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giovedì 28 marzo 2013

Finale : TESTIMONE A SORPRESA


«Non può entrare, commissario, questo poveretto deve essere visitato, venga in un altro momento…adesso mi scusi, ma devo andare», disse un medico con un tono leggermente nervoso.
Parisi rimase a fermo in corridoio per qualche secondo, poi se ne andò:
«Verrò fra un paio di giorni, tanto non scappa…», brontolò.
 Mentre tornava in commissariato pensava all’incidente: era una casualità oppure c’era sotto qualcosa di più serio? L’accattone era lo stesso che era stato travolto dalla corsa del presunto omicida in fuga; questo pensiero gli apriva una scatoletta nel cervello che avrebbe potuto contenere qualcosa di importante. Per il momento accantonò la miriade di pensieri che gli si affollavano in testa e si ripromise di interrogare in un secondo tempo il mendicante ferito.
Loredana andava sempre in palestra, era soddisfatta perché oltre a proseguire  le indagini era dimagrita qualche chilo. Con tatto e pazienza era riuscita a entrare in confidenza con Cristiana, ma la donna non aveva mai oltrepassato quella cortina di riserbo che impediva di conoscerla meglio.
«Sei sposata?», le chiese un giorno la poliziotta.
L’altra rimase un attimo silenziosa:
«No», rispose laconica, poi riprese: «ma ho un figlio di sei anni», la bocca sorrideva ma gli occhi erano spenti.
Loredana non chiese altro, ma sentì che c’era qualcosa di oscuro nello sguardo della sua trainer.
Una sera rimase un po’ più del solito e  la palestra stava per chiudere. Si affrettò a  vestirsi per uscire, sulla porta incontrò Cristiana che teneva per mano un bambino:
«E’ tuo figlio?...  come ti chiami?».
«Federico», rispose il piccolo alzando il viso verso di lei. Loredana notò un livido sotto l’occhio destro.
«Sei caduto?», domandò. Il ragazzino stava per rispondere, ma la mamma lo anticipò :
«Ha battuto contro lo spigolo della porta», si affrettò a dire, «scusami ma devo andare, ci vediamo domani»,  e se andò quasi di corsa trascinando il figlio interrompendo bruscamente la conversazione. Loredana, da brava poliziotta, si chiese come mai quella fretta…e la seguì. . Poco dopo la vettura di Cristiana si fermò davanti a un negozio di articoli di pelletteria, l’aspettò finché la vide uscire con un trolley e un borsone che infilò nel portabagagli.
«Questa se ne va», pensò, non sapeva il motivo ma intuiva che doveva fermarla .
Riferì a Parisi ciò che sapeva dell’amante del dottor Merli e il commissario non ci pensò su nemmeno un secondo:
«Devo vederla, falla venire in commissariato. Voglio sapere di più sulla vita del dottore, da quello che dicono non era un tipo molto simpatico anzi, era un rissoso e qualche volta anche violento, aveva parecchi nemici sul lavoro, senza parlare della moglie che lo odiava. Sentiamo anche l’amante…poi vorrei fare due chiacchiere col mendicante ancora in ospedale…così il cerchio si chiude», affermò lasciandosi andare sulla sedia girevole.
 Quando Cristiana varcò la soglia del commissariato, la prima persona che incontrò fu Loredana,  sgranò gli occhi per la sorpresa e il suo sguardo percorse tutta la figura in divisa:
«Sei una poliziotta?», chiese incredula.
«Sì…sono proprio io, mi dispiace, ma faccio questo mestiere», rispose lei.
L’altra si girò come se avesse voglia di scappare, ma Loredana la trattenne:
«Vieni, il commissario ti aspetta», disse decisa e l’accompagnò nell’ufficio del superiore.
Seduta sulla sedia davanti a Parisi la donna si tormentava le mani in preda a un nervosismo che non riusciva a trattenere.
«Dov’era alle tredici e trenta del 28 giugno?», chiese lui a bruciapelo.
Lei si accomodò meglio poi rispose sicura:
«A  casa».
«Può dimostrarlo?», continuò il commissario.
«No….ma  non capisco… non sospetterà di me, per caso?».
«Cara signora, qui c’è un delitto e devo trovare un colpevole. E’ mio dovere interrogare chi faceva parte della vita dottor Merli e lei era la donna con cui viveva ultimamente, o sbaglio?», concluse Parisi.
«Sì…ma io non c’entro, lui era uscito quella mattina per andare in clinica e non l’ho più rivisto, ho saputo della sua morte per caso…dal telegiornale». La donna parlava talmente sottovoce che quasi non si sentiva . Parisi che nel suo mestiere era diventato anche un po' psicologo, si accorse che Cristiana gli sfuggiva, non lo guardava mai negli occhi e abbassava lo sguardo non appena si sentiva osservata. La tenne sotto interrogatorio per quasi un’ora, poi la lasciò andare. Dopo quel colloquio nella sua mente si era accesa una lampadina..
«Caputo, muoviti, andiamo all’ospedale a sentire il barbone! spero che sia in grado di rispondermi».
  Quando  si allontanò dal letto del mendicante, Parisi era pensieroso. Uscì dall’ospedale e s’infilò in macchina senza parlare, Loredana era al volante e lo stava osservando con la coda dell’occhio preoccupata: quando era così aveva in mente qualcosa  e si aspettava di tutto. Infatti dopo pochi minuti il capo sbottò:
«Quell’uomo domani sarà dimesso, ha soltanto qualche contusione, ma mi ha promesso di tornare all’angolo della strada per chiedere l’elemosina come ha sempre fatto».
«Cosa vuol dire “mi ha promesso”?», chiese Loredana senza capire.
«Sì, ho in mente un piano e ho chiesto la sua collaborazione, in poche parole: lui è l’unico testimone che ha incontrato faccia a faccia quello che potrebbe essere l’assassino, infatti sono convinto che l’incidente della moto non sia stato casuale: chi l’ha investito ha cercato di farlo fuori, e sono certo che ci riproverà, non so in che modo, ma lo farà! ».
«Allora vuole dire che quell’uomo si è prestato a collaborare?», chiese Loredana .
«Proprio così…è stato coraggioso…ma gli ho assicurato che sarà sotto protezione giorno e notte. Ho già qualche sospetto sul colpevole e se tutto va come penso fra poco sapremo la verità».
«Non ho dubbi, commissario, quando lei  fiuta qualcosa è sempre sulla pista giusta», scherzò la Caputo.
   Da quel pomeriggio erano passati due giorni, l’accattone stava sull’angolo della strada seduto sul suo sgabello, con la mano tesa chiedeva l’elemosina ai passanti, nei dintorni gli agenti coordinati da Loredana si fingevano operai addetti a lavori stradali. Fino quel momento non era successo nulla di insolito, la giornata era quasi finita, stava diventando buio e un rombo di motore ruppe l’aria, un centauro con tanto di casco nero arrivò come un bolide e puntò diritto sul barbone. Con un balzo da acrobata un agente si lanciò sull’uomo, lo spostò e lo mise in salvo.. Il motociclista cercò di fuggire, ma la squadra dei poliziotti si lanciò all’inseguimento e lo bloccò dopo qualche metro.
«Vediamo chi sei!», affermò l’agente speciale Caputo togliendogli con un gesto deciso il casco,
«Cristiana?!», esclamò stupefatta.
La donna in tuta nera rimase ferma un istante, poi tentò di divincolarsi:
«Non mi prenderete!», gridò. Ma non fece un passo in più, l’immobilizzarono e qualcuno le mise le manette.
Cristiana si rivolse al mendicante che appoggiato a un muro non si muoveva:
«Non sono riuscita a liberarmi di te… eri l’unico che mi aveva vista in faccia e soltanto tu potevi riconoscermi», mormorò sconfitta.
«Hai fatto un passo falso, Cristiana…», disse Loredana mentre l’accompagnava alla Pantera della Polizia.
«Perché?», domandò lei.
«Quell’uomo è cieco…non ti avrebbe mai riconosciuto, sei caduta nel tranello del commissario Parisi», concluse la poliziotta spingendola dentro la vettura. L’altra si voltò e dopo qualche secondo scoppiò in un riso isterico: « Se non fossi tornata l’avrei fatta franca!».
«Probabilmente sì, ma al destino non si sfugge», commentò Caputo.
«Andiamo…adesso è finita! Vorrei soltanto parlare con mio figlio», chiese sommessamente.
Loredana le porse il cellulare: «Chiamalo…».
Alla centrale di polizia Parisi attendeva l’arrivo della squadra omicidi, l’operazione si era conclusa nel modo previsto, anche questa volta era riuscito a prendere il colpevole.

La personal trainer confessò l’omicidio:
«Quando l’avevo conosciuto credevo fosse l’uomo della mia vita, mi faceva sentire una regina:  un gentiluomo d’altri tempi. Ero rimasta vedova da poco con un bambino da mantenere e lui mi aveva ridato la gioia di vivere. Ci siamo frequentati finché aveva deciso di stabilirsi da me….poi, improvvisamente era cambiato tutto, con il passare del tempo aveva mostrato la sua vera faccia, …  era un violento, mi picchiava e…picchiava  anche il mio bambino…non ce la facevo più!  Il giorno prima aveva buttato a terra Federico che  aveva sbattuto la testa e aveva perso i sensi, ho urlato e lui mi ha coperto di botte …così ho deciso di farlo fuori. Il giorno dopo sono andata con lui  e…quando ci siamo fermati, l’ho colpito con un coltello.  L’odio che covavo dentro mi ha dato tanta forza da spaccargli il cuore!!! Poi sono fuggita, ho passato ore tremende pensando di essere stata riconosciuta dal barbone , ho cercato di eliminarlo una prima volta ma ero troppo tesa e ho sbagliato il colpo. Me ne volevo andare, ho comperato due biglietti per il Brasile,  ma dopo l’interrogatorio ho deciso di togliere di mezzo il testimone, ma …come potevo sapere che non ci vedeva! »,  la confessione si era conclusa e lei si alzò per andare in carcere accompagnata da due agenti.
Prima di uscire si volse verso il commissario:
«Le devo chiedere un favore…mandi Loredana a casa mia, lì c’è mia madre con Federico, dica al mio bambino che la mamma è partita per un viaggio, ma spera di tornare presto».
Parisi sentì come un groppo in gola:
«Va bene,lo farò. Con queste attenuanti credo proprio che il suo viaggio sarà breve!», riuscì a dire.
Cristiana seguì i poliziotti e il commissario chiamò la Caputo:
«Togliti la divisa e vai dal suo bambino, so che gli dirai le parole giuste!  Chiudi la porta, non ci sono per nessuno», appoggiò i gomiti sulla scrivania, si prese la testa fra le mani, chiuse gli occhi in cerca di un po’ di pace: era stata una terribile giornata!
 FINE








     

martedì 12 marzo 2013

TESTIMONE A SORPRESA


Il ragazzo, in piedi davanti al tavolo, aspettava che Parisi si decidesse a dargli retta:
«Commissario cosa le porto?», disse per la seconda volta leggermente innervosito.
Alex Parisi era immerso nella lettura del giornale e alzò gli occhi su di lui:
 «Hai detto qualcosa?», chiese serafico.
L’altro lo guardò stupito:
«Sì, è la terza volta che le chiedo cosa desidera di secondo».
«Ah. Sì! Scusami , portami una bistecca con patatine »,  rispose a mezza voce, dopodiché si dedicò alle notizie del quotidiano, incurante di quello che gli stava attorno.
Poco dopo, stava affrontando senza entusiasmo la fetta di carne che il cameriere gli aveva appena portato e  che aveva l’aria di non essere molto morbida,  quando un urlo acuto lo fece sobbalzare ; guardò fuori e vide della gente attorno a una vettura grigia posteggiata proprio davanti al ristorante.
 Seguendo il suo istinto di poliziotto, scattò in piedi e uscì, si guardò intorno per rendersi conto di quello che stava accadendo: un tipo non molto alto che indossava un giubbotto nero e un berretto di lana, stava correndo sul marciapiede della parte opposta della strada, scansando i passanti che rischiavano di essere travolti. Infatti, poco prima di svoltare l’angolo investì un accattone  che lo afferrò  per una manica  per non cadere, si guardarono in faccia, poi quel tale con uno strattone si liberò e continuò la fuga.    
Parisi si precipitò all’inseguimento, ma l’altro ormai era troppo lontano, scomparve dalla sua vista, lui si fermò con le braccia lungo i fianchi ormai senza speranza di acchiapparlo.
  Tornò sui suoi passi e si avvicinò alla gente che stava commentando.  Facendosi largo raggiunse la Toyota che tutti stavano osservando:
«Polizia», disse mostrando il distintivo, i curiosi si spostarono per lasciarlo passare.
Una donna, seduta su un gradino stava singhiozzando.
«Là…là dentro…c’è un morto..è orribile», la poveretta non riusciva a calmarsi.
Parisi guardò all’interno della vettura dove c’era  il corpo di un uomo di mezza età, un filo di sangue raggrumato gli sporcava la bocca e la giacca all’altezza del cuore era intrisa di sangue. Aprì la portiera e purtroppo costatò che quell’uomo era morto,
Il commissario si abbassò a parlare con la donna che non si era ancora calmata, un cane bianco a macchie nere era sdraiato accanto a lei e la guardava con un’espressione quasi umana, tristissima.
«E’ lei che ha gridato?», chiese .
La donna scosse la testa per dire di sì:
 «Passavo di qui con la mia cagnetta, Miky mi tirava il guinzaglio in maniera diversa dal solito, guaiva e appena ci siamo avvicinate alla macchina mi ha dato uno strattone e si è arrampicata sui vetri, così ho guardato dentro e …ho visto quel tale che non si muoveva, credevo fosse addormentato, poi ho guardato meglio e mi sono accorta del sangue sparso sui sedili…», balbettò.
«No..non lo conosco, non so chi sia…non l’ho mai visto», rispose poi alle domande del commissario.
 Parisi si mise subito in contatto con la centrale:
«Mandate una pattuglia e un’ambulanza all’incrocio con via Garibaldi».
«Vengo subito commissario, cosa è successo?», chiese Loredana Caputo che aveva preso la telefonata. 
  Parisi in poche parole la mise al corrente, poi, mentre stava aspettando la squadra mobile, entrò nella vettura: frugò nelle tasche del morto per cercare i documenti, ma non trovò nulla, erano vuote, non c’era nemmeno il cellulare. Poi gli venne in mente che la Toyota doveva avere un libretto, cercò nel cassettino e lo trovò.
ʺFranco Merli», c’era scritto e di seguito tutti i dati del poveretto riverso sui sedili.
Il suono lacerante dell’ambulanza si stava avvicinando, poco dopo anche la pantera della Polizia arrivò sul posto.
Loredana non aveva ancora fatto tempo a scendere che si sentì chiamare:
«Fai rimuovere il corpo, ispeziona la macchina e prendere le impronte …insomma fai tutto quello che devi fare, poi sappimi dire chi era», disse il commissario accennando al cadavere, e le mise in mano il libretto della macchina.
La ragazza annuì e si mise all’opera. Parisi rimase sul posto finché gli agenti della squadra non ebbero  finito, tornò al commissariato incupito, era sempre così quando era costretto a vedere il corpo senza vita di un uomo assassinato brutalmente.
Poche ore dopo, al commissariato l’agente speciale Loredana Caputo entrò nel suo ufficio:
«Novità?», chiese Parisi.
«Commissario, ho le generalità della vittima», esclamò trionfante, « si chiamava Franco Merli, era un medico, sposato con tre figli, aveva quarantacinque anni, e lavorava alla Clinica Villa Verde», rispose tutto d’un fiato lei.
«Purtroppo bisogna avvisare la famiglia…lo vuoi fare  tu?», domandò ancora il commissario, «anzi sarebbe meglio andare a casa del dottore e parlare con la moglie, comincia a fare qualche domanda, in seguito la farò venire in commissariato per saperne di più. Non me la sento di interrogarla adesso…sarà un bel colpo sapere che il marito è morto!», concluse amaramente.
La villa del medico era all’estremità della periferia, Loredana suonò, un domestico di colore aprì la porta:
«Desidera?», chiese guardandola con sospetto.
«Dovrei parlare con la signora Merli», affermò l’agente.
«Attenda, per favore».
Poco dopo arrivò una giovane donna bruna che si fermò di colpo alla vista di Loredana in divisa da poliziotta.
«Polizia? Perché», nella sua voce c’era il tremore di chi si aspetta qualcosa di brutto.
«Posso entrare?», domandò Loredana.
La signora si spostò: «Prego, si accomodi».
La condusse in un salone arredato con buon gusto, con un cenno mostrò il divano, sedendosi a sua volta rigida, in attesa …
La Caputo non sapeva da dove cominciare, poi si fece forza la mise al corrente dell’omicidio di suo marito cercando le parole più appropriate. Era sempre una cosa atroce dover dare queste notizie!
La reazione della donna la stupì: non si scompose più di tanto, si aggrappò ai braccioli della poltrona e rimase muta per qualche istante. Infine balbettò: «Era solo?»
«Doveva esserci qualcuno con lui?», chiese stupita Loredana.
«Non so…erano giorni che non lo vedevo, stava dalla sua amante», rimase un attimo a pensare poi chiese timidamente, quasi sottovoce, «non si sa chi l’ha ucciso?»
Loredana la guardò, nemmeno una lacrima negli occhi chiari:
 «No…cominceremo le indagini dopo aver avuto la certezza che sia lui. Devo chiederle di venire con me a riconoscere il corpo», concluse leggermente a disagio.
«Va bene…aspetti qualche minuto per favore», ripose la donna fredda, senza nessuna emozione…e se ne andò seguita dallo sguardo attonito della poliziotta.
«E’ lui!», affermò poi la signora Merli davanti alla salma del marito, era pallidissima con il viso contratto e lo sguardo duro.
«Posso andare?», chiese qualche minuto dopo.
«Va bene, però dovrebbe tenersi a disposizione, il commissario vuole fare quattro chiacchiere con lei». La signora annuì e Loredana la salutò  sempre più sorpresa ma poi pensò che quella donna  preferiva vedere  il marito morto piuttosto che fra le braccia di un’altra.
Alex Parisi si mise subito in moto:
«Caputo!», la voce stentorea attraversò il corridoio e arrivò nell’ufficio di fronte.
 «Eccomi commissario», rispose subito lei abituata a essere interpellata in modo alquanto vivace.
«Ho saputo che il dottor Merli aveva un’amante», affermò il commissario senza tanti preamboli.
«Sì…così mi ha detto la moglie».
«Allora informati e sappimi dire chi è, vorrei conoscerla e sapere qualcosa di più riguardo a questo medico».
Così Loredana cominciò a indagare con la solita professionalità, era una brava poliziotta e ci teneva a dimostrarlo.
Chiedendo alle persone giuste arrivò a conoscere il nome della donna che aveva indotto il dottor Merli ad abbandonare la famiglia e l’indirizzo dove abitava.. In borghese, senza la divisa, andò a chiedere informazioni alla portinaia del condominio:
«Cristiana Venturi abita qui?», chiese.
La donna la guardò con sospetto, rimase un attimo in silenzio poi si lasciò andare:
«Abitava qui, si è trasferita due mesi fa e non l’ho più rivista. Penso sia andata a stare con il suo fidanzato, un bell’uomo, più anziano di lei», si fermò e squadrò Loredana da capo a piedi, «è una sua amica?», chiese .
«Sì, è un sacco che non ci vediamo…sa dirmi il nuovo indirizzo?.
«No…ma la trova alla palestra Virtus dove fa la personal trainer», aggiunse la custode.
Soddisfatta delle informazioni  Caputo si precipitò in palestra dove si iscrisse e chiese di essere seguita da Cristiana, una bella bionda muscolosa che cominciò subito il suo lavoro.... e Loredana sudò  al vogatore, poi al tapis-roulant, indi alla cyclette…non ce la faceva più! Ma quando uscì  aveva qualche informazione in più riguardante la nuova compagna del medico assassinato. Fra una sudata e l’altra la personal trainer si era messa a parlare e le aveva detto di avere un bambino di tre anni.
Era il figlio del dottor Merli? Questo Loredana non lo poteva sapere, ma già le bastava per mettere in moto il suo istinto investigatore, si riprometteva di entrare in confidenza per farla parlare e entrare così di straforo nella sua vita. 
Il commissario Parisi intanto mandava avanti le sue indagini. .Nell’ambito della clinica dove lavorava il medico interrogò colleghi e personale.    
«Non era molto ben visto», si lasciò scappare un infermiere, «era un arrivista che non aveva scrupoli…litigava spesso. Molti hanno detto: «se lo meritava!», quando hanno saputo che era stato ammazzato».
«C’era qualcuno che lo odiava?», azzardò il commissario.
«L’ultima volta l’ho visto proprio qui, in questo ambulatorio…stava litigando con il padre di una paziente deceduta dopo essere stata operata da lui. Urlava come un matto e l’altro se era andato minacciandolo», concluse l’uomo.
Parisi stava ascoltando interessato, un orizzonte nuovo si apriva, la pista della vendetta di un padre poteva anche essere buona. Tornò al posto di polizia con il pensiero fisso di convocare quell’uomo che aveva perso la figlia per colpa del dottor Merli.
Era l’una passata, l’ora in cui di solito il commissario consumava il suo pasto solitario, e anche quel giorno entrò nella trattoria “Da Mimmo” e si sedette al solito tavolo. Mentre aspettava, guardando fuori, si accorse di un insolito via vai e si alzò per guardare: un gruppo di gente ferma davanti al chiosco del fioraio stava osservando qualcosa  per terra.
«Scusa», disse al cameriere, «vengo subito, porta quello che vuoi..», uscì e si diresse verso il capannello di persone.
Un uomo era sdraiato per terra e si lamentava: «E’ stato investito da una moto», disse un ragazzo.
«Ero lì e ho visto l’incidente: un pazzo si è diretto su quel poveretto deciso a stenderlo…poi è scappato», aggiunse un tale, «aveva un giubbotto di pelle e un casco nero, non si poteva vederlo in faccia…non saprei riconoscerlo, ma giuro che ha proprio tentato di ucciderlo!».
In quel momento l’ambulanza arrivò e portò via il mendicante dolorante ma per fortuna non in gravi condizioni.

  (continua)