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sabato 31 maggio 2014

Quarta puntata " INSEGUIRE UN SOGNO


 


Da quel momento avrebbe assecondato Sandro poi, conquistata la sua fiducia, voleva fuggire il più lontano possibile.

Scese per la cena nella grande sala, molti uomini si voltarono a guardarla, lei entrò a testa alta e si diresse al tavolo dove l’aspettava  Sandro. Questi, sorpreso, si alzò di scatto. Indossava una giacca di lino nero dal taglio impeccabile su pantaloni bianchi. Alto e asciutto com’era portava bene gli abiti eleganti, si poteva dire un bel ragazzo: capelli un po’ lunghi sul collo, biondi e sottili, occhi neri con forti sopracciglia, il viso aveva un’espressione dura accentuata da due pieghe che gli solcavano le guance.

“Sei in forma, a quanto pare!”, si rivolse a Serena con un risolino di scherno. “Si vede che la mia cura ti ha fatto bene!”.

Lei non rispose e sedette con calma.

“Vogliamo cominciare con un cocktail?”, disse sorridendo.

“Non credo a me stesso”, disse lui . “Sei sempre la Serena di due ore fa?”

“Sempre quella, anzi migliorata a quanto vedi”.

 Chiamò il cameriere e ordinò.

Bevvero il liquido dolciastro e forte in due grandi bicchieri di cristallo, Serena cominciò a chiacchierare senza un preciso argomento prendendo a pretesto qualunque cosa. Si sforzava di essere allegra, ogni tanto scoppiava in una risata. Sandro meravigliato la assecondava e finì per cedere all’atmosfera di allegria che si era creata fra loro, alla fine della cena le propose di andare in un night-club.

Serena salì in camera a prendere una sciarpa da mettere sulle spalle, passando davanti a uno specchio si guardò, notò l’espressione falsa, non abituale che c’era nei suoi occhi, si fermò un attimo: avrebbe saputo resistere fino a compiere il suo piano? Doveva averne la forza, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Si gettò la morbida stola sulle spalle e scese con tutta calma.

La notte estiva era rinfrescata da una leggera brezza marina, la lama d’argento del raggio lunare solcava il mare creando strani effetti di luce sulle onde, la costa si stendeva come un lungo serpente sinuoso pigramente adagiato sulla riva del mare tempestato da punti luminosi. Il paesaggio era incantevole: non mancava niente, la luna, il cielo stellato; loro due sembravano una coppia di romantici innamorati che passeggiavano sul lungomare. Purtroppo la realtà era ben diversa anche se Sandro, sempre più stupito, cominciava a guardare Serena con occhi diversi. Fra di loro si era creato il silenzio, nessuno dei due aveva niente da dire, troppo intenti a inseguire ognuno i propri pensieri. Camminavano vicini, lentamente, Sandro passò un braccio attorno alle spalle di lei. Serena istintivamente si ritrasse, ma si riprese subito e alzò il viso verso di lui sorridendogli.

L’atmosfera del night era di quelle solite: fumosa e greve. L’orchestra suonava un blues, una cantante nera, fasciata in un lungo abito di lamé, cantava con voce roca e sensuale, poche coppie ballavano sotto le luci azzurrate. Il cameriere li condusse a un tavolo appartato, ordinarono da bere e si sedettero. Nel frattempo sulla pedana era salito un giovanotto che cantava una canzone d’amore. Le note romantiche si diffondevano nell’aria, Sandro si alzò e senza parlare prese la ragazza per una mano conducendola in pista. Il corpo morbido di Serena, i suoi capelli profumati nei quali affondava il viso mentre si muoveva lentamente al ritmo della musica, gli davano un turbamento mai provato. Lui, il ragazzo di periferia cresciuto in mezzo alla strada, con tutti i sensi allenati a parare i colpi duri della vita, si sentiva come svuotato. Una mollezza interiore mai provata si era impadronita della sua anima a contatto di quel corpo femminile che aveva già posseduto con rabbia ma che ora gli lanciava segnali di sentimenti oscuri che gli mettevano addosso una strana inquietudine. Stringeva Serena con il piacere fisico di sentire il contatto dei suoi seni, dei suoi fianchi contro di sé. Lei lasciava fare, sentiva le mani di Sandro che la accarezzavano e intuiva che il desiderio di lui non era puramente fisico, con troppa tenerezza la toccava, ogni tanto allontanava la testa per guardarla con un’espressione che non gli aveva mai visto. “Bene”, pensava, “voglio che s’innamori di me, sarà più facile avere la sua fiducia”.

Sandro la riaccompagnò al tavolo, con un gesto galante le scostò la sedia:

“Prego”, disse guardandola negli occhi. Poi con la voce sommessa: “Sai che sei stupenda stasera?”

“Lo so”, rispose lei con un sorriso malizioso. Con un gesto della mano scostò dal viso i lunghi capelli biondi. Doveva affinare tutte le sue armi femminili di conquista per farlo cadere nella rete; aveva cominciato solo quella sera, ma notava che era a buon punto, non c’era ancora molto da fare...Quella notte finse, finse in tutti i modi il piacere che non provava e cercò di essere come la voleva lui, le costò fatica sperando che fosse l’ultima volta…

Il mattino dopo Sandro non aveva occhi che per lei, capiva di essere stato accalappiato da quella bionda che si era portato dietro solo per non farla parlare e per divertirsi come aveva già fatto con tante altre, ma non aveva fatto i conti con la dolce bellezza di Serena e con il suo modo di fare così accattivante che l’avevano completamente spiazzato.

Serena con un gesto grazioso si stirò come una gattina: “Che magnifica notte è stata!”, disse in un soffio. Sandro la prese per le braccia: “Mi prometti che non mi lascerai mai?”, il tono della sua voce e l’espressione degli occhi erano supplicanti.

“Ma certo, amore mio!”, gli rispose lei.

“E il giornalista?” chiese ancora Sandro.

Serena fece una pausa: “Tu me l’hai fatto dimenticare…”, disse puntandogli l’indice contro. Nel pronunciare queste parole ebbe una stretta al cuore, sapeva di mentire, come poteva aver dimenticato Peter!… Improvvisamente Sandro disse: “Oggi partiamo”.

“Per dove?”, chiese Serena distrattamente, come se la cosa non la interessasse affatto.

“Andiamo a Montecarlo da un tale che è disposto a comprarmi i diamanti …vedrai Serena, diventeremo ricchi, molto ricchi! Non ti pentirai di essermi stata vicina”.

 Sandro le prese il viso tra le mani e la baciò sulla bocca. Lei non si mosse, intanto la sua mente lavorava, mille pensieri si accavallavano fra loro: doveva trovare il modo di togliersi da quella situazione…era certa che se ne sarebbe andata, ma prima doveva mettere a punto un piano sicuro.

L’occasione si presentò poco dopo mentre stavano preparando le valigie:
“Guarda qui…”, Sandro le stava mostrando un piccolo necessaire di cuoio nero. “Ricordati di tenere sempre d’occhio questa valigetta…contiene il nostro futuro…la nostra vita insieme”.

Il ragazzo fece scattare la serratura e agli occhi stupefatti di Serena apparvero i diamanti…brillavano di una luce fredda sul fondo di velluto nero: erano tanti, grandi e piccoli, luminosissimi…lei non aveva mai visto tanta bellezza racchiusa in un pugno di sassolini iridescenti. Si mise una mano sulla bocca per non lasciarsi sfuggire un grido di meraviglia.

“Allora… che ne dici?”

Serena guardava assorta quel nido di luce: “Sono stupendi…”, rispose avvicinando la mano allo scrigno.

“No! “, la fermò lui. “Non si toccano”. Con un gesto secco fece cadere il coperchio. Improvvisamente Serena provò una grande tristezza, da quelle pietre venivano morte e dolore, per il loro possesso era stato ucciso Marcello e lei aveva tradito Peter rovinando così il loro amore appena sbocciato.

“Cosa ti succede? Hai cambiato faccia…non sei contenta?”, le chiese Sandro. “Ah, ho capito… , ma non ci pensare, il passato non conta più…godiamoci il presente!”, esclamò abbracciandola.

Lei istintivamente si ritrasse:

“No, stai tranquillo, non penso proprio a niente”, gli mise una mano attorno alle spalle. “Anzi, se proprio lo vuoi sapere, sai cosa penso?”, si fermò un attimo, poi riprese: “che avrei bisogno di qualche soldo, devo fare delle spese…”.

“Ma certo”, rispose Sandro sollevato, “sei stata una brava bambina e te lo meriti”.

Da una borsa prese tre pacchetti di banconote: “Ecco qua, sono tre milioni…oggi voglio essere generoso…tieni, sono tutti per te”.

Serena lo guardò sorpresa.

“Ho venduto tre brillanti e ho ricavato un sacco di soldi…e questi sono solo gli spiccioli. Prendi, non aver paura, vedrai che andrà tutto liscio come l’olio”. Nel dire questo infilò il denaro nella borsetta. “Adesso però devi sbrigarti, dobbiamo essere a Montecarlo prima di sera”.

 

Mentre la Ferrari filava a più di duecento all’ora sull’autostrada , Serena era nervosa. Accese la radio per distrarsi : un piano si stava costruendo nella sua mente; le ruote macinavano veloci l’asfalto bollente. In breve tempo furono al confine con la Francia, passarono il casello e proseguirono per il Principato di Monaco, poco dopo la baia di Montecarlo apparve ai loro occhi. Il porto era zeppo di yacht , le navi da crociera erano ormeggiate al largo, cominciavano ad accendersi le prime luci... era uno scenario fantastico! Ma nemmeno quello spettacolo straordinario riuscì a distogliere Serena dai suoi pensieri. Stavano percorrendo una lunga discesa tutta curve, quando Sandro disse:

“Qualcosa che non va?…non hai detto una parola per tutto il viaggio”.

Serena si scosse e, cercando di mascherare la sua inquietudine:

“No, tutto a posto. Sto guardando il panorama…è la prima volta che vengo da queste parti”.

Sandro non era molto convinto della risposta:

“Non essere preoccupata…in fondo stiamo facendo questo anche per tuo fratello. Ricordati che posso mandarlo in galera e…se le cose vanno bene a me, va bene anche per lui”.

Serena non rispose, ma le parole di Sandro dette in quel tono sarcastico la convinsero ad agire al più presto.

Montecarlo era pieno di gente, il traffico nelle strade strette e tortuose era congestionato, faticarono molto a trovare un parcheggio nei pressi del Casinò, dopo diversi tentativi riuscirono a infilare la Ferrari in un angolo in divieto di sosta, ma non c’era più tempo, Sandro doveva incontrare il compratore assolutamente prima delle diciannove, altrimenti questi se ne sarebbe andato.

“Aspettami qui, vado a vedere se c’è ancora il mio tipo”, disse nervosamente prima di scendere. Chiuse la portiera , ma si affacciò ancora dal finestrino: “Attenta! Il malloppo è sotto il sedile…”

Si allontanò in fretta senza voltarsi indietro. Il cuore di Serena accelerò il ritmo: ecco il momento che aspettava! Doveva agire al più presto. Aveva osservato, prima di partire, dove Sandro aveva sistemato i bagagli, il prezioso pacchetto era stato messo sotto il sedile posteriore. Per tutto il viaggio aveva aspettato di rimanere sola in macchina per una qualsiasi ragione: una sosta al grill, aveva perfino pensato di mandare Sandro in farmacia simulando un malore, ma nessuna di queste situazioni si era verificata, e ora non c’era neppure un attimo da aspettare…questa era l’ultima chance poi i diamanti sarebbero spariti. Aspettò qualche minuto , vide Sandro salire i gradini del Casinò e sparire dietro il portone, frugò freneticamente finché mise le mani sulla scatoletta di pelle nera. L’afferrò, mise la borsetta a tracolla e si precipitò fuori dalla vettura. Si mise a correre inseguita dagli sguardi stupiti dei passanti, infilò una viuzza tortuosa; con il respiro affannosa percorreva la salita voltandosi indietro di tanto in tanto, sbucò in una piazza dove c’era un posteggio di taxi: ecco la salvezza! Si accostò a una vettura e chiese tutto di un fiato: “A’ la gare!…alla stazione per favore”. L’autista la guardò sorpreso ma non fece commenti: ne aveva viste tante di persone strane!

Sul treno che la riportava in Italia Serena si era sistemata in uno scompartimento vuoto, era già buio, le luci della costa schiarivano quella notte estiva che aveva segnato un momento tanto importante della sua vita: stava ritornando se stessa, aveva finito di fingere l’amore… Non sapeva cosa le avrebbe riservato il futuro, ma a questo avrebbe pensato dopo, ora doveva solo compiere per intero la sua vendetta.

Arrivò a Milano che albeggiava, con la borsa ben stretta al petto scese la larga scalinata della stazione centrale. Un brivido la percorse, si guardò addosso e si accorse di essere vestita solo con una maglietta e un paio di jeans. Voleva andare a casa a prendere qualche indumento, ma aveva paura… avrebbe potuto incontrare Sandro, con la Ferrari in poche ore poteva essere arrivato prima di lei. Meglio essere prudenti. La piccola borsa con il tesoro le pesava come un macigno, quelle pietre sporche di sangue dovevano essere restituite! Con una telefonata anonima alla Questura si tolse dal cuore questo grande pensiero. Sistemò il necessaire in una cassetta per il deposito bagagli alla stazione, mise la chiave in una busta e la inviò alla polizia. Un grande respiro di liberazione uscì dal suo petto quando imbucò la lettera…

 

(continua sabato prossimo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sabato 24 maggio 2014

TERZA PUNTATA " INSEGUIRE UN SOGNO"


 

 Stancamente si rialzò e andò a controllare se nella ventiquattrore c’erano rimasti almeno i documenti. La valigia era aperta, ma il contenuto intatto: soldi, documenti, biglietto dell’aereo, non mancava niente. Ritto in mezzo alla stanza cercava di riordinare le idee: se c’erano stati dei ladri, perché avevano lasciato quel bel mucchietto di dollari? Sommariamente fece un inventario per vedere cosa mancava e con stupore si accorse che la sola cosa rubata era proprio il quadro. Il primo impulso era stato di rivolgersi alla polizia, ma poi ci ripensò.

“Calma”, si disse, “in questa faccenda c’è qualcosa che non mi convince, tutta questa messinscena è stata fatta per simulare un furto, ma quello che interessava  era soltanto quella tela”.

 Prese il cellulare e chiamò Serena. Il suono intermittente gli perforava l’orecchio, restò in attesa per qualche minuto…dall’altro capo non rispondeva nessuno. Interruppe la comunicazione e  rimase immobile a fissare il vuoto; non sapeva cosa pensare né cosa fare: la sua testa era un tumulto di pensieri.     Quel pomeriggio Serena si era comportata in modo strano, specialmente da quando aveva incontrato quel ragazzo in jeans.  Rifece il numero sperando di sentire la voce di Serena,  il segnale si ripeteva monotamente, ma inutilmente. Con un gesto rabbioso buttò il telefono sul letto: il disordine nella stanza gli fece salire il sangue alla testa. Per calmarsi  cominciò a buttare nelle valigie vuote i suoi vestiti e tutto quello che gli capitava in mano, avrebbe dovuto comunque mettere via tutto quella sera in previsione della partenza, tanto valeva farlo subito così si scaricava la tensione accumulata in quella mezz’ora. Quando i bagagli furono finalmente fatti ritentò ancora la telefonata a Serena e dovette arrendersi, non rispondeva nessuno. “Benissimo”, si disse, “vado a parlarle di persona…”.  Si precipitò fuori dalla camera e infilò le scale a precipizio senza aspettare l’ascensore, attraversò l’atrio di corsa seguito dallo sguardo esterrefatto del portiere. Sempre correndo attraversò il parcheggio, si fece consegnare le chiavi della Jaguar dal ragazzo e partì facendo stridere le ruote sull’asfalto. Guidava nervoso premendo il piede sull’acceleratore, attraversò Milano incurante dei semafori rossi, rischiando un incidente ad ogni angolo di strada; il pensiero fisso a Serena con la smania di parlarle per capire cosa stava succedendo. Si arrestò davanti al portone del residence con una brusca frenata, scese sbattendo la portiera e si precipitò dentro. Una voce lo fermò: “Ehi! dove va?” Il custode lo fissava con uno sguardo inquisitore.

“Vado da Serena Molinari”, rispose Philip spazientito.

“La signorina è partita”, l’uomo scoprì i denti gialli in un sorriso idiota: “lei è il signor Randon?”, aggiunse.

“Sì, sono io”, rispose lui seccato.

“Ho una lettera per lei”, e gli allungò una busta bianca sulla quale a carattere stampatello era scritto il suo nome.

 Philip la prese e non disse nemmeno grazie, si allontanò di qualche passo mentre il portinaio allungava il collo per sbirciare incuriosito. “Amore mio, perdonami, devo partire e non posso spiegarti altro. Forse non ci rivedremo mai più, però ricordati che ti amo. Serena”.

A Philip scappò una parolaccia. Delusione, amarezza, dolore, sensazioni violente mai provate, lo sconvolsero. Una stretta allo stomaco gli faceva quasi mancare il respiro. Accese una sigaretta nervosamente, il sapore acre del fumo gli entrò in gola e lo fece stare peggio. Con un gesto rabbioso buttò la sigaretta sull’asfalto e la schiacciò col piede. Rigirava il foglio di carta fra le mani: non avrebbe mai immaginato di rimanere così bastonato e distrutto. Lentamente si diresse verso la macchina, entrò e si mise al volante. Rimase così per qualche secondo immobile. Perché? Si chiedeva. Perché?

Avviò il motore e partì. Le immagini gli si paravano davanti come sfocate: rivedeva Serena sdraiata nel letto quella mattina, i biondi capelli sparsi sul cuscino, la piccola bocca imbronciata, sul viso ancora la mollezza della notte d’amore passata con lui. Rivedeva la sua immagine dipinta sul quadro con quell’espressione intensa e misteriosa che l’aveva colpito. E non riusciva a capire quale importante parte avesse quel quadro in tutta la vicenda, qualcosa doveva pur significare se era sparito, se gliel’avevano rubato mettendo a soqquadro tutta la stanza.

Passò la notte agitata, si assopiva per brevi periodi poi si svegliava di colpo. Accendeva la lampada sul comodino, cercava automaticamente con la mano il pacchetto di sigarette e l’accendino; restava fermo a sedere sul letto a fissare le volute di fumo azzurro che si alzavano lentamente nell’aria. Vide dalle finestre aperte stingersi il cielo a poco a poco nei colori dell’alba…

L’aereo per New York partiva alle dieci dall’aeroporto della Malpensa, ormai non poteva più rimandare: il suo direttore l’aspettava per proporgli un altro incarico che avrebbe accelerato notevolmente la sua carriera.. I bagagli erano già fatti, non gli restava che aspettare il portiere di giorno per saldare il conto, poi avrebbe lasciato Milano. Ma doveva tornare, doveva sapere, doveva ritrovare Serena, non poteva cancellarla così dalla sua vita.

L’aereo partì puntuale in una mattinata di sole, addio Italia, addio Milano, anzi arrivederci!               

+++

 

Era una giornata perfetta: una leggera brezza mitigava la calura, il mare appena increspato brillava sotto i raggi del sole, il cielo era terso, senza una nuvola, qualche vela bianca creava qua e là delle macchie rompendo la monotonia di tutto quell’azzurro. Con gli occhi socchiusi, immobile, Serena se ne stava allungata su una sedia a sdraio lasciandosi scaldare dai raggi del sole: il suo corpo abbronzato sembrava una statua. Pensava a Philip , era stata costretta a lasciarlo così bruscamente che ancora non si era resa conto del male che gli aveva fatto…forse non l’avrebbe più rivisto! A questo pensiero una stretta al cuore le fece capire che si era innamorata di lui , avrebbe voluto che non fosse successo per non soffrire ancora. Era stata coinvolta suo malgrado in un gioco pericoloso dal quale era molto difficile uscire, ma quando si ritrovava con se stessa il pensiero correva irresistibilmente ai giorni trascorsi con lui, ricordava l’ultimo giorno …e ancor più l’ultima notte.

Una voce alle sue spalle la fece trasalire:

“Cosa fai tutta sola?”

Sandro l’aveva raggiunta alle spalle e si chinò per baciarla. Lei istintivamente si ritrasse.

“Cosa c’è? Qualcosa non gira per il verso giusto?”, il ragazzo si accucciò vicino a lei con un movimento lento e pigro.

Serena non aveva voglia di parlare: “Niente…non c’è niente…ho solo un po’ di emicrania”, rispose distrattamente.

“L’emicrania è sempre una buona scusa quando si vuole fare la schizzinosa…”, aggiunse lui sarcastico.

La ragazza non rispose e si girò dall’altra parte.

“Ah, ho capito, la signorina sta pensando al giornalista…Sono contento di aver fregato quell’americano, mi stava proprio sulle scatole!”

Serena si alzò, raccolse gli zoccoli abbandonati sulla sabbia, prese la borsa e fece per andarsene.

Sandro la prese per un polso e strinse forte.

“Mi fai male!” La ragazza si volse e lo guardò in viso con l’aria di sfida.

“Non credere di andartene così, ti ho fatto una domanda…mi devi rispondere”.

Sandro aveva la faccia dura, i capelli biondi scompigliati sulla fronte, le vene del collo turgide, l’ira repressa dava al suo viso un’espressione cattiva.

“Allora, se lo vuoi sapere stavo pensando proprio all’americano e mi dispiace di averlo trattato in quella maniera, non se lo meritava! Se mi davi tempo si potevano fare le cose diversamente… avresti recuperato lo stesso quei tuoi maledetti diamanti…”.

Serena era sconvolta, il suo corpo snello vibrava come una corda tesa, i suoi occhi chiari si erano incupiti, le lacrime stavano per sgorgare … si allontanò per non farsi vedere da Sandro, per non fargli capire che era veramente innamorata di Philip.

Il ragazzo la guardò allontanarsi, “ ci penserò io a fargliela passare, non posso permettere che una ragazzina mandi a monte il mio piano perfetto..”.

Già da quando era cominciata tutta la faccenda aveva messo in dubbio che Serena avesse il sangue freddo per portare a termine il colpo, troppo romantica e con la testa fra le nuvole, ma poi aveva dovuto fidarsi di lei: era la sola che potesse avvicinare il giornalista senza destare sospetti.

L’aveva convinta con il ricatto. Ne sapeva di cose lui sul conto di Walter, il fratello di Serena, un poco di buono amico di Marcello, il pittore assassinato! L’aveva visto quella sera di gennaio, quando tutti e due reduci dalla rapina al gioielliere di via Montenapoleone, erano rientrati nella mansarda a notte alta. Fuori nevicava e faceva un freddo cane, appostato dietro una colonna del cortile li aspettava. Sapeva del colpo, avrebbe dovuto partecipare anche lui ma l’avevano estromesso all’ultimo momento, voleva affrontarli per chiedere spiegazioni. I due erano scesi dalla macchina , avevano raggiunto il portone e di corsa erano filati sulle scale. Furtivamente li aveva seguiti, la notte era gelida ma il sudore gli colava dalla fronte. Marcello e Walter si erano chiusi la porta di casa alle spalle, poco dopo aveva sentito le voci degli amici alzarsi di tono e si era fermato a origliare: “I patti non erano questi, sei un bastardo!”, era la voce di Walter.

“Se ti va bene è così, se no vai aff…”, aveva gridato Marcello. Le cose si stavano mettendo male, e Sandro aveva preferito svignarsela prima di essere scoperto. Il giorno dopo aveva rivisto Walter: “Quel porco mi ha fregato”, gli aveva detto senza preamboli, “mi ha promesso solo un terzo del malloppo, il resto lo vuole per lui, ma stasera deve sputare tutto, altrimenti…”.

Dal tono minaccioso si capiva che non scherzava, a qualunque costo avrebbe preteso la sua parte. La mattina seguente aveva letto sul giornale del delitto e ne aveva tratto le sue conclusioni. La polizia l’aveva interrogato, ma dalla sua bocca non era uscita una parola. Nel frattempo si era fatto le indagini per proprio conto e, nel mondo della mala c’è chi sta zitto ma c’è anche chi spiffera per qualche euro in più. Aveva saputo che anche Walter era rimasto a bocca asciutta, dei diamanti neanche l’ombra. Il caso era rimasto insoluto e le indagini si erano arenate.

Aveva lasciato passare qualche giorno poi, con un pretesto, si era introdotto nella soffitta di Marcello: aveva provato un senso d’angoscia nel vedere il luogo dove il suo amico aveva perso la vita, ma si era ripreso subito e, senza lasciarsi prendere dagli scrupoli, come era nel suo carattere, aveva rovistato freneticamente dappertutto: negli stipiti delle porte, dentro gli armadi, perfino sotto le mattonelle sconnesse e nei tubetti di colore…niente. Aveva dovuto arrendersi e andarsene.

Per puro caso, dopo qualche mese, aveva fatto un’incredibile scoperta: il pittore nell’ultimo giorno della sua vita aveva ceduto il quadro raffigurante Serena (una delle sue opere migliori) a una galleria d’arte in via Brera. Gli era balenata l’idea che poteva anche essere quella giusta: Marcello aveva nascosto i suoi diamanti dentro la cornice, aveva messo al sicuro il quadro e se lo sarebbe ripreso quando le acque si fossero calmate. Si era precipitato alla galleria ma… il quadro era già stato venduto, a un certo giornalista americano, gli aveva detto l’antiquario.

Allora il piano aveva preso forma nella sua mente: Serena, la ragazza di Marcello!

L’aveva aspettata una sera davanti all’uscita dello studio fotografico dove la ragazza stava posando per delle foto pubblicitarie:

“Ciao, Serena, ti ricordi di me?” Lei l’aveva fissato stringendo gli occhi.

“Certo che mi ricordo, sei Sandro. Come stai?”

“Ti sei fatta più bella, lo sai?”

“Non direi, con tutto quello che ho passato…”

“Si vede che il dolore ti dona…vuoi un passaggio?”

La ragazza aveva accettato la corsa in moto con una certa riluttanza. Davanti al cancello di casa le aveva chiesto senza preamboli: ”Posso salire un momento?”

Serena aveva farfugliato una scusa: “Non posso, c’è mia zia in visita.”


“Dai raccontala a un altro la storia della zia, a me non mi freghi”, aveva esclamato Sandro con un risolino canzonatorio. “Anzi, devo chiederti notizie di Walter e credo sia molto meglio andare in casa.” L’aveva spinta con malgarbo verso il cancello: “ Dai, non fare la stupida, devo parlarti”.

Di sopra, le aveva detto bruscamente: “ Sai che tuo fratello è nei guai?”

“Perché?”, aveva risposto lei con la voce strozzata.

“…e se non è nei guai ce lo metto io” , aveva continuato lui “ a meno che…”


Serena era spaventata e si aspettava qualsiasi cosa da quel tipo.

“Tu non collabori”, aveva continuato lui .

“Cosa devo fare?” aveva chiesto lei con un filo di voce.

“Ascoltami bene, tuo fratello è un gran figlio di puttana, sono certo che è stato lui ad uccidere Marcello”.

“No…non è vero! Sei un bugiardo…”, l’urlo le era uscito dalla gola , era sconvolta, con le mani si era coperto il viso bagnato di lacrime.

“Gli ho parlato, l’ho visto e ho sentito quando minacciava Marcello, se non mi credi, prova a chiederglielo…a proposito dov’è andato? Sarà uccel di bosco per un bel po’ di tempo ormai…Ma se vuoi puoi aiutarlo, solo tu lo puoi fare”.

“Come ?” aveva chiesto Serena talmente scossa che non aveva più reazioni.

“Devi manipolarti un tale, il giornalista che ha il tuo quadro, devi mettercela tutta per portarglielo via… mi hai capito? Se non ce la fai tu, ci penserò io. Prima però devi andare dall’antiquario e promettergli qualsiasi somma per ricomprarlo”.

“Perché?”, aveva chiesto lei stordita dalle sue parole.

“Sono sicuro che dentro la cornice c’è una bella sorpresa!”

Alla fine Serena, stremata aveva acconsentito, era disposta a fare qualsiasi cosa pur di tenere Walter in libertà. Era molto affezionata a suo fratello, fin da piccola vedeva in lui il suo difensore, il paladino che la salvava dai draghi; avevano trascorso l’infanzia in un piccolo paese di provincia dove la vita non era facile e la miseria era di casa. Ora toccava a lei ricambiare e difenderlo come poteva anche se in cuor suo non poteva credere che lui fosse un assassino. Era stato sviato dalle cattive compagnie, ma non poteva essere diventato così cinico e feroce da togliere la vita al ragazzo di sua sorella. Purtroppo in quel momento non le rimaneva altra scelta e aveva ascoltato sottomessa tutto quello che le diceva Sandro. 

+++

Abbandonata sul letto, Serena piangeva. Dalla finestra aperta entrava una luce accecante, là in fondo il bagliore azzurro del mare era offuscato dalle lacrime che le riempivano gli occhi e scendevano sulle guance. Non le importava niente di niente, il paesaggio stupendo, l’albergo di lusso, l’armadio pieno di vestiti griffati…avrebbe dato tutto per ritornare a essere la ragazza che si guadagnava da vivere lavorando onestamente. Pensava a Philip,a come era stata felice con lui, in un periodo così triste della sua vita. Rivedeva il suo viso dai lineamenti marcati, la ruga sulla fronte, la bocca sottile che si apriva in un sorriso simpatico, l’espressione severa degli occhi che si addolciva quando la guardava…le tempie leggermente brizzolate…risentiva le carezze delle sue mani asciutte sul suo corpo…non era possibile dimenticare tutto questo. Il suo grande rammarico era di averlo tradito, di aver carpito con l’inganno il suo amore.

Due colpi alla porta la fecero trasalire, la voce di Sandro era stizzita:

“Serena, fammi entrare!”

“Non mi sento bene.”, rispose lei.

“Fammi entrare o sfondo la porta!”, il tono non ammetteva dubbi.

Serena si alzò con fatica e a piedi nudi andò ad aprire l’uscio. Indossava solo un bikini bianco che faceva risaltare l’abbronzatura del suo corpo giovane: le gambe lunghe, i seni piccoli, le spalle esili ma non magre, i lunghi capelli biondi le ricadevano in ciocche disordinate illuminati dalle mèches naturali del sole, gli occhi chiari luccicavano per le lacrime. Sandro entrò infuriato, ma si calmò subito alla visione di lei.

“Cosa fai, piangi?”, le chiese cercando di mettere della tenerezza nella sua voce.

“Non importa”, rispose la ragazza e con il dorso della mano si asciugò gli occhi. “Cosa vuoi?” chiese.

“Volevo vederti”. Il suo sguardo voglioso scrutava il corpo di Serena, si avvicinò mettendole una mano sui fianchi.

“Posso consolarti? Io so farlo molto bene…”.

Lei si ritrasse istintivamente con un moto brusco, la mano di Sandro cadde inerte.

“Eh, no, non devi fare così, non era nei patti…ricordati sempre di Walter. Se l’hai dimenticato questo è il momento di rinfrescarti la memoria”.

L’abbracciò con forza e la tenne stretta contro di sé. Serena si divincolò, riuscì a sfuggirgli solo per un attimo, lui le balzò addosso e con uno spintone la buttò sul letto.

Lei sentiva il respiro affannoso di lui sul collo, le sue mani frugarla tutta, strapparle il costume…non aveva la forza di resistergli e lui la prese con una furia bestiale che la lasciò stordita e dolorante.

Giacquero supini e immobili senza parlare, lei non aveva il coraggio di voltare il viso verso di lui, per brevi istanti che sembrarono eterni, nessuno dei due si mosse; poi lentamente con mossa studiata Sandro si alzò.

“Adesso sei la mia ragazza, hai capito bene? Nessuno ti deve guardare e tu non devi pensare a nessuno…ci siamo intesi?”

Serena non rispose, non ne aveva la forza, una specie di nausea le saliva dallo stomaco e le impediva qualsiasi movimento. Lo guardò diritto negli occhi per fargli capire tutto il suo disprezzo. Sandro uscì sbattendo l’uscio.

Serena andò sotto la doccia, lentamente, come se si preparasse a un rito purificatore. L’acqua tiepida le scorreva lungo il corpo, le bagnava i capelli, cancellava le lacrime dal viso e lei stava lì a farsi lavare, immobile, come per cancellare l’oltraggio subìto. Aveva una rabbia dentro che la faceva star male, doveva vendicarsi, in qualunque modo, ma doveva far pagare caro a quel mascalzone la violenza cui era stata sottoposta.

Piano piano si calmò, si asciugò con cura, andò nell’armadio e scelse il suo vestito più raffinato: un lungo peplo di chiffon bianco che si raccoglieva in un morbido drappeggio sulla spalla sinistra e scendeva fluttuante e ampio fino ai piedi. Si truccò con cura, guardandosi allo specchio con attenzione, sottolineò il contorno degli occhi, ravvivò le ciglia, passò un rossetto corallo sulla bocca, una goccia di profumo dietro le orecchie e nella scollatura. Indossò un prezioso collier e un bracciale di turchesi: ecco, era pronta per cominciare la sua vendetta.

venerdì 16 maggio 2014

SECONDA PUNTATA "INSEGUIRE UN SOGNO"


Passò metà del pomeriggio negli archivi del Corriere della Sera, sfogliò i giornali di qualche mese prima e finalmente un titolo su tre colonne colpì la sua attenzione <<Delitto nel mondo degli artisti.  Un pittore trovato morto nella sua mansarda >>. Seguiva la cronaca con i particolari; poi dai colleghi del giornale seppe tutto più dettagliatamente.

 Il pittore era stato assassinato nella notte tra il 15 e il 16 gennaio per motivi  sconosciuti, non era stato trovato nulla che potesse giustificare un movente.

 La ragazza che stava con lui, una certa Serena Molinari, era stata interrogata a lungo, ma non era servito a dissipare il mistero, nel ménage della coppia non c’era niente di oscuro: erano due ragazzi che vivevano come tanti altri cercando di sbarcare il lunario, un po’ vendendo i quadri di lui e un po’ con il lavoro di fotomodella di lei.

 Un delitto non risolto, la polizia dopo una serie d’indagini che avevano dato esito negativo, aveva archiviato il caso.

Philip ora sapeva chi era la ragazza del quadro e non vedeva l’ora di conoscerla, voleva parlare con lei, vederla da vicino… dare vita al ritratto gli sembrava una specie di miracolo. 

Si recò alla casa del delitto all’imbrunire: era una casa di ringhiera, una tipica costruzione milanese dei primi del Novecento, l’intonaco rossiccio dei muri era scrostato qua e là,i balconcini grigi in ferro battuto erano pieni di fiori e davano un tocco di allegria allo stabile un po’ malandato, il portone di legno era aperto e Philip entrò.

“Desidera?” chiese la custode.     

“Abita qui Serena Molinari ?”, chiese lui.

Prima di rispondere la donna lo squadrò da capo a piedi , poi con malgarbo disse:

“Ancora interrogatori? Ne abbiamo avuto abbastanza di questa storia! comunque Serena non abita più qui, se n’è andata da più di un mese”.

Philip guardò quella donna grassa e spettinata che gli stava davanti con l’occhio vuoto, questa interpretò quello sguardo alla sua maniera e riprese a parlare a voce più alta: “Non mi crede ? Vada, vada su se si vuole fare quattro piani a piedi , troverà la porta chiusa !”

Fece per rientrare, ma si voltò ancora: “E non mi chieda dov’è andata perché non lo so”, e con queste parole gli sbatté definitivamente l’uscio in faccia.

Philip non aveva avuto modo di replicare: era destino che non potesse incontrare la donna del quadro, rimaneva sempre un miraggio che svaniva nel momento in cui stava per raggiungerlo.

+++

Philip, seduto al tavolino di un bar all’aperto guardava pigramente la gente passare: il suo sguardo vagava senza posarsi su niente. Era una giornata vuota, finalmente poteva permettersi qualche ora di dolce far niente; quando raramente gli capitavano queste occasioni preferiva starsene solo, senza parlare, passava il tempo osservando gli altri che si muovevano intorno a lui. Da buon americano stava sorseggiando un whisky, il liquore forte gli scendeva nello stomaco dandogli calore e una leggera euforia. Gli piaceva l’Italia, ma soprattutto gli piaceva Milano con la sua gente schietta che viveva senza pregiudizi né provincialismi portandosi dentro con naturalezza e forse anche senza rendersene conto, un retaggio di civiltà antica. Si guardava intorno anche perché sapeva che sarebbero state le ultime giornate italiane, ancora qualche settimana e sarebbe dovuto partire: il suo giornale lo richiamava in sede.

 Una voce femminile lo trasse dalle sue considerazioni:

“Scusi, lei è Philip Randon ?”

Lui si voltò: in piedi, vicinissima a lui, avvolta in uno scialle nero con le frange che le accarezzavano i polpacci, c’era Serena, la ragazza del quadro. Indossava un maglioncino rosa a collo alto e una larga gonna a fiori; le calze a rete facevano risaltare le gambe snelle; i capelli biondi, scompigliati le incorniciavano il viso e gli occhi grigi avevano la stessa espressione leggermente stupita del ritratto. L’americano balzò dalla sedia:

“Sì, sono io”, riuscì a farfugliare. La mano sottile della ragazza si tese verso di lui:

“Sono Serena Molinari, scusi se mi permetto di disturbarla. Sono stata in albergo e il portiere mi ha detto che lei ha l’abitudine di trascorrere qualche ora qui, quando non ha impegni . Io ci ho provato … e sono stata fortunata ".

Lui l’interruppe:

 “Anch’io ho tentato di mettermi in contatto con lei, ma ho avuto meno fortuna purtroppo”.

 Sebbene abituato all’imprevedibile che faceva parte del suo mestiere, Philip era rimasto come imbambolato: dopo averla tanto cercata eccola lì, davanti a lui, materializzata come per un arcano incantesimo. Erano imbarazzati tutti e due e per un attimo non dissero niente; la ragazza prese l’iniziativa e, scostando la sedia dal tavolino chiese: “Posso sedere?”

“Certamente ”.

 “Forse avrà già capito il motivo per il quale sono qui, il signor Pagani mi ha detto che lei non vuole cedere il quadro che ha acquistato alla galleria … ci tengo a riaverlo, è l’ultima opera di Marcello”, improvvisamente la sua voce s’incrinò.

“Pagani mi ha spiegato tutto ", Philip s'interruppe, ancora non riusciva a rendersi conto di averla così vicina, "Voleva molto bene a quel pittore?” chiese poi osservando gli occhi grigi che si stavano inumidendo..

“ Ora che non c’è più mi sento come smarrita”, sussurrò lei .

 Philip la guardava e gli faceva tenerezza: non era molto alta, la figura snella e un po’ fragile, la pelle bianca , una piccola vena azzurra le solcava la tempia destra.

 “Facciamo due passi?”, propose, anche per interrompere quell’attimo di commozione..

Passeggiarono per le vie del centro per quasi due ore, alla fine Philip sapeva tutto di lei: che veniva dalla provincia, che lavorava saltuariamente per agenzie pubblicitarie e per i giornali di moda , e che, dopo la morte di Marcello, divideva con un’amica un piccolo appartamento in un residence a Porta Romana.  Quando si salutarono era già buio.

 Lui la volle rivedere ancora il giorno dopo, e poi ancora…e ancora…preso dall’incanto di lei, complici la primavera, le serate sui Navigli, le passeggiate fra la gente sotto i portici affollati di Corso Vittorio Emanuele, i portoni compiacenti delle viuzze oscure della vecchia Milano per baciarsi ancora prima di augurarsi la buona notte.

+++

La luce del giorno entrava dalle fessure delle tapparelle abbassate creando strani giochi luminosi sulle pareti; Philip aprì gli occhi e pigramente allungò un braccio: sentì il calore del corpo di Serena; sorrise e si voltò a guardarla mentre dormiva. I capelli sparpagliati sul cuscino sembravano una matassa ingarbugliata di fili d’oro, il viso con le palpebre abbassate assumeva un’espressione dolcissima e innocente. “Serena”, pensò in contemplazione, “meravigliosa, tenera, appassionata…”L’aveva sempre saputo; da quando aveva visto quel quadro alla galleria d’arte era stato attratto da lei inconsciamente. Serena si svegliò e gli si strinse addosso:

“Domani è l’ultimo giorno, poi partirai e non ti vedrò mai più!”. La sua voce sommessa e ancora impastata di sonno era appena percettibile. Lui le accarezzò i capelli: “Non pensarci adesso … tornerò , te lo prometto”.

“Non è vero, io non ci credo, ma non importa…è stato bello lo stesso!” Lo baciò leggermente su una guancia. Philip si stirò, mise i piedi giù dal letto e si alzò; andò ad aprire le finestre:

“Svelta pigrona, alzati! c’è il sole…se fai presto ti porto a pranzo in un bel ristorantino in riva al lago, dai sbrigati”.

“Uffa ,è così bello stare qui! Lasciami ancora un pochino intanto che ti fai la doccia”.

“E va bene ”. Philip saltellando a piedi nudi si infilò nel bagno e aprì il getto d’acqua calda. Mentre si insaponava gli venivano in mente le parole di Serena: “Non ti vedrò mai più” e risentiva sotto le sue mani il suo corpo un po’ acerbo, con la pelle morbida e liscia …Si stava innamorando o gli piaceva solo fisicamente? la cosa certa era che non voleva perderla e che sarebbe tornato per rivederla. Si asciugò in fretta e ancora con l’accappatoio umido tornò nella stanza. Serena era in piedi sul letto che stava armeggiando attorno al quadro.

 “Cosa stai facendo?”, le chiese sorpreso.

 La ragazza si voltò di scatto e diventò rossa.

“Niente, lo stavo rimettendo a posto, mi sembrava storto!”

 Si staccò dalla parete e si buttò sul letto scoppiando in una risata .

 “Accidenti che paura mi hai fatto! Non prevedevo che saresti uscito così presto dalla doccia”.

 Lo abbracciò e allontanò il viso per guardarlo negli occhi:

 “Mi lascerai il quadro?” gli chiese.

Philip diede un’occhiata al dipinto e fu ripreso dalla sua magia :

 “Tornerò… ma non posso lasciarti quel quadro, se lo porto con me sarà come averti vicina… ”, rispose accarezzandole il viso con dolcezza. Serena rimase pensierosa per un attimo poi si riprese e allegramente disse: " D'accordo, ormai il quadro è tuo, cercherò di non pensarci..." poi cambiando improvvisamente tono:
 “Allora, mi vesto? andiamo a mangiare in quel posticino delizioso?…anzi ti propongo qualcosa di meglio, seguimi e vedrai !”, aggiunse allegramente.

Il ristorante era affollatissimo e dovettero faticare un bel po’ prima di trovare un tavolo libero: era frequentato per la maggior parte da artisti , a giudicare dall’abbigliamento stravagante. Philip avrebbe preferito andarsene in riva al lago, un posto tranquillo dove avrebbero parlato con calma; ma era l’ultimo giorno e per non contraddire Serena aveva accettato di seguirla.

Tutta quella gente lo innervosiva, Serena invece sembrava trovarsi perfettamente  a suo agio, molti la salutarono con confidenza, anche il cameriere la riconobbe e si avvicinò premuroso: ordinarono bistecca ai ferri, insalata e gelato alla crema.


Stavano mangiando in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri; Philip osservava Serena: aveva le guance arrossate, i denti bianchi un po’ irregolari trituravano la carne quasi con crudeltà, sembrava una piccola belva intenta al pasto. Gli piaceva tutto di lei, anche il modo di mangiare, si rese conto in quel momento che quella ragazzina bionda l’aveva stregato, era veramente innamorato e il solo pensiero di lasciarla lo faceva star male. In quei meravigliosi quindici giorni passati insieme non le aveva mai detto che l’amava; doveva dirglielo…doveva chiederle d’aspettarlo perché sarebbe tornato presto per portarsela via con sé. Lei gli sorrise :

“A cosa pensi?”, chiese. Lui le prese una mano:

“Ne parliamo più tardi…non è questo il luogo per dire certe cose”, rispose, la sua voce tradiva una certa emozione.

Un ragazzo biondo, in jeans rattoppati e maglione stinto, scarpe piuttosto malandate, si avvicinò al tavolo. Philip lo guardò sorpreso, ma l’altro come se neppure lo vedesse si rivolse a Serena:

“Posso parlarti?”. La ragazza turbata chiese scusa e si alzò allontanandosi con il giovane. Philip li vide parlare animatamente: lei sembrava sul punto di piangere, lui gesticolava alzando la voce. Quando Serena tornò al tavolo aveva gli occhi lucidi e il viso in fiamme.

“Cosa è successo?”, chiese Philip preoccupato.

“Niente di importante… è un mio vecchio amico”, rispose lei, poi prese la borsetta dalla sedia e: “Scusami, non mi sento bene…vorrei andarmene, mi accompagni?”, disse con la voce in gola.

Attraversarono la sala in silenzio, ma appena fuori Philip non riuscì a trattenersi:

“Si può sapere perché sei così sconvolta ?”, disse prendendola per le braccia. Lei si tirò indietro, un’ombra passò nei suoi occhi chiari:

 “Ti prego… stasera non mi chiedere niente, ti prometto che domani ti dirò tutto…non ti preoccupare …va tutto bene”, cercò di sorridere, “ adesso vorrei tornare a casa…ho la testa che mi scoppia…”.

Salirono in macchina e lungo il percorso nessuno dei due parlò, quando arrivarono lei gli diede un bacio frettoloso e s’infilò nel portone del residence senza voltarsi indietro.


Philip era stupito e non riusciva a rendersi conto del cambiamento di Serena: così affettuosa e carina fino a quando non erano entrati in quel maledetto ristorante. Doveva partire il giorno dopo e non era riuscito a dirle quello che voleva, non avevano nemmeno parlato di rivedersi. “Le telefonerò stasera”, pensò, ma, mentre guidava per tornare in albergo ripensava al viso arrossato, agli occhi grigi spaventati e si chiedeva il perché. Con una brusca frenata si arrestò davanti all’hotel, un fattorino gli andò incontro per aprirgli la portiera, distrattamente consegnò al ragazzo le chiavi della vettura e si avviò verso la hall.

“Ci sono novità?”, chiese al portiere che leggeva un giornale dietro il banco.

“No, mister Randon nessuna novità”, rispose l’uomo con voce incolore.

Quando aprì la porta della sua camera lo spettacolo che gli si parò davanti lo fece restare senza fiato. Tutto era sottosopra: i cassetti vuotati, il letto disfatto, le valigie per terra, gli armadi aperti. Lo prese un senso di sgomento e di impotenza davanti a tanto sfacelo e si lasciò andare di colpo a sedere sulla poltroncina ai piedi del letto: alzò lo sguardo e lo colpì, come un pugno nello stomaco, il vuoto sulla parete: il quadro di Serena non c’era più!

 

( continua  sabato prossimo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

venerdì 9 maggio 2014

INSEGUIRE UN SOGNO


Il cielo era livido, le folate d’aria fredda promettevano un temporale imminente. Philip Randon, corrispondente a Milano di un importante quotidiano di New York  camminava a testa bassa  per Via Brera stringendosi addosso l’impermeabile.  Improvvisamente un violento scroscio di pioggia lo bagnò da capo a piedi, si guardò intorno per cercare rifugio, poco distante scorse le luci di una galleria d’arte.

“ Benissimo”, pensò, “mi ficco lì dentro, sarà sempre meglio guardare quadri che rischiare una polmonite”.  Spinse la porta della galleria ed entrò.  Pochi visitatori guardavano distratti le tele appese alle pareti, qualcuno di loro forse era entrato per il suo stesso motivo: ripararsi dalla pioggia.

 Philip cominciò il  giro delle sale, la pittura lo aveva sempre interessato e sapeva riconoscere a colpo d’occhio una buona opera da una crosta; erano in mostra pittori contemporanei, anche sconosciuti; qualcuno di  loro aveva del talento e meritava una sosta più prolungata. L’occhio si fermò su un quadro non molto grande, con una cornice di legno scuro, quasi nascosto dietro una colonna. Era un viso di donna dall’espressione intensa, lievemente corrucciata; il pittore aveva saputo dare una luce particolare agli occhi chiari. Si  avvicinò interessato: la ragazza ritratta era bionda, con i lunghi capelli spettinati; rimase a guardare la tela quasi incantato da quel viso di donna. Nell’angolo di destra c’erano solo le iniziali del pittore M.R., un artista sconosciuto, ma certamente valido: la pennellata sicura, decisa, i colori sfumati.  Ma quello che l’attirava di più, al di là della maestria dell’artista, era l’espressione di quel volto femminile: forse era la donna che aveva sempre sognato, un ideale che si era sempre portato dentro fin dalla prima giovinezza, una cosa un po’ infantile frutto di pensieri e desideri nascosti. Una voce alle sue spalle lo tolse dalla contemplazione:

“Le interessa? è  una delle opere migliori di Marcello Rinaldi, ma se lo vuole acquistare  devo avvisarla che momentaneamente  non è in catalogo”, disse un giovanotto dall’aria simpatica che si era avvicinato .

Philip stava ascoltando il  ragazzo e un pensiero attraversò la sua mente: sì, doveva comprare quel quadro, portarselo via per aver modo di guardare la sua donna ogni volta che ne avesse provato il desiderio. Qualcosa lo spingeva a farlo subito, sentiva che se fosse uscito dalla galleria a mani vuote avrebbe perso per sempre uno dei suoi sogni nascosti. Si volse verso il giovanotto:

“Vorrei comprarlo, ma devo farlo oggi, devo partire e non ho tempo di ritornare domani, cerchi di sapere quanto costa”.  Il commesso lo guardò meravigliato:

“Ma…le ho appena detto che non posso venderlo adesso”  ”, era in evidente imbarazzo, non sapeva come comportarsi, gli dispiaceva perdere un’occasione di vendita, ma aveva paura di sbagliare.

 Si allontanò e ritornò dopo pochi minuti:

“ Il direttore non c’è, ma se desidera acquistare il quadro subito, il prezzo è questo.” Allungò un biglietto con una cifra. Philip diede un’occhiata e annuì.

“Molto bene”, disse il giovane evidentemente sollevato, “si accomodi alla cassa”.

Con il grosso pacco sotto il braccio Philip entrò nella hall del suo albergo, salutò il portiere, prese le chiavi e si avviò in camera. Non si tolse nemmeno la giacca e si mise a scartare il quadro. Voleva riprovare quella sensazione di meraviglia che l’aveva spinto a portarsi via la tela; quando gli apparve davanti quella bella faccia di ragazza bionda esclamò: “Sei stupenda!”.

Appoggiò la tela ai piedi del letto, si sdraiò e chiuse gli occhi: era stanco morto, aveva girato tutta la mattina e lo aspettavano diversi impegni nel pomeriggio, a Milano era in corso la settimana della moda, sfilate, party e conferenze stampa fiorivano un po’ dappertutto: aveva promesso di essere presente ad un ricevimento in Via della Spiga dove doveva incontrare un amico.

Verso le diciotto uscì dall’hotel e si diresse all’appuntamento. Naturalmente c’era tutto quello che Philip si aspettava di trovare: gran confusione, belle donne, amici e colleghi che lo salutavano con grandi manate sulle spalle.

 Dopo un paio d’ore passate a stringere mani e a ingollare Martini decise di andarsene. Stava avviandosi all’uscita quando la sua attenzione fu attirata da una figura di donna in controluce appoggiata a una vetrata; lei si voltò per un attimo e riuscì a vederla in viso: la sorpresa lo fece trasalire, non ebbe dubbi, era lei ! la donna del quadro. Philip cercò di raggiungere il  miraggio facendosi largo fra gli invitati che sostavano chiacchierando nel salone, ma incontrò un conoscente che gli fece perdere dei minuti preziosi, quelli che bastarono alla ragazza per avviarsi verso la hall. Mentre rispondeva evasivamente al suo interlocutore, la seguiva con lo sguardo ed era sulle spine perché vedeva sfumare banalmente l’occasione di conoscerla; finalmente, dopo attimi che gli sembrarono secoli riuscì a liberarsi dell’importuno e si lanciò all’inseguimento della sua preda: ma, l’unica cosa che riuscì a vedere , fu la coda di un taxi che si allontanava velocemente: non gli restava che rituffarsi nella confusione del party.

Mentre guidava per tornare in albergo  ripensava all’attimo in cui aveva visto il viso della ragazza ed era preso da dubbi: e se non fosse stata lei? Eppure il suo viso era inconfondibile: gli occhi grigi, la piega della bocca, i capelli dorati sapientemente arruffati, sorrise e si convinse: era lei . Quella sera in camera non si sentì più tanto solo, dalla cornice del quadro lo guardava la sua bellezza bionda e lo confortava la speranza di poterla incontrare di nuovo; ormai sapeva che esisteva!

Lo sgradevole suono del telefono lo svegliò, ancora assonnato rispose con la voce rauca: “Sì, cosa c’è?”, diede un’occhiata al piccolo orologio sul comodino, erano le otto, ancora troppo presto per le sue abitudini.

 “Mister Randon, sono il portiere, c’è un signore che desidera parlare con lei”.

“Si faccia dire come si chiama , dal momento che mi sveglia tanto presto!” ribatté Philip indispettito.

Dopo un secondo il portiere gracchiò ancora nella cornetta:

 “E’ il signor Pagani, proprietario di una galleria d’arte”.

“E va bene …gli dica d’aspettarmi ”, brontolò Philip .

Un quarto d’ora dopo era nell’atrio e si vide venire incontro un uomo di bassa statura che, con un largo sorriso, gli tendeva la mano.

“Permette, sono Pagani”. Sul momento Philip, non ancora molto sveglio, non riusciva a mettere a fuoco la figura dell’uomo.

“Veramente …io non la conosco ..” , rispose in evidente imbarazzo, ma l’altro lo interruppe: “Sì, quel quadro che lei ha acquistato ieri …”

“Ah, certo, certo, …ma non capisco il motivo della sua visita, c’è qualcosa che non va?”

“No, no, tutto regolare, mi scusi… ormai lei è in possesso del quadro e non so come dirglielo …”, l’ometto era titubante .

“Continui ”, lo incoraggiò Philip.

“Ecco”, rispose l’altro abbozzando un sorrisetto melenso, “il quadro non era in vendita, purtroppo ieri non ero presente e il mio collaboratore ha commesso un errore .  Vede … ho deciso di…”, si fermò come per cercare le parole adatte , poi riprese: “Sono qui per ricomprarlo… a qualunque prezzo”.

“Eh, no !” sbottò il giornalista, “quel quadro era esposto insieme agli altri senza nessuna indicazione. A questo punto mi deve delle spiegazioni …”

L’espressione del signor Pagani cambiò di colpo, da cordiale divenne dura, gli occhietti grigi si strinsero come una fessura : “Non ho niente da dirle mister Randon, solo che voglio quel quadro!”

Philip si spazientì:

 “Non intendo assolutamente cederlo per nessuna ragione al mondo, ha capito bene? A questo punto non mi rimane altro che salutarla … buon giorno signor Pagani …”, fece per allontanarsi, ma l’altro lo fermò afferrandolo per un braccio: la sua bocca si stirò in una smorfia che voleva essere un sorriso di convincimento.

“Abbia pazienza , mister Randon , non è per me, ma per la ragazza, sa…quella del quadro…lo vorrebbe tenere per ricordo! Il pittore era il suo compagno, ed è morto”, fece la voce di circostanza abbassandone il tono, “quel dipinto le è molto caro …si metta una mano sulla coscienza!”

Quell’uomo gli dava fastidio, sentiva verso di lui un senso di repulsione che non sapeva spiegare, ma che suonava come un campanello d’allarme:

“Si chiamava Marcello Rinaldi se non sbaglio?”, disse Peter aspettando una conferma .

“Chi, il pittore?…sì,…sì”, rispose il gallerista.

“E…come è morto ?”, continuò il giornalista. Le sue antenne lo avvertivano che c’era qualcosa di poco chiaro in tutta la faccenda.  

“Purtroppo è stato assassinato ….e non si è ancora trovato il colpevole. Forse frequentava un giro poco pulito, è certo però che l’hanno trovato con una pallottola in testa, nella sua soffitta”.

“ …quella bionda era la sua ragazza?”, chiese ancora Philip.

“ Così mi ha detto, ieri sera, quando è venuta a chiedermi il quadro”.

“Non capisco perché non se l’è tenuto …”, borbottò il giornalista.

“Me l’aveva venduto il pittore stesso proprio il giorno prima di morire, poveretto!”

“Quando è successo il fatto?”, insisté Philip sempre più interessato.

“Circa tre mesi fa …”, l’uomo fece una pausa, si vedeva che aveva fretta di concludere, infatti riprese con insistenza: “Allora , cosa ha deciso , me lo cede questo quadro?”

“Ora meno che mai, mi dia l’indirizzo della ragazza, preferisco trattare direttamente”, tagliò corto Randon.

“Ho capito! con lei non riuscirò a combinare niente”, ribatté Pagani rosso per il dispetto, “mi spiace, ma non la posso accontentare, l’indirizzo non lo conosco”.

Se ne andò voltandogli le spalle con un movimento brusco. Philip lo guardò allontanarsi; quella faccenda l’incuriosiva molto e da buon giornalista voleva andare a fondo.

(continua)