Stancamente
si rialzò e andò a controllare se nella ventiquattrore c’erano rimasti almeno i
documenti. La valigia era aperta, ma il contenuto intatto: soldi, documenti,
biglietto dell’aereo, non mancava niente. Ritto in mezzo alla stanza cercava di
riordinare le idee: se c’erano stati dei ladri, perché avevano lasciato quel
bel mucchietto di dollari? Sommariamente fece un inventario per vedere cosa
mancava e con stupore si accorse che la sola cosa rubata era proprio il quadro.
Il primo impulso era stato di rivolgersi alla polizia, ma poi ci ripensò.
“Calma”, si
disse, “in questa faccenda c’è qualcosa che non mi convince, tutta questa
messinscena è stata fatta per simulare un furto, ma quello che interessava era soltanto quella tela”.
Prese il cellulare e chiamò Serena. Il suono
intermittente gli perforava l’orecchio, restò in attesa per qualche
minuto…dall’altro capo non rispondeva nessuno. Interruppe la comunicazione e rimase immobile a fissare il vuoto; non sapeva
cosa pensare né cosa fare: la sua testa era un tumulto di pensieri. Quel pomeriggio Serena si era comportata
in modo strano, specialmente da quando aveva incontrato quel ragazzo in jeans. Rifece il numero sperando di sentire la voce
di Serena, il segnale si ripeteva
monotamente, ma inutilmente. Con un gesto rabbioso buttò il telefono sul letto:
il disordine nella stanza gli fece salire il sangue alla testa. Per
calmarsi cominciò a buttare nelle
valigie vuote i suoi vestiti e tutto quello che gli capitava in mano, avrebbe
dovuto comunque mettere via tutto quella sera in previsione della partenza,
tanto valeva farlo subito così si scaricava la tensione accumulata in quella
mezz’ora. Quando i bagagli furono finalmente fatti ritentò ancora la telefonata
a Serena e dovette arrendersi, non rispondeva nessuno. “Benissimo”, si disse,
“vado a parlarle di persona…”. Si
precipitò fuori dalla camera e infilò le scale a precipizio senza aspettare
l’ascensore, attraversò l’atrio di corsa seguito dallo sguardo esterrefatto del
portiere. Sempre correndo attraversò il parcheggio, si fece consegnare le
chiavi della Jaguar dal ragazzo e partì facendo stridere le ruote sull’asfalto.
Guidava nervoso premendo il piede sull’acceleratore, attraversò Milano incurante
dei semafori rossi, rischiando un incidente ad ogni angolo di strada; il
pensiero fisso a Serena con la smania di parlarle per capire cosa stava
succedendo. Si arrestò davanti al portone del residence con una brusca frenata,
scese sbattendo la portiera e si precipitò dentro. Una voce lo fermò: “Ehi!
dove va?” Il custode lo fissava con uno sguardo inquisitore.
“Vado
da Serena Molinari”, rispose Philip spazientito.
“La
signorina è partita”, l’uomo scoprì i denti gialli in un sorriso idiota: “lei è
il signor Randon?”, aggiunse.
“Sì,
sono io”, rispose lui seccato.
“Ho una
lettera per lei”, e gli allungò una busta bianca sulla quale a carattere
stampatello era scritto il suo nome.
Philip la prese e non disse nemmeno grazie, si
allontanò di qualche passo mentre il portinaio allungava il collo per sbirciare
incuriosito. “Amore mio, perdonami, devo
partire e non posso spiegarti altro. Forse
non ci rivedremo mai più, però ricordati che ti amo. Serena”.
A Philip
scappò una parolaccia. Delusione, amarezza, dolore, sensazioni violente mai
provate, lo sconvolsero. Una stretta allo stomaco gli faceva quasi mancare il
respiro. Accese una sigaretta nervosamente, il sapore acre del fumo gli entrò
in gola e lo fece stare peggio. Con un gesto rabbioso buttò la sigaretta
sull’asfalto e la schiacciò col piede. Rigirava il foglio di carta fra le mani:
non avrebbe mai immaginato di rimanere così bastonato e distrutto. Lentamente
si diresse verso la macchina, entrò e si mise al volante. Rimase così per
qualche secondo immobile. Perché? Si chiedeva. Perché?
Avviò il
motore e partì. Le immagini gli si paravano davanti come sfocate: rivedeva
Serena sdraiata nel letto quella mattina, i biondi capelli sparsi sul cuscino,
la piccola bocca imbronciata, sul viso ancora la mollezza della notte d’amore
passata con lui. Rivedeva la sua immagine dipinta sul quadro con
quell’espressione intensa e misteriosa che l’aveva colpito. E non riusciva a
capire quale importante parte avesse quel quadro in tutta la vicenda, qualcosa
doveva pur significare se era sparito, se gliel’avevano rubato mettendo a
soqquadro tutta la stanza.
Passò la
notte agitata, si assopiva per brevi periodi poi si svegliava di colpo.
Accendeva la lampada sul comodino, cercava automaticamente con la mano il
pacchetto di sigarette e l’accendino; restava fermo a sedere sul letto a
fissare le volute di fumo azzurro che si alzavano lentamente nell’aria. Vide
dalle finestre aperte stingersi il cielo a poco a poco nei colori dell’alba…
L’aereo per
New York partiva alle dieci dall’aeroporto della Malpensa, ormai non poteva più
rimandare: il suo direttore l’aspettava per proporgli un altro incarico che
avrebbe accelerato notevolmente la sua carriera.. I bagagli erano già fatti,
non gli restava che aspettare il portiere di giorno per saldare il conto, poi
avrebbe lasciato Milano. Ma doveva tornare, doveva sapere, doveva ritrovare
Serena, non poteva cancellarla così dalla sua vita.
L’aereo partì
puntuale in una mattinata di sole, addio Italia, addio Milano, anzi
arrivederci!
+++
Era una
giornata perfetta: una leggera brezza mitigava la calura, il mare appena
increspato brillava sotto i raggi del sole, il cielo era terso, senza una
nuvola, qualche vela bianca creava qua e là delle macchie rompendo la monotonia
di tutto quell’azzurro. Con gli occhi socchiusi, immobile, Serena se ne stava
allungata su una sedia a sdraio lasciandosi scaldare dai raggi del sole: il suo
corpo abbronzato sembrava una statua. Pensava a Philip , era stata costretta a
lasciarlo così bruscamente che ancora non si era resa conto del male che gli
aveva fatto…forse non l’avrebbe più rivisto! A questo pensiero una stretta al
cuore le fece capire che si era innamorata di lui , avrebbe voluto che non
fosse successo per non soffrire ancora. Era stata coinvolta suo malgrado in un
gioco pericoloso dal quale era molto difficile uscire, ma quando si ritrovava
con se stessa il pensiero correva irresistibilmente ai giorni trascorsi con
lui, ricordava l’ultimo giorno …e ancor più l’ultima notte.
Una voce alle
sue spalle la fece trasalire:
“Cosa fai
tutta sola?”
Sandro
l’aveva raggiunta alle spalle e si chinò per baciarla. Lei istintivamente si
ritrasse.
“Cosa c’è?
Qualcosa non gira per il verso giusto?”, il ragazzo si accucciò vicino a lei
con un movimento lento e pigro.
Serena non
aveva voglia di parlare: “Niente…non c’è niente…ho solo un po’ di emicrania”,
rispose distrattamente.
“L’emicrania è sempre una buona scusa quando si vuole fare la schizzinosa…”,
aggiunse lui sarcastico.
La ragazza non rispose e si girò dall’altra parte.
“Ah, ho capito, la signorina sta pensando al giornalista…Sono contento di
aver fregato quell’americano, mi stava proprio sulle scatole!”
Serena si alzò, raccolse gli zoccoli abbandonati sulla sabbia, prese la
borsa e fece per andarsene.
Sandro la prese per un polso e strinse forte.
“Mi fai male!” La ragazza si volse e lo guardò in viso con l’aria di
sfida.
“Non credere di andartene così, ti ho fatto una domanda…mi devi rispondere”.
Sandro aveva
la faccia dura, i capelli biondi scompigliati sulla fronte, le vene del collo
turgide, l’ira repressa dava al suo viso un’espressione cattiva.
“Allora, se
lo vuoi sapere stavo pensando proprio all’americano e mi dispiace di averlo
trattato in quella maniera, non se lo meritava! Se mi davi tempo si potevano
fare le cose diversamente… avresti recuperato lo stesso quei tuoi maledetti
diamanti…”.
Serena era
sconvolta, il suo corpo snello vibrava come una corda tesa, i suoi occhi chiari
si erano incupiti, le lacrime stavano per sgorgare … si allontanò per non farsi
vedere da Sandro, per non fargli capire che era veramente innamorata di Philip.
Il ragazzo la
guardò allontanarsi, “ ci penserò io a fargliela passare, non posso permettere
che una ragazzina mandi a monte il mio piano perfetto..”.
Già da quando
era cominciata tutta la faccenda aveva messo in dubbio che Serena avesse il
sangue freddo per portare a termine il colpo, troppo romantica e con la testa
fra le nuvole, ma poi aveva dovuto fidarsi di lei: era la sola che potesse
avvicinare il giornalista senza destare sospetti.
L’aveva
convinta con il ricatto. Ne sapeva di cose lui sul conto di Walter, il fratello
di Serena, un poco di buono amico di Marcello, il pittore assassinato! L’aveva
visto quella sera di gennaio, quando tutti e due reduci dalla rapina al
gioielliere di via Montenapoleone, erano rientrati nella mansarda a notte alta.
Fuori nevicava e faceva un freddo cane, appostato dietro una colonna del
cortile li aspettava. Sapeva del colpo, avrebbe dovuto partecipare anche lui ma
l’avevano estromesso all’ultimo momento, voleva affrontarli per chiedere
spiegazioni. I due erano scesi dalla macchina , avevano raggiunto il portone e
di corsa erano filati sulle scale. Furtivamente li aveva seguiti, la notte era
gelida ma il sudore gli colava dalla fronte. Marcello e Walter si erano chiusi
la porta di casa alle spalle, poco dopo aveva sentito le voci degli amici
alzarsi di tono e si era fermato a origliare: “I patti non erano questi, sei un
bastardo!”, era la voce di Walter.
“Se ti va
bene è così, se no vai aff…”, aveva gridato Marcello. Le cose si stavano
mettendo male, e Sandro aveva preferito svignarsela prima di essere scoperto.
Il giorno dopo aveva rivisto Walter: “Quel porco mi ha fregato”, gli aveva
detto senza preamboli, “mi ha promesso solo un terzo del malloppo, il resto lo
vuole per lui, ma stasera deve sputare tutto, altrimenti…”.
Dal tono
minaccioso si capiva che non scherzava, a qualunque costo avrebbe preteso la
sua parte. La mattina seguente aveva letto sul giornale del delitto e ne aveva
tratto le sue conclusioni. La polizia l’aveva interrogato, ma dalla sua bocca
non era uscita una parola. Nel frattempo si era fatto le indagini per proprio
conto e, nel mondo della mala c’è chi sta zitto ma c’è anche chi spiffera per
qualche euro in più. Aveva saputo che anche Walter era rimasto a bocca
asciutta, dei diamanti neanche l’ombra. Il caso era rimasto insoluto e le indagini
si erano arenate.
Aveva
lasciato passare qualche giorno poi, con un pretesto, si era introdotto nella
soffitta di Marcello: aveva provato un senso d’angoscia nel vedere il luogo
dove il suo amico aveva perso la vita, ma si era ripreso subito e, senza
lasciarsi prendere dagli scrupoli, come era nel suo carattere, aveva rovistato
freneticamente dappertutto: negli stipiti delle porte, dentro gli armadi,
perfino sotto le mattonelle sconnesse e nei tubetti di colore…niente. Aveva
dovuto arrendersi e andarsene.
Per puro
caso, dopo qualche mese, aveva fatto un’incredibile scoperta: il pittore
nell’ultimo giorno della sua vita aveva ceduto il quadro raffigurante Serena (una
delle sue opere migliori) a una galleria d’arte in via Brera. Gli era balenata
l’idea che poteva anche essere quella giusta: Marcello aveva nascosto i suoi
diamanti dentro la cornice, aveva messo al sicuro il quadro e se lo sarebbe
ripreso quando le acque si fossero calmate. Si era precipitato alla galleria
ma… il quadro era già stato venduto, a un certo giornalista americano, gli
aveva detto l’antiquario.
Allora il
piano aveva preso forma nella sua mente: Serena, la ragazza di Marcello!
L’aveva
aspettata una sera davanti all’uscita dello studio fotografico dove la ragazza
stava posando per delle foto pubblicitarie:
“Ciao, Serena, ti ricordi di me?” Lei l’aveva fissato stringendo gli
occhi.
“Certo che mi ricordo, sei Sandro. Come stai?”
“Ti sei fatta più bella, lo sai?”
“Non direi, con tutto quello che ho passato…”
“Si vede che il dolore ti dona…vuoi un passaggio?”
La ragazza
aveva accettato la corsa in moto con una certa riluttanza. Davanti al cancello
di casa le aveva chiesto senza preamboli: ”Posso salire un momento?”
Serena aveva farfugliato una scusa: “Non posso, c’è mia zia in visita.”
“Dai
raccontala a un altro la storia della zia, a me non mi freghi”, aveva esclamato
Sandro con un risolino canzonatorio. “Anzi, devo chiederti notizie di Walter e
credo sia molto meglio andare in casa.” L’aveva spinta con malgarbo verso il
cancello: “ Dai, non fare la stupida, devo parlarti”.
Di sopra, le aveva detto bruscamente: “ Sai che tuo fratello è nei guai?”
“Perché?”, aveva risposto lei con la voce strozzata.
“…e se non è nei guai ce lo metto io” , aveva continuato lui “ a meno che…”
Serena era
spaventata e si aspettava qualsiasi cosa da quel tipo.
“Tu
non collabori”, aveva continuato lui .
“Cosa
devo fare?” aveva chiesto lei con un filo di voce.
“Ascoltami
bene, tuo fratello è un gran figlio di puttana, sono certo che è stato lui ad
uccidere Marcello”.
“No…non è
vero! Sei un bugiardo…”, l’urlo le era uscito dalla gola , era sconvolta, con
le mani si era coperto il viso bagnato di lacrime.
“Gli ho
parlato, l’ho visto e ho sentito quando minacciava Marcello, se non mi credi,
prova a chiederglielo…a proposito dov’è andato? Sarà uccel di bosco per un bel
po’ di tempo ormai…Ma se vuoi puoi aiutarlo, solo tu lo puoi fare”.
“Come ?”
aveva chiesto Serena talmente scossa che non aveva più reazioni.
“Devi
manipolarti un tale, il giornalista che ha il tuo quadro, devi mettercela tutta
per portarglielo via… mi hai capito? Se non ce la fai tu, ci penserò io. Prima
però devi andare dall’antiquario e promettergli qualsiasi somma per
ricomprarlo”.
“Perché?”, aveva chiesto lei stordita dalle sue parole.
“Sono sicuro che dentro la cornice c’è una bella sorpresa!”
Alla fine Serena, stremata aveva
acconsentito, era disposta a fare qualsiasi cosa pur di tenere Walter in
libertà. Era molto affezionata a suo fratello, fin da piccola vedeva in lui il
suo difensore, il paladino che la salvava dai draghi; avevano trascorso
l’infanzia in un piccolo paese di provincia dove la vita non era facile e la
miseria era di casa. Ora toccava a lei ricambiare e difenderlo come poteva
anche se in cuor suo non poteva credere che lui fosse un assassino. Era stato
sviato dalle cattive compagnie, ma non poteva essere diventato così cinico e
feroce da togliere la vita al ragazzo di sua sorella. Purtroppo in quel momento
non le rimaneva altra scelta e aveva ascoltato sottomessa tutto quello che le
diceva Sandro.
+++
Abbandonata
sul letto, Serena piangeva. Dalla finestra aperta entrava una luce accecante, là
in fondo il bagliore azzurro del mare era offuscato dalle lacrime che le
riempivano gli occhi e scendevano sulle guance. Non le importava niente di
niente, il paesaggio stupendo, l’albergo di lusso, l’armadio pieno di vestiti
griffati…avrebbe dato tutto per ritornare a essere la ragazza che si guadagnava
da vivere lavorando onestamente. Pensava a Philip,a come era stata felice con
lui, in un periodo così triste della sua vita. Rivedeva il suo viso dai
lineamenti marcati, la ruga sulla fronte, la bocca sottile che si apriva in un
sorriso simpatico, l’espressione severa degli occhi che si addolciva quando la
guardava…le tempie leggermente brizzolate…risentiva le carezze delle sue mani
asciutte sul suo corpo…non era possibile dimenticare tutto questo. Il suo
grande rammarico era di averlo tradito, di aver carpito con l’inganno il suo
amore.
Due colpi
alla porta la fecero trasalire, la voce di Sandro era stizzita:
“Serena, fammi entrare!”
“Non mi sento bene.”, rispose lei.
“Fammi
entrare o sfondo la porta!”, il tono non ammetteva dubbi.
Serena si
alzò con fatica e a piedi nudi andò ad aprire l’uscio. Indossava solo un bikini
bianco che faceva risaltare l’abbronzatura del suo corpo giovane: le gambe
lunghe, i seni piccoli, le spalle esili ma non magre, i lunghi capelli biondi
le ricadevano in ciocche disordinate illuminati dalle mèches naturali del sole,
gli occhi chiari luccicavano per le lacrime. Sandro entrò infuriato, ma si
calmò subito alla visione di lei.
“Cosa fai,
piangi?”, le chiese cercando di mettere della tenerezza nella sua voce.
“Non
importa”, rispose la ragazza e con il dorso della mano si asciugò gli occhi.
“Cosa vuoi?” chiese.
“Volevo
vederti”. Il suo sguardo voglioso scrutava il corpo di Serena, si avvicinò
mettendole una mano sui fianchi.
“Posso
consolarti? Io so farlo molto bene…”.
Lei si
ritrasse istintivamente con un moto brusco, la mano di Sandro cadde inerte.
“Eh, no, non
devi fare così, non era nei patti…ricordati sempre di Walter. Se l’hai
dimenticato questo è il momento di rinfrescarti la memoria”.
L’abbracciò
con forza e la tenne stretta contro di sé. Serena si divincolò, riuscì a
sfuggirgli solo per un attimo, lui le balzò addosso e con uno spintone la buttò
sul letto.
Lei sentiva
il respiro affannoso di lui sul collo, le sue mani frugarla tutta, strapparle
il costume…non aveva la forza di resistergli e lui la prese con una furia
bestiale che la lasciò stordita e dolorante.
Giacquero
supini e immobili senza parlare, lei non aveva il coraggio di voltare il viso
verso di lui, per brevi istanti che sembrarono eterni, nessuno dei due si
mosse; poi lentamente con mossa studiata Sandro si alzò.
“Adesso sei
la mia ragazza, hai capito bene? Nessuno ti deve guardare e tu non devi pensare
a nessuno…ci siamo intesi?”
Serena non
rispose, non ne aveva la forza, una specie di nausea le saliva dallo stomaco e
le impediva qualsiasi movimento. Lo guardò diritto negli occhi per fargli
capire tutto il suo disprezzo. Sandro uscì sbattendo l’uscio.
Serena andò
sotto la doccia, lentamente, come se si preparasse a un rito purificatore.
L’acqua tiepida le scorreva lungo il corpo, le bagnava i capelli, cancellava le
lacrime dal viso e lei stava lì a farsi lavare, immobile, come per cancellare
l’oltraggio subìto. Aveva una rabbia dentro che la faceva star male, doveva
vendicarsi, in qualunque modo, ma doveva far pagare caro a quel mascalzone la
violenza cui era stata sottoposta.
Piano piano
si calmò, si asciugò con cura, andò nell’armadio e scelse il suo vestito più
raffinato: un lungo peplo di chiffon bianco che si raccoglieva in un morbido
drappeggio sulla spalla sinistra e scendeva fluttuante e ampio fino ai piedi.
Si truccò con cura, guardandosi allo specchio con attenzione, sottolineò il
contorno degli occhi, ravvivò le ciglia, passò un rossetto corallo sulla bocca,
una goccia di profumo dietro le orecchie e nella scollatura. Indossò un
prezioso collier e un bracciale di turchesi: ecco, era pronta per cominciare la
sua vendetta.
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