
 «Ormai siamo diventati amici e nel mio paese un amico è sacro. Per rendere più stretto il nostro legame vi prego di accettare questo modesto omaggio», disse galantemente il principe.
«No», il tono del signor Adami non ammetteva replica, «mi dispiace, non possiamo…non ne vedo il motivo, lei è stato fin troppo gentile a inviare l’abito che indossa mia moglie», concluse freddamente.
Sul viso di Alì Benhari passò un’ombra di disappunto, la sua bocca si strinse in una smorfia.
«Se non accetta vuol dire che mi è nemico!», pronunciò queste parole con un tono di voce gelido e fece l’atto di alzarsi dal tavolo. Valentina e il marito si lanciarono un’occhiata attonita, non sapevano come comportarsi davanti a quell’uomo in piedi che li guardava con occhi di sfida.
«Se la mettiamo su questo tono», farfugliò Adami, «non ci resta che accettare», disse allargando le braccia in un gesto di resa.
«Molto bene, ma non dovete sentirvi obbligati…ora possiamo continuare la serata in allegria. Brindiamo alla nostra amicizia!», concluse Alì, risiedendosi.
In camera, prima di coricarsi Valentina non resistette alla tentazione di indossare il gioiello, si mise davanti allo specchio rimirandosi compiaciuta.
«Vale una fortuna! Mi sembra di vivere una favola; ho sentito tanto parlare di questi  ricchissimi nababbi che distribuiscono denaro e gioielli come noccioline…ma non ne aveva mai conosciuto uno», sussurrò. Il marito la stava osservando, ma non profferì parola, si ficcò sotto le coperte: «Buona notte», disse voltandosi dalla parte opposta a quella di lei.
La sera dopo Valentina sfoggiava il collier di  rubini che le donava luce al viso dandole un tocco di raffinata eleganza. Mentre si recavano a cena incontrarono lo sceicco nella hall:
«Le sta molto bene», le disse ammirato alludendo al collier, «purtroppo questa è l’ultima sera che ci vediamo, domani parto e sono felice che le resti un mio ricordo», disse fissandola negli occhi, «non mi dimenticherò mai di lei, Valentina», aggiunse a voce bassa. In quel momento Adami aveva la sensazione di essere di troppo.
«Anche per noi lei sarà indimenticabile…anzi, per ricambiare le sue gentilezze, proporrei di andare al night a terminare la serata», rispose lei turbata dai modi del giovane arabo. Il marito la guardò meravigliato, ma accettò per non contraddirla.
Nel locale notturno aleggiava un’atmosfera coinvolgente, un cantante al pianoforte  sussurrava motivi soft, si sedettero a un tavolo e ordinarono da bere. Fra un bicchiere di champagne e uno di wisky, ad una certa ora della notte erano molto allegri e continuarono così finché arrivarono all’alba quasi senza accorgersene. Ritornarono all’hotel e salirono nelle loro camere salutandosi un’ultima volta davanti all’ascensore: sul viso di Alì c’era un’ombra di malinconia.
Ma, la sorpresa che aspettava i signori Adami quando aprirono la porta della camera 215 non fu molto piacevole: la cassaforte era aperta e…vuota. Tutti i gioielli della signora erano spariti e fra questi naturalmente la rarissima “regina nera”.
Poco dopo nella stanza regnava la confusione più totale, c’erano almeno una decina di persone che si guardavano intorno incredule : il direttore dell’hotel, i camerieri ai piani, l’addetto alla reception, e qualche cliente curioso.
Valentina seduta sul letto era in preda alla disperazione, suo marito sbraitava con il povero direttore:
«In che razza di albergo sono finito! Mi avevate assicurato che le casseforti erano impenetrabili, che non era mai successo niente, invece…ci hanno rubato tutto….tutto…compresa la “regina nera”!
«Che cosa?», chiese spalancando gli occhi il suo interlocutore.
«Sì, una perla rarissima, di un valore inestimabile!», si diresse verso la moglie, «cara, non fare così sapessi quanto mi dispiace, vedrai che la ritroveremo, è quasi impossibile smerciare un gioiello di quel valore. E poi è assicurata», accarezzò la donna cercando di consolarla.
Il suo sguardo si diresse verso il collier di rubini che Valentina indossava ancora: «Questo forse ci ripagherà in parte del danno subìto, non sarà lontano dal valore della collana rubata».
                                                                                                                                                    (continua)