Powered By Blogger

martedì 19 gennaio 2016

LA NOTTE DELLE STREGHE


 


 
 

Il massiccio dello Sciliar era lì, davanti ai suoi occhi, plumbeo e aspro, imponente e inquietante, le sue cime frastagliate lo facevano sembrare un enorme sasso spezzato. Michele aveva aperto la finestra della stanza e la vista della montagna era stato un colpo al cuore, non credeva che gli facesse quell’effetto a distanza di cinque anni. La voce di Daniela era ancora dentro di lui:

«Se non puoi, non ti preoccupare vado con il mio gruppo, stai tranquillo», gli aveva detto quando le avevano proposto l’escursione sull’Alpe di  Siusi.  Appassionata di trekking, si era iscritta a un club di alpinisti e quando poteva con scarponi e zaino in spalla si avventurava sui sentieri  impervi a contatto con la natura, non la fermava nessuno. Di solito andavano insieme, ma quella volta per un improvviso impegno di lavoro non aveva potuto accompagnarla. Era partita all’alba:

«Ciao amore, ti aspetto domani sera, me l’hai promesso», aveva detto abbracciandolo forte.

Sentiva ancora il calore del bacio sulla bocca, l’ultimo bacio perché non era più tornata.

Aveva appreso la notizia della disgrazia la sera, mentre stava preparando la borsa per raggiungerla, una spada di dolore gli aveva trafitto il cuore, non voleva credere che l’amore più grande della sua vita non ci fosse più, partì disperato e disperato arrivò in quel posto maledetto dove gli dissero che il destino stava aspettando Daniela su un ponticello sopra un dirupo, il legno si era spezzato e lei era caduta nel burrone.
 La sua mente era tornata a quel giorno, un sospiro profondo gli uscì dal petto: il ricordo di lei era così vivo che il tempo non aveva cancellato nulla, Daniela era sempre con lui, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rivederla anche un solo istante. Si stava facendo sera, il sole al tramonto cambiava l’aspetto truce della montagna che era diventata rosa, Michele non avrebbe mai pensato di tornare in quei luoghi, ma la sua professione di ingegnere l’aveva portato proprio dove non avrebbe mai voluto andare.

Dopo aver portato a termine il suo impegno decise di restare ancora un giorno, qualcosa lo spingeva a tornare dove Daniela aveva perso la vita.

Quella notte fu piena di incubi, con la fronte sudata si svegliò di soprassalto e si accorse che stava gridando il nome di Daniela: aveva sognato la sua donna, bella come quando era con lui, l’aveva fissato a lungo, poi era scomparsa in una nebbia fluorescente.

 Il mattino dopo si svegliò tardi con  la bocca impastata di sonno, indossò l’attrezzatura da trekking e scese nella hall dell’albergo:

«Buongiorno ingegnere, va a fare un’escursione, da solo?», chiese incuriosito il ragazzo che stava dietro il banco della reception.

«Conosco la zona», rispose Michele laconico.

«Però cerchi di tornare prima di sera, questa è la notte delle streghe, e nessuno di noi andrebbe sullo Sciliar ».

«Perché?».

«Qui c’è un’antica leggenda: quando le streghe fanno il sabba sul monte è più prudente starne lontani», rispose il giovanotto seriamente.

«E tu ci credi?».

Il portiere assentì, Michele non aveva voglia di continuare la conversazione:

«Io vado ugualmente, tornerò prima di notte», tagliò corto e il ragazzo non chiese altro.

Michele infilò lo zaino sulle spalle e se ne andò. La giornata era bella e il cielo sereno, soltanto dietro la cima c’era qualche nuvola, Michele superò le ultime case del paese e cominciò a salire, in principio non gli pesava, poi la camminata si fece più lenta, era fuori allenamento, i muscoli delle gambe sentivano la fatica. Si sedette in un punto panoramico dove era solito sostare con Daniela, nei flash-back della memoria rivedeva la sua compagna accanto a lui l’ultima volta che avevano fatto quel percorso assieme:

«Giura che non mi lascerai mai», gli aveva detto all’improvviso.

«Ti pare che abbia intenzione di vivere senza di te? Giuro su ciò che vuoi che saremo insieme per sempre», aveva risposto lui, poi aveva raccolto delle ginestre, ne aveva fatto un mazzetto e gliel’aveva appuntate sul giubbetto bianco: «Questo è il bouquet da sposa», le aveva detto guardandola intensamente. Lei gli aveva sorriso solo come sapeva fare lei. I ricordi lo tormentavano, si alzò e riprese il cammino, era nelle sue intenzioni arrivare fino al ponticello di legno, ripercorrere la strada in pellegrinaggio al suo amore perduto, sapeva che avrebbe sofferto ma dopo si sarebbe sentito meglio. Ricominciò a salire, il sentiero si inoltrava in una fitta pineta, il profumo di resina era inebriante, Michele andava su, ma la mente era staccata dal corpo, era tornata indietro di cinque anni, frugava nella memoria per farsi del male.

Ad un tratto il rumore di un tuono lo fece sobbalzare.
 «Spero che non venga il temporale», pensò, «qui non saprei dove andare a ripararmi».

Affrettò il passo, l’aria si era fatti più fresca, un’altra serie di tuoni cominciò a preoccuparlo.

Ormai era uscito dall’abetaia e attraversò la radura quando le prime gocce cominciarono a scendere.

«In fondo ci dovrebbe essere quel vecchio maso diroccato, se riesco a arrivarci evito di bagnarmi».
 Si mise a correre, il cielo era diventato plumbeo carico di pioggia,arrivò trafelato al rifugio coperto dalla vegetazione. Spinse la porta di legno che si aprì su una stanzetta buia, entrò a tentoni, non vedeva niente, gli occhi non si erano ancora abituati all’oscurità. Intanto fuori  il temporale era al culmine, la pioggia batteva sul tetto e faceva un baccano incredibile.

 «Sono tagliato fuori, devo chiedere subito l’intervento del soccorso, devono venire a prendermi prima che faccia notte». Michele tastò ripetutamente in tutte le tasche per cercare il cellulare, dopo tanti tentativi dovette convincersi che non c’era: inspiegabile ma era la verità. Era proprio in balia degli eventi, si augurò che quell’inferno finisse, tuoni e fulmini si alternavano senza tregua, fuori c’era il diluvio. Accese l’accendino per orientarsi all’oscuro, c’era una sola stanza, un tavolo e qualche sedia, aprì il vecchio mobile che conteneva qualche attrezzatura per farsi un pasto, sicuramente era il rifugio dei pecorai quando portavano il gregge al pascolo. Trovò anche una candela e l’accese, si sedette accanto al tavolo sgangherato, un odore di muffa e di stantio aleggiava nell’aria. Guardò l’orologio, erano solo le sei di sera. Appoggiò i gomiti e si prese la testa fra le mani: era in un’assurda situazione dalla quale non sapeva come uscire, non gli restava che aspettare.

Era stanco, anche perché la notte prima non aveva mai dormito, chinò la testa sulle braccia conserte e la mente ripercorse ancora una volta il cammino della sua vita con Daniela.

Il giorno prima che partisse per l’escursione le aveva fatto un regalo.

«Tu sei matto, questo anello vale una fortuna!», aveva esclamato lei .

«Niente è troppo quando si incontra una donna come te, ti giuro che non ho rapinato un orefice…è un gioiello antico, era di mia nonna, fammi vedere come ti sta». Le aveva preso la mano sinistra e l’anello, un fiore di rubini e brillanti brillava all’anulare.

«Ora non mi scappi più», aveva scherzato circondandole la vita con le braccia.
Daniela aveva alzato su di lui gli occhi neri e profondi: «Ti amo», non lo toglierò mai», aveva sussurrato accarezzando il pegno d’amore.

La pioggia batteva inesorabile senza tregua, Michele chiuse gli occhi ed entrò in un altro mondo.

Daniela, vestita di bianco, con il mazzetto di ginestre appuntato sull’abito era accanto a lui.

«Svegliati, sono tornata», lo stava scuotendo per svegliarlo.

 Lui la fissava e allungò una mano per toccarla:

«Non ci credo! Sei proprio tu!», esclamò incredulo, «allora non sei morta, sono venuto apposta sulla montagna, ero certo di rivederti», la sua voce era spezzata dall’emozione.

«Amore mio, questa è una notte speciale, vieni, è troppo tempo che ti aspetto»,.

Lui sentì la sua bocca morbida sulla sua, ritornò indietro di tanti anni  e riprovò in un attimo l’incanto di un tempo, quando faceva l’amore con lei e non gli bastava mai.
Era sopravvenuta la notte, la pioggia aveva cessato di battere sul tetto, intorno alla misera capanna si erano accesi tanti falò, le streghe stavano ballando attorno ai fuochi, dentro il maso due anime e due corpi si incontravano dopo tanto tempo…ed entrano nel mondo del mistero.

L’alba stingeva di rosa il cielo, i primi raggi timidi filtravano attraverso le cime degli alberi, la natura, sempre in movimento, ma sempre uguale, dopo la notte burrascosa era tornata a sorridere.
+++

Il mistero della  scomparsa dell’ingegnere Michele Sarti suscitò scalpore, diventò un caso inspiegabile, poiché dal momento in cui aveva salutato il portiere e si era avventurato sulla montagna, non era più tornato in hotel. Le ricerche erano continuate per giorni e giorni senza risultato : l’ingegnere sembrava sparito nel nulla, forse vittima di una disgrazia o forse, come dicevano tutti in paese, ostaggio delle streghe secondo la leggenda che si tramandava di padre in figlio Tutti sapevano che in quella notte magica non era permesso a nessuno di salire sullo Sciliar, chi aveva osato farlo non era più tornato. I soccorritori avevano trovato dentro il rifugio un mozzicone di candela e, sulla branda impolverata, un piccolo mazzo di ginestre appassite.
+++

L’uomo sulla cinquantina, con la barba grigia che gli scendeva fin sul petto, stava preparando il giaciglio per la notte sotto il portico di una chiesa, la giovane volontaria dei City Angels, si avvicinò:

«Ciao Michele, come va? Hai mangiato?».

Lui si strinse nelle spalle: «Veramente, oggi non è andata molto bene», rispose, «se ci fosse qualcosina non la rifiuterei».

«Certo, ti vado a prendere un bel panino con il prosciutto, così dormirai meglio», la ragazza andò al furgone dove c’erano altri giovani che giravano di notte per le strade della città per aiutare chi era meno fortunato di loro, e tornò con un sacchetto.

L’uomo addentò avidamente il panino, gli occhi ridevano mentre ingoiava il cibo.

«Grazie Susanna, sei il mio angelo, se non ti vedo non riesco ad addormentarmi», farfugliò con la bocca piena. Lei si sedette sul bordo del marciapiede:

«Senti, sono curiosa, sei un tipo intelligente, devi essere stato qualcuno nella vita normale», disse cercando la confidenza di quell’uomo che vedeva ogni notte e con il quale si fermava a parlare di tutto, era un gradevole conversatore, solo che ogni tanto diceva cose che potevano sembrare frutto di una fantasia malata: asseriva di aver trascorso molti anni con Daniela, la sua donna, dopo la sua morte. Lui si pulì con il gomito: «Hai da bere?», chiese evitando di rispondere.

Con pazienza Susanna tornò a prendere una lattina di birra:

«Ecco qua,  però non hai risposto alla mia domanda», proseguì lei imperterrita.

Dopo aver bevuto, l’uomo si mise accanto a lei.

«Sei curiosa, però sei anche simpatica», disse battendole una mano sulla spalla, «hai indovinato, ero un ingegnere, sono stato lontano per tanto tempo, quando sono tornato tutte le porte si sono chiuse, nessuno ha creduto che avevo ritrovato Daniela ed ero rimasto con lei, fino al quando mi è stato concesso», raccontò con la voce bassa.

La giovane donna era perplessa: «Mi dicevi che la tua donna era caduta in un burrone in montagna, come potevi averla ritrovata?».

«Ora ti dirò qualcosa per la quale anche tu mi crederai pazzo, come tutti, cinque anni dopo la disgrazia, tornai sul posto e volli andare sul monte Sciliar per ripercorrere il cammino dell’ultima escursione di Daniela, in quei luoghi c’è una leggenda: nessuno deve andare in montagna nella notte delle streghe, e quel pomeriggio erano le ore antecedenti alla notte magica, mi era stato detto di non andare ma un impulso più forte della mia volontà mi spingeva sul monte.

Mi rifugiai durante un improvviso temporale in una baita, mentre stava arrivando la notte, mi addormentai», il barbone si fermò emozionato, Susanna pendeva dalle sue labbra:

«Dai, vai avanti…come hai visto Daniela».

«Lei arrivò vestita di bianco, con il mazzolino di ginestre che le avevo regalato tanto tempo prima durante una passeggiata: “Amore mio”, mi disse, “ ti aspettavo…hai avuto il coraggio di venire fin qui proprio questa notte magica dove può succedere di tutto….e io sono la tua ricompensa e tu sei il mio regalo, chi muore su questo monte può rivivere nella notte delle streghe”.  Non mi sono chiesto altro, era così tanta la felicità di stare con lei che non m’importava più di ciò che sarebbe successo in seguito».

«Scusami, ma stai farneticando, stai dicendomi che sei stato con lei per tanti anni?»

L’uomo la fissò e scosse il capo tristemente:

 «Sapevo che non avrei dovuto parlare, fai finta che non abbia detto nulla, sono un povero pazzo che sta delirando. Parliamo di cose serie: hai un altro panino?», chiese sorridendo mestamente.

Si mise una mano sul viso come per togliersi di dosso pensieri e ricordi, l’anello di rubini e brillanti a forma di fiore brillava sulle sue dita.

«Che bello!», disse Susanna, ammirando l’antico gioiello, «con questo potresti fare una vita regolare, perché non lo vendi?»

Lui sobbalzò: «E’ di Daniela, non lo farei mai», rispose, «sono felice così».

Addentò il secondo panino: «A domani Susanna, buonanotte!».

«Un giorno ti porterò via quando avrai messo la testa a posto», rispose lei salutandolo 

con la mano alzata.

«Non ci sperare, sto bene qui», riprese a mangiare di gusto seduto sul gradino della chiesa.

 

 FINE