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martedì 19 novembre 2013

L'ARMA DEL DELITTO


IL  mare, increspato dalla leggera brezza luccicava sotto il sole, appoggiato al parapetto di poppa,  Marino Brandi fissava l’orizzonte e pensava: “quest’anno chiederò a Roberto e Giada di venire in  crociera con noi, sono divertenti, devo dirlo a Viola, se a lei va bene, telefono subito per vedere se sono liberi”.
 La moglie stava prendendo la tintarella sul ponte:
«Che ne dici di invitare i Montanari?», chiese Marino.
Lei, sorpresa lo guardò:
 «OK , anzi avevo intenzione di proportelo, sono simpatici», rispose.
 Viola era una bella donna, molto più giovane del marito, quando l’aveva sposato era un’attricetta e lui un ricco industriale, da parte sua non si poteva certo parlare d’amore, amava fare la bella vita: indossare vestiti griffati e entrare nel  mondo festaiolo dei vips, era ciò che aveva sempre sognato.  Lui invece aveva perso la testa per quella magnifica bionda , non faceva nulla senza di lei,  ogni decisione la sottoponeva al suo giudizio.
 «C’è soltanto un contrattempo», continuò Brandi, «dovrei ingaggiare un nuovo skipper, Gennaro si è infortunato e non può venire, oggi dovrei contattare un tipo che mi ha proposto l’agenzia», disse  sdraiandosi al sole accanto alla moglie.
Il giovanotto che si presentò aveva tutte le credenziali per essere assunto: aveva referenze ineccepibili ed era anche di bella presenza, alto muscoloso, con una faccia ed un sorriso che si accaparravano la simpatia al primo contatto.
«Per me va bene», disse Brandi dopo il colloquio, «benvenuto a bordo. Aspetti, vado a chiamare mia moglie», concluse tendendogli la mano.
 Viola, non appena si trovò davanti allo skipper sussultò e la medesima reazione l’ebbe anche il nuovo venuto. Entrambi non poterono fare a meno di esclamare i rispettivi nomi con  stupore: «Viola!», esclamò lui. «Salvatore!»,  rispose lei sorpresa.
Marino Brandi, li guardò : «Vi conoscete?».
La moglie tardò un secondo a rispondere, poi riluttante confessò che tanti anni prima avevano avuto una storia sentimentale: «Sono quasi dieci anni che non ci frequentiamo», l’interruppe il giovanotto, «e non nego che mi ha fatto piacere rivederla, però adesso è tutto finito», concluse rivolto all’industriale con il timore che la loro conoscenza  potesse compromettere la sua assunzione. 
«Capisco, ma stia tranquillo,  questo non cambia la decisione di assumerla. Anzi, se vuole può prendere il comando dello yacht da adesso», concluse mettendo un braccio attorno alle spalle di Viola in segno di possesso. Lei lo guardò sorridendo : «Ormai ho fatto la mia scelta», gli disse rassicurante.
Pochi giorni dopo salparono per una piccola crociera nelle isole greche. A bordo salirono anche Giada e Roberto, e sulla barca si instaurò immediatamente l’allegra atmosfera vacanziera dei ricchi, a spasso sull’acqua limpida del Mar Egeo. Lunghe nuotate al largo, dove il mare sembra da bere, cene nelle trattorie greche a base di pesce appena pescato, di insalate fresche… e quel  profumo del basilico che aleggia per l’aria nei vicoli che ti entra nel naso e nell’anima, e allora respiri e ti senti bene.
La convivenza con la coppia di amici sembrava procedere nel migliore di modi, Giada vivace, sempre in vena di chiacchierare, non era molto bella, ma la simpatia sopperiva alla mancanza di qualche centimetro di circonferenza del seno. Anche Roberto era un tipo brillante, sportivo e buon nuotatore, si divertiva a fare il bagno al largo e a raccontare barzellette nelle serate in compagnia.. Fra i due non c’era molto feeling,  quando lei diceva qualcosa lui si impegnava a dire l’esatto contrario, una delle ragioni dei loro battibecchi era la forte predisposizione di Roberto verso l’universo femminile, se poteva non se ne lasciava scappare una!  Però in fin dei conti erano buoni compagni di viaggio e Marino Brandi si stava divertendo, aveva bisogno di rilassarsi e quel tour  era l’ideale per riprendere il tono perso in  un anno di lavoro.
 Erano nei pressi di Mykonos, una delle isole più belle della Grecia, mentre stavano entrando nell’anfiteatro del porto, sotto la collina, la visione delle case bianchissime li abbagliò,  Marino strinse a sé Viola: «Guarda che paesaggio, ti fa mancare il respiro, tanto è  bello».
Lei non rispose, era intenta ad osservare Salvatore, il nuovo skipper che stava dando gli ordini per entrare in porto. Anche lui le lanciò un’occhiata, ma poi riprese il timone voltandole le spalle.
Attraccarono e scesero per ammirare quegli edifici candidi con le finestre colorate, le stradine piastrellate di calce, le chiesette con i tetti rossi che formavano un mix di colori e contrasti sensazionali.
Quella sera finirono in uno dei numerosi locali notturni a ballare. Viola dopo essersi scatenata in pista, andò al bar a bere: si era appena seduta sullo sgabello quando sentì il tocco di una mano sulla spalla, si voltò:  «Salvatore, come mai qui?», chiese.
«Perché, non è permesso a un dipendente frequentare gli stessi locali dei padroni?», ribatté lui secco.
«Non dire sciocchezze, mi fa piacere vederti», rispose lei sorridendo.
Lo sguardo invitante della giovane donna  indusse il giovanotto a chiederle di uscire in giardino:
 «Qui fa caldo, andiamo fuori?».
Viola lo seguì cercando di passare inosservata agli occhi del marito. Nel cielo limpido si evidenziavano le costellazioni, Salvatore si avvicinò:
«Guarda lassù, quella è l’Orsa Maggiore», affermò puntando il dito.
«Non riesco a vederla», rispose lei, lui le cinse le spalle e le prese un braccio. In quell’attimo Viola si voltò e le due bocche vicinissime si incontrarono.
«Non ti ho mai dimenticata», sussurrò il giovane, «vieni in cabina da me questa notte», disse con la voce rauca . Viola si lasciò andare, lo baciò e gli promise: «Aspettami».
 Riuscì a scappare dopo che Marino si era addormentato, sapeva che aveva il sonno pesante, e che non si sarebbe svegliato fino alla mattina dopo. Fece l’amore con Salvatore con la passione di un tempo.  Tornò accanto a Marino qualche ora dopo , si coricò con cautela e si addormentò: l’aveva fatta franca, non si era accorto di niente!
 Il giorno dopo decisero di andare a fare pesca subacquea, partirono attrezzati e si fermarono in un punto buono per i sub: l’acqua cristallina invitava ad entrare.
«Vieni anche tu, Salvatore?», propose Roberto 
«Perché no!», il giovanotto dopo qualche secondo era già pronto con bombola e boccaglio: «Andiamo».
I due uomini si immersero e scandagliarono il fondo, una grossa cernia avanzò verso lo skipper. Il giovanotto sfilò il pugnale dalla cintola e la trafisse; risalì trionfante con il pesce infilato nella lama, il corpo statuario del giovane, cosparso di goccioline, scintillava sotto i raggi del sole: sembrava un dio greco. Viola non seppe trattenere un moto di ammirazione; scambiò con lui uno sguardo d’intesa che voleva dire: “Ci vediamo stanotte”.
Ma non andò liscia come la volta precedente, Marino, che non aveva digerito proprio la cernia ai ferri, si alzò e la cercò nel letto.
 «Dove sei,  Viola?», chiamò più volte, andò nel corridoio. Lo spazio era esiguo, sentì la voce di Viola provenire dalla cabina  di Salvatore; aprì la porta con un sol colpo e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: i due abbracciati nella cuccetta in atteggiamento inequivocabile.
«Non credevo che arrivassi a tanto, sei rimasta quella che eri: una puttana!», esclamò furibondo. Poi si diresse verso l’uomo con l’intenzione di colpirlo, ma l’altro più giovane si scansò e Marino cadde a terra. Si rialzò dolorante: «Tu te ne devi andare immediatamente!», urlò verso Salvatore.
Questi a sua volta lo minacciò : «Non hai capito che sei un vecchio pieno di soldi e che prima o poi dovrai mollare Viola?», la sua voce era roca per l’ira.
Marino non ebbe nemmeno la forza di replicare, nel suo sguardo perso nel vuoto si leggeva la delusione, il dolore, l’amarezza del tradimento, si accorgeva in quel momento che sua moglie non l’aveva mai amato, si era illuso di poter contare qualcosa per lei e invece l’aveva trovata nelle  braccia di un altro!
Si voltò verso Viola , la guardò dritto negli occhi e la schiaffeggiò, voltò le spalle e uscì dalla cabina,  andò sul ponte, si appoggiò al parapetto e fissò il mare scuro.
Viola cercò di seguirlo, ma Salvatore la trattenne:
«Non ti preoccupare…gli passerà, domani attracchiamo al porto più vicino e me ne vado, in fin dei conti ha ragione lui, ma appena ti ho vista è stato più forte di me….non ti avevo mai dimenticata!»
«No, lasciami andare !…», gridò lei, uscì di corsa e andò verso la sua cabina sperando di trovare Marino, visto che non c’era si recò sul ponte . La sagoma del marito che guardava l’orizzonte, stagliata sul cielo illuminato dalla luna era il segno di un uomo disperato.  
Lei tornò in cabina e si ficcò nel letto… il mattino dopo si svegliò di soprassalto, qualcuno stava bussando: Salvatore entrò spalancando la porta:
«Un peschereccio ha trovato un corpo in mare! Dov’è tuo marito?», chiese osservando il posto vuoto accanto a Viola.
«Non è tornato a letto stanotte, sarà al bar a bere», rispose assonnata.
Salvatore scosse la testa: «Non c’è nessuno al bar…..».
Viola cambiò espressione: «Mio Dio, spero che non sia lui», mormorò.
Purtroppo quel cadavere in mare era proprio quello dell’industriale Marino Brandi, trafitto da diverse pugnalate. La crociera era terminata tragicamente, ritornarono alla base e il caso passò nelle mani dell’ispettore di polizia Parisi che cominciò subito le indagini.

(Continua)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 1 novembre 2013

FINE DI " C'E' UN CADAVERE...."


Dopo aver atteso una settimana senza notizie dello scomparso, Parisi incaricò la Caputo di iniziare le indagini; con la scrupolosa caparbietà che la distingueva la poliziotta interrogò tutti, nell’ambiente familiare e in quello scolastico, e arrivò alla conclusione che il cadavere visto da Pablito aveva molte probabilità di essere quello del professor Ferrari.
Parisi aveva molta stima della sua collaboratrice e, quando c’erano casi complicati gli piaceva discuterne con lei e insieme decidere sulla pista da seguire.
«Commissario, ho sentito delle voci su una relazione fra la moglie del professore e l’amico di casa, quel Giorgio, l’avvocato, quello che aveva visto Ferrari per l’ultima volta. Potrebbe essere coinvolto…cosa ne dice?»
«Non hai tutti i torti», acconsentì  lui, « fallo venire, vorrei conoscere e  fare quattro chiacchiere con quel tipo»,
  Quando l’avvocato  Giorgio  Mariani entrò nell’ufficio di Parisi, questi si rese conto che non era difficile per una donna prendere una sbandata per quel tipo. Alto, bruno, ben conservato, abbronzato: un uomo affascinante, con una parlantina travolgente.
Dopo mezz’ora di domande e risposte, Parisi era ancora incerto se considerarlo invischiato in un delitto oppure lasciarlo andare. A pensarci bene aveva le mani legate: avrebbe potuto essere lui il colpevole, c’era il movente sentimentale, senza contare che Laura era ricca di famiglia e sposandola si sarebbe messo a posto per sempre. Ma come poteva accusarlo se non esisteva il cadavere?
«Può andare…ma si tenga a disposizione», concluse di malavoglia.
L’avvocato se ne andò in fretta, quasi senza salutare. Il commissario lo seguì con lo sguardo e scosse la testa: era stato un interrogatorio inutile e inconcludente.
Sempre più testardo Parisi fece indagini anche al Liceo dove insegnava Ferrari, doveva frugare nella vita del professore per cercare di capire meglio la figura di quell’uomo.
Anche qui scoprì cose interessanti: molti studenti non lo potevano soffrire, era il classico professore carogna che si fa odiare, la sua scomparsa aveva rallegrato parecchi ragazzi con i voti sotto la sufficienza. Purtroppo c’era anche qualcosa di più: Ferrari non era una bella persona, aveva un lato oscuro che non lasciava trapelare  ma che il commissario stava lentamente scoprendo. Da voci fra i giovani seppe che aveva anche l’abitudine di fare avances alle ragazze, anzi con qualcuna aveva avuto dei rapporti amorosi, il quadro che si stava delineando era squallido.
Ma per il commissario quel caso stava diventando un incubo, tutto quello che scopriva non conduceva a niente: c’erano buoni moventi, ma non c’era il corpo, né vivo, né morto.
Durante le indagini l’aveva colpito un ragazzo: Mattia, figlio del medico condotto che, quando parlava del professor Ferrari lo faceva con un odio tale da impressionare:
«Ha rovinato la mia ragazza» , gli  aveva detto con una voce tagliente, «nessuno ha avuto il coraggio di denunciarlo, ma tutti sapevano che era un depravato, ha fatto bene a sparire».
 Sparire…era partito per ragioni che non si conoscevano?...era stato ucciso dalla coppia di amanti ? …o da qualcuno che lo odiava ? Il poliziotto indagava a vuoto senza poter accusare nessuno. Il tempo passava, si stavano scoprendo delle verità scomode, degli scheletri nascosti nell’armadio, ma tutto rimaneva al punto di partenza; finché stremato, Parisi si mise il cuore in pace e archiviò l’inchiesta; il professore se n’era andato per i fatti suoi e Pablito aveva avuto una visione, all’alba di quel giorno in cui credeva di aver visto un morto sotto un lampione.
Alex Parisi riprese a essere il custode dell’ordine pubblico della sua città, ma  riprese anche le buone abitudini, gli piaceva andare a pescare nel fiume, il tempo libero era poco, ma quando c’era una domenica di sole, prendeva tutto l’armamentario per la pesca, si metteva alla mattina presto in riva al fiume, in attesa paziente che qualche pesce abboccasse all’amo.
In quei giorni c’era stata una piena, poi era sbucato il sole, era domenica e il commissario se ne andò al fiume. Era fermo già da un po’ quando si accorse che un mucchio di detriti, portato dalla corrente, si era posato poco distante da lui, fra le varie cose trasportate dall’acqua c’era anche una grossa vanga, appena la vide la deformazione professionale ebbe il sopravvento: rivisse in un flash-back una scenetta di qualche giorno prima nel negozio di ferramenta dove era entrato a comperare una pinza. Stava pagando alla cassa quando entrò il medico condotto:
«Buongiorno dottore», lo salutò cordialmente il proprietario del negozio, «è andata bene la vanga?».
«Quale vanga?», aveva risposto il dottore.
«Quella che ho dato a Mattia, sarà un mese fa».
«Non so, probabilmente sì, forse aveva qualcosa da fare che non mi ha detto. Purtroppo con il mio lavoro sono un papà poco presente».
Il commissario, senza volerlo, aveva ascoltato la conversazione non dandole importanza, ma ora stava collegando il tutto con quella vanga spuntata dal fiume.
«Eh, no! adesso voglio andare a fondo, ricomincio da capo», si disse.
 La sera stessa chiamò il suo braccio destro Caputo:
«Domani vai a prendere Mattia, il figlio del dottore, e me lo porti in commissariato», ordinò.
Mattia entrò con fare strafottente, si sedette sulla sedia davanti a Parisi e lo sfidò con lo sguardo:
«Io non c’entro nulla con quell’arnese, di che cosa mi accusa?».
«Forse hai ragione, ma qualcosa mi dice che tu con quel coso …magari hai sotterrato un morto», azzardò il commissario.
 «Lei è matto, non capisco dove vuole arrivare», urlò il ragazzo.
«Allora, sai cosa ti dico? Farò una ricerca nella tenuta agricola di tuo padre, là c’è un bel bosco, che potrebbe essere il posto ideale».
Mattia ebbe un sussulto:
«Faccia quello che vuole commissario… buona fortuna!», esclamò, «adesso posso andare?»
« Vai …mi auguro che tu dica la verità», mormorò Parisi mentre il ragazzo se ne stava andando.
La notte stessa l’agente speciale Caputo, e il commissario, si misero di guardia, davanti alla villa del dottore in attesa di Mattia: Parisi era convinto che, se colpevole, il ragazzo si sarebbe precipitato a dissotterrare ciò che aveva interrato: il corpo del
professore.
 Al contrario, se non fosse stato lui,  il mistero del cadavere scomparso non sarebbe mai stato svelato.  Ma il commissario Parisi, da buon pescatore, aveva gettato l’amo e il pesciolino aveva abboccato. Infatti, dopo mezzanotte, un’auto si fermò davanti al cancello della villa, Mattia uscì dalla casa e s’infilò nella vettura che partì lentamente, per non fare rumore.
 L’auto nera guidata dall’agente Caputo l’inseguì  badando a non farsi notare,   presero  la strada che conduceva alla tenuta agricola. Qui la macchina che stavano seguendo si fermò,  scese , Mattia che reggeva una grossa vanga  e un amico.
 «Ecco, ci siamo…attenta Caputo, scendiamo e seguiamoli», sussurrò.
Abituati a pedinare usarono tutte le tecniche per non farsi scorgere. I due ragazzi si inoltrarono nel boschetto, dopo qualche minuto si fermarono sotto un grande albero, si misero a scavare.
«Adesso! Andiamo…», ordinò il commissario saltando fuori da un cespuglio, « siete in arresto!»,  intimò.
Mattia e l’amico si voltarono spaventati, si guardarono in faccia:
«Ci hanno fregato!...non c’è più niente da fare».
Rassegnati i due giovani non opposero resistenza, buttata la vanga da un lato si consegnarono.
Al buio non si vedeva, ma Mattia stava piangendo:
«Se l’era cercata il professor Ferrari ! Non poteva continuare a vivere. L’abbiamo fatto insieme…gli abbiamo dato un colpo in  testa mentre stava andando per il viale dei frati,  poi ci siamo dati da fare per far sparire il cadavere sperando di passarla liscia», sussurrò  indicando l’amico, «anche la sua ragazza è stata violentata da quel porco»,  chinando la testa porse i polsi per le manette
Il commissario lo guardò quasi con benevolenza, di solito era duro con chi arrestava, ma in quel momento non ce la faceva:
« L’omicidio è un grave reato, ma in questo caso avrete molte attenuanti a vostro favore, ne sono certo», rispose aiutando i due ragazzi a salire nella vettura.
 Si mise accanto all’agente Caputo, sbatté la portiera e disse: «Andiamo».

Pablito aveva detto la verità: all’alba di quella mattina, c’era un cadavere nel viale del convento.