Francesco s’accostò al bancone del bar e ordinò un caffè. Mentre aspettava di essere servito vagò con lo sguardo per il locale: un albero di Natale stracarico di addobbi scintillanti donava all'ambiente un po' squallido una nota di colore.
L’anziana signora, seduta al tavolino poco distante, lo stava fissando fin da
quando era entrato nel locale, uno sguardo insistente, quasi provocatorio,
forse per attirare la sua attenzione. Ma Francesco non l’aveva neppure notata,
era infreddolito e stanco, stava guidando da ore e quel caffè caldo se l’era
sognato durante il tragitto. Ora la tazzina fumante era davanti a lui e si
voleva gustare il piacere di mandar giù un sorso in santa pace. La bevanda gli
entrò nello stomaco e gli fece bene, ne aveva un bisogno fisico e impellente:
si sentiva pronto a riprendere il viaggio. Si era fermato mentre stava percorrendo la via
Aurelia in direzione di Savona, non aveva molti chilometri da fare, era quasi
arrivato, aveva già oltrepassato la città e Loano non era molto lontana.
Stava
tornando a casa sconfitto, era andato via pieno di speranze, ma il destino gli
si era rivoltato contro, non era riuscito a ottenere il prestito dalla banca
per continuare a tenere in piedi la sua azienda in crisi. Era un piccolo imprenditore
che si stava barcamenando, in questi momenti difficili, per tenere a galla la
fabbrica di borse dove lavoravano dieci operai. Aveva assolutamente necessità
di un finanziamento per pagare gli stipendi e tenere a bada i creditori,
altrimenti avrebbe dovuto chiudere e lasciare a spasso i dipendenti. Proprio in quei giorni che precedevano il Natale aveva avuto un ultimatum: pagare entro una data stabilita altrimenti avrebbe dovuto dichiarare bancarotta. La testa era piena di pensieri funesti, anche la strada tutta curve, che ben
conosceva, l’aveva stressato: era buio e pioveva, non vedeva l’ora di togliere
le scarpe e di buttarsi sul letto. Stava posando la tazzina sul banco quando il
fracasso del piattino che si rompeva sul pavimento lo fece voltare. Istintivamente
si chinò per raccogliere i cocci e quasi si scontrò con la donna piegata sui
frammenti sparsi dovunque.
«La ringrazio, è molto gentile, l’ho fatto senza
accorgermene, lasci, adesso viene il barista, non si disturbi», disse lei, gli
occhi chiari, azzurri, leggermente appannati dall’età, si alzarono sul viso di
Francesco che le sorrise.
«Sono cose che capitano», farfugliò banalmente lui, senza sapere
cosa aggiungere.
La donna si alzò dal pavimento con fatica, quando arrivò il
ragazzo del bar con scopa e paletta, si diresse verso Francesco e gli appoggiò
la mano su un braccio:
«Mi scusi, lei va verso Loano?», domandò.
«Sì, abito proprio lì», rispose lui voltandosi sorpreso.
«Senta giovanotto, mi darebbe un passaggio? dovrei tornare a casa, ho freddo e sono
stanca, non ce la faccio più», aveva la voce tremula, come di chi si sente
male.
Francesco rimase un attimo interdetto, non si aspettava
questa richiesta. Tardò a rispondere e la donna riprese: «Sono sfinita, arrivo
da molto lontano, alla mia età non si sopportano più le fatiche. Farebbe
veramente un’opera buona, e poi non abbia timore, non sono una vecchietta con
la pistola in tasca…mi guardi, sono innocua, non farei male a una mosca!»
Lui alzò le spalle e sorrise alle battute della vecchia
signora, quella donnetta lo impietosiva: sola e infreddolita seduta a un
tavolino di un bar di passaggio, chissà perché era lì? Ma non se lo chiese e
decise di assecondarla.
«Va bene, se si fida della mia guida, cercherò di riportarla
a casa».
La sua interlocutrice sorrise soddisfatta:
«Grazie, non dimenticherò, lei è una brava persona. Ah, mi
scusi», continuò poi, « non mi sono presentata, mi chiamo Amalia», allungò la
mano verso quella di Francesco che a sua volta disse il suo nome. Fatte
le presentazioni, Francesco pagò il caffè e si accinse a uscire:
«Andiamo?», disse rivolgendosi alla donna che era già pronta
a partire.
Lei afferrò la borsetta e lo seguì verso l’auto parcheggiata
ai bordi della strada. Si misero in viaggio, la signora Amalia, dopo pochi
chilometri si appisolò. Francesco l’osservò con la coda dell’occhio per non
distrarsi dalla guida, la testa con la chioma bianca e leggera come un’aureola
era abbandonata leggermente di lato, sul viso un piccolo sorriso le dava
un’aria serena, anche lui, guardandola, sentì dentro di sé distendersi
quel grumo che si portava dentro da ore.
«Chissà cosa ci faceva in quel bar, a quest’ora e con questo
tempaccio», pensò Francesco, non gli aveva detto nulla di sé, nemmeno dove
voleva essere lasciata. In effetti quel pensiero gli dava una certa
preoccupazione, la signora era anziana e si sentiva responsabile. Si chiedeva se aveva fatto bene a prenderla con sé, ma era stata una
decisione improvvisa e talmente spontanea che non gli aveva lasciato il tempo
di pensare. «Quando sono arrivato la sveglio, così mi dirà dove la devo
lasciare», pensò.
La cortina della pioggia battente toglieva visibilità alla
strada pericolosa anche per il susseguirsi delle curve a gomito, Francesco
guidava con i nervi tesi per l’attenzione, a un tratto la donna che aveva
accanto si svegliò:
«Attento, c’è un camion dietro la curva!», esclamò.
Francesco fece appena tempo a sterzare, il grosso Tir aveva
invaso una parte della corsia opposta, se non fosse stato avvisato con
l’esclamazione della signora Amalia, l’incidente sarebbe stato inevitabile. Appena
passato il grosso veicolo, il giovane si mise una mano sulla fronte imperlata
di sudore e tirò un respiro di liberazione:
«Come ha fatto a sentire che stava arrivando quel bestione!»,
chiese ancora sotto choc.
«Non so», fu la laconica risposta, poi la donna girò la testa
dall’altra parte e si riaddormentò.
Francesco era rimasto colpito dall’episodio, più ci ripensava
e più si convinceva che la vecchietta, che si era riappisolata, gli aveva
salvato la vita. Continuò il viaggio con questo pensiero. «Fra un po’ la dovrò
svegliare», si disse, «manca poco».
In vista del cartello stradale di Loano, Francesco la toccò
leggermente sul braccio:
«Signora, siamo arrivati, dove l’accompagno?».
La donna si scosse, «Ah, grazie giovanotto, mi lasci per
favore davanti alla chiesa, sono di casa in parrocchia», affermò sorridendo.
Arrivarono sul sagrato, lei scese sveltamente, senza
aspettare che Francesco le aprisse la portiera:
«Non si disturbi, ce la faccio ancora. E’ stato molto
gentile, ha fatto un’opera buona. Saluti sua moglie e i suoi bambini», esclamò
andandosene. Inspiegabilmente Francesco non la vide più: era scomparsa. Ripensò
alle sue parole: « Come fa a sapere che ho moglie e figli? Mah…è una strana
vecchietta, spero di aver fatto una cosa giusta accompagnandola, non vorrei
avere dei fastidi», mormorò, «però adesso finalmente posso tornare a casa!»
Francesco arrivò davanti al suo villino stremato dal viaggio
e dalle strane vicende che gli erano capitate, mise la vettura nel box, ritirò
la borsa e il giaccone, mentre si accingeva a chiudere le portiere notò una
grande busta bianca sotto il sedile davanti. La prese e vide che era
indirizzata a dottor Mario Bernardi, di Savona.
«E questa cos’è?», mormorò rigirandola fra le mani, «non è mia,
sarà della signora, ha detto che è di casa in parrocchia, domani la consegno a don
Giacomo, ci penserà lui a dargliela».
Rientrò a casa, nell’abbraccio affettuoso della sua famiglia
dimenticò per quella sera i suoi problemi. Ma l’indomani il parroco cadde dalle
nuvole:
«Non conosco nessuna
signora Amalia, mi dispiace», disse all’attonito Francesco che, oltre alle sue
grane aveva per le mani quella busta non sua.
«Se posso dare un consiglio, direi di imbucarla, c’è già
l’indirizzo, così è sicuro che arriva», continuò il sacerdote.
«Buona idea!», rispose sollevato Francesco e l’inserì nella
prima buca delle lettere che incontrò.
Però gli rimase da sciogliere il mistero della donna
incontrata in un bar dell’Aurelia. Chi era? Perché gli aveva detto che
conosceva il parroco del paese se don Giacomo non l’aveva mai vista? Talvolta nella vita ci sono cose di cui non puoi trovare spiegazioni e la
figura della signora Amalia era una di quelle: comparsa improvvisamente e
sparita nel nulla. Di lei era rimasta soltanto una busta bianca.
I giorni passavano e la situazione economica di Francesco si
faceva sempre più difficile, i creditori che lo inseguivano, le banche con i
conti perennemente in rosso, gli stipendi da pagare, torturavano le sue notti. Purtroppo
aveva deciso di dichiarare bancarotta e di chiudere l’azienda, gli dispiaceva soprattutto
per i suoi dipendenti fra i quali c’erano anche padri di famiglia cui doveva
dire che avrebbero perso il lavoro e anche la liquidazione. Si vergognava
perfino ad andare in fabbrica, aveva cercato con tutte le sue forze di evitare
tutto questo, ma non ce l’aveva fatta.
Quel mattino arrivò la
posta che, da un po’ di tempo, Francesco metteva da parte per non angustiarsi ulteriormente. Erano quasi sempre
solleciti di pagamento, ormai non si aspettava altro. Quando si decise a
sfogliare la corrispondenza la sua attenzione fu attratta dall’ultima lettera
che giaceva sotto le altre. L’aprì aspettandosi la solita brutta notizia, ma
fin dalle prime righe si accorse che era una richiesta anomala: il notaio
Bernardi l’invitava nel suo studio il giovedì successivo alle ore diciotto per
comunicazioni che lo riguardavano.
Rilesse il testo e l’indirizzo, controllò che fosse diretta a
lui e ne dedusse che non c’era nessun dubbio: l’invito era proprio per il
signor Francesco Ferri, ovvero lui in persona.
«Sono certo che sarà
ancora un’altra seccatura, ci sarà qualcuno che vuole dei soldi», disse quella
sera alla moglie.
«Però sarà meglio che tu vada a vedere, non vorrai metterti
nei pasticci, un notaio è pur sempre un pubblico ufficiale», rispose lei. Ormai
erano pronti a tutto, vedevano il mondo rovesciarsi addosso.
Il giovedì pomeriggio Francesco salì le scale dell’antico
palazzo dove abitava il notaio.
Era agitato, non sapeva proprio cosa l’aspettava, entrò. Una
bella ragazza lo fece accomodare in un salottino in stile liberty, nell’attesa
prese una rivista da sfogliare.
Sentì il rumore di una porta che si apriva e si voltò. Con
sua enorme sorpresa vide la signora Amalia, proprio quella cui aveva dato il
passaggio, attraversare la stanza.
Gli passò vicino e gli sorrise, lui era pietrificato e tentò
di fermarla, lei però proseguì e uscì da un’altra porta. In quel momento la
segretaria del notaio lo chiamò:
«Può accomodarsi», gli disse, ma lui era ancora intento a
riaversi dalla sorpresa.
«Ma…quella signora», balbettò.
«Quale signora? Qui non c’è nessuno, la prego il notaio
l’aspetta», rispose lei guardandolo come si guarda un esaltato. Francesco entrò
nello studio con le gambe che gli tremavano.
«Chiedo scusa, perché questo invito?», chiese ancor prima che
il notaio parlasse.
L’uomo seduto dietro la scrivania di mogano l’osservò per
qualche secondo:
«Si calmi», disse poi, «l’ho convocata per una cosa molto
importante che la riguarda da vicino».
Francesco era sempre più in tensione, aspettava con ansia che
l’altro parlasse chiaro.
«Lei conosce Amalia Ferri?», chiese il pubblico ufficiale.
Francesco ebbe un sussulto:
«Amalia Ferri? …ho incontrato una sola volta una signora che
mi ha detto di chiamarsi Amalia, ma non l’ho più rivista», rispose angosciato.
«Lei è Francesco Ferri? Mi vuole mostrare i documenti?»
Sempre più in ansia Francesco mise la carta d’identità sulla
scrivania. Dopo aver dato un’occhiata il notaio prese un foglio:
«Giorni fa mi è stato recapitato per posta il testamento
della signora Ferri, sua zia, morta un mese fa
a Buenos Aires. Non so come ha fatto quel documento ad arrivare fin qui,
ma io sono un pubblico ufficiale e sono obbligato a comunicarle il contenuto».
Il cuore di Francesco era come impazzito, si mise una mano
alla gola:
«Sì, la sorella di mio padre è emigrata sessant’anni fa in
Argentina…», mormorò, aveva la testa confusa, una nebbia gli era calata davanti
agli occhi, sentiva il notaio che parlava, parlava, leggeva un testamento che diceva
che lui era l’unico erede di una fortuna, quella della zia Amalia, vedova e
senza figli, consistente in una notevole somma di denaro, titoli, e vari
immobili.
«Senta, dico a lei!», il notaio stava sollecitandolo.
Francesco si riprese:
«Sono sconcertato, mi deve scusare».
«La capisco, ma un’ultima cosa, le devo consegnare questa
foto, poi firmi qui. Ci sentiremo in seguito per le varie formalità», concluse
lui affrettando i tempi.
Il ritratto della zia Amalia era quello della vecchia signora
cui aveva dato il passaggio.
Uscì da quello studio ancora incredulo, si voltò e per un
attimo rivide accanto a sé la signora Amalia, ma ormai non si scomponeva più:
«Grazie zia», sussurrò, «non ti dimenticherò mai».
Tornò a casa con le gambe molli ma il cuore sereno: era
salvo! ... e soprattutto erano salvi i suoi operai e impiegati che non avevano perso il lavoro!
" Buon Natale a tutti!", esclamò stringendo in un forte abbraccio la sua famiglia.
FINE