Passò metà del pomeriggio negli archivi del Corriere
della Sera, sfogliò i giornali di qualche mese prima e finalmente un titolo su
tre colonne colpì la sua attenzione <<Delitto
nel mondo degli artisti. Un pittore
trovato morto nella sua mansarda >>. Seguiva la cronaca con i particolari;
poi dai colleghi del giornale seppe tutto più dettagliatamente.
Il pittore era stato assassinato nella notte
tra il 15 e il 16 gennaio per motivi sconosciuti,
non era stato trovato nulla che potesse giustificare un movente.
La ragazza che stava con lui, una certa Serena
Molinari, era stata interrogata a lungo, ma non era servito a dissipare il
mistero, nel ménage della coppia non c’era niente di oscuro: erano due ragazzi
che vivevano come tanti altri cercando di sbarcare il lunario, un po’ vendendo
i quadri di lui e un po’ con il lavoro di fotomodella di lei.
Un delitto non risolto, la polizia dopo una
serie d’indagini che avevano dato esito negativo, aveva archiviato il caso.
Philip ora
sapeva chi era la ragazza del quadro e non vedeva l’ora di conoscerla, voleva
parlare con lei, vederla da vicino… dare vita al ritratto gli sembrava una
specie di miracolo.
Si recò alla
casa del delitto all’imbrunire: era una casa di ringhiera, una tipica
costruzione milanese dei primi del Novecento, l’intonaco rossiccio dei muri era
scrostato qua e là,i balconcini grigi in ferro battuto erano pieni di fiori e
davano un tocco di allegria allo stabile un po’ malandato, il portone di legno
era aperto e Philip entrò.
“Desidera?” chiese la custode.
“Abita qui Serena Molinari ?”, chiese lui.
Prima di
rispondere la donna lo squadrò da capo a piedi , poi con malgarbo disse:
“Ancora
interrogatori? Ne abbiamo avuto abbastanza di questa storia! comunque Serena
non abita più qui, se n’è andata da più di un mese”.
Philip guardò
quella donna grassa e spettinata che gli stava davanti con l’occhio vuoto,
questa interpretò quello sguardo alla sua maniera e riprese a parlare a voce
più alta: “Non mi crede ? Vada, vada su se si vuole fare quattro piani a piedi
, troverà la porta chiusa !”
Fece per
rientrare, ma si voltò ancora: “E non mi chieda dov’è andata perché non lo so”,
e con queste parole gli sbatté definitivamente l’uscio in faccia.
Philip non
aveva avuto modo di replicare: era destino che non potesse incontrare la donna
del quadro, rimaneva sempre un miraggio che svaniva nel momento in cui stava
per raggiungerlo.
+++
Philip,
seduto al tavolino di un bar all’aperto guardava pigramente la gente passare:
il suo sguardo vagava senza posarsi su niente. Era una giornata vuota,
finalmente poteva permettersi qualche ora di dolce far niente; quando raramente
gli capitavano queste occasioni preferiva starsene solo, senza parlare, passava
il tempo osservando gli altri che si muovevano intorno a lui. Da buon americano
stava sorseggiando un whisky, il liquore forte gli scendeva nello stomaco
dandogli calore e una leggera euforia. Gli piaceva l’Italia, ma soprattutto gli
piaceva Milano con la sua gente schietta che viveva senza pregiudizi né
provincialismi portandosi dentro con naturalezza e forse anche senza rendersene
conto, un retaggio di civiltà antica. Si guardava intorno anche perché sapeva
che sarebbero state le ultime giornate italiane, ancora qualche settimana e
sarebbe dovuto partire: il suo giornale lo richiamava in sede.
Una voce femminile lo trasse dalle sue
considerazioni:
“Scusi, lei è
Philip Randon ?”
Lui si voltò:
in piedi, vicinissima a lui, avvolta in uno scialle nero con le frange che le
accarezzavano i polpacci, c’era Serena, la ragazza del quadro. Indossava un
maglioncino rosa a collo alto e una larga gonna a fiori; le calze a rete
facevano risaltare le gambe snelle; i capelli biondi, scompigliati le
incorniciavano il viso e gli occhi grigi avevano la stessa espressione
leggermente stupita del ritratto. L’americano balzò dalla sedia:
“Sì, sono
io”, riuscì a farfugliare. La mano sottile della ragazza si tese verso di lui:
“Sono Serena Molinari, scusi se mi permetto di disturbarla. Sono stata in albergo e il portiere mi ha detto che lei ha l’abitudine
di trascorrere qualche ora qui, quando non ha impegni . Io ci ho provato … e
sono stata fortunata ".
Lui l’interruppe:
“Anch’io ho tentato di mettermi in
contatto con lei, ma ho avuto meno fortuna purtroppo”.
Sebbene abituato all’imprevedibile
che faceva parte del suo mestiere, Philip era rimasto come imbambolato: dopo
averla tanto cercata eccola lì, davanti a lui, materializzata come per un
arcano incantesimo. Erano imbarazzati tutti e due e per un attimo non dissero
niente; la ragazza prese l’iniziativa e, scostando la sedia dal tavolino
chiese: “Posso sedere?”
“Certamente ”.
“Forse avrà già capito il motivo
per il quale sono qui, il signor Pagani mi ha detto che lei non vuole cedere il
quadro che ha acquistato alla galleria … ci tengo a riaverlo, è l’ultima opera
di Marcello”, improvvisamente la sua voce s’incrinò.
“Pagani mi ha spiegato tutto ", Philip s'interruppe, ancora non riusciva a rendersi conto di averla così vicina, "Voleva molto
bene a quel pittore?” chiese poi osservando gli occhi grigi che si stavano
inumidendo..
“ Ora che non
c’è più mi sento come smarrita”, sussurrò lei .
Philip la guardava e gli faceva tenerezza: non
era molto alta, la figura snella e un po’ fragile, la pelle bianca , una
piccola vena azzurra le solcava la tempia destra.
“Facciamo due passi?”, propose, anche per
interrompere quell’attimo di commozione..
Passeggiarono
per le vie del centro per quasi due ore, alla fine Philip sapeva tutto di lei:
che veniva dalla provincia, che lavorava saltuariamente per agenzie
pubblicitarie e per i giornali di moda , e che, dopo la morte di Marcello,
divideva con un’amica un piccolo appartamento in un residence a Porta
Romana. Quando si salutarono era già
buio.
Lui la volle rivedere ancora il giorno dopo, e
poi ancora…e ancora…preso dall’incanto di lei, complici la primavera, le serate
sui Navigli, le passeggiate fra la gente sotto i portici affollati di Corso
Vittorio Emanuele, i portoni compiacenti delle viuzze oscure della vecchia
Milano per baciarsi ancora prima di augurarsi la buona notte.
+++
La luce del giorno entrava dalle fessure delle tapparelle abbassate
creando strani giochi luminosi sulle pareti; Philip aprì gli occhi e pigramente
allungò un braccio: sentì il calore del corpo di Serena; sorrise e si voltò a
guardarla mentre dormiva. I capelli sparpagliati sul cuscino sembravano una
matassa ingarbugliata di fili d’oro, il viso con le palpebre abbassate assumeva
un’espressione dolcissima e innocente. “Serena”, pensò in contemplazione,
“meravigliosa, tenera, appassionata…”L’aveva sempre saputo; da quando aveva
visto quel quadro alla galleria d’arte era stato attratto da lei
inconsciamente. Serena si svegliò e gli si strinse addosso:
“Domani è l’ultimo giorno, poi partirai e non ti vedrò mai più!”. La sua
voce sommessa e ancora impastata di sonno era appena percettibile. Lui le
accarezzò i capelli: “Non pensarci adesso … tornerò , te lo prometto”.
“Non è vero, io non ci credo, ma non importa…è stato bello lo stesso!” Lo
baciò leggermente su una guancia. Philip si stirò, mise i piedi giù dal letto e
si alzò; andò ad aprire le finestre:
“Svelta pigrona, alzati! c’è il sole…se fai presto ti porto a pranzo in
un bel ristorantino in riva al lago, dai sbrigati”.
“Uffa ,è così bello stare qui!
Lasciami ancora un pochino intanto che ti fai la doccia”.
“E va bene ”.
Philip saltellando a piedi nudi si infilò nel bagno e aprì il getto d’acqua
calda. Mentre si insaponava gli venivano in mente le parole di Serena: “Non ti
vedrò mai più” e risentiva sotto le sue mani il suo corpo un po’ acerbo, con la
pelle morbida e liscia …Si stava innamorando o gli piaceva solo fisicamente? la
cosa certa era che non voleva perderla e che sarebbe tornato per rivederla. Si
asciugò in fretta e ancora con l’accappatoio umido tornò nella stanza. Serena
era in piedi sul letto che stava armeggiando attorno al quadro.
“Cosa stai facendo?”, le chiese sorpreso.
La ragazza si voltò di scatto e diventò rossa.
“Niente, lo
stavo rimettendo a posto, mi sembrava storto!”
Si staccò dalla parete e si buttò sul letto
scoppiando in una risata .
“Accidenti che paura mi hai fatto! Non
prevedevo che saresti uscito così presto dalla doccia”.
Lo abbracciò e allontanò il viso per guardarlo
negli occhi:
“Mi lascerai il quadro?” gli chiese.
Philip diede
un’occhiata al dipinto e fu ripreso dalla sua magia :
“Tornerò… ma non posso lasciarti quel quadro,
se lo porto con me sarà come averti vicina… ”, rispose accarezzandole il viso
con dolcezza. Serena rimase pensierosa per un attimo poi si riprese e
allegramente disse: " D'accordo, ormai il quadro è tuo, cercherò di non pensarci..." poi cambiando improvvisamente tono:
“Allora, mi vesto? andiamo a mangiare in quel
posticino delizioso?…anzi ti propongo qualcosa di meglio, seguimi e vedrai !”,
aggiunse allegramente.
Il ristorante
era affollatissimo e dovettero faticare un bel po’ prima di trovare un tavolo
libero: era frequentato per la maggior parte da artisti , a giudicare dall’abbigliamento
stravagante. Philip avrebbe preferito andarsene in riva al lago, un posto
tranquillo dove avrebbero parlato con calma; ma era l’ultimo giorno e per non
contraddire Serena aveva accettato di seguirla.
Tutta quella gente lo innervosiva, Serena invece sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, molti la salutarono con confidenza, anche il cameriere la riconobbe e si avvicinò premuroso: ordinarono bistecca ai ferri, insalata e gelato alla crema.
Stavano
mangiando in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri; Philip osservava
Serena: aveva le guance arrossate, i denti bianchi un po’ irregolari
trituravano la carne quasi con crudeltà, sembrava una piccola belva intenta al
pasto. Gli piaceva tutto di lei, anche il modo di mangiare, si rese conto in
quel momento che quella ragazzina bionda l’aveva stregato, era veramente
innamorato e il solo pensiero di lasciarla lo faceva star male. In quei
meravigliosi quindici giorni passati insieme non le aveva mai detto che
l’amava; doveva dirglielo…doveva chiederle d’aspettarlo perché sarebbe tornato
presto per portarsela via con sé. Lei gli sorrise :
“A cosa
pensi?”, chiese. Lui le prese una mano:
“Ne parliamo
più tardi…non è questo il luogo per dire certe cose”, rispose, la sua voce
tradiva una certa emozione.
Un ragazzo
biondo, in jeans rattoppati e maglione stinto, scarpe piuttosto malandate, si
avvicinò al tavolo. Philip lo guardò sorpreso, ma l’altro come se neppure lo
vedesse si rivolse a Serena:
“Posso
parlarti?”. La ragazza turbata chiese scusa e si alzò allontanandosi con il
giovane. Philip li vide parlare animatamente: lei sembrava sul punto di
piangere, lui gesticolava alzando la voce. Quando Serena tornò al tavolo aveva
gli occhi lucidi e il viso in fiamme.
“Cosa è successo?”, chiese Philip preoccupato.
“Niente di importante… è un mio vecchio amico”, rispose lei, poi prese la
borsetta dalla sedia e: “Scusami, non mi sento bene…vorrei andarmene, mi
accompagni?”, disse con la voce in gola.
Attraversarono
la sala in silenzio, ma appena fuori Philip non riuscì a trattenersi:
“Si può
sapere perché sei così sconvolta ?”, disse prendendola per le braccia. Lei si
tirò indietro, un’ombra passò nei suoi occhi chiari:
“Ti prego… stasera non mi chiedere niente, ti
prometto che domani ti dirò tutto…non ti preoccupare …va tutto bene”, cercò di
sorridere, “ adesso vorrei tornare a casa…ho la testa che mi scoppia…”.
Salirono in macchina e lungo il percorso nessuno dei due parlò, quando arrivarono lei gli diede un bacio frettoloso e s’infilò nel portone del residence senza voltarsi indietro.
Philip era
stupito e non riusciva a rendersi conto del cambiamento di Serena: così
affettuosa e carina fino a quando non erano entrati in quel maledetto
ristorante. Doveva partire il giorno dopo e non era riuscito a dirle quello che
voleva, non avevano nemmeno parlato di rivedersi. “Le telefonerò stasera”,
pensò, ma, mentre guidava per tornare in albergo ripensava al viso arrossato,
agli occhi grigi spaventati e si chiedeva il perché. Con una brusca frenata si
arrestò davanti all’hotel, un fattorino gli andò incontro per aprirgli la
portiera, distrattamente consegnò al ragazzo le chiavi della vettura e si avviò
verso la hall.
“Ci sono novità?”, chiese al portiere che leggeva un giornale dietro il
banco.
“No, mister Randon nessuna novità”, rispose l’uomo con voce incolore.
Quando aprì
la porta della sua camera lo spettacolo che gli si parò davanti lo fece restare
senza fiato. Tutto era sottosopra: i cassetti vuotati, il letto disfatto, le
valigie per terra, gli armadi aperti. Lo prese un senso di sgomento e di
impotenza davanti a tanto sfacelo e si lasciò andare di colpo a sedere sulla
poltroncina ai piedi del letto: alzò lo sguardo e lo colpì, come un pugno nello
stomaco, il vuoto sulla parete: il quadro di Serena non c’era più!
( continua sabato prossimo)
Nessun commento:
Posta un commento