“Signori fra dieci minuti la Biblioteca chiude”, avvertì.
Il silenzio che fino ad allora regnava assoluto fu interrotto dal rumore delle
sedie rimosse, dei libri che si chiudevano, delle persone che si muovevano dai
loro posti.
Tutti se n’andarono salutando e la ragazza si accinse a rimettere
negli scaffali i volumi consultati; si accertò che nessuno avesse dimenticato
niente sui tavoli e fece il giro della sala.
In fondo, all’ultimo posto,
nascosto dietro una colonna notò qualcosa di insolito. Si avvicinò cautamente e
si accorse con sorpresa che un tale stava con la testa china sul piano del
tavolo. Subito ebbe paura poi, preso coraggio lo raggiunse: il respiro regolare
e l’abbandono del corpo le fecero capire che stava dormendo saporitamente. Dai
capelli biondi e folti s’intuiva che doveva essere giovane.
“Scusi… devo chiudere”. Nessuna risposta.
Lo toccò: “Mi dispiace….ma è ora di andarsene…”, disse con
più vigore.
L’altro si scosse e alzò il capo, la fissò con lo sguardo
imbambolato:
“Dove sono?”, chiese con la voce impastata.
“Sei in una Biblioteca pubblica….e devi alzarti”, gli
rispose lei mentre osservava il viso singolare di quel ragazzo: aveva i lineamenti
marcati, gli occhi e i capelli chiari, doveva essere straniero.
Infatti, si affrettò a rispondere in un cattivo italiano :
“Vado subito…mi
sono addormentato…”.
Si alzò e Cinzia notò che la sovrastava con la
sua alta statura. Il giovane si guardò intorno.
“Hai dimenticato qualcosa?”; domandò lei.
“Sì…il mio zaino”, disse frugando sotto il tavolo. Si
rialzò e la luce del lampadario gli rischiarò il viso: le ombre scure sotto gli
occhi gli davano un’aria smarrita; s’incamminò verso la porta con passo
barcollante. Cinzia lo fermò: “Dove vai adesso?”, gli chiese improvvisamente.
Il ragazzo si volse
ma non rispose.
“Non voglio farmi gli affari tuoi, ma ho l’impressione che
tu sia nei pasticci….forse non hai una casa e…non hai mangiato, sbaglio?”.
Lui acconsentì chinando il capo. La giovane donna si
avvicinò:
“Come ti chiami?”, gli chiese, “…e da dove vieni?”.
Lui la guardò confuso: “Sono ucraino e mi chiamo Igor”,
rispose, “… non ho più una casa, la padrona mi ha buttato fuori perché non
avevo i soldi per l’affitto…”, le parole gli uscivano a fatica.
La ragazza
scrutò il viso del giovanotto e notò che gli occhi chiarissimi, trasparenti
come il vetro erano smarriti, in cerca di aiuto.
“Hai bisogno di soldi?…Tieni, ho solo questi”, disse
infine, cercò nel portafoglio e gli allungò una banconota. Lui la prese e un sorriso gli illuminò il
viso fino ad allora cupo.
“Grazie….”, mormorò, poi uscì di corsa senza nemmeno
voltarsi; lei rimase a fissare la porta sopra pensiero.
Si decise ad andarsene dopo qualche minuto, chiuse la
Biblioteca e consegnò le chiavi al custode.
Mente camminava ripensava allo strano incontro con quel
ragazzo che si era addormentato sul tavolo, chissà dove era andato…forse non
l’avrebbe rivisto mai più.
La sua giornata non era finita: il giovedì aveva preso un
impegno in un’associazione di volontariato e, dopo il lavoro, andava a dare una
mano a fare i pacchi da distribuire ai poveri.
Mentre sistemava gli scatoloni nel magazzino le tornavano
in mente gli occhi disperati di Igor e, per la prima volta nella sua vita,
provò un sentimento strano, una sconsiderata attrazione verso quell’uomo che
non conosceva neppure… non riusciva a toglierselo dalla testa.
Cinzia aveva ventotto anni, nella sua vita non aveva mai
avuto un amore, era una ragazza senza nessuna attrattiva, non si curava
dell’aspetto fisico, portava occhiali con lenti spesse, andava raramente dal
parrucchiere per aggiustarsi i capelli neri e ricci, per lei la moda non
esisteva: i suoi abiti dovevano essere comodi e semplici. La sua vita era banale, fra casa, lavoro e volontariato. Non si era mai innamorata anche perché
aveva avuto ben poche occasioni per farlo.
Stava trasportando un sacco pieno di indumenti, quando il
suo sguardo cadde su una branda coperta da un plaid scozzese. Immediatamente
pensò al ragazzo ucraino…scacciò il pensiero, tanto non l’avrebbe più
rivisto….erano soltanto fantasie…
Passò una settimana durante la quale Cinzia fissava
continuamente la porta d’ingresso della biblioteca nella speranza di veder apparire
Igor, chissà….magari sarebbe tornato…
Il suo cuore si fermò un attimo quando lo vide fuori,
davanti all’edificio che l’aspettava.
“Sono venuto per ringraziarti…ma non so ancora come ti
chiami”, mormorò lui timidamente.
“Cinzia”, rispose lei mentre l’osservava attentamente: i
jeans strappati e il giubbottino spiegazzato macchiato di calce, davano ad
intendere che non se la passava proprio bene.
“Non hai ancora trovato una sistemazione?”, domandò.
Il giovanotto scosse la testa: “No…ho un lavoro, faccio
l’imbianchino, ma non ho una casa”.
“Dove dormi?”, gli
chiese.
“Nella sala d’aspetto della stazione”, rispose Igor
tranquillamente.
A Cinzia balenò in mente il lettino nel magazzino dei
vestiti smessi.
“Vieni con me”, propose decisa prendendolo sottobraccio.
Igor sorpreso la seguì in silenzio. Poco dopo erano davanti al capannone,
Cinzia frugò nella borsetta estrasse le chiavi ed entrarono.
“Ssst”, sussurrò mettendosi un dito sulle labbra,
“facciamo piano….nessuno viene qui fino a giovedì, hai tre giorni di
tranquillità, intanto cercherò di trovarti un alloggio…”.
Parlava concitata,
mentre indicava a Igor la brandina nella quale avrebbe dovuto dormire.
“Qui c’è
anche un piccolo bagno…”, disse mostrandogli uno sgabuzzino con i servizi.
Il
ragazzo era frastornato e girava per il grande spazio cercando di capire:
“Posso stare qui?”, chiese infine quando ebbe afferrato ciò che Cinzia gli stava offrendo.
A un segno affermativo della ragazza, con un moto spontaneo l’abbracciò:
“Posso stare qui?”, chiese infine quando ebbe afferrato ciò che Cinzia gli stava offrendo.
A un segno affermativo della ragazza, con un moto spontaneo l’abbracciò:
“Grazie….grazie”, ripeteva.
Cinzia si strinse a lui con un trasporto che imbarazzò il
giovane ucraino che si sciolse turbato.
“Ora devo andare”, balbettò Cinzia, “domani mattina metti
la chiave sotto lo zerbino, verrò a trovarti verso sera”, senza aggiungere
altro uscì di corsa.
Quando arrivò a casa gettò la borsetta sulla cassapanca
dell’ingresso e andò in camera: si buttò sul letto e rimase a fissare il
soffitto. Aveva dentro qualcosa di grande, mai provato, che voleva tenere tutto
per sé. Questo era amore: stava perdendo la testa per quel ragazzo che aveva
visto soltanto due volte.
Si alzò all’alba e, con una scusa, sgusciò fuori quando in
casa erano ancora tutti addormentati. Si diresse con passo veloce verso il
magazzino.
“Ecco il caffè e i cornetti”, annunciò appena Igor le
aprì. Lui, assonnato la fece entrare e la guardò sorpreso, con voracità si buttò sulle brioches, ingollò
il liquido caldo e finalmente riuscì a dire qualcosa:
“Sei la mia fata….è
giusto?”, i suoi occhi brillavano , avvicinò il
viso a quello di lei, si chinò, con delicatezza le tolse gli occhiali e
la baciò sulla bocca.
Cinzia aveva il cuore in tumulto, stava per sentirsi male,
ma gli cinse il collo con forza. Lui si staccò e le prese il viso fra le mani:
“Hai degli occhi belli”, mormorò “ e una bella bocca”.
Nessuno le aveva
mai detto parole così, in quell’istante capì che era innamorata perdutamente,
avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non perderlo.
Scappò via e si presentò in biblioteca sconvolta:
“E’
successo qualcosa?”, le chiese il custode curioso.
Senza rispondere entrò e cominciò il suo lavoro. Quella
mattina i frequentatori della Biblioteca comunale non capivano perché la
signorina Cinzia, solitamente tanto precisa e scrupolosa consegnasse un libro
al posto di un altro. In effetti la giovane aveva la testa nel pallone; si
chiedeva, mentre cercava fra i volumi, perché Igor l’avesse baciata. Forse si
illudeva, certamente l’aveva fatto solo per ringraziarla di averlo aiutato…però
le era sembrato che ci fosse qualcosa di più. Non vedeva l’ora di rivederlo… e
passò il tempo che la separava dalla chiusura sempre pensando a quel bacio.
Quando infine riuscì a liberarsi si precipitò nel magazzino. Bussò ma nessuno
rispose: guardò sotto lo zerbino e trovò la chiave.
Non era ancora arrivato… entrò e si mise ad aspettarlo: quando sentì la porta
aprirsi la solita morsa allo stomaco cominciò a farsi sentire. Lui entrò: aveva
gli abiti impolverati, la faccia stanca… ma quando la vide si rasserenò:
“Ciao!”, la salutò allegramente.
Cinzia gli aveva portato qualcosa da mangiare, si
sedettero vicini sul letto mentre Igor masticava con gusto.
Fra un boccone e l’altro, cercando le parole in una lingua
non sua, il ragazzo le raccontò qualcosa di sé.
Le disse che era dovuto andarsene dalla sua terra perché
mancava il lavoro e il viaggio in Italia sembrava essere la soluzione ai suoi
problemi.
“Sai che sono ingegnere?”, annunciò orgoglioso”, “ ma qui
non è contato molto e ….ho trovato solo da fare l’imbianchino”, concluse
amaramente.
Cinzia lo ascoltava in silenzio, era sempre più attratta
dai suoi occhi chiari, trasparenti, dolci…anche il suo modo di muoversi un po’
goffo le piaceva, persino l’accento straniero le sembrava affascinante.
Lui le passò un braccio attorno le spalle e la strinse a
sé:
“Sei una ragazza speciale…non ho mai trovato una come te”,
le disse accarezzandole i capelli, “io vorrei…che tu fossi la mia donna…ma non
posso, non ho niente da offrirti”.
Cinzia posò la testa sul suo petto:
“Io mi sono accorta che ti amo, Igor…non mi importa nulla..”, confessò.
“Io mi sono accorta che ti amo, Igor…non mi importa nulla..”, confessò.
Si abbracciarono
con passione. Lui le tolse ancora gli occhiali e le tirò indietro i capelli
ribelli:
“Così mi piaci”,
mormorò. Lesse nei suoi occhi ciò che voleva sapere; lentamente le slacciò la
camicetta mentre lei tremava d’emozione. Non si tirò indietro e, quando Igor
aprì anche l’ultimo bottone, offrì il suo corpo vergine all’uomo che aveva
scatenato in lei l’amore travolgente che non aveva mai conosciuto…
Quella sera arrivò a casa sconvolta:
“Cosa sta succedendo da qualche giorno?”, le chiese sua madre non appena la vide varcare l’uscio di casa.
“Cosa sta succedendo da qualche giorno?”, le chiese sua madre non appena la vide varcare l’uscio di casa.
“Nulla, mamma…”, rispose in fretta Cinzia. Si chiuse in
camera e si sedette annichilita sulla poltrona. Non era pentita, ma si chiedeva
cosa l’aveva spinta a far crollare tutti i tabù che l’avevano repressa fino a
quel momento e a cadere nelle braccia di uno sconosciuto. C’era solo una
spiegazione: la passione folle che si era impossessata di lei a tradimento
quando si era trovata a tu per tu con Igor… si era lasciata andare finalmente libera
di accettare le forti emozioni dell’amore senza nessun senso di colpa…. Quella
notte la passò insonne; riviveva ogni momento chiedendosi se anche per lui era
stato così importante fare l’amore con lei.
Il mattino dopo, prima di uscire, si guardò allo specchio,
per la prima volta con occhi critici, e decise di prendersi una mezza giornata
per rimediare al suo aspetto insignificante. Voleva apparire più bella per lui.
Cominciò con l’andare da un ottico e farsi applicare le lenti a contatto, poi
dal parrucchiere per domare i capelli sempre in disordine che le coprivano il
viso….infine, in una boutique acquistò qualche golfino nuovo, al posto dei
soliti maglioni informi. Tutta nuova,, anche dentro di sé, corse al capannone
per incontrare il suo uomo.
Raccolse la chiave nel solito posto ed entrò: un foglio di carta attrasse la sua attenzione. Solo poche parole con qualche errore
di ortografia :”Perdono. Non posso darti niente. Ti amo. Igor”.
Cinzia si lasciò andare sulla branda senza forze:
“Se n’è andato….era
troppo bello per essere vero…l’ho perso per sempre…”, sussurrò gemendo come una
bestiola ferita. Senza ritegno singhiozzò a lungo, disperata. Poi si alzò e se
ne andò a casa con un macigno al posto del cuore..
Cinzia attese per giorni e giorni un cenno di Igor, le
sembrava impossibile che fosse sparito dopo i momenti appassionati che avevano
vissuto. Pregava e sperava, era dimagrita e depressa, il tempo passava e non
riusciva a rassegnarsi a non vederlo mai più.
I mesi passavano e lei aveva perso ormai ogni speranza….ma
dopo tanto soffrire, una sera, all’uscita della biblioteca, si sentì chiamare:
“Cinzia!”.
Si voltò di scatto, solo Igor pronunciava il suo nome in
quel modo, infatti vide la sua alta figura venirle incontro. Quasi non lo
riconobbe: al posto della tuta impolverata indossava un abito con camicia
azzurra, era ben rasato e i capelli biondi ben pettinati.
“Sei proprio tu?”, gli chiese incredula toccandolo per
costatare che non fosse un miraggio.
Lui si fermò davanti a lei:
“Eccomi qua… sono
venuto per portati via con me”.
“Cosa hai detto?”; esclamò Cinzia ancora sotto choc.
“Non ti ho mai dimenticata, ho lottato con tutte le mie
forze per riuscire ad essere degno di te….ora faccio l’ingegnere e ti posso
dare ciò che vuoi”, rispose lui tutto d’un fiato.
“Ma non hai capito che voglio solo te?”, ribatté Cinzia
piangendo di felicità..
Si buttarono l’una nelle braccia dell’altro stringendosi
con passione. Lui le accarezzò il viso:
“Dove hai messo gli
occhiali?”, chiese sorridendo.
“Non ti piacevano e…li ho buttati”, scherzò lei.
“Vieni”, disse lui prendendola sottobraccio, “andiamo a
cena….Voglio cominciare a pagare i debiti…”.
Cinzia lo guardò, si appese al suo braccio, e pensò che
anche per lei era arrivata la felicità.
FINE
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