Powered By Blogger

venerdì 16 maggio 2014

SECONDA PUNTATA "INSEGUIRE UN SOGNO"


Passò metà del pomeriggio negli archivi del Corriere della Sera, sfogliò i giornali di qualche mese prima e finalmente un titolo su tre colonne colpì la sua attenzione <<Delitto nel mondo degli artisti.  Un pittore trovato morto nella sua mansarda >>. Seguiva la cronaca con i particolari; poi dai colleghi del giornale seppe tutto più dettagliatamente.

 Il pittore era stato assassinato nella notte tra il 15 e il 16 gennaio per motivi  sconosciuti, non era stato trovato nulla che potesse giustificare un movente.

 La ragazza che stava con lui, una certa Serena Molinari, era stata interrogata a lungo, ma non era servito a dissipare il mistero, nel ménage della coppia non c’era niente di oscuro: erano due ragazzi che vivevano come tanti altri cercando di sbarcare il lunario, un po’ vendendo i quadri di lui e un po’ con il lavoro di fotomodella di lei.

 Un delitto non risolto, la polizia dopo una serie d’indagini che avevano dato esito negativo, aveva archiviato il caso.

Philip ora sapeva chi era la ragazza del quadro e non vedeva l’ora di conoscerla, voleva parlare con lei, vederla da vicino… dare vita al ritratto gli sembrava una specie di miracolo. 

Si recò alla casa del delitto all’imbrunire: era una casa di ringhiera, una tipica costruzione milanese dei primi del Novecento, l’intonaco rossiccio dei muri era scrostato qua e là,i balconcini grigi in ferro battuto erano pieni di fiori e davano un tocco di allegria allo stabile un po’ malandato, il portone di legno era aperto e Philip entrò.

“Desidera?” chiese la custode.     

“Abita qui Serena Molinari ?”, chiese lui.

Prima di rispondere la donna lo squadrò da capo a piedi , poi con malgarbo disse:

“Ancora interrogatori? Ne abbiamo avuto abbastanza di questa storia! comunque Serena non abita più qui, se n’è andata da più di un mese”.

Philip guardò quella donna grassa e spettinata che gli stava davanti con l’occhio vuoto, questa interpretò quello sguardo alla sua maniera e riprese a parlare a voce più alta: “Non mi crede ? Vada, vada su se si vuole fare quattro piani a piedi , troverà la porta chiusa !”

Fece per rientrare, ma si voltò ancora: “E non mi chieda dov’è andata perché non lo so”, e con queste parole gli sbatté definitivamente l’uscio in faccia.

Philip non aveva avuto modo di replicare: era destino che non potesse incontrare la donna del quadro, rimaneva sempre un miraggio che svaniva nel momento in cui stava per raggiungerlo.

+++

Philip, seduto al tavolino di un bar all’aperto guardava pigramente la gente passare: il suo sguardo vagava senza posarsi su niente. Era una giornata vuota, finalmente poteva permettersi qualche ora di dolce far niente; quando raramente gli capitavano queste occasioni preferiva starsene solo, senza parlare, passava il tempo osservando gli altri che si muovevano intorno a lui. Da buon americano stava sorseggiando un whisky, il liquore forte gli scendeva nello stomaco dandogli calore e una leggera euforia. Gli piaceva l’Italia, ma soprattutto gli piaceva Milano con la sua gente schietta che viveva senza pregiudizi né provincialismi portandosi dentro con naturalezza e forse anche senza rendersene conto, un retaggio di civiltà antica. Si guardava intorno anche perché sapeva che sarebbero state le ultime giornate italiane, ancora qualche settimana e sarebbe dovuto partire: il suo giornale lo richiamava in sede.

 Una voce femminile lo trasse dalle sue considerazioni:

“Scusi, lei è Philip Randon ?”

Lui si voltò: in piedi, vicinissima a lui, avvolta in uno scialle nero con le frange che le accarezzavano i polpacci, c’era Serena, la ragazza del quadro. Indossava un maglioncino rosa a collo alto e una larga gonna a fiori; le calze a rete facevano risaltare le gambe snelle; i capelli biondi, scompigliati le incorniciavano il viso e gli occhi grigi avevano la stessa espressione leggermente stupita del ritratto. L’americano balzò dalla sedia:

“Sì, sono io”, riuscì a farfugliare. La mano sottile della ragazza si tese verso di lui:

“Sono Serena Molinari, scusi se mi permetto di disturbarla. Sono stata in albergo e il portiere mi ha detto che lei ha l’abitudine di trascorrere qualche ora qui, quando non ha impegni . Io ci ho provato … e sono stata fortunata ".

Lui l’interruppe:

 “Anch’io ho tentato di mettermi in contatto con lei, ma ho avuto meno fortuna purtroppo”.

 Sebbene abituato all’imprevedibile che faceva parte del suo mestiere, Philip era rimasto come imbambolato: dopo averla tanto cercata eccola lì, davanti a lui, materializzata come per un arcano incantesimo. Erano imbarazzati tutti e due e per un attimo non dissero niente; la ragazza prese l’iniziativa e, scostando la sedia dal tavolino chiese: “Posso sedere?”

“Certamente ”.

 “Forse avrà già capito il motivo per il quale sono qui, il signor Pagani mi ha detto che lei non vuole cedere il quadro che ha acquistato alla galleria … ci tengo a riaverlo, è l’ultima opera di Marcello”, improvvisamente la sua voce s’incrinò.

“Pagani mi ha spiegato tutto ", Philip s'interruppe, ancora non riusciva a rendersi conto di averla così vicina, "Voleva molto bene a quel pittore?” chiese poi osservando gli occhi grigi che si stavano inumidendo..

“ Ora che non c’è più mi sento come smarrita”, sussurrò lei .

 Philip la guardava e gli faceva tenerezza: non era molto alta, la figura snella e un po’ fragile, la pelle bianca , una piccola vena azzurra le solcava la tempia destra.

 “Facciamo due passi?”, propose, anche per interrompere quell’attimo di commozione..

Passeggiarono per le vie del centro per quasi due ore, alla fine Philip sapeva tutto di lei: che veniva dalla provincia, che lavorava saltuariamente per agenzie pubblicitarie e per i giornali di moda , e che, dopo la morte di Marcello, divideva con un’amica un piccolo appartamento in un residence a Porta Romana.  Quando si salutarono era già buio.

 Lui la volle rivedere ancora il giorno dopo, e poi ancora…e ancora…preso dall’incanto di lei, complici la primavera, le serate sui Navigli, le passeggiate fra la gente sotto i portici affollati di Corso Vittorio Emanuele, i portoni compiacenti delle viuzze oscure della vecchia Milano per baciarsi ancora prima di augurarsi la buona notte.

+++

La luce del giorno entrava dalle fessure delle tapparelle abbassate creando strani giochi luminosi sulle pareti; Philip aprì gli occhi e pigramente allungò un braccio: sentì il calore del corpo di Serena; sorrise e si voltò a guardarla mentre dormiva. I capelli sparpagliati sul cuscino sembravano una matassa ingarbugliata di fili d’oro, il viso con le palpebre abbassate assumeva un’espressione dolcissima e innocente. “Serena”, pensò in contemplazione, “meravigliosa, tenera, appassionata…”L’aveva sempre saputo; da quando aveva visto quel quadro alla galleria d’arte era stato attratto da lei inconsciamente. Serena si svegliò e gli si strinse addosso:

“Domani è l’ultimo giorno, poi partirai e non ti vedrò mai più!”. La sua voce sommessa e ancora impastata di sonno era appena percettibile. Lui le accarezzò i capelli: “Non pensarci adesso … tornerò , te lo prometto”.

“Non è vero, io non ci credo, ma non importa…è stato bello lo stesso!” Lo baciò leggermente su una guancia. Philip si stirò, mise i piedi giù dal letto e si alzò; andò ad aprire le finestre:

“Svelta pigrona, alzati! c’è il sole…se fai presto ti porto a pranzo in un bel ristorantino in riva al lago, dai sbrigati”.

“Uffa ,è così bello stare qui! Lasciami ancora un pochino intanto che ti fai la doccia”.

“E va bene ”. Philip saltellando a piedi nudi si infilò nel bagno e aprì il getto d’acqua calda. Mentre si insaponava gli venivano in mente le parole di Serena: “Non ti vedrò mai più” e risentiva sotto le sue mani il suo corpo un po’ acerbo, con la pelle morbida e liscia …Si stava innamorando o gli piaceva solo fisicamente? la cosa certa era che non voleva perderla e che sarebbe tornato per rivederla. Si asciugò in fretta e ancora con l’accappatoio umido tornò nella stanza. Serena era in piedi sul letto che stava armeggiando attorno al quadro.

 “Cosa stai facendo?”, le chiese sorpreso.

 La ragazza si voltò di scatto e diventò rossa.

“Niente, lo stavo rimettendo a posto, mi sembrava storto!”

 Si staccò dalla parete e si buttò sul letto scoppiando in una risata .

 “Accidenti che paura mi hai fatto! Non prevedevo che saresti uscito così presto dalla doccia”.

 Lo abbracciò e allontanò il viso per guardarlo negli occhi:

 “Mi lascerai il quadro?” gli chiese.

Philip diede un’occhiata al dipinto e fu ripreso dalla sua magia :

 “Tornerò… ma non posso lasciarti quel quadro, se lo porto con me sarà come averti vicina… ”, rispose accarezzandole il viso con dolcezza. Serena rimase pensierosa per un attimo poi si riprese e allegramente disse: " D'accordo, ormai il quadro è tuo, cercherò di non pensarci..." poi cambiando improvvisamente tono:
 “Allora, mi vesto? andiamo a mangiare in quel posticino delizioso?…anzi ti propongo qualcosa di meglio, seguimi e vedrai !”, aggiunse allegramente.

Il ristorante era affollatissimo e dovettero faticare un bel po’ prima di trovare un tavolo libero: era frequentato per la maggior parte da artisti , a giudicare dall’abbigliamento stravagante. Philip avrebbe preferito andarsene in riva al lago, un posto tranquillo dove avrebbero parlato con calma; ma era l’ultimo giorno e per non contraddire Serena aveva accettato di seguirla.

Tutta quella gente lo innervosiva, Serena invece sembrava trovarsi perfettamente  a suo agio, molti la salutarono con confidenza, anche il cameriere la riconobbe e si avvicinò premuroso: ordinarono bistecca ai ferri, insalata e gelato alla crema.


Stavano mangiando in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri; Philip osservava Serena: aveva le guance arrossate, i denti bianchi un po’ irregolari trituravano la carne quasi con crudeltà, sembrava una piccola belva intenta al pasto. Gli piaceva tutto di lei, anche il modo di mangiare, si rese conto in quel momento che quella ragazzina bionda l’aveva stregato, era veramente innamorato e il solo pensiero di lasciarla lo faceva star male. In quei meravigliosi quindici giorni passati insieme non le aveva mai detto che l’amava; doveva dirglielo…doveva chiederle d’aspettarlo perché sarebbe tornato presto per portarsela via con sé. Lei gli sorrise :

“A cosa pensi?”, chiese. Lui le prese una mano:

“Ne parliamo più tardi…non è questo il luogo per dire certe cose”, rispose, la sua voce tradiva una certa emozione.

Un ragazzo biondo, in jeans rattoppati e maglione stinto, scarpe piuttosto malandate, si avvicinò al tavolo. Philip lo guardò sorpreso, ma l’altro come se neppure lo vedesse si rivolse a Serena:

“Posso parlarti?”. La ragazza turbata chiese scusa e si alzò allontanandosi con il giovane. Philip li vide parlare animatamente: lei sembrava sul punto di piangere, lui gesticolava alzando la voce. Quando Serena tornò al tavolo aveva gli occhi lucidi e il viso in fiamme.

“Cosa è successo?”, chiese Philip preoccupato.

“Niente di importante… è un mio vecchio amico”, rispose lei, poi prese la borsetta dalla sedia e: “Scusami, non mi sento bene…vorrei andarmene, mi accompagni?”, disse con la voce in gola.

Attraversarono la sala in silenzio, ma appena fuori Philip non riuscì a trattenersi:

“Si può sapere perché sei così sconvolta ?”, disse prendendola per le braccia. Lei si tirò indietro, un’ombra passò nei suoi occhi chiari:

 “Ti prego… stasera non mi chiedere niente, ti prometto che domani ti dirò tutto…non ti preoccupare …va tutto bene”, cercò di sorridere, “ adesso vorrei tornare a casa…ho la testa che mi scoppia…”.

Salirono in macchina e lungo il percorso nessuno dei due parlò, quando arrivarono lei gli diede un bacio frettoloso e s’infilò nel portone del residence senza voltarsi indietro.


Philip era stupito e non riusciva a rendersi conto del cambiamento di Serena: così affettuosa e carina fino a quando non erano entrati in quel maledetto ristorante. Doveva partire il giorno dopo e non era riuscito a dirle quello che voleva, non avevano nemmeno parlato di rivedersi. “Le telefonerò stasera”, pensò, ma, mentre guidava per tornare in albergo ripensava al viso arrossato, agli occhi grigi spaventati e si chiedeva il perché. Con una brusca frenata si arrestò davanti all’hotel, un fattorino gli andò incontro per aprirgli la portiera, distrattamente consegnò al ragazzo le chiavi della vettura e si avviò verso la hall.

“Ci sono novità?”, chiese al portiere che leggeva un giornale dietro il banco.

“No, mister Randon nessuna novità”, rispose l’uomo con voce incolore.

Quando aprì la porta della sua camera lo spettacolo che gli si parò davanti lo fece restare senza fiato. Tutto era sottosopra: i cassetti vuotati, il letto disfatto, le valigie per terra, gli armadi aperti. Lo prese un senso di sgomento e di impotenza davanti a tanto sfacelo e si lasciò andare di colpo a sedere sulla poltroncina ai piedi del letto: alzò lo sguardo e lo colpì, come un pugno nello stomaco, il vuoto sulla parete: il quadro di Serena non c’era più!

 

( continua  sabato prossimo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

Nessun commento:

Posta un commento