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venerdì 1 novembre 2013

FINE DI " C'E' UN CADAVERE...."


Dopo aver atteso una settimana senza notizie dello scomparso, Parisi incaricò la Caputo di iniziare le indagini; con la scrupolosa caparbietà che la distingueva la poliziotta interrogò tutti, nell’ambiente familiare e in quello scolastico, e arrivò alla conclusione che il cadavere visto da Pablito aveva molte probabilità di essere quello del professor Ferrari.
Parisi aveva molta stima della sua collaboratrice e, quando c’erano casi complicati gli piaceva discuterne con lei e insieme decidere sulla pista da seguire.
«Commissario, ho sentito delle voci su una relazione fra la moglie del professore e l’amico di casa, quel Giorgio, l’avvocato, quello che aveva visto Ferrari per l’ultima volta. Potrebbe essere coinvolto…cosa ne dice?»
«Non hai tutti i torti», acconsentì  lui, « fallo venire, vorrei conoscere e  fare quattro chiacchiere con quel tipo»,
  Quando l’avvocato  Giorgio  Mariani entrò nell’ufficio di Parisi, questi si rese conto che non era difficile per una donna prendere una sbandata per quel tipo. Alto, bruno, ben conservato, abbronzato: un uomo affascinante, con una parlantina travolgente.
Dopo mezz’ora di domande e risposte, Parisi era ancora incerto se considerarlo invischiato in un delitto oppure lasciarlo andare. A pensarci bene aveva le mani legate: avrebbe potuto essere lui il colpevole, c’era il movente sentimentale, senza contare che Laura era ricca di famiglia e sposandola si sarebbe messo a posto per sempre. Ma come poteva accusarlo se non esisteva il cadavere?
«Può andare…ma si tenga a disposizione», concluse di malavoglia.
L’avvocato se ne andò in fretta, quasi senza salutare. Il commissario lo seguì con lo sguardo e scosse la testa: era stato un interrogatorio inutile e inconcludente.
Sempre più testardo Parisi fece indagini anche al Liceo dove insegnava Ferrari, doveva frugare nella vita del professore per cercare di capire meglio la figura di quell’uomo.
Anche qui scoprì cose interessanti: molti studenti non lo potevano soffrire, era il classico professore carogna che si fa odiare, la sua scomparsa aveva rallegrato parecchi ragazzi con i voti sotto la sufficienza. Purtroppo c’era anche qualcosa di più: Ferrari non era una bella persona, aveva un lato oscuro che non lasciava trapelare  ma che il commissario stava lentamente scoprendo. Da voci fra i giovani seppe che aveva anche l’abitudine di fare avances alle ragazze, anzi con qualcuna aveva avuto dei rapporti amorosi, il quadro che si stava delineando era squallido.
Ma per il commissario quel caso stava diventando un incubo, tutto quello che scopriva non conduceva a niente: c’erano buoni moventi, ma non c’era il corpo, né vivo, né morto.
Durante le indagini l’aveva colpito un ragazzo: Mattia, figlio del medico condotto che, quando parlava del professor Ferrari lo faceva con un odio tale da impressionare:
«Ha rovinato la mia ragazza» , gli  aveva detto con una voce tagliente, «nessuno ha avuto il coraggio di denunciarlo, ma tutti sapevano che era un depravato, ha fatto bene a sparire».
 Sparire…era partito per ragioni che non si conoscevano?...era stato ucciso dalla coppia di amanti ? …o da qualcuno che lo odiava ? Il poliziotto indagava a vuoto senza poter accusare nessuno. Il tempo passava, si stavano scoprendo delle verità scomode, degli scheletri nascosti nell’armadio, ma tutto rimaneva al punto di partenza; finché stremato, Parisi si mise il cuore in pace e archiviò l’inchiesta; il professore se n’era andato per i fatti suoi e Pablito aveva avuto una visione, all’alba di quel giorno in cui credeva di aver visto un morto sotto un lampione.
Alex Parisi riprese a essere il custode dell’ordine pubblico della sua città, ma  riprese anche le buone abitudini, gli piaceva andare a pescare nel fiume, il tempo libero era poco, ma quando c’era una domenica di sole, prendeva tutto l’armamentario per la pesca, si metteva alla mattina presto in riva al fiume, in attesa paziente che qualche pesce abboccasse all’amo.
In quei giorni c’era stata una piena, poi era sbucato il sole, era domenica e il commissario se ne andò al fiume. Era fermo già da un po’ quando si accorse che un mucchio di detriti, portato dalla corrente, si era posato poco distante da lui, fra le varie cose trasportate dall’acqua c’era anche una grossa vanga, appena la vide la deformazione professionale ebbe il sopravvento: rivisse in un flash-back una scenetta di qualche giorno prima nel negozio di ferramenta dove era entrato a comperare una pinza. Stava pagando alla cassa quando entrò il medico condotto:
«Buongiorno dottore», lo salutò cordialmente il proprietario del negozio, «è andata bene la vanga?».
«Quale vanga?», aveva risposto il dottore.
«Quella che ho dato a Mattia, sarà un mese fa».
«Non so, probabilmente sì, forse aveva qualcosa da fare che non mi ha detto. Purtroppo con il mio lavoro sono un papà poco presente».
Il commissario, senza volerlo, aveva ascoltato la conversazione non dandole importanza, ma ora stava collegando il tutto con quella vanga spuntata dal fiume.
«Eh, no! adesso voglio andare a fondo, ricomincio da capo», si disse.
 La sera stessa chiamò il suo braccio destro Caputo:
«Domani vai a prendere Mattia, il figlio del dottore, e me lo porti in commissariato», ordinò.
Mattia entrò con fare strafottente, si sedette sulla sedia davanti a Parisi e lo sfidò con lo sguardo:
«Io non c’entro nulla con quell’arnese, di che cosa mi accusa?».
«Forse hai ragione, ma qualcosa mi dice che tu con quel coso …magari hai sotterrato un morto», azzardò il commissario.
 «Lei è matto, non capisco dove vuole arrivare», urlò il ragazzo.
«Allora, sai cosa ti dico? Farò una ricerca nella tenuta agricola di tuo padre, là c’è un bel bosco, che potrebbe essere il posto ideale».
Mattia ebbe un sussulto:
«Faccia quello che vuole commissario… buona fortuna!», esclamò, «adesso posso andare?»
« Vai …mi auguro che tu dica la verità», mormorò Parisi mentre il ragazzo se ne stava andando.
La notte stessa l’agente speciale Caputo, e il commissario, si misero di guardia, davanti alla villa del dottore in attesa di Mattia: Parisi era convinto che, se colpevole, il ragazzo si sarebbe precipitato a dissotterrare ciò che aveva interrato: il corpo del
professore.
 Al contrario, se non fosse stato lui,  il mistero del cadavere scomparso non sarebbe mai stato svelato.  Ma il commissario Parisi, da buon pescatore, aveva gettato l’amo e il pesciolino aveva abboccato. Infatti, dopo mezzanotte, un’auto si fermò davanti al cancello della villa, Mattia uscì dalla casa e s’infilò nella vettura che partì lentamente, per non fare rumore.
 L’auto nera guidata dall’agente Caputo l’inseguì  badando a non farsi notare,   presero  la strada che conduceva alla tenuta agricola. Qui la macchina che stavano seguendo si fermò,  scese , Mattia che reggeva una grossa vanga  e un amico.
 «Ecco, ci siamo…attenta Caputo, scendiamo e seguiamoli», sussurrò.
Abituati a pedinare usarono tutte le tecniche per non farsi scorgere. I due ragazzi si inoltrarono nel boschetto, dopo qualche minuto si fermarono sotto un grande albero, si misero a scavare.
«Adesso! Andiamo…», ordinò il commissario saltando fuori da un cespuglio, « siete in arresto!»,  intimò.
Mattia e l’amico si voltarono spaventati, si guardarono in faccia:
«Ci hanno fregato!...non c’è più niente da fare».
Rassegnati i due giovani non opposero resistenza, buttata la vanga da un lato si consegnarono.
Al buio non si vedeva, ma Mattia stava piangendo:
«Se l’era cercata il professor Ferrari ! Non poteva continuare a vivere. L’abbiamo fatto insieme…gli abbiamo dato un colpo in  testa mentre stava andando per il viale dei frati,  poi ci siamo dati da fare per far sparire il cadavere sperando di passarla liscia», sussurrò  indicando l’amico, «anche la sua ragazza è stata violentata da quel porco»,  chinando la testa porse i polsi per le manette
Il commissario lo guardò quasi con benevolenza, di solito era duro con chi arrestava, ma in quel momento non ce la faceva:
« L’omicidio è un grave reato, ma in questo caso avrete molte attenuanti a vostro favore, ne sono certo», rispose aiutando i due ragazzi a salire nella vettura.
 Si mise accanto all’agente Caputo, sbatté la portiera e disse: «Andiamo».

Pablito aveva detto la verità: all’alba di quella mattina, c’era un cadavere nel viale del convento.

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