Il cielo era
livido, le folate d’aria fredda promettevano un temporale imminente. Philip
Randon, corrispondente a Milano di un importante quotidiano di New York camminava a testa bassa per Via Brera stringendosi addosso l’impermeabile.
Improvvisamente un violento scroscio di
pioggia lo bagnò da capo a piedi, si guardò intorno per cercare rifugio, poco
distante scorse le luci di una galleria d’arte.
“ Benissimo”, pensò, “mi ficco lì dentro, sarà sempre meglio guardare
quadri che rischiare una polmonite”.
Spinse la porta della galleria ed entrò.
Pochi visitatori guardavano distratti le tele appese alle pareti,
qualcuno di loro forse era entrato per il suo stesso motivo: ripararsi dalla
pioggia.
Philip cominciò il giro delle sale, la pittura lo aveva sempre
interessato e sapeva riconoscere a colpo d’occhio una buona opera da una
crosta; erano in mostra pittori contemporanei, anche sconosciuti; qualcuno
di loro aveva del talento e meritava una
sosta più prolungata. L’occhio si fermò su un quadro non molto grande, con una
cornice di legno scuro, quasi nascosto dietro una colonna. Era un viso di donna
dall’espressione intensa, lievemente corrucciata; il pittore aveva saputo dare
una luce particolare agli occhi chiari. Si
avvicinò interessato: la ragazza ritratta era bionda, con i lunghi
capelli spettinati; rimase a guardare la tela quasi incantato da quel viso di
donna. Nell’angolo di destra c’erano solo le iniziali del pittore M.R., un
artista sconosciuto, ma certamente valido: la pennellata sicura, decisa, i
colori sfumati. Ma quello che l’attirava
di più, al di là della maestria dell’artista, era l’espressione di quel volto
femminile: forse era la donna che aveva sempre sognato, un ideale che si era
sempre portato dentro fin dalla prima giovinezza, una cosa un po’ infantile
frutto di pensieri e desideri nascosti. Una voce alle sue spalle lo tolse dalla
contemplazione:
“Le
interessa? è una delle opere migliori di
Marcello Rinaldi, ma se lo vuole acquistare devo avvisarla che momentaneamente non è in catalogo”, disse un giovanotto dall’aria
simpatica che si era avvicinato .
Philip stava ascoltando
il ragazzo e un pensiero attraversò la
sua mente: sì, doveva comprare quel quadro, portarselo via per aver modo di
guardare la sua donna ogni volta che ne avesse provato il desiderio. Qualcosa
lo spingeva a farlo subito, sentiva che se fosse uscito dalla galleria a mani
vuote avrebbe perso per sempre uno dei suoi sogni nascosti. Si volse verso il
giovanotto:
“Vorrei comprarlo, ma devo farlo oggi, devo partire e non ho tempo di
ritornare domani, cerchi di sapere quanto costa”. Il commesso lo guardò meravigliato:
“Ma…le ho appena detto che non posso venderlo adesso” ”, era in evidente imbarazzo, non sapeva come
comportarsi, gli dispiaceva perdere un’occasione di vendita, ma aveva paura di
sbagliare.
Si allontanò e ritornò dopo pochi
minuti:
“ Il
direttore non c’è, ma se desidera acquistare il quadro subito, il prezzo è
questo.” Allungò un biglietto con una cifra. Philip diede un’occhiata e annuì.
“Molto bene”,
disse il giovane evidentemente sollevato, “si accomodi alla cassa”.
Con il grosso
pacco sotto il braccio Philip entrò nella hall del suo albergo, salutò il
portiere, prese le chiavi e si avviò in camera. Non si tolse nemmeno la giacca
e si mise a scartare il quadro. Voleva riprovare quella sensazione di
meraviglia che l’aveva spinto a portarsi via la tela; quando gli apparve davanti
quella bella faccia di ragazza bionda esclamò: “Sei stupenda!”.
Appoggiò la
tela ai piedi del letto, si sdraiò e chiuse gli occhi: era stanco morto, aveva
girato tutta la mattina e lo aspettavano diversi impegni nel pomeriggio, a
Milano era in corso la settimana della moda, sfilate, party e conferenze stampa
fiorivano un po’ dappertutto: aveva promesso di essere presente ad un
ricevimento in Via della Spiga dove doveva incontrare un amico.
Verso le
diciotto uscì dall’hotel e si diresse all’appuntamento. Naturalmente c’era
tutto quello che Philip si aspettava di trovare: gran confusione, belle donne,
amici e colleghi che lo salutavano con grandi manate sulle spalle.
Dopo un paio d’ore passate a stringere mani e
a ingollare Martini decise di andarsene. Stava avviandosi all’uscita quando la
sua attenzione fu attirata da una figura di donna in controluce appoggiata a
una vetrata; lei si voltò per un attimo e riuscì a vederla in viso: la sorpresa
lo fece trasalire, non ebbe dubbi, era lei ! la donna del quadro. Philip cercò
di raggiungere il miraggio facendosi
largo fra gli invitati che sostavano chiacchierando nel salone, ma incontrò un
conoscente che gli fece perdere dei minuti preziosi, quelli che bastarono alla
ragazza per avviarsi verso la hall. Mentre rispondeva evasivamente al suo
interlocutore, la seguiva con lo sguardo ed era sulle spine perché vedeva
sfumare banalmente l’occasione di conoscerla; finalmente, dopo attimi che gli
sembrarono secoli riuscì a liberarsi dell’importuno e si lanciò all’inseguimento
della sua preda: ma, l’unica cosa che riuscì a vedere , fu la coda di un taxi
che si allontanava velocemente: non gli restava che rituffarsi nella confusione
del party.
Mentre guidava
per tornare in albergo ripensava all’attimo
in cui aveva visto il viso della ragazza ed era preso da dubbi: e se non fosse
stata lei? Eppure il suo viso era inconfondibile: gli occhi grigi, la piega
della bocca, i capelli dorati sapientemente arruffati, sorrise e si convinse:
era lei . Quella sera in camera non si sentì più tanto solo, dalla cornice del
quadro lo guardava la sua bellezza bionda e lo confortava la speranza di
poterla incontrare di nuovo; ormai sapeva che esisteva!
Lo sgradevole
suono del telefono lo svegliò, ancora assonnato rispose con la voce rauca: “Sì,
cosa c’è?”, diede un’occhiata al piccolo orologio sul comodino, erano le otto,
ancora troppo presto per le sue abitudini.
“Mister Randon, sono il portiere, c’è un
signore che desidera parlare con lei”.
“Si faccia dire come si
chiama , dal momento che mi sveglia tanto presto!” ribatté Philip indispettito.
Dopo un secondo il
portiere gracchiò ancora nella cornetta:
“E’ il signor Pagani, proprietario di una
galleria d’arte”.
“E va bene …gli dica d’aspettarmi ”, brontolò Philip .
Un quarto d’ora dopo era nell’atrio e si vide venire incontro un uomo di
bassa statura che, con un largo sorriso, gli tendeva la mano.
“Permette, sono Pagani”. Sul momento Philip, non ancora molto sveglio,
non riusciva a mettere a fuoco la figura dell’uomo.
“Veramente …io non la conosco ..” , rispose in evidente imbarazzo, ma
l’altro lo interruppe: “Sì, quel quadro che lei ha acquistato ieri …”
“Ah, certo, certo, …ma non capisco il motivo della sua visita, c’è
qualcosa che non va?”
“No, no,
tutto regolare, mi scusi… ormai lei è in possesso del quadro e non so come
dirglielo …”, l’ometto era titubante .
“Continui ”,
lo incoraggiò Philip.
“Ecco”,
rispose l’altro abbozzando un sorrisetto melenso, “il quadro non era in vendita,
purtroppo ieri non ero presente e il mio collaboratore ha commesso un errore
. Vede … ho deciso di…”, si fermò come
per cercare le parole adatte , poi riprese: “Sono qui per ricomprarlo… a
qualunque prezzo”.
“Eh, no !”
sbottò il giornalista, “quel quadro era esposto insieme agli altri senza
nessuna indicazione. A questo punto mi deve delle spiegazioni …”
L’espressione
del signor Pagani cambiò di colpo, da cordiale divenne dura, gli occhietti
grigi si strinsero come una fessura : “Non ho niente da dirle mister Randon,
solo che voglio quel quadro!”
Philip si
spazientì:
“Non intendo assolutamente cederlo per nessuna
ragione al mondo, ha capito bene? A questo punto non mi rimane altro che
salutarla … buon giorno signor Pagani …”, fece per allontanarsi, ma l’altro lo
fermò afferrandolo per un braccio: la sua bocca si stirò in una smorfia che
voleva essere un sorriso di convincimento.
“Abbia
pazienza , mister Randon , non è per me, ma per la ragazza, sa…quella del
quadro…lo vorrebbe tenere per ricordo! Il pittore era il suo compagno, ed è
morto”, fece la voce di circostanza abbassandone il tono, “quel dipinto le è
molto caro …si metta una mano sulla coscienza!”
Quell’uomo
gli dava fastidio, sentiva verso di lui un senso di repulsione che non sapeva
spiegare, ma che suonava come un campanello d’allarme:
“Si chiamava
Marcello Rinaldi se non sbaglio?”, disse Peter aspettando una conferma .
“Chi, il pittore?…sì,…sì”, rispose il gallerista.
“E…come è morto ?”, continuò il giornalista. Le sue antenne lo
avvertivano che c’era qualcosa di poco chiaro in tutta la faccenda.
“Purtroppo è
stato assassinato ….e non si è ancora trovato il colpevole. Forse frequentava
un giro poco pulito, è certo però che l’hanno trovato con una pallottola in
testa, nella sua soffitta”.
“
…quella bionda era la sua ragazza?”, chiese ancora Philip.
“
Così mi ha detto, ieri sera, quando è venuta a chiedermi il quadro”.
“Non
capisco perché non se l’è tenuto …”, borbottò il giornalista.
“Me
l’aveva venduto il pittore stesso proprio il giorno prima di morire,
poveretto!”
“Quando
è successo il fatto?”, insisté Philip sempre più interessato.
“Circa tre
mesi fa …”, l’uomo fece una pausa, si vedeva che aveva fretta di concludere,
infatti riprese con insistenza: “Allora , cosa ha deciso , me lo cede questo
quadro?”
“Ora meno che mai, mi dia l’indirizzo della ragazza, preferisco trattare
direttamente”, tagliò corto Randon.
“Ho capito!
con lei non riuscirò a combinare niente”, ribatté Pagani rosso per il dispetto,
“mi spiace, ma non la posso accontentare, l’indirizzo non lo conosco”.
Se ne andò
voltandogli le spalle con un movimento brusco. Philip lo guardò allontanarsi;
quella faccenda l’incuriosiva molto e da buon giornalista voleva andare a
fondo.
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento