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sabato 24 maggio 2014

TERZA PUNTATA " INSEGUIRE UN SOGNO"


 

 Stancamente si rialzò e andò a controllare se nella ventiquattrore c’erano rimasti almeno i documenti. La valigia era aperta, ma il contenuto intatto: soldi, documenti, biglietto dell’aereo, non mancava niente. Ritto in mezzo alla stanza cercava di riordinare le idee: se c’erano stati dei ladri, perché avevano lasciato quel bel mucchietto di dollari? Sommariamente fece un inventario per vedere cosa mancava e con stupore si accorse che la sola cosa rubata era proprio il quadro. Il primo impulso era stato di rivolgersi alla polizia, ma poi ci ripensò.

“Calma”, si disse, “in questa faccenda c’è qualcosa che non mi convince, tutta questa messinscena è stata fatta per simulare un furto, ma quello che interessava  era soltanto quella tela”.

 Prese il cellulare e chiamò Serena. Il suono intermittente gli perforava l’orecchio, restò in attesa per qualche minuto…dall’altro capo non rispondeva nessuno. Interruppe la comunicazione e  rimase immobile a fissare il vuoto; non sapeva cosa pensare né cosa fare: la sua testa era un tumulto di pensieri.     Quel pomeriggio Serena si era comportata in modo strano, specialmente da quando aveva incontrato quel ragazzo in jeans.  Rifece il numero sperando di sentire la voce di Serena,  il segnale si ripeteva monotamente, ma inutilmente. Con un gesto rabbioso buttò il telefono sul letto: il disordine nella stanza gli fece salire il sangue alla testa. Per calmarsi  cominciò a buttare nelle valigie vuote i suoi vestiti e tutto quello che gli capitava in mano, avrebbe dovuto comunque mettere via tutto quella sera in previsione della partenza, tanto valeva farlo subito così si scaricava la tensione accumulata in quella mezz’ora. Quando i bagagli furono finalmente fatti ritentò ancora la telefonata a Serena e dovette arrendersi, non rispondeva nessuno. “Benissimo”, si disse, “vado a parlarle di persona…”.  Si precipitò fuori dalla camera e infilò le scale a precipizio senza aspettare l’ascensore, attraversò l’atrio di corsa seguito dallo sguardo esterrefatto del portiere. Sempre correndo attraversò il parcheggio, si fece consegnare le chiavi della Jaguar dal ragazzo e partì facendo stridere le ruote sull’asfalto. Guidava nervoso premendo il piede sull’acceleratore, attraversò Milano incurante dei semafori rossi, rischiando un incidente ad ogni angolo di strada; il pensiero fisso a Serena con la smania di parlarle per capire cosa stava succedendo. Si arrestò davanti al portone del residence con una brusca frenata, scese sbattendo la portiera e si precipitò dentro. Una voce lo fermò: “Ehi! dove va?” Il custode lo fissava con uno sguardo inquisitore.

“Vado da Serena Molinari”, rispose Philip spazientito.

“La signorina è partita”, l’uomo scoprì i denti gialli in un sorriso idiota: “lei è il signor Randon?”, aggiunse.

“Sì, sono io”, rispose lui seccato.

“Ho una lettera per lei”, e gli allungò una busta bianca sulla quale a carattere stampatello era scritto il suo nome.

 Philip la prese e non disse nemmeno grazie, si allontanò di qualche passo mentre il portinaio allungava il collo per sbirciare incuriosito. “Amore mio, perdonami, devo partire e non posso spiegarti altro. Forse non ci rivedremo mai più, però ricordati che ti amo. Serena”.

A Philip scappò una parolaccia. Delusione, amarezza, dolore, sensazioni violente mai provate, lo sconvolsero. Una stretta allo stomaco gli faceva quasi mancare il respiro. Accese una sigaretta nervosamente, il sapore acre del fumo gli entrò in gola e lo fece stare peggio. Con un gesto rabbioso buttò la sigaretta sull’asfalto e la schiacciò col piede. Rigirava il foglio di carta fra le mani: non avrebbe mai immaginato di rimanere così bastonato e distrutto. Lentamente si diresse verso la macchina, entrò e si mise al volante. Rimase così per qualche secondo immobile. Perché? Si chiedeva. Perché?

Avviò il motore e partì. Le immagini gli si paravano davanti come sfocate: rivedeva Serena sdraiata nel letto quella mattina, i biondi capelli sparsi sul cuscino, la piccola bocca imbronciata, sul viso ancora la mollezza della notte d’amore passata con lui. Rivedeva la sua immagine dipinta sul quadro con quell’espressione intensa e misteriosa che l’aveva colpito. E non riusciva a capire quale importante parte avesse quel quadro in tutta la vicenda, qualcosa doveva pur significare se era sparito, se gliel’avevano rubato mettendo a soqquadro tutta la stanza.

Passò la notte agitata, si assopiva per brevi periodi poi si svegliava di colpo. Accendeva la lampada sul comodino, cercava automaticamente con la mano il pacchetto di sigarette e l’accendino; restava fermo a sedere sul letto a fissare le volute di fumo azzurro che si alzavano lentamente nell’aria. Vide dalle finestre aperte stingersi il cielo a poco a poco nei colori dell’alba…

L’aereo per New York partiva alle dieci dall’aeroporto della Malpensa, ormai non poteva più rimandare: il suo direttore l’aspettava per proporgli un altro incarico che avrebbe accelerato notevolmente la sua carriera.. I bagagli erano già fatti, non gli restava che aspettare il portiere di giorno per saldare il conto, poi avrebbe lasciato Milano. Ma doveva tornare, doveva sapere, doveva ritrovare Serena, non poteva cancellarla così dalla sua vita.

L’aereo partì puntuale in una mattinata di sole, addio Italia, addio Milano, anzi arrivederci!               

+++

 

Era una giornata perfetta: una leggera brezza mitigava la calura, il mare appena increspato brillava sotto i raggi del sole, il cielo era terso, senza una nuvola, qualche vela bianca creava qua e là delle macchie rompendo la monotonia di tutto quell’azzurro. Con gli occhi socchiusi, immobile, Serena se ne stava allungata su una sedia a sdraio lasciandosi scaldare dai raggi del sole: il suo corpo abbronzato sembrava una statua. Pensava a Philip , era stata costretta a lasciarlo così bruscamente che ancora non si era resa conto del male che gli aveva fatto…forse non l’avrebbe più rivisto! A questo pensiero una stretta al cuore le fece capire che si era innamorata di lui , avrebbe voluto che non fosse successo per non soffrire ancora. Era stata coinvolta suo malgrado in un gioco pericoloso dal quale era molto difficile uscire, ma quando si ritrovava con se stessa il pensiero correva irresistibilmente ai giorni trascorsi con lui, ricordava l’ultimo giorno …e ancor più l’ultima notte.

Una voce alle sue spalle la fece trasalire:

“Cosa fai tutta sola?”

Sandro l’aveva raggiunta alle spalle e si chinò per baciarla. Lei istintivamente si ritrasse.

“Cosa c’è? Qualcosa non gira per il verso giusto?”, il ragazzo si accucciò vicino a lei con un movimento lento e pigro.

Serena non aveva voglia di parlare: “Niente…non c’è niente…ho solo un po’ di emicrania”, rispose distrattamente.

“L’emicrania è sempre una buona scusa quando si vuole fare la schizzinosa…”, aggiunse lui sarcastico.

La ragazza non rispose e si girò dall’altra parte.

“Ah, ho capito, la signorina sta pensando al giornalista…Sono contento di aver fregato quell’americano, mi stava proprio sulle scatole!”

Serena si alzò, raccolse gli zoccoli abbandonati sulla sabbia, prese la borsa e fece per andarsene.

Sandro la prese per un polso e strinse forte.

“Mi fai male!” La ragazza si volse e lo guardò in viso con l’aria di sfida.

“Non credere di andartene così, ti ho fatto una domanda…mi devi rispondere”.

Sandro aveva la faccia dura, i capelli biondi scompigliati sulla fronte, le vene del collo turgide, l’ira repressa dava al suo viso un’espressione cattiva.

“Allora, se lo vuoi sapere stavo pensando proprio all’americano e mi dispiace di averlo trattato in quella maniera, non se lo meritava! Se mi davi tempo si potevano fare le cose diversamente… avresti recuperato lo stesso quei tuoi maledetti diamanti…”.

Serena era sconvolta, il suo corpo snello vibrava come una corda tesa, i suoi occhi chiari si erano incupiti, le lacrime stavano per sgorgare … si allontanò per non farsi vedere da Sandro, per non fargli capire che era veramente innamorata di Philip.

Il ragazzo la guardò allontanarsi, “ ci penserò io a fargliela passare, non posso permettere che una ragazzina mandi a monte il mio piano perfetto..”.

Già da quando era cominciata tutta la faccenda aveva messo in dubbio che Serena avesse il sangue freddo per portare a termine il colpo, troppo romantica e con la testa fra le nuvole, ma poi aveva dovuto fidarsi di lei: era la sola che potesse avvicinare il giornalista senza destare sospetti.

L’aveva convinta con il ricatto. Ne sapeva di cose lui sul conto di Walter, il fratello di Serena, un poco di buono amico di Marcello, il pittore assassinato! L’aveva visto quella sera di gennaio, quando tutti e due reduci dalla rapina al gioielliere di via Montenapoleone, erano rientrati nella mansarda a notte alta. Fuori nevicava e faceva un freddo cane, appostato dietro una colonna del cortile li aspettava. Sapeva del colpo, avrebbe dovuto partecipare anche lui ma l’avevano estromesso all’ultimo momento, voleva affrontarli per chiedere spiegazioni. I due erano scesi dalla macchina , avevano raggiunto il portone e di corsa erano filati sulle scale. Furtivamente li aveva seguiti, la notte era gelida ma il sudore gli colava dalla fronte. Marcello e Walter si erano chiusi la porta di casa alle spalle, poco dopo aveva sentito le voci degli amici alzarsi di tono e si era fermato a origliare: “I patti non erano questi, sei un bastardo!”, era la voce di Walter.

“Se ti va bene è così, se no vai aff…”, aveva gridato Marcello. Le cose si stavano mettendo male, e Sandro aveva preferito svignarsela prima di essere scoperto. Il giorno dopo aveva rivisto Walter: “Quel porco mi ha fregato”, gli aveva detto senza preamboli, “mi ha promesso solo un terzo del malloppo, il resto lo vuole per lui, ma stasera deve sputare tutto, altrimenti…”.

Dal tono minaccioso si capiva che non scherzava, a qualunque costo avrebbe preteso la sua parte. La mattina seguente aveva letto sul giornale del delitto e ne aveva tratto le sue conclusioni. La polizia l’aveva interrogato, ma dalla sua bocca non era uscita una parola. Nel frattempo si era fatto le indagini per proprio conto e, nel mondo della mala c’è chi sta zitto ma c’è anche chi spiffera per qualche euro in più. Aveva saputo che anche Walter era rimasto a bocca asciutta, dei diamanti neanche l’ombra. Il caso era rimasto insoluto e le indagini si erano arenate.

Aveva lasciato passare qualche giorno poi, con un pretesto, si era introdotto nella soffitta di Marcello: aveva provato un senso d’angoscia nel vedere il luogo dove il suo amico aveva perso la vita, ma si era ripreso subito e, senza lasciarsi prendere dagli scrupoli, come era nel suo carattere, aveva rovistato freneticamente dappertutto: negli stipiti delle porte, dentro gli armadi, perfino sotto le mattonelle sconnesse e nei tubetti di colore…niente. Aveva dovuto arrendersi e andarsene.

Per puro caso, dopo qualche mese, aveva fatto un’incredibile scoperta: il pittore nell’ultimo giorno della sua vita aveva ceduto il quadro raffigurante Serena (una delle sue opere migliori) a una galleria d’arte in via Brera. Gli era balenata l’idea che poteva anche essere quella giusta: Marcello aveva nascosto i suoi diamanti dentro la cornice, aveva messo al sicuro il quadro e se lo sarebbe ripreso quando le acque si fossero calmate. Si era precipitato alla galleria ma… il quadro era già stato venduto, a un certo giornalista americano, gli aveva detto l’antiquario.

Allora il piano aveva preso forma nella sua mente: Serena, la ragazza di Marcello!

L’aveva aspettata una sera davanti all’uscita dello studio fotografico dove la ragazza stava posando per delle foto pubblicitarie:

“Ciao, Serena, ti ricordi di me?” Lei l’aveva fissato stringendo gli occhi.

“Certo che mi ricordo, sei Sandro. Come stai?”

“Ti sei fatta più bella, lo sai?”

“Non direi, con tutto quello che ho passato…”

“Si vede che il dolore ti dona…vuoi un passaggio?”

La ragazza aveva accettato la corsa in moto con una certa riluttanza. Davanti al cancello di casa le aveva chiesto senza preamboli: ”Posso salire un momento?”

Serena aveva farfugliato una scusa: “Non posso, c’è mia zia in visita.”


“Dai raccontala a un altro la storia della zia, a me non mi freghi”, aveva esclamato Sandro con un risolino canzonatorio. “Anzi, devo chiederti notizie di Walter e credo sia molto meglio andare in casa.” L’aveva spinta con malgarbo verso il cancello: “ Dai, non fare la stupida, devo parlarti”.

Di sopra, le aveva detto bruscamente: “ Sai che tuo fratello è nei guai?”

“Perché?”, aveva risposto lei con la voce strozzata.

“…e se non è nei guai ce lo metto io” , aveva continuato lui “ a meno che…”


Serena era spaventata e si aspettava qualsiasi cosa da quel tipo.

“Tu non collabori”, aveva continuato lui .

“Cosa devo fare?” aveva chiesto lei con un filo di voce.

“Ascoltami bene, tuo fratello è un gran figlio di puttana, sono certo che è stato lui ad uccidere Marcello”.

“No…non è vero! Sei un bugiardo…”, l’urlo le era uscito dalla gola , era sconvolta, con le mani si era coperto il viso bagnato di lacrime.

“Gli ho parlato, l’ho visto e ho sentito quando minacciava Marcello, se non mi credi, prova a chiederglielo…a proposito dov’è andato? Sarà uccel di bosco per un bel po’ di tempo ormai…Ma se vuoi puoi aiutarlo, solo tu lo puoi fare”.

“Come ?” aveva chiesto Serena talmente scossa che non aveva più reazioni.

“Devi manipolarti un tale, il giornalista che ha il tuo quadro, devi mettercela tutta per portarglielo via… mi hai capito? Se non ce la fai tu, ci penserò io. Prima però devi andare dall’antiquario e promettergli qualsiasi somma per ricomprarlo”.

“Perché?”, aveva chiesto lei stordita dalle sue parole.

“Sono sicuro che dentro la cornice c’è una bella sorpresa!”

Alla fine Serena, stremata aveva acconsentito, era disposta a fare qualsiasi cosa pur di tenere Walter in libertà. Era molto affezionata a suo fratello, fin da piccola vedeva in lui il suo difensore, il paladino che la salvava dai draghi; avevano trascorso l’infanzia in un piccolo paese di provincia dove la vita non era facile e la miseria era di casa. Ora toccava a lei ricambiare e difenderlo come poteva anche se in cuor suo non poteva credere che lui fosse un assassino. Era stato sviato dalle cattive compagnie, ma non poteva essere diventato così cinico e feroce da togliere la vita al ragazzo di sua sorella. Purtroppo in quel momento non le rimaneva altra scelta e aveva ascoltato sottomessa tutto quello che le diceva Sandro. 

+++

Abbandonata sul letto, Serena piangeva. Dalla finestra aperta entrava una luce accecante, là in fondo il bagliore azzurro del mare era offuscato dalle lacrime che le riempivano gli occhi e scendevano sulle guance. Non le importava niente di niente, il paesaggio stupendo, l’albergo di lusso, l’armadio pieno di vestiti griffati…avrebbe dato tutto per ritornare a essere la ragazza che si guadagnava da vivere lavorando onestamente. Pensava a Philip,a come era stata felice con lui, in un periodo così triste della sua vita. Rivedeva il suo viso dai lineamenti marcati, la ruga sulla fronte, la bocca sottile che si apriva in un sorriso simpatico, l’espressione severa degli occhi che si addolciva quando la guardava…le tempie leggermente brizzolate…risentiva le carezze delle sue mani asciutte sul suo corpo…non era possibile dimenticare tutto questo. Il suo grande rammarico era di averlo tradito, di aver carpito con l’inganno il suo amore.

Due colpi alla porta la fecero trasalire, la voce di Sandro era stizzita:

“Serena, fammi entrare!”

“Non mi sento bene.”, rispose lei.

“Fammi entrare o sfondo la porta!”, il tono non ammetteva dubbi.

Serena si alzò con fatica e a piedi nudi andò ad aprire l’uscio. Indossava solo un bikini bianco che faceva risaltare l’abbronzatura del suo corpo giovane: le gambe lunghe, i seni piccoli, le spalle esili ma non magre, i lunghi capelli biondi le ricadevano in ciocche disordinate illuminati dalle mèches naturali del sole, gli occhi chiari luccicavano per le lacrime. Sandro entrò infuriato, ma si calmò subito alla visione di lei.

“Cosa fai, piangi?”, le chiese cercando di mettere della tenerezza nella sua voce.

“Non importa”, rispose la ragazza e con il dorso della mano si asciugò gli occhi. “Cosa vuoi?” chiese.

“Volevo vederti”. Il suo sguardo voglioso scrutava il corpo di Serena, si avvicinò mettendole una mano sui fianchi.

“Posso consolarti? Io so farlo molto bene…”.

Lei si ritrasse istintivamente con un moto brusco, la mano di Sandro cadde inerte.

“Eh, no, non devi fare così, non era nei patti…ricordati sempre di Walter. Se l’hai dimenticato questo è il momento di rinfrescarti la memoria”.

L’abbracciò con forza e la tenne stretta contro di sé. Serena si divincolò, riuscì a sfuggirgli solo per un attimo, lui le balzò addosso e con uno spintone la buttò sul letto.

Lei sentiva il respiro affannoso di lui sul collo, le sue mani frugarla tutta, strapparle il costume…non aveva la forza di resistergli e lui la prese con una furia bestiale che la lasciò stordita e dolorante.

Giacquero supini e immobili senza parlare, lei non aveva il coraggio di voltare il viso verso di lui, per brevi istanti che sembrarono eterni, nessuno dei due si mosse; poi lentamente con mossa studiata Sandro si alzò.

“Adesso sei la mia ragazza, hai capito bene? Nessuno ti deve guardare e tu non devi pensare a nessuno…ci siamo intesi?”

Serena non rispose, non ne aveva la forza, una specie di nausea le saliva dallo stomaco e le impediva qualsiasi movimento. Lo guardò diritto negli occhi per fargli capire tutto il suo disprezzo. Sandro uscì sbattendo l’uscio.

Serena andò sotto la doccia, lentamente, come se si preparasse a un rito purificatore. L’acqua tiepida le scorreva lungo il corpo, le bagnava i capelli, cancellava le lacrime dal viso e lei stava lì a farsi lavare, immobile, come per cancellare l’oltraggio subìto. Aveva una rabbia dentro che la faceva star male, doveva vendicarsi, in qualunque modo, ma doveva far pagare caro a quel mascalzone la violenza cui era stata sottoposta.

Piano piano si calmò, si asciugò con cura, andò nell’armadio e scelse il suo vestito più raffinato: un lungo peplo di chiffon bianco che si raccoglieva in un morbido drappeggio sulla spalla sinistra e scendeva fluttuante e ampio fino ai piedi. Si truccò con cura, guardandosi allo specchio con attenzione, sottolineò il contorno degli occhi, ravvivò le ciglia, passò un rossetto corallo sulla bocca, una goccia di profumo dietro le orecchie e nella scollatura. Indossò un prezioso collier e un bracciale di turchesi: ecco, era pronta per cominciare la sua vendetta.

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