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domenica 30 aprile 2017

NELLA VECCHIA FATTORIA....


 Tutti conoscevano la fattoria “Il Girasole” di Tony, il grande casolare di mattoni rossi  all'ombra di un platano secolare. I filari ordinati delle viti gli facevano da contorno, la gente andava  comprare i prodotti profumati dell’orto coltivati naturalmente, come una volta.
Tony era rimasto in campagna a fare il contadino e aveva trasformato la cascina di famiglia in una tenuta agricola modello; chi voleva mangiare bene andava da lui per avere sulla tavola verdura fresca e genuina e vino di ottima qualità. Le signore, al di là della convenienza facevano volentieri  la spesa anche perché lui era un gran bel ragazzo: sempre abbronzato dal sole dei campi e con una faccia simpatica e aperta.
“Tony…cosa hai raccolto stamattina?”, era la domanda che facevano appena arrivate e… se ne andavano soddisfatte con le borse piene di ogni ben di Dio. Fra le clienti più assidue c’era Rosa che gestiva una piccola trattoria in paese, le sue insalate e i piatti vegetariani erano rinomati e trovare un tavolo libero era un’impresa quasi impossibile.  
Fra i due era nata una storia e Tony, si era innamorato di quella bella donna esuberante e piena di vita che sembrava fatta per lui che era timido e insicuro. Il loro rapporto durava da tempo e avevano anche fatto progetti per l’avvenire: “Ci mettiamo insieme e trasformiamo tutto in una bella Beauty Farm…con ristorante, maneggio, campi da tennis…”. Sognavano ad occhi aperti abbracciati nel lettone di ferro battuto in attesa di realizzare i loro sogni.
A sconvolgere il loro equilibrio una sera un’auto sportiva imboccò il vialetto che portava al casolare..
 Dal macchinone uscirono, prima due gambe inguainate in calze a rete, poi l’intera figura di una donna di una bellezza sconvolgente: alta, con i capelli lisci e biondi, un viso angelico illuminato da grandi occhi verdi
“Lei è il proprietario?”, chiese la meravigliosa creatura.
“Sì…posso esserle utile?”, rispose lui attonito; i loro sguardi si incrociarono e Tony sentì una corrente elettrica attraversargli il corpo. La ragazza si presentò:
“Sono Clarissa, dell’agenzia Publifilm, sto cercando un posto adatto per uno spot pubblicitario…la sua fattoria sarebbe il luogo ideale…se vuole ne possiamo parlare”, disse sfoderando un luminoso sorriso.
Tony sul momento non seppe rispondere, non aveva ben capito la proposta preso dal fascino della giovane donna; ci pensò un secondo poi l’invitò ad entrare. Lei si guardò intorno:
“Qui sarebbe perfetto… il camino, il pavimento di cotto, i mobili rustici, la madia della nonna…le sedie impagliate, proprio quello che cercavo…”, mormorò soddisfatta.
.Intanto lui intimidito la fece accomodare nel divanetto a rose gialle:
“Posso offrirle qualcosa?”, chiese.
“Grazie…ho una sete terribile, anche un bicchiere d’acqua va bene”, rispose lei sedendosi e scoprendo le lunghe gambe snelle. Sarà perché Tony non aveva mai frequentato un certo mondo, sarà che la fanciulla che aveva davanti era attraente, si sentiva come frastornato…andò a prendere due calici e una bibita, ma fece grande attenzione a riempire i bicchieri per non versare fuori la bevanda. Come imbambolato rimase a osservare Clarissa che beveva con avidità, la ragazza posò il bicchiere sul tavolino:
“Allora, vogliamo parlare d’affari?”, chiese lanciandogli uno sguardo malizioso.
Ma non ci fu bisogno di trattare, Tony accettò la proposta della giovane senza fiatare pur di rivederla.
Il circo dei cameramen e delle modelle arrivò il giorno dopo sconvolgendo la tranquillità della campagna. I clienti che arrivavano guardavano con curiosità l’andirivieni dei tecnici che urlavano, mettendo a soqquadro la fattoria…Ma Tony non sentiva, gli interessava solo essere accanto a Clarissa, si dava da fare in qualunque maniera pur di starle vicino...e anche lei lo guardava in modo particolare, non le dispiaceva affatto quel giovane contadino dai muscoli solidi, anzi, non perdeva occasione per fare la civetta con lui…
 Tony non le staccava gli occhi di dosso: gli piaceva il suo modo di fare, come parlava, come si muoveva come era vestita…abituato com’era ad avere attorno a lui persone semplici, quella donna sofisticata lo stava affascinando.
Rosa arrivò e si guardò intorno:
“Si può sapere cosa sta succedendo?”, chiese esterrefatta.
 Clarissa si fece avanti e :
“Stiamo girando uno spot pubblicitario…la prego si metta da parte”, disse toccandole un braccio.
 Lei si girò innervosita e stava per rispondere a dovere, quando un cameraman l’avvicinò con una telecamera sulla spalla, così fu costretta ad allontanarsi…
“Tony….mi vuoi spiegare cosa ci fa qui questa gente?”, sbottò inviperita lanciando occhiate di fuoco in direzione della bellezza bionda che si muoveva come se fosse a casa sua.
“Non ti preoccupare, mi hanno chiesto se potevano fare della pubblicità nella fattoria e ho dato il permesso…e poi ci pagano, e anche bene”, tentò di rassicurarla.
Ma il fiuto di una donna innamorata non si ingannava, Rosa notò gli sguardi del suo uomo verso quella magnifica creatura e cercò di correre ai ripari, doveva riprendersi subito ciò che era suo.
 “Ci vediamo stasera?”, chiese invitante; gli andò vicino e lo prese sottobraccio. Lui si irrigidì:
“Sono molto stanco…questa confusione mi ha stressato e…vorrei andare a letto presto”, disse cercando di non essere sgarbato. Rosa deglutì come se avesse ingoiato un rospo:
“Va bene…come vuoi…a domani”, concluse andandosene inviperita.
Tony la seguì con lo sguardo e si diede dello stupido! ... che bisogno c’era di trattare in quel modo Rosa che era sempre  affettuosa con lui? Ma lo scrupolo durò poco: la vide allontanarsi e non la richiamò, il suo sguardo non si staccava da Clarissa.
La giornata stava per finire e la carovana della pubblicità stava riponendo nel furgone gli attrezzi, le modelle se n’erano già andate. .
Clarissa con le braccia cariche stava correndo, inciampò e cadde proprio davanti a lui. Tony si precipitò ad aiutarla:
“Ti sei fatta male?”, chiese ansioso.
“No…no…almeno credo, lasciami alzare e dopo te lo dico”, rispose lei.
Il giovanotto la sorresse e il solo contatto con il suo corpo lo fece arrossire, Clarissa se ne accorse e pensò che aveva fatto colpo…anche lei era stata attratta subito da lui e in quell’attimo decise che non poteva farsi scappare un tipo così. Le sue braccia avvolsero il collo di Tony in un abbraccio:
“Non ce la faccio a stare in piedi…devo essermi slogata una caviglia”, si lamentò con la voce di una bimba viziata.
“Ti porto in casa…poi chiamiamo un medico…”, disse lui precipitosamente.
Lei gli sorrise: “Grazie…sapevo che eri un bravo ragazzo”, sussurrò dolcemente.
 Tony la prese fra le braccia e mentre la trasportava si sentiva l’uomo più felice del mondo: era tutto il giorno che desiderava toccarla, e ora l’aveva tutta per sé…L’adagiò con cautela sul letto:
“Chiamo subito il dottore…”, esclamò.
“No…vieni qui…mi sembra di stare meglio, il dolore è quasi sparito…”, disse lei trattenendolo per la camicia.
Tony non capiva più niente, avere nel suo letto quella donna che l’aveva stregato appena l’aveva vista lo metteva in ansia…non sapeva più cosa fare. Clarissa con una smorfia di dolore cercò di alzarsi:
“Penso che sia meglio per ora non sforzare il piede, vai fuori e dì a tutti di andarsene senza di me, li raggiungerò più tardi…in questo momento non posso assolutamente guidare”, sussurrò...e gli occhi verdi sembravano due smeraldi lucenti.
 Tony corse fuori e ritornò, aveva letto in quegli occhi lo stesso suo desiderio, si sdraiò accanto a lei ma non ebbe il coraggio neppure di toccarla, era intimidito dalla sua bellezza… La mano di Clarissa si insinuò nella sua, quelle dita affusolate che stringevano la sua mano callosa lo fecero fremere, lei prese l’iniziativa e lo baciò sulla bocca…La passione si scatenò, Tony ricambiò il bacio e la strinse a sé, il profumo della sua pelle lo stordì, Clarissa si tolse i vestiti lentamente, la visione della biancheria di pizzo sulla pelle bianca e liscia gli diede un brivido e finalmente si lasciò andare…era la prima volta che provava emozioni così forti, con Rosa non era così…anche se le voleva molto bene fra di loro non c’era quella febbre che lo divorava in quel momento…avere fra le braccia quella creatura raffinata e diversa dalle donne che era solito frequentare non gli pareva vero, era come se stesse vivendo un sogno…si inebriò al profumo dei capelli di seta sparsi sul cuscino e con mani tremanti accarezzò il corpo liscio e perfetto…

Rosa intanto, aveva deciso di fare un salto da Tony anche se le aveva detto che era stanco…magari solo per augurargli la buona notte, di solito era lui che la veniva a prendere per portarla alla fattoria, ma quella sera voleva fargli una sorpresa…Parcheggiò l’utilitaria fuori dal cancello e si inoltrò nel vialetto…notò una vettura sportiva sull’aia, nel cascinale tutto era silenzio, alzò gli occhi e vide che soltanto la finestra della camera da letto era illuminata. Un presentimento la spinse a guardare dentro l’abitacolo della macchina ferma. Sui sedili una borsa e una giacca femminili, inequivocabilmente la proprietaria era una donna, sicuramente la bionda indaffarata che sembrava una Barbie e lassù, in quella stanza Tony era con lei…
Un groppo alla gola le impedì di fare qualsiasi mossa, anzi decise di andarsene, non avrebbe mai creduto che lui potesse arrivare a tanto…tradirla con una di città, una smorfiosa che l’avrebbe fatto soffrire, che stupido e ingenuo! Tornò a casa delusa e quella notte non prese sonno…non ce l’aveva tanto con lui ma con quella che era venuta a scombinare la sua vita, sicuramente solo per un capriccio…
Il giorno dopo nel casolare Tony si svegliò presto, accanto a lui Clarissa dormiva ancora, sfiorò con un dito la bella bocca atteggiata in una smorfia infantile e ricordò i suoi baci… si alzò piano piano per non svegliarla…aveva ancora addosso il profumo sensuale della sua pelle.
“Sveglia, dormigliona…è pronta la colazione”, annunciò poco dopo reggendo un vassoio con un bricco di caffè fumante, biscotti e marmellata. Lei aprì gli occhi pigramente:
“Grazie…solo un caffè senza zucchero”, disse con la voce ancora impastata di sonno. 
Tony ci rimase male….era abituato con Rosa che di buon mattino mangiava con piacere quelle buone cose fatte in casa…
 Il giovane si avvicinò per porgerle la tazzina e la guardò negli occhi:
“E’ stato così bello che mi sembra di aver sognato”, sussurrò, “ti amo disperatamente”.
Lei sorseggiò con cautela la bevanda bollente, “Anche per me è stato bello…sei un uomo meraviglioso”, rispose distrattamente, “ purtroppo ora devo andare…il lavoro mi aspetta…”, disse alzandosi di slancio.
Tony l’osservò meravigliato: “La caviglia? Ti fa ancora male?”.
Lei si massaggiò la gamba:
 “No…è tutto passato….merito tuo”, gli disse nascondendo il viso nel suo petto.
Fece una doccia e si vestì in fretta, “Beh… ciao, ti telefono io,”, disse presentandosi pronta per andarsene.
“Non puoi andartene così….quando ci vediamo?”, chiese lui implorante.
Clarissa sorrise: “Mi farò viva presto, non ti preoccupare…”, l’abbracciò e gli diede ancora un bacio sulla bocca, poi scese le scale e corse all’auto su piazzale…Tony sentì il motore avviarsi, l’osservò dalla finestra mentre partiva…e già gli mancava.
Da quel momento visse soltanto aspettando una telefonata….che non venne mai.
Era diventato un’altra persona…non sorrideva più e pensava sempre a lei, ogni ora ogni minuto, ricordava la notte d’amore con Clarissa e non sapeva darsi pace ”perché non mi telefona?”, si chiedeva, non voleva ammettere di essere stato l’oggetto del capriccio di una ragazza abituata a giocare con l’amore. Per lui invece era stata un’altra cosa, aveva messo tutto se stesso in quella breve storia; era bastato un giorno, anzi una notte per sconvolgergli la vita…non poteva dimenticare le emozioni, sapeva che non le avrebbe mai più riprovate con nessun’altra donna…
 Quando telefonò all’agenzia e, per lui, Clarissa non c’era…non sperò più…
Piombò in uno stato di inerzia, la malattia d’amore lo annientò, la passione lo bruciava…il sortilegio di un’ammaliatrice come Clarissa si era impadronito del suo animo semplice…
Rosa non si fece più vedere e Tony, abbandonato a se stesso era sull’orlo della depressione, finché una sera, quando proprio non ce la faceva più, decise di andare a cenare a “L’Ortolano”, la trattoria di Rosa.
“Cosa ci fai qui conciato in quel modo?… guardati, hai la barba lunga, sei dimagrito…”, disse lei non appena se lo vide davanti con un’aria da cucciolo abbandonato. Lui la guardò intensamente:
“Ho bisogno di te…aiutami a guarire…”, supplicò, “non lasciarmi”.
Rosa in quel momento sentì il rancore sciogliersi, alzò lo sguardo verso il suo uomo e capì che non poteva perderlo:
“Ti sta bene! Sei stato uno stupido ...cercherò di perdonarti…ma tu mi devi promettere che non guarderai mai più una bionda…”, disse buttandogli le braccia al collo.
Tony la strinse e si sentì al sicuro: “Te lo giuro”, sussurrò affondando il viso nei suoi capelli che non sapevano di profumo francese…ma erano tanto rassicuranti!
FINE

 











domenica 23 aprile 2017

CINZIA



 Cinzia diede un’occhiata all’orologio e si accorse che era già l’ora di andare a casa:
“Signori fra dieci minuti la Biblioteca chiude”, avvertì. 
Il silenzio che fino ad allora regnava assoluto fu interrotto dal rumore delle sedie rimosse, dei libri che si chiudevano, delle persone che si muovevano dai loro posti.
Tutti se n’andarono salutando e la ragazza si accinse a rimettere negli scaffali i volumi consultati; si accertò che nessuno avesse dimenticato niente sui tavoli e fece il giro della sala. 
In fondo, all’ultimo posto, nascosto dietro una colonna notò qualcosa di insolito. Si avvicinò cautamente e si accorse con sorpresa che un tale stava con la testa china sul piano del tavolo. Subito ebbe paura poi, preso coraggio lo raggiunse: il respiro regolare e l’abbandono del corpo le fecero capire che stava dormendo saporitamente. Dai capelli biondi e folti s’intuiva che doveva essere giovane.
“Scusi… devo chiudere”. Nessuna risposta.
Lo toccò: “Mi dispiace….ma è ora di andarsene…”, disse con più vigore.
L’altro si scosse e alzò il capo, la fissò con lo sguardo imbambolato:
“Dove sono?”, chiese con la voce impastata.
“Sei in una Biblioteca pubblica….e devi alzarti”, gli rispose lei mentre osservava il viso singolare di quel ragazzo: aveva i lineamenti marcati, gli occhi e i capelli chiari, doveva essere straniero.
Infatti, si affrettò a rispondere in un cattivo italiano :
 “Vado subito…mi sono addormentato…”.
 Si alzò e Cinzia notò che la sovrastava con la sua alta statura. Il giovane si guardò intorno.
“Hai dimenticato qualcosa?”; domandò lei.
“Sì…il mio zaino”, disse frugando sotto il tavolo. Si rialzò e la luce del lampadario gli rischiarò il viso: le ombre scure sotto gli occhi gli davano un’aria smarrita; s’incamminò verso la porta con passo barcollante. Cinzia lo fermò: “Dove vai adesso?”, gli chiese improvvisamente.
 Il ragazzo si volse ma non rispose.
“Non voglio farmi gli affari tuoi, ma ho l’impressione che tu sia nei pasticci….forse non hai una casa e…non hai mangiato, sbaglio?”.
Lui acconsentì chinando il capo. La giovane donna si avvicinò:
“Come ti chiami?”, gli chiese, “…e da dove vieni?”.
Lui la guardò confuso: “Sono ucraino e mi chiamo Igor”, rispose, “… non ho più una casa, la padrona mi ha buttato fuori perché non avevo i soldi per l’affitto…”, le parole gli uscivano a fatica. 
La ragazza scrutò il viso del giovanotto e notò che gli occhi chiarissimi, trasparenti come il vetro erano smarriti, in cerca di aiuto.
“Hai bisogno di soldi?…Tieni, ho solo questi”, disse infine, cercò nel portafoglio e gli allungò una banconota.  Lui la prese e un sorriso gli illuminò il viso fino ad allora cupo.
“Grazie….”, mormorò, poi uscì di corsa senza nemmeno voltarsi; lei rimase a fissare la porta sopra pensiero.
Si decise ad andarsene dopo qualche minuto, chiuse la Biblioteca e consegnò le chiavi al custode.
Mente camminava ripensava allo strano incontro con quel ragazzo che si era addormentato sul tavolo, chissà dove era andato…forse non l’avrebbe rivisto mai più.
La sua giornata non era finita: il giovedì aveva preso un impegno in un’associazione di volontariato e, dopo il lavoro, andava a dare una mano a fare i pacchi da distribuire ai poveri.
Mentre sistemava gli scatoloni nel magazzino le tornavano in mente gli occhi disperati di Igor e, per la prima volta nella sua vita, provò un sentimento strano, una sconsiderata attrazione verso quell’uomo che non conosceva neppure… non riusciva a toglierselo dalla testa.
Cinzia aveva ventotto anni, nella sua vita non aveva mai avuto un amore, era una ragazza senza nessuna attrattiva, non si curava dell’aspetto fisico, portava occhiali con  lenti spesse, andava raramente dal parrucchiere per aggiustarsi i capelli neri e ricci, per lei la moda non esisteva: i suoi abiti dovevano essere comodi e semplici. La sua vita era banale, fra casa, lavoro e volontariato. Non si era mai innamorata anche perché aveva avuto ben poche occasioni per farlo.
Stava trasportando un sacco pieno di indumenti, quando il suo sguardo cadde su una branda coperta da un plaid scozzese. Immediatamente pensò al ragazzo ucraino…scacciò il pensiero, tanto non l’avrebbe più rivisto….erano soltanto fantasie…
Passò una settimana durante la quale Cinzia fissava continuamente la porta d’ingresso della biblioteca nella speranza di veder apparire Igor, chissà….magari sarebbe tornato…
Il suo cuore si fermò un attimo quando lo vide fuori, davanti all’edificio che l’aspettava.
“Sono venuto per ringraziarti…ma non so ancora come ti chiami”, mormorò lui timidamente.
“Cinzia”, rispose lei mentre l’osservava attentamente: i jeans strappati e il giubbottino spiegazzato macchiato di calce, davano ad intendere che non se la passava proprio bene.
“Non hai ancora trovato una sistemazione?”, domandò.
Il giovanotto scosse la testa: “No…ho un lavoro, faccio l’imbianchino, ma non ho una casa”.
 “Dove dormi?”, gli chiese.
“Nella sala d’aspetto della stazione”, rispose Igor tranquillamente.
A Cinzia balenò in mente il lettino nel magazzino dei vestiti smessi.
“Vieni con me”, propose decisa prendendolo sottobraccio. Igor sorpreso la seguì in silenzio. Poco dopo erano davanti al capannone, Cinzia frugò nella borsetta estrasse le chiavi ed entrarono.
“Ssst”, sussurrò mettendosi un dito sulle labbra, “facciamo piano….nessuno viene qui fino a giovedì, hai tre giorni di tranquillità, intanto cercherò di trovarti un alloggio…”.
 Parlava concitata, mentre indicava a Igor la brandina nella quale avrebbe dovuto dormire.
 “Qui c’è anche un piccolo bagno…”, disse mostrandogli uno sgabuzzino con i servizi.
 Il ragazzo era frastornato e girava per il grande spazio cercando di capire:
“Posso stare qui?”, chiese infine quando ebbe afferrato ciò che Cinzia gli stava offrendo.
A un segno affermativo della ragazza, con un moto spontaneo l’abbracciò:
“Grazie….grazie”, ripeteva.
Cinzia si strinse a lui con un trasporto che imbarazzò il giovane ucraino che si sciolse turbato.
“Ora devo andare”, balbettò Cinzia, “domani mattina metti la chiave sotto lo zerbino, verrò a trovarti verso sera”, senza aggiungere altro uscì di corsa.
Quando arrivò a casa gettò la borsetta sulla cassapanca dell’ingresso e andò in camera: si buttò sul letto e rimase a fissare il soffitto. Aveva dentro qualcosa di grande, mai provato, che voleva tenere tutto per sé. Questo era amore: stava perdendo la testa per quel ragazzo che aveva visto soltanto due volte.
Si alzò all’alba e, con una scusa, sgusciò fuori quando in casa erano ancora tutti addormentati. Si diresse con passo veloce verso il magazzino.
“Ecco il caffè e i cornetti”, annunciò appena Igor le aprì. Lui, assonnato la fece entrare e la guardò sorpreso,  con voracità si buttò sulle brioches, ingollò il liquido caldo e finalmente riuscì a dire qualcosa:
 “Sei la mia fata….è giusto?”, i suoi occhi brillavano , avvicinò il  viso a quello di lei, si chinò, con delicatezza le tolse gli occhiali e la baciò sulla bocca.
Cinzia aveva il cuore in tumulto, stava per sentirsi male, ma gli cinse il collo con forza. Lui si staccò e le prese il viso fra le mani: 
“Hai degli occhi belli”, mormorò “ e una bella bocca”.
 Nessuno le aveva mai detto parole così, in quell’istante capì che era innamorata perdutamente, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non perderlo.
Scappò via e si presentò in biblioteca sconvolta:
 “E’ successo qualcosa?”, le chiese il custode curioso.
Senza rispondere entrò e cominciò il suo lavoro. Quella mattina i frequentatori della Biblioteca comunale non capivano perché la signorina Cinzia, solitamente tanto precisa e scrupolosa consegnasse un libro al posto di un altro. In effetti la giovane aveva la testa nel pallone; si chiedeva, mentre cercava fra i volumi, perché Igor l’avesse baciata. Forse si illudeva, certamente l’aveva fatto solo per ringraziarla di averlo aiutato…però le era sembrato che ci fosse qualcosa di più. Non vedeva l’ora di rivederlo… e passò il tempo che la separava dalla chiusura sempre pensando a quel bacio. Quando infine riuscì a liberarsi si precipitò nel magazzino. Bussò ma nessuno rispose: guardò sotto lo zerbino e trovò la chiave.
Non era ancora arrivato… entrò  e si mise ad aspettarlo: quando sentì la porta aprirsi la solita morsa allo stomaco cominciò a farsi sentire. Lui entrò: aveva gli abiti impolverati, la faccia stanca… ma quando la vide si rasserenò:
“Ciao!”, la salutò allegramente.
Cinzia gli aveva portato qualcosa da mangiare, si sedettero vicini sul letto mentre Igor masticava con gusto.
Fra un boccone e l’altro, cercando le parole in una lingua non sua, il ragazzo le raccontò qualcosa di sé.
Le disse che era dovuto andarsene dalla sua terra perché mancava il lavoro e il viaggio in Italia sembrava essere la soluzione ai suoi problemi.
“Sai che sono ingegnere?”, annunciò orgoglioso”, “ ma qui non è contato molto e ….ho trovato solo da fare l’imbianchino”, concluse amaramente.
Cinzia lo ascoltava in silenzio, era sempre più attratta dai suoi occhi chiari, trasparenti, dolci…anche il suo modo di muoversi un po’ goffo le piaceva, persino l’accento straniero le sembrava affascinante.
Lui le passò un braccio attorno le spalle e la strinse a sé:
“Sei una ragazza speciale…non ho mai trovato una come te”, le disse accarezzandole i capelli, “io vorrei…che tu fossi la mia donna…ma non posso, non ho niente da offrirti”.
Cinzia posò la testa sul suo petto:
“Io mi sono accorta che ti amo, Igor…non mi importa nulla..”, confessò.
 Si abbracciarono con passione. Lui le tolse ancora gli occhiali e le tirò indietro i capelli ribelli:
 “Così mi piaci”, mormorò. Lesse nei suoi occhi ciò che voleva sapere; lentamente le slacciò la camicetta mentre lei tremava d’emozione. Non si tirò indietro e, quando Igor aprì anche l’ultimo bottone, offrì il suo corpo vergine all’uomo che aveva scatenato in lei l’amore travolgente che non aveva mai conosciuto…
Quella sera arrivò a casa sconvolta:
“Cosa sta succedendo da qualche giorno?”, le chiese sua madre non appena la vide varcare l’uscio di casa.
“Nulla, mamma…”, rispose in fretta Cinzia. Si chiuse in camera e si sedette annichilita sulla poltrona. Non era pentita, ma si chiedeva cosa l’aveva spinta a far crollare tutti i tabù che l’avevano repressa fino a quel momento e a cadere nelle braccia di uno sconosciuto. C’era solo una spiegazione: la passione folle che si era impossessata di lei a tradimento quando si era trovata a tu per tu con Igor… si era lasciata andare finalmente libera di accettare le forti emozioni dell’amore senza nessun senso di colpa…. Quella notte la passò insonne; riviveva ogni momento chiedendosi se anche per lui era stato così importante fare l’amore con lei.
Il mattino dopo, prima di uscire, si guardò allo specchio, per la prima volta con occhi critici, e decise di prendersi una mezza giornata per rimediare al suo aspetto insignificante. Voleva apparire più bella per lui. Cominciò con l’andare da un ottico e farsi applicare le lenti a contatto, poi dal parrucchiere per domare i capelli sempre in disordine che le coprivano il viso….infine, in una boutique acquistò qualche golfino nuovo, al posto dei soliti maglioni informi. Tutta nuova,, anche dentro di sé, corse al capannone per incontrare il suo uomo.
Raccolse la chiave nel solito posto ed entrò: un foglio di carta attrasse la sua attenzione. Solo poche parole con qualche errore di ortografia :”Perdono. Non posso darti niente. Ti amo. Igor”.
Cinzia si lasciò andare sulla branda senza forze:
 “Se n’è andato….era troppo bello per essere vero…l’ho perso per sempre…”, sussurrò gemendo come una bestiola ferita. Senza ritegno singhiozzò a lungo, disperata. Poi si alzò e se ne andò a casa con un macigno al posto del cuore..
Cinzia attese per giorni e giorni un cenno di Igor, le sembrava impossibile che fosse sparito dopo i momenti appassionati che avevano vissuto. Pregava e sperava, era dimagrita e depressa, il tempo passava e non riusciva a rassegnarsi a non vederlo mai più. 
I mesi passavano e lei aveva perso ormai ogni speranza….ma dopo tanto soffrire, una sera, all’uscita della biblioteca, si sentì chiamare: “Cinzia!”.
Si voltò di scatto, solo Igor pronunciava il suo nome in quel modo, infatti vide la sua alta figura venirle incontro. Quasi non lo riconobbe: al posto della tuta impolverata indossava un abito con camicia azzurra, era ben rasato e i capelli biondi ben pettinati.
“Sei proprio tu?”, gli chiese incredula toccandolo per costatare che non fosse un miraggio.
Lui si fermò davanti a lei:
 “Eccomi qua… sono venuto per portati via con me”.
“Cosa hai detto?”; esclamò Cinzia ancora sotto choc.
“Non ti ho mai dimenticata, ho lottato con tutte le mie forze per riuscire ad essere degno di te….ora faccio l’ingegnere e ti posso dare ciò che vuoi”, rispose lui tutto d’un fiato.
“Ma non hai capito che voglio solo te?”, ribatté Cinzia piangendo di felicità..
Si buttarono l’una nelle braccia dell’altro stringendosi con passione. Lui le accarezzò il viso:
 “Dove hai messo gli occhiali?”, chiese sorridendo.
“Non ti piacevano e…li ho buttati”, scherzò lei.
“Vieni”, disse lui prendendola sottobraccio, “andiamo a cena….Voglio cominciare a pagare i debiti…”.
Cinzia lo guardò, si appese al suo braccio, e pensò che anche per lei era arrivata la felicità.
FINE









 





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lunedì 17 aprile 2017

LA MASCHERA D'ORO

                                                                                                                                                                    

I due uomini stavano confabulando sulla panchina del parco, rimasero lì per una decina di minuti, poi si alzarono e ognuno andò per strade diverse dopo essersi detti: «A stasera».

La grande casa si intravedeva attraverso gli alberi del parco, un’ombra leggera scavalcò il cancello, tutto era immerso nell’oscurità di quella notte senza luna. L’uomo che si trovava all’interno del giardino fece un cenno all’altro rimasto fuori: «Dai, entra!», bisbigliò.
I due si diressero verso la villa, al primo piano una finestra era semplicemente accostata:
«Sei sicuro di aver disattivato l’antifurto?  Soprattutto sei certo che siano partiti? », sussurrò ancora quello che sembrava il capo prima di toccare la persiana.
 «Stai tranquillo, apri», rispose l’altro.
Si introdussero guardinghi facendosi luce con la pila:
«Vai avanti tu….dov’è la cassaforte?».
«Seguimi, sposta quel quadro, è là sotto».
«Dai, Rocco, dammi la combinazione, sbrigati, prima ce ne andiamo meglio è, anche se la villa è vuota.».
Il compare dettò i numeri e poco dopo lo sportello blindato si aprì:
«Guarda qui che tesoro!», esclamò il ladro tirando fuori dalla cassaforte un mazzetto di banconote e una scatola di velluto nero che, aperta, rivelò il suo prezioso contenuto: una parure di brillanti e smeraldi che al lume della torcia luccicava come tante stelle nel buio, poi vennero fuori tanti altri gioielli: bracciali, anelli di grande valore.
«Andiamocene Joseph, sbrigati, metti tutto in borsa», sollecitò Rocco.
 L’uomo rimise a posto il quadro e attraversarono il salone per uscire, un movimento della pila illuminò una maschera appesa sopra il camino:
«Quella cos’è?», chiese osservando interessato l’oggetto che l’aveva incuriosito.
«Lascia perdere è un ricordo di famiglia…», rispose brevemente Rocco.
«Ma.. è d’oro?».
L’altro non rispose ma Joseph insistette:«Dovresti saperlo, dopo tanti anni che sei qui a fare il domestico».
«Sì, è d’oro, ma non prenderla, porta sfortuna».
«Cosa vuoi che mi importi della sfortuna, con questa ci facciamo un sacco di soldi».
Allungò una mano per staccarla dal muro, la maschera, con l’espressione inquietante del clown, sembrava fissarlo con gli occhi vuoti.
In quell’istante la porta si aprì, una donna anziana, con i capelli bianchi scarmigliati e il viso segnato da rughe profonde li stava guardando: indossava una lunga camicia bianca.
«Quella no! è il solo ricordo di mio figlio, potete prendere tutto ma quella no», urlò.
I due uomini la guardarono impietriti, Joseph lanciò un’occhiata a Rocco come per chiedere «chi è questa?», ma non fece tempo a parlare che la signora esclamò accendendo il grande lampadario: «Rocco! Sei proprio tu», esclamò fissando lo sguardo sull’uomo che cercava di nascondersi, «non avrei mai creduto che potessi fare una cosa simile», aggiunse amaramente.
 «Signora Teresa, mi perdoni… credevo fosse partita con gli altri», balbettò confuso.
Intanto Joseph aveva afferrato un candelabro sopra il caminetto e l’aveva sbattuto con forza sul cranio della donna.La signora Teresa cadde, la testa insanguinata macchiò il tappeto persiano, non uscì un lamento dalla sua bocca, gli occhi sbarrati facevano paura, la morte l’aveva ghermita subito, senza farla soffrire.
Rocco, terrorizzato fissava il corpo senza vita senza avere la forza di muoversi, finalmente si scosse: «Cos’hai fatto…l’hai ammazzata!», sussurrò pietrificato.
«Mi dispiace, non potevo fare altro, ti aveva riconosciuto…ma la colpa è tua, dovevi essere certo che in casa non ci fosse nessuno», rispose freddo Joseph.
Rocco cominciò a correre per raggiungere la porta d’uscita: «Io me ne vado, non voglio aver niente a che fare con questa faccenda, dovevamo soltanto rubare, non uccidere!…povera signora Teresa», correva singhiozzando mentre l’altro lo seguiva cercando di raggiungerlo. :
«Tieni tutto, non voglio niente, assassino!», sibilò il domestico voltandosi indietro, aprì il cancello e sparì nella notte.
Joseph si allontanò a sua volta turbato, ma non più di tanto, secondo lui era nel giusto: se avesse lasciato in vita la donna avrebbe parlato e sarebbe stato arrestato, così aveva ancora delle canches sperando che Rocco non spifferasse tutto stravolto dall’omicidio non contemplato nel loro piano. Ma era andata così e ora doveva pensare al da farsi. Rientrato in casa contò febbrilmente il mucchietto di banconote, era una bella cifra, tanto da procurarsi un biglietto aereo e sparire dalla circolazione. Ma la parure di brillanti e smeraldi, i gioielli e la maschera d’oro che pesava parecchio gli avrebbero assicurato un’esistenza tranquilla in un paese dove la vita costava poco.
Sapeva già dove piazzare la refurtiva, se ne doveva disfare al più presto così poteva sparire senza destare sospetti.  
Il giorno seguente, passando davanti all’edicola, la sua attenzione fu attratta dal titolo in prima pagina del giornale locale: «Assassinata nella sua villa la madre dell’industriale Mauri, forse a scopo di rapina. La cassaforte è stata svuotata».     
«Devo andarmene subito, domani se posso», pensò coprendosi istintivamente il volto con le mani e alzando il bavero della giacca, come per sfuggire a un eventuale riconoscimento.
Corse per la strada in preda all’ansia e impaurito, arrivò trafelato nella viuzza di case popolari dove abitava il ricettatore. Salì le scale facendo i gradini due a due, suonò il campanello impaziente di entrare e di finire, nel modo che voleva lui, tutta quella faccenda che aveva preso , per colpa sua,  una brutta piega. L’ometto che gli venne a aprire lo squadrò da capo a piedi:
«Ancora tu? Cosa mi porti questa volta?», disse sorridendo in modo sarcastico.
«Dai, fammi entrare», disse stizzito Joseph mettendolo sgarbatamente da parte.
Si sedette sulla poltrona bisunta e tirò fuori il malloppo.
«Guarda, devi mettercela tutta, ho bisogno di cambiare aria», fece una pausa , «domani», concluse guardando in faccia il suo interlocutore per vedere l’effetto della sua richiesta.
«Stai scherzando? Prima di tutto guardiamo la roba, poi ti darò una risposta».
Infilò nell’occhio destro la lente da orefice e cominciò a scrutare con calma gli oggetti che mano a mano estraeva dalla borsa.
«Sì, questa volta hai fatto un buon lavoro, si può ricavare un bel gruzzolo, per tutti e due. Questa cos’è?», chiese tirando fuori dal fondo la maschera, «è splendida…ma ha un’aria così lugubre che fa paura», disse serio.
Joseph sentì un brivido percorrergli la schiena, in effetti da quando aveva preso quell’oggetto era andato tutto storto.
«Non ci fare caso, pensa piuttosto a ricavarne più che puoi», affermò deciso.
«O.K., lasciami fare una telefonata e ti dò subito la risposta».
Si appartò e tornò poco dopo:
«Lascia qui tutto e vieni a  mezzanotte, la persona che acquista arriva verso quell’ora», il tipo lo fissò negli occhi.
Joseph rimise tutto nella borsa e la richiuse:
«Non ci penso proprio, devo lasciare qui questa roba? Mettiti nei miei panni, è troppo preziosa per lasciartela in consegna. Cosa mi dai in garanzia?».
«Niente», rispose secco l’altro, «prendere o lasciare, non hai altra scelta. Mi sbaglio o c’è di mezzo un morto? Ho sentito una notizia che mi fa pensare a te e a quello che contiene questa borsa.», la voce aveva il tono di chi ha il coltello per la parte del manico.
Joseph impallidì:
«Cosa vuoi fare?», chiese guardingo.
«Soltanto darti la possibilità di tagliare la corda ma mi devi lasciare fare a modo mio», aggiunse senza tanti preamboli.
Il ladro ci pensò un momento, con lentezza consegnò la sacca all’uomo.
«Prendi, ricordati che se mi fai un brutto scherzo non ho nessun scrupolo a farti la pelle, pensaci».
Il losco individuo l’afferrò:
«Bene, vedo che ci siamo capiti. Adesso puoi andare, ti aspetto stanotte».
 Aprì la porta e invitò Joseph a uscire.
A Villa Mauri avevano messo i sigilli, dopo aver rimosso il corpo della signora Teresa, la casa era stata chiusa a disposizione della Polizia Scientifica per rilevare eventuali impronte e cercare di ricostruire la dinamica dell’omicidio. Rocco, come tutta la servitù era stato interrogato, aveva fatto molta fatica a superare quei momenti, c’era stato anche un momento in cui avrebbe voluto confessare tutto, ma si era fatto forza e aveva taciuto, per non rovinare la vita della sua famiglia.
Però il rimorso l’attanagliava, si chiedeva perché si era lasciato convincere da quel delinquente che non aveva nulla da perdere. Purtroppo lui aveva il vizio del gioco, aveva azzerato l’esiguo conto in banca, fatto dei debiti per giocare ai cavalli, e si era rivolto agli strozzini per farsi prestare dei soldi. Una mossa sbagliata perché in breve il suo debito era arrivato alle stelle, non sarebbe mai stato in grado di saldarlo e si vedeva perduto: il baratro era davanti a lui per inghiottirlo.
Aveva conosciuto Joseph al bar, uno senza dimora, ladro di professione, che gli aveva proposto la rapina in villa in cambio della metà del bottino. Quante notti in bianco aveva passato prima di decidersi a accettare! Ma l’incubo dei creditori lo perseguitava, anche perché era stato minacciato più volte, così aveva messo a tacere la sua coscienza e si era buttato, ma non era un malfattore, era un uomo disperato che in quel momento non vedeva altra via d’uscita. Ma non avrebbe mai voluto assistere alla morte la sua padrona, uccisa anche per colpa sua. Non si dava pace. Dalla notte del delitto non era stato più capace di dormire, la visione della signora Teresa sul tappeto lo perseguitava, di giorno era costretto a assistere al dolore della famiglia, attanagliato dal rimorso di essere stato complice di chi l’aveva ammazzata.

Intanto Joseph cercava di passare le ore che lo dividevano dall’appuntamento pensando a come andarsene, se fosse rimasto l’avrebbero sicuramente beccato, aveva capito che Rocco era debole non aveva la tempra del delinquente come lo era lui e, prima o poi avrebbe ceduto.
Entrò in un’agenzia e chiese informazioni sul viaggio per Santo Domingo, seppe il costo del biglietto aereo e l’orario di partenza: tutto era fattibile e possibile se andava a buon fine la vendita della refurtiva.
Per Joseph venne finalmente il momento che aspettava, a notte fonda si recò nella viuzza malfamata, percorse la stradina guardandosi attorno, non c’era anima viva. Prima di arrivare alla casa del ricettatore c’era un portico, mentre lo attraversava gli sembrò di intravedere la sagoma di una persona vestita di bianco, sembrava una donna. Si fermò impaurito poi prese a correre per allontanarsi in fretta, un bagliore lo colpì, si mise una mano sugli occhi, ma quando la tolse la visione era scomparsa. La strada era di nuovo deserta. Da quel momento un gelo gli entrò nelle vene, cominciò a tremare. Arrivò al portone e si fece aprire: arrivò trafelato in cima alle scale:
«Allora?», chiese ansioso. Era cereo in volto.
«Vieni, è tutto concluso, i soldi ci sono», rispose l’altro, «ma…non stai bene? E’ successo qualcosa?»
Joseph tentò di riprendersi , un respiro di sollievo gli sollevò il petto.
«Dammi quello che mi viene, così me ne vado subito», voleva andarsene, il malessere non accennava a diminuire.
L’uomo gli consegnò una busta gonfia: «Ecco, è più di quanto ti aspettassi», disse.
Joseph contò rapidamente le banconote, un sorriso gli illuminò il viso.
«Bravo», disse , «sei stato grande, adesso me ne posso andare a fare la bella vita».
Corse a casa a fare le valigie, poi si buttò sul letto sfinito, spense la luce e cercò di dormire.
Nel buio della stanza un’ombra bianca, luminescente, si avvicinò al letto, era una figura femminile avvolta in una veste bianca, uguale a quella che gli era apparsa sotto il portico. Una maschera d’oro le copriva il viso.
«Chi sei?», mormorò l’uomo mentre il cuore impazzito perdeva il ritmo.
La donna si scoprì: il viso rugoso di Teresa lo fissò con ostinazione finché lui non si sentì soffocare.

 Rocco intanto stava andando a costituirsi: preferiva andare in galera, ma non poteva vivere con il peso del rimorso. Raccontò tutto, poco dopo la sirena della polizia scuoteva l’aria del rione popolare dove abitava Joseph. Lo trovarono sul letto, morto d’infarto con il viso coperto dalla maschera d’oro del clown.
                                                                                                             FINE

 



 






domenica 9 aprile 2017

IL MESSAGGIO DI GIADA

 



Quel venerdì diciassette l’avvocato Antonio Bennato , da buon napoletano, non si sarebbe mai mosso di casa se non fosse arrivata la telefonata di donna Amalia, una delle sue migliori clienti, nobildonna ricchissima proprietaria di innumerevoli stabili dei quali lui era l'amministratore.
“Caro avvocato, l’aspetto oggi pomeriggio…bisogna intervenire con gli inquilini del condominio di viale Veneto che non si decidono a pagare l’affitto”.
 La voce della donna era  sgradevole e l’avvocato allontanò il ricevitore dall’orecchio.
“D’accordo, signora, cercherò di arrivare nel tardo pomeriggio”, rispose cercando di essere il più gentile possibile. Non aveva mai potuto soffrire quell’arpia che pensava solo ad accumulare soldi…
L’avvocato andò alla finestra, nuvole grigie cariche di pioggia, stavano coprendo lentamente il cielo. A malincuore preparò la borsa con i documenti e salutò Carla.
“Ci vediamo stasera , spero di cavarmela presto”, disse dandole un frettoloso bacio sulla guancia.
La strada tutta curve costeggiava il torrente che scendeva dalla montagna, Antonio guidava con attenzione, dopo pochi chilometri grosse gocce cominciarono a battere sul parabrezza. In breve il ritmo della pioggia aumentò e la visibilità diventò difficile, l'uomo al volante strizzava gli occhi in cerca di uno spiraglio attraverso quella cortina grigia. “Ancora pochi chilometri e sono arrivato”, si disse. Con il piede sull’acceleratore cercava di mantenere una velocità costante per non essere costretto a frenare, finalmente la villa di donna Amalia apparve dietro l’ultima curva, affossata nel verde che, sotto la pioggia, prendeva una tonalità scura, quasi cupa.
La costruzione era molto grande, al centro di un giardino con prati e siepi all’inglese.
L’avvocato suonò ripetutamene il clacson, il cancello di ferro si aprì lentamente, la vettura entrò e si arrestò davanti alla scalinata. Giuseppina, la governante gli andò incontro con l’ombrello aperto: “Venga, la signora l’aspetta”.
“Vada pure”, disse cortesemente l’uomo, “conosco la strada”.
 Il salone era arredato con severi mobili d’epoca, pesanti tendaggi di damasco incorniciavano le finestre; donna Amalia era sprofondata in una grande poltrona di velluto cremisi, il viso giallastro coperto di rughe  atteggiato a una specie di sorriso:
“Avvocato, quanto tempo ha impiegato per arrivare?”, chiese con una punta di fastidio nella voce. Antonio la conosceva da tanto tempo e non si fece suggestionare.
“Ha visto cosa c’è fuori?”, ribatté deciso. La donna si voltò verso la finestra:
“In effetti il tempo è pessimo…”; constatò imperturbabile, “purtroppo il suo ritardo non mi ha consentito di andare a cena e, per ragioni di salute, non posso derogare dall’orario stabilito, perciò per oggi non possiamo parlare di affari…”, gli occhietti vispi di donna Amalia si puntarono sul viso attonito dell’avvocato.
“Vuol dire che dovrò tornare?”; chiese questi stupito.
“Credo proprio di sì”, rispose la vecchia signora, “a meno che…”
“…a meno che?”, interrogò ansioso lui.
“Non si fermi a dormire, così potremo discutere domani mattina…a mente fresca”, propose lei.
Preso alla sprovvista Antonio non seppe cosa rispondere, in quell’istante una saetta attraversò il cielo e lo scoppio del tuono li fece sobbalzare. La  luce si spense, solo il bagliore intermittente dei fulmini illuminò la stanza. “Mi conviene accettare”, pensò l’uomo, “là fuori c’è l’inferno”.,
 C’era poco da scegliere: affrontare il diluvio con la prospettiva di andare incontro a un incidente oppure rimanere in quella casa  poco accogliente. Mentre stava decidendo una giovane donna entrò tenendo davanti a sé un candelabro d’argento. Antonio sussultò, alla luce fioca delle candele si poteva intravedere il viso che sembrava molto bello, ma che in quel momento assumeva un’aria di mistero. La nuova venuta avanzando lentamente  raggiunse Antonio che stava in piedi nei pressi della vetrata..
“Allora, avvocato?”, sussurrò, “ha deciso?”.
Il tremolio della fiamma accentuava  il fascino misterioso dello sguardo. Antonio si scosse dall’improvviso smarrimento all’apparire della bella sconosciuta.
“Certo.. certo…”, farfugliò, “rimango”.
“Bene”, disse donna Amalia, poi, rivolta a Giuseppina : “prepara la camera degli ospiti…sulla torretta”, ordinò.
“Sulla torretta?”, domandò la donna stupita.
“Fai come ti ho detto, vai”, il tono imperioso non ammetteva repliche. ”Prima però, fai servire la cena”, ordinò la signora.
Antonio stava telefonando a Carla per avvisarla che non sarebbe rientrato per dormire.
L’altra ospite aspettò che finisse e si avvicinò:
 “Sono Giada”, disse, “la nipote di donna Amalia”.
Antonio balbettò qualcosa  mentre stringeva la mano fredda della giovane donna.
 Poco dopo presero posto sulla lunga tavola preparata con vasellame prezioso, la luce fioca delle candele  rendeva l’atmosfera spettrale. La cena , invece fu abbastanza piacevole: la conversazione dell’avvocato era interessante, e attirava l’attenzione delle due donne che stavano ad ascoltarlo con piacere.
 A un tratto, Giada disse: “Lei crede ai fantasmi?”.
 Antonio non si aspettava quella domanda a bruciapelo, anche perché doveva rispondere di sì. 
Era un argomento che l’aveva sempre affascinato e sul quale aveva perso le notti sui libri per cercare di saperne sempre di più.
 “Sa che in questa villa appaiono tutte le notti?”.
 Il luccichio dello sguardo attraverso il dondolare della luce mise un brivido lungo la schiena dell’uomo.
 “Continui”, disse interessato.
“Su, nella torretta…c’è un’anima in pena…”, la giovane si interruppe, l’avvocato aspettava che continuasse.
 “Lei sa chi è?”, chiese infine, visto il silenzio dell’altra.
“Era una donna molto infelice…morì suicida, buttandosi nel vuoto, dopo il tradimento del marito di cui era follemente innamorata…”, la voce di Giada era diventata un soffio.
Antonio avvertiva un turbamento che lo spingeva a continuare quel colloquio,  ma donna Amalia, improvvisamente si alzò.
“Buonanotte, io vado a dormire… consiglio di fare altrettanto”, disse, non c’era altro da fare  che acconsentire.
L’avvocato Bennato seguì Giuseppina: la torretta era situata sul lato destro dello stabile, abbastanza in alto per poter dominare il parco sottostante. Mentre saliva le scale  Antonio era nervoso; ciò che stava provando  era molto vicino alla paura. Quante volte aveva immaginato di essere il protagonista di una storia di fantasmi per cercare di squarciare il velo del mistero che c’è oltre la vita…ma in quel momento avrebbe voluto tornare indietro. La governante gli mise in mano un candeliere:
 “Mi dispiace, per questa notte niente luce elettrica… il guasto non si può riparare, dobbiamo aspettare domani”.
Antonio deglutì cercando di mantenersi calmo,  aprì la porta della camera con le mani che gli tremavano: credeva nelle anime dei morti che popolano l’aria, ma nello stesso tempo aveva il terrore di incontrarne una.. “Tranquillo…”, si disse Antonio, “questa storia è sicuramente una fantasia di quella donna”.
 Posò la candela sul comodino e guardò fuori, la pioggia continuava a scendere, il temporale  non era ancora cessato, i fulmini si susseguivano illuminando sinistramente il giardino. Si sedette sul letto : “Il materasso sembra ottimo”, borbottò. Diede un’occhiata all’orologio, il tempo era passato in fretta, infatti era quasi mezzanotte; la fiamma che guizzava nel buio gli dava ansia, si buttò sulla coperta di seta , vestito…. ancora non si decideva a spegnere, i suoi sensi erano tesi, ogni rumore, che non fosse quello della pioggia, lo faceva sobbalzare. “Non riuscirò mai a dormire, accidenti al momento che ho accettato di rimanere…”.  Ma la giornata era stata pesante, suo malgrado il sonno lo colse d’improvviso…
Era ancora nel dormiveglia, quando sentì bussare, in un primo momento non realizzò, ma poi il rumore continuava e lo svegliò definitivamente. “Chi è?”, esclamò impaurito.
 “Sono Giada”, rispose una voce di donna. Antonio  andò ad aprire. Sulla soglia c’era la giovane  vestita con una lunga camicia bianca, teneva in mano una candela:
“Vedo che anche lei non riesce a prendere sonno”. L’imbarazzo di lui la fece sorridere:
“Non mi fraintenda, capisco che una donna non dovrebbe andare nel cuore della notte nella stanza di un uomo…ma io voglio solo parlare, il temporale non mi fa dormire”.
Antonio, sorridendo, la lasciò passare; improvvisamente la finestra si spalancò e una ventata di aria fredda invase la stanza, le candele si spensero. L’uomo cominciò a tremare: “Stia tranquillo…non è successo niente”, disse lei, e andò a chiudere.
 Nonostante fosse buio Antonio vedeva muoversi la sua figura avvolta nella candida veste. Giada tornò e lo sfiorò, lui sentì il gelo entrargli nelle ossa e rabbrividì.
“Sarà meglio accendere questi mozziconi”, scherzò per sdrammatizzare l’atmosfera irreale che si stava creando, in realtà era turbato e, mentre armeggiava con i fiammiferi  sbirciava il viso pallido di Giada che, con gli occhi fissi nel vuoto, sembrava estraniata dalla realtà.
“Lo sai perché sono qui, avvocato?”. Lui scosse la testa e non rispose. “Ho percepito il tuo messaggio e so che hai bisogno di aiuto…”, continuò lei.
“In che senso?”, chiese Antonio, sorpreso anche dall’improvviso tono confidenziale.
“Il tuo animo nobile e inquieto è alla ricerca di una verità, in questo momento sei molto vicino a quello che vai cercando da tanto tempo…”, sussurrò la donna guardandolo negli occhi. 
Lui non capiva, lei gli stava  lanciando un messaggio che ancora non riusciva a captare.
“Sei felice?”; gli chiese ancora Giada, sorprendendolo sempre di più. Lui pensò a quello che gli aveva regalato la vita: una bella e buona moglie, una casa accogliente, dei figli…e rispose di sì.
“Per me, invece, c’è stato solo tormento…e infelicità”. Il suo sguardo  colpì Antonio. “Prendi questo…”, disse ancora lei sfilandosi dal dito sottile un anello, “… non ci vedremo più, ma ti ricorderai di me per sempre …”, dopo queste enigmatiche parole le fiammelle si spensero di nuovo. Quando Antonio riuscì a riaccenderle  non c’era più nessuno: la giovane donna se n’era andata portando con sé un alone di mistero.  “Strano, non mi ha nemmeno salutato…la vedrò domani mattina e le chiederò ciò che voleva dire”, pensò l’avvocato ancora  sottosopra per la strana visita. Fece per coricarsi, ormai la paura era passata e sentiva una  grande pace interiore … sul cuscino brillava una piccola fascia d’oro formata da foglie di edera intrecciate: un gioiello di fattura antica, intarsiato a mano.. “Lo restituirò appena la vedo”. Lo mise in tasca della giacca e si sdraiò. Un torpore improvviso lo prese, le palpebre si fecero pesanti e il sonno vinse ogni resistenza…
L’avvocato Antonio Bennato si svegliò con un cerchio alla testa, si guardò addosso: era ancora vestito, ricordò la notte trascorsa e scosse la testa …che incubo! Si alzò e guardò fuori: il cielo era sereno, tutto sembrava più bello visto col sole… Scese le scale tenendosi una mano sulla fronte: “Ho bisogno di svegliarmi”, farfugliò con la voce impastata. In altre occasioni aveva frequentato la villa e sapeva che la cucina era a destra, in fondo alla scala:
“Presto, Giuseppina, un caffè…forte, mi raccomando”.
“Buongiorno avvocato, lo faccio subito…”, disse la donna osservando meravigliata Antonio che aveva un aspetto orribile: spettinato, e con gli occhi gonfi.
Davanti alla tazza fumante, si riprese: l’aroma della bevanda diede una sferzata ai sensi ancora assopiti.
“Donna Amalia è sveglia?”, disse infine, dopo aver ingollato un sorso.
“Si è alzata presto”, rispose Giuseppina, “la vedrà nel salone. Credo che la stia aspettando”.
 Antonio si ricompose alla meglio: la nobildonna, affossata nella solita poltrona, era nervosa, picchiettava il pavimento con il bastone dal manico d’avorio.
“Vogliamo cominciare?”, chiese senza tanti preamboli.
Con qualche sforzo Antonio riuscì a tenere testa alle pretese dell’anziana signora: dopo qualche ora di discussioni finalmente divennero ad un accordo, ma lui era sfinito.
“La ringrazio dell’ospitalità, donna Amalia, ora devo rientrare…, mia moglie mi aspetta. Vorrei salutare anche Giada…devo restituirle questo?”, mise una mano in tasca e trasse l’anello con le foglie d’edera.
 La vecchia signora sbarrò gli occhi e impallidì.
 “ Mia nipote Giada è morta un anno fa”, bisbigliò gelida. “Si è buttata dalla torretta…” .  
“Ma…” , continuò lui, “la ragazza che ha cenato con noi ieri sera…chi è?”.
Lo sguardo leggermente sprezzante della donna lo percorse da capo a piedi:
“Avvocato, si sente bene?.... ieri sera a tavola eravamo solo in due: io e lei….probabilmente ha visto un fantasma!”, concluse fissandolo intensamente.
Antonio diventò bianco come un lenzuolo; ricordò le parole della giovane donna che aveva visto nella notte:
 “Sei molto vicino alla verità che cerchi”, gli aveva detto
 E allora capì il messaggio:
Giada gli era apparsa perché lui credeva nella vita oltre la morte, aveva sempre cercato disperatamente una conferma. Ora ne era certo. 
                                                                                                                              FINE


sabato 1 aprile 2017

L'ISOLA FELICE

 

 




 Quella che stava uscendo dal mare non era una donna, era una dea. Le gocce d’acqua scivolavano sulla pelle abbronzata, il corpo perfetto, coperto solo da un bikini bianco si muoveva lentamente nel tentativo di guadagnare   la riva sui grossi sassi accumulati sulla battigia.

 Un braccio alzato brandiva una fiocina sulla quale era infilzato un polipo che palpitava ancora debolmente. La statuaria sub aveva i capelli raccolti e la maschera sul viso, si chinò per togliersi le pinne e mostrò i seni generosi a malapena trattenuti dal costume. 

Francesco, che stava godendosi l’ultimo  sole della giornata rimase folgorato dalla visione: “Caspita che bellezza!”, mormorò fra sé.. 

La seguì con lo sguardo mentre spariva dietro uno scoglio sperando che si togliesse l’attrezzatura per poterla vedere in volto, ma la misteriosa pescatrice si liberò della maschera troppo lontana da lui.

 Il sole stava tramontando, le ore più belle per godersi il mare  erano proprio quelle della sera….si alzò pigramente e s’incamminò verso la casetta che aveva affittato per un mese. 
Francesco era un bell’esemplare di trentacinquenne stressato: soffriva d’insonnia, tachicardia, mal di stomaco con probabile ulcera duodenale, aveva in sé tutti i segnali per un esaurimento nervoso in agguato. Perciò, prima di cadere vittima del lavoro aveva detto stop e, invece di accettare gli inviti sugli yacht dei clienti aveva scelto quell’isola greca  per starsene lontano dal suo mondo diventato troppo esigente. Si sentiva come un limone spremuto e  almeno per quel breve periodo voleva vivere come aveva sempre sognato: amava il mare e un’isola in mezzo all’Egeo gli era sembrata perfetta per realizzare il suo sogno. Era partito solo senza telefonino, né radio e aveva preteso che, nella casa dove avrebbe trascorso le vacanze non ci fosse nemmeno la televisione. Si era portato dei libri i soli compagni che accettava in quel momento di ribellione verso una società che non riconosceva più ..Erano già dieci giorni che si trovava lì e il suo animo cominciava a trovare la pace che aveva perso, aveva imparato a stare bene con se stesso, passava le giornate in spiaggia, a rosolarsi sulla sabbia bianca  o a fare delle belle nuotate nel mare cristallino, non sentiva il bisogno di altro…finché non vide quella Venere uscire dal mare: un’inaspettata apparizione che l’aveva colpito a tal punto che durante il ritorno non pensava che a lei.
 C’erano pochi turisti sull’isola e quelli che frequentavano lo spicchio di mare dove andava di solito a leggere li conosceva ormai tutti, fra di loro non c’era nessuna donna che avesse le sembianze della bella pescatrice di polipi. “Mah!…la incontrerò ancora…sono curioso di sapere chi è…”, si disse.
Come ogni sera cenò da Tonio, un siciliano residente nell’isola da tanti anni:
“Buona sera dottore…cosa le diamo stasera?”.
Francesco lo guardò divertito, quell’ometto lo faceva sorridere, indossava un grembiule che non si poteva dire proprio candido, che gli arrivava fino ai piedi: era piccolo di statura e sembrava uno gnomo.
“Portami quello che vuoi…”, rispose.
“Abbiamo un polipo freschissimo…lo vuole assaggiare?”.
Davanti agli occhi del giovane apparve la donna uscita dalle onde:
“Ne ho visto uno molto grande stasera…”, disse soprapensiero.
“Ce ne sono tanti in questo mare…allora glielo porto?”, insistette Tonio,
Poco dopo arrivò con una terrina dalla quale sprigionava un profumo delizioso:
“Ecco qua…assaggi…poi mi dirà se le è piaciuto”.
Francesco gustò il cibo e richiamò il buffo siciliano:
“Fai i complimenti al cuoco…è veramente squisito,”.
“Veramente è una cuoca”, rispose l’uomo gongolante.
“C’è tua moglie in cucina?”.
“No…è mia nipote, sono contento che sia stato di suo gradimento”.
Finito di cenare, Francesco salutò Tonio.
“Posso complimentarmi con la cuoca?”, disse, l’uomo sparì dietro la porta dove si celava la cucina, poco dopo apparve una ragazza bruna, con grandi occhi verdi:
“Voleva me?”, chiese un po’ imbronciata.
Francesco rimase quasi intimidito da quello sguardo severo:
“Solo per dirle che ha cucinato benissimo”, disse infine e non potè fare a meno di notare la chioma corvina che incorniciava un bel viso sul quale spiccava la bocca carnosa e sensuale.
“La ringrazio”, rispose lei laconica e tornò dentro.
 Nei giorni seguenti ogni sera Francesco andava a mangiare il pesce in quella piccola trattoria del siciliano e ogni volta doveva ammettere che quella ragazza ci sapeva fare in  cucina: nei suoi piatti c’erano tutti i sapori di quella terra circondata dal mare..
“Come si chiama sua nipote?”; chiese a Tonio dopo aver mangiato un meraviglioso piatto di spaghetti con gamberi:
“Maria”, rispose l’uomo.
“Non posso farle i complimenti perché ho visto che non li gradisce, ma le dica ugualmente brava…da parte mia”.
Gli sarebbe piaciuto rivederla, Maria era una di quelle ragazze che rimangono in mente, a Francesco piacevano le donne come lei, oltre ad essere molto bella doveva essere anche molto dolce…forse un pochino selvaggia.
 L’incontrò un mattino in piazza, mentre stava andando a comprare il giornale: la salutò e avrebbe voluto fermarsi ma lei affrettò il passo e lo lasciò impalato a osservarla mentre si allontanava..
“Che scorbutica”,. pensò, “sarà meglio lasciarla stare…mi limiterò a frequentare la sua trattoria anche se quella ragazza m’intriga”.  Nella società che era costretto a frequentare era abituato ad avere successo con le donne anche se non ne aveva mai trovata una che gli facesse perdere la testa. Ma in quell’isola tutto era diverso, più semplice, più naturale…si sentiva un uomo nuovo, anche i suoi pensieri correvano senza freni, in libertà.   
“Perché Maria è così scostante?”, chiese a Tonio la sera stessa. L’uomo si limitò a sorridere senza dare risposta, ma Francesco cocciuto continuò a rifare la stessa domanda. Finalmente l’ometto si degnò di rispondere:
“E’ qui da pochi mesi e non si è ancora abituata ….e poi, suo marito l’ha lasciata….sa in Sicilia quando una donna viene abbandonata ha finito di vivere…così si è ricordata dello zio Tonio ed è venuta ad aiutarmi…per mia fortuna, da quando c’è lei ho raddoppiato i clienti”, disse sorridendo maliziosamente.
Francesco ascoltava interessato:
“Adesso capisco…forse la sua abilità ai fornelli è solo rabbia repressa”, scherzò il giovanotto.
 “Pensi che la sua è solo passione…a casa era la segretaria di un avvocato, poi ha lasciato tutto non ce l’ha fatta più a resistere alle malelingue”, confessò Tonio sottovoce.
“Devo ringraziare suo marito allora se in questi giorni ho assaggiato i suoi piatti da grande chef…”, cercò di sdrammatizzare Francesco vedendo l’ansia sul viso dell’oste.
Ogni tanto l’incontrava nelle vie anguste del paese, camminava veloce con la borsa della spesa al braccio. Una volta  la fermò: “Posso salutarla? Vengo tutte le sere a gustare la sua cucina”, disse. Lei l’osservò e sorrise debolmente senza dire una parola.
“Posso offrirle un caffè?”, continuò lui.
“Grazie, vado di fretta, non ho molto tempo…sarà per un’altra volta”, rispose e lo guardò con quegli occhi profondi  velati di malinconia.
Il giorno dopo stava mettendo in mare la barchetta che Tonio gli aveva prestato per fare un giretto sul mare tranquillo, quando sentì dietro di sé una presenza, si voltò e vide Maria :
“Ha bisogno di aiuto?”, gli chiese lei.
“No…faccio da solo”, rispose mentre osservava stupefatto la ragazza che aveva davanti: quel bikini e quel corpo erano gli stessi della bella sub che aveva notato quella sera.
“Perché mi guarda così”, domandò lei rabbuiata.
“Maria!…Tu…tu sei la pescatrice di polipi?”, chiese il giovane ancora scosso.
“Sì…e allora”, l’apostrofò lei visibilmente seccata.
“Ti ho visto uscire dal mare e non ti ho mai dimenticata”, rispose lui tutto d’un fiato.
“Esagerato!”.
“Sarà stata la luce particolare….ma sembravi proprio una visione”, confessò Francesco emozionato.
Rimasero a guardarsi leggermente impacciati:
“Ho visto che non hai bisogno di aiuto, io posso andare”, disse lei rompendo quell’attimo di incanto che si era creato fra loro. Raccolse da terra le pinne, la maschera e la fiocina, si tuffò e sparì alla vista di Francesco che al vederla aveva provato la stessa emozione della prima volta.
 Sotto l’acqua limpida la guardava nuotare in cerca di prede, i movimenti lenti avevano una sinuosità sensuale così attraente che si accorse di desiderare quel corpo come non gli era mai successo prima. Si allontanò con la piccola barca e remò con forza : cosa gli stava succedendo? Aveva sempre sorriso di quelli che si innamoravano perdutamente, a lui non era mai successo. Le sue storie erano state delle normalissime relazioni che si erano concluse pacificamente da ambo le parti,  non aveva mai conosciuto una donna che avesse catturato il suo cuore come sentiva in quel momento. Forse la vita semplice che stava vivendo l’aveva svelenito dai grovigli interiori dello stress quotidiano, il suo animo era aperto a sentimenti più vitali e appassionati.  Lasciò i remi e si adagiò sul fondo dell’imbarcazione, chiuse gli occhi, il sole sulla pelle bruciava, come bruciava la passione che stava impossessandosi di lui. Tornò a riva sperando di incontrare di nuovo Maria, ma non fu fortunato, la ragazza se n’era già andata ignara di aver provocato con la sua sola presenza una rivoluzione nell’anima di Francesco.
La sera stessa si recò tardi nel ristorante di Tonio e prolungò la cena fino al momento di chiusura per avere l’occasione di parlare con Maria.
“Non ha voglia di tornare a casa stasera?”, chiese l’oste, meravigliato dal fatto di vederlo ancora seduto al tavolo.
“Sinceramente sto aspettando che  sua nipote finisca di lavorare, vorrei parlarle”, affermò Francesco. .
I minuti non passavano mai, avrebbe voluto dirle subito quello che provava per lei, e quando finalmente riuscì a parlarle era così emozionato che fece una grande confusione:
“Maria”, attaccò deciso, “ti volevo dire che…non so come spiegarmi ma…insomma  penso di essermi innamorato di te irrimediabilmente….”, balbettò.
Alla fine di questo sconclusionato discorso, Francesco tirò un grosso sospiro come se si fosse liberato da un enorme macigno. Maria invece l’aveva ascoltato in silenzio,  ma , anche se si sentiva attratta da lui, non poteva rispondergli come lui avrebbe voluto….era troppo fresco lo smacco subito.
Prima di parlare sorrise e mise una mano sul suo braccio:
“Mi dispiace , non sono ancora pronta per ricominciare  …purtroppo al mia fiducia negli uomini è svanita quando mio marito mi ha tradita…”, rispose debolmente.
La delusione rabbuiò il viso di Francesco:
“Però ricordati che io non mollo e ti farò ricredere…voglio averti per me e ti avrò”, affermò guardandola negli occhi.
Maria si sentì rimescolare dentro: Francesco le suscitava tenerezza, così diverso dagli uomini della sua terra….quasi sprovveduto di fronte ad una donna…
Intanto il mese di ferie stava per scadere, Francesco vedeva con terrore i giorni trascorrere uno dopo l’altro senza poter fare nulla per fermarli, di notte non riusciva a dormire: pensava a lei e pensava con angoscia che doveva tornare alla vita in città, al suo lavoro di procacciatore d’affari, in mezzo ai pescicani del commercio che non riusciva più ad accettare.
Mancava soltanto una settimana alla fine delle ferie, aveva solo otto giorni per conquistare Maria; si rese conto che non gli bastavano e allora…decise che non sarebbe più ripartito, per rimanere accanto a lei…Vivere in quei luoghi gli aveva fatto capire che nella vita contavano altre cose e non solo il denaro, aveva cominciato ad apprezzare la semplicità della gente del posto che si accontentava di poco ed era felice. E il clima…l’aria pulita…il mare …tutte cose che aveva dimenticato, poi se fosse riuscito anche ad entrare nel cuore di Maria poteva dire di aver fatto la scelta giusta.
Comunicò la decisione a quella che avrebbe voluto fosse sua donna con un mazzo di rose rosse:
“Ti desidero e ti amo immensamente…se mi vuoi rimango con te sull’isola…”, diceva il bigliettino d’accompagnamento.
Maria abbracciò i fiori e si stordì con il loro profumo, si vestì con cura, si profumò e andò da lui:
“Sono qui…”, disse semplicemente.
  Francesco non ci voleva credere!  l’abbracciò così forte da farle male:
“Grazie…ti amo e non ti voglio lasciare più”, disse con la voce spezzata.
“Non deludermi perché voglio essere tua per la vita…”, sussurrò lei sulla sua bocca.
Francesco accarezzò con le mani tremanti quel corpo flessuoso, e la passione scatenò i loro sensi.
 “Ti sarò sempre vicino”, mormorò lui, “lascerò tutto per te… il mio lavoro è già molto lontano….ormai la mia vita è qui, in mezzo al mare.”.
Maria l’accarezzò sui capelli:
“Ti metteresti alla cassa della trattoria dello zio Tonio mentre io sono tra i fornelli?”, gli chiese sorridendo.
“Certo…le cambieremo nome e la chiameremo ‘L’isola felice’”, rispose lui abbracciandola.

 FINE