Piovigginava nel giorno della festa del patrono, e c’erano poche persone fra le bancarelle che ogni anno arrivavano puntuali a esporre la loro merce. Tiziana e Marina passeggiavano, fermandosi ogni tanto a guardare le cianfrusaglie esposte, non c’era niente che le attirava, osservano e passavano oltre. Più avanti un personaggio vestito di bianco cercava di attrarre i clienti a entrare in un tendone simile a quello di un circo.
“Venite a provare la macchina del
tempo, scoprirete chi siete e da dove venite…Solo cinque euro, signori, è
un’ottima occasione per sapere la verità sul passato e sull’avvenire”, gridava
quel tale da un megafono.
Marina si fermò incuriosita: “Andiamo?”, chiese all’amica .
L’altra alzò le spalle: “Soldi
sprecati, non crederai a queste fandonie”.
“E’ un pomeriggio così noioso, ci
faremo quattro risate”, disse ancora la ragazza.
“Va bene, hai ragione, tanto per
passare il tempo”.
Pagarono il biglietto ed entrarono:
poche sedie in circolo e uno strano
marchingegno al centro, c’erano molti posti liberi, e le due amiche sedettero
non lontane dalla macchina del tempo.
Poco dopo uno squillo di tromba e
un uomo abbigliato con una giacca a lustrini sollevò una tenda di velluto e
venne avanti:”Grazie per essere presenti, c’è qualcuno del pubblico che vuole
sottoporsi al mio esperimento? E’ una cosa senza nessun pericolo, anzi sarà un
piacere per voi, vi trasporterà in un mondo lontano di cui non avete più nessun
ricordo e saprete cose che mai avreste saputo”, si fermò e cercò un volontario
fra il pubblico, passò qualche secondo in un silenzio imbarazzante, poi una voce di donna ruppe quell’atmosfera
incantata:
“Vengo io!”, disse Marina.
Tiziana la guardò sorpresa: “Sei
matta? Cosa ci vai a fare”, esclamò.
Ma ormai la ragazza era già al
centro della pista accanto a quell’uomo che sembrava uno stregone.
Marina sedette sullo sgabello
rigida, si fece avvolgere da fili elettrici, mentre il tipo con i lustrini la
fissava negli occhi. Lentamente sentì un torpore impadronirsi del suo corpo e
vagò nel sogno: una carrozza trainata da bianchi destrieri percorreva veloce un
lungo sentiero che attraversava un bosco di
alberi secolari, improvvisamente, dai cespugli sbucarono degli uomini
armati che obbligarono la carrozza a fermarsi. La tendina si scostò, non si
vide il viso, ma si sentì un urlo di donna: “Aiuto!”. Nel sogno apparve poi un
cavaliere sbucato dal nulla, che fece fuggire i banditi, mentre la sconosciuta
si abbandonava con un gemito sui sedili. Il prode salvatore aiutò la giovane ad
uscire…poi Marina sentì un leggero tocco sulle guance, un brivido la percorse e
si svegliò intorpidita.
L’uomo accanto a lei l’osservò:
“Come sta?”, chiese.
La ragazza non rispose, assentì con
il capo, poi si guardò intorno, lentamente stava tornando alla realtà.
“Bene”, sussurrò poi.
“Ricorda qualcosa?”, insistette
lui.
“No”, rispose lei, “ho fatto un
sogno confuso”.
“Non importa, ha risposto alle mie
domande, io so dov’è stata. La ringrazio, si può accomodare”, concluse
soddisfatto mentre scoppiava tra il pubblico un applauso.
“Non ti ricordi proprio nulla?”,
chiese Tiziana quando Marina tornò al posto guardandola sbalordita, “da come
rispondevi sembrava che tu fossi nel medioevo; parlavi di un cavaliere…
quell’uomo ti ha ipnotizzata e ti ha fatto dire quello che voleva, non credi?”.
Marina uscì dal tendone
disorientata: “Non so, mi sento strana, ho bisogno di aria”.
Si riprese in fretta, e cominciò a
scherzare: “Forse, hai ragione, quello là sotto ipnosi mi ha usata come ha
voluto, la macchina del tempo è una bella bufala. Andiamo a prenderci un
gelato, ho la gola secca”, concluse allegramente. Marina era una ragazza
positiva, non credeva a nulla che non fosse la realtà che stava vivendo, perciò
quell’esperienza la lasciò scettica come lo era sempre stata. Era una brava
infermiera e aveva sempre prestato la sua opera negli ospedali dei paesi del
terzo mondo dove c’era più bisogno di solidarietà per chi non aveva nulla. In
quei giorni stava aspettando la chiamata per la nuova destinazione
“Sai dove ti manderanno?”, chiese
Tiziana mentre stava golosamente gustando il suo gelato al pistacchio.
“Forse in Somalia, mi piacerebbe
ritornarvi, là ho tanti amici, e poterli rivedere sarebbe stupendo. Senza
contare che c’è un giovane medico che mi faceva il filo e magari…potrebbe
essere la volta buona! Le notti di luna piena in Africa sono magiche!”, scherzò
“Brava Marina, sei straordinaria,
io non ho il tuo coraggio e ti ammiro. Però promettimi che tornerai presto so
già che appena partita mi mancherai”, le disse l’amica sorridendo ammirata.
Non passò neppure una settimana, che Marina fu contattata per il nuovo incarico
e proprio nel posto che si aspettava. Con entusiasmo cominciò i preparativi per
il viaggio, da quel momento diventò tutto più facile: ciò che voleva si era
realizzato e aspettò il giorno della partenza con ansia.
Sull’aereo era felice, arrivò a
destinazione stanca, ma appena rivide l’èquipe ospedaliera, e tutto lo staff del piccolo ospedale, la
stanchezza sparì per fare posto all’euforia. Anche Fabio, il dottore che le
aveva fatto a suo tempo una corte discreta, si lasciò andare e l’abbracciò
stretta facendole quasi mancare il respiro:
“Aiuto! svengo ai tuoi piedi e mi
dovresti rianimare”, esclamò Marina.
“Lo farei volentieri, però con il metodo
bocca a bocca”, affermò lui mentre gli occhi gli sorridevano.
Così ricominciò il suo lavoro, ogni
giorno arrivavano donne con bambini
denutriti, con le pancine gonfie e lo sguardo smarrito. C’era molto da fare, e
i momenti di riposo erano pochi. Marina, molte volte, sfinita dalla giornata di
lavoro, si rilassava sedendosi all’aperto nel silenzio magico della notte
africana interrotto solo dalle grida degli animali notturni, e provava la
strana sensazione di sentire una presenza accanto a lei.
Però non era una cosa spiacevole, anzi sentiva
come se qualcuno la proteggesse e facesse in modo di appianare le difficoltà
della vita. Infatti stava trascorrendo un periodo felice, anche Fabio, nella
famosa notte di luna piena l’aveva baciata, così oltre alla soddisfazione sul
lavoro, anche l’amore era entrato dalla porta principale, tutto filava liscio.
Una di quelle notti in cui cercava
la pace interiore era immersa nei pensieri, non si accorse della presenza di
Fabio, la sua voce la fece sobbalzare:
“A cosa stai pensando?, sembra che tu sia in un'altra dimensione”, le disse arrivandole alle spalle.
“A cosa stai pensando?, sembra che tu sia in un'altra dimensione”, le disse arrivandole alle spalle.
Marina infatti stava andando
indietro nel tempo e in quel momento stava ripensando ai minuti passati sulla
macchina accanto all’uomo con la giacca di lustrini, quell’assurda esperienza
della quale non ricordava nulla se non il fatto di essersi svegliata mentre
stava facendo un sogno.
“Vieni, ti racconto cosa mi è
capitato poco prima di partire”, disse. Cominciò a parlare e l’attenzione di
Fabio si fece più intensa. Quando ebbe finito lui le cinse le spalle con un
braccio:
“Tu non credi a queste cose, ma è possibile che con l’aiuto dell’ipnosi tu sia regredita nel tempo, la tua amica ti ha detto che, rispondendo alle domande che ti faceva quel tale, sembrava fossi tornata in un’epoca di dame e cavalieri, non ricordi nulla?”, chiese il giovane medico.
“Tu non credi a queste cose, ma è possibile che con l’aiuto dell’ipnosi tu sia regredita nel tempo, la tua amica ti ha detto che, rispondendo alle domande che ti faceva quel tale, sembrava fossi tornata in un’epoca di dame e cavalieri, non ricordi nulla?”, chiese il giovane medico.
Marina lo guardò smarrita, poi chiuse gli
occhi e, improvvisamente ritornò al sogno, vide la carrozza, i briganti, udì il
galoppo, e sul cavallo vide il cavaliere nero.
Afferrò le mani del suo uomo,
confusa e attonita: “Ora so tutto”, disse con un filo di voce.
Fabio la scosse: “Stai bene?”,
chiese preoccupato. Lei annuì, ma non se la sentì di parlare.
“Non ti preoccupare, mi dirai poi,
adesso rilassati”.
Ma non ci fu tempo per tornare
sull’argomento, un’ improvvisa telefonata al cellulare di Fabio lo richiamò in
corsia, poco dopo tornò fuori sconvolto:
“Dobbiamo partire subito, al villaggio urgono medicinali, ci sono dei poveretti in pericolo di vita”, disse affannato, “però io non posso lasciare l’ospedale, sono l’unico medico rimasto, gli altri sono andati a prendere il carico dei medicinali all’aeroporto e non sono ancora tornati.
“Dobbiamo partire subito, al villaggio urgono medicinali, ci sono dei poveretti in pericolo di vita”, disse affannato, “però io non posso lasciare l’ospedale, sono l’unico medico rimasto, gli altri sono andati a prendere il carico dei medicinali all’aeroporto e non sono ancora tornati.
“Non ti preoccupare, ci vado io,
Amir viene con me e in poche ore siamo sul posto, stai tranquillo”, disse
Marina rientrando immediatamente alla realtà.
“Mi raccomando, stai attenta, non
ti fermare mai, quella strada è pericolosa”, affermò Fabio ansioso.
Marina si accinse a partire, dopo aver
caricato la jeep si mise accanto all’autista e se ne andarono accompagnati
dallo sguardo di Fabio che si sentiva colpevole per non aver potuto
accompagnarla..
La strada era buia, illuminata
soltanto dai fari della camionetta, in un primo tratto attraversava la foresta,
poi si immetteva in un rettilineo di cui non si vedeva la fine.
Avevano già percorso il tratto più pericoloso,
e si trovavano sulla strada, cominciava ad albeggiare e il viaggio stava
procedendo nei migliore dei modi. Marina era in contatto con Fabio, e lo stava
rassicurando sull’ottimo andamento. “Stai tranquillo, tutto bene, siamo quasi
arrivati”.
Dopo pochi chilometri entrarono al villaggio,
ormai il sole era già alto e chi li accolse li ringraziò talmente che si
sentirono quasi dei santi.
Consegnarono i farmaci al medico
dell’ambulatorio: “Avete salvato molte vite, grazie. C’è stata un’imboscata e
abbiamo molti feriti da curare, eravamo scarsi di tutto. Grazie ancora”, nei
suoi occhi c’erano quasi le lacrime.
Soddisfatti di aver compiuto il loro dovere,
Marina e il ragazzo nero che guidava la jeep, si misero sulla strada del
ritorno. Stavano andando veloci per arrivare presto, erano stanchissimi e il
pensiero di fare una doccia e una dormitina metteva le ali alle ruote della
loro vettura. Ma la fretta in quella circostanza non giocò a loro favore, il
motore sollecitato al massimo cominciò a singhiozzare finché si fermò
lasciandoli in mezzo alla strada sotto il sole .
“E adesso? Cosa facciamo?”, chiese
disorientato Amir.
“Non ci perdiamo in un bicchier
d’acqua”, rispose risoluta Marina, “telefono al dottor Fabio e vedrai che ci
manderà a prendere”. La giovane infermiera era abituata a risolvere i problemi
senza perdersi d’animo e anche in quella circostanza prese le redini e informò
l’ospedale del guasto.
“Aspettateci, arriviamo al più presto”,
rispose Fabio .
Poco dopo il rumore di un motore si
sparse per l’aria, in fondo alla strada, quasi all’orizzonte si delineò la
sagoma di un veicolo:
“Eccoli!”, esclamò Il negretto.
“Eccoli!”, esclamò Il negretto.
“Non possono essere loro, è passato
troppo poco tempo dalla telefonata”, rispose Marina allarmata.
Mano a mano che quel veicolo
avanzava la cosa si faceva sempre più preoccupante, infatti, sulla camionetta
c’era una gentaglia nera e vociante, in un attimo fu accanto a loro
minacciandoli con le armi puntate. Gridavano
e cercavano di strattonare la ragazza per farla salire sulla loro jeep
sgangherata. Marina opponeva resistenza ma sebbene fosse forte, non riusciva a
contrastare i due energumeni .
“Aiuto!”, gridava, ma nessuno poteva
soccorrerla poiché anche Amir, spaventato e tremante era immobilizzato dal
resto della banda. I due guerriglieri erano riusciti a spingerla sul loro
veicolo quando il rumore ritmico di un cavallo al galoppo li fermò. Non fecero
in tempo a voltarsi che un cavaliere con il viso coperto dalla celata di un
elmo nero, sollevò Marina dal sedile e la rimise a terra: “Sono qui, non
temere”, disse. Poi, minacciandoli con la lancia, si rivolse ai rapitori che,
terrorizzati ingranarono la marcia e con uno scatto da Formula Uno scapparono
da quel diavolo apparso improvvisamente dal nulla. Che, come era venuto, sparì,
dopo aver messo in fuga i rapitori.
Marina, immobile per tutto il tempo in cui si svolse quella scena
incredibile, riconobbe il cavaliere del sogno e questo la sconvolse, cercava i
capire, ma si convinse che non c’era niente da capire: era successo qualcosa di
paranormale oltre i limiti della comprensione umana.
Quando arrivò Fabio con i soccorsi,
Marina raccontò tutto, anche ciò che non aveva spiegazione:
“Non so come dirtelo, Fabio, so che non mi crederai, per fortuna c’è Amir come testimone”, si rivolse al negretto ancora terrorizzato dalla brutta avventura:
“Non so come dirtelo, Fabio, so che non mi crederai, per fortuna c’è Amir come testimone”, si rivolse al negretto ancora terrorizzato dalla brutta avventura:
“Hai visto anche tu il cavaliere,
vero?”, chiese.
L’altro la guardò sconcertato:
“No, non ho visto nulla, i guerriglieri sono
andati via poco dopo, forse ci hanno ripensato”, affermò.
“Ho capito, sono una visionaria, ma
non importa, io so che sto dicendo la verità”, ribatté delusa”.
Fabio l’abbracciò: “Io ti credo,
forse c’è una spiegazione in ciò che mi hai raccontato …ma ora andiamocene via
di qui”, concluse teneramente.
Se avessero saputo che Marina
Autieri era l’ultima discendente di una nobile famiglia e che nel suo passato
molto remoto c’era stato un cavaliere nero che l’aveva salvata dai briganti,
forse avrebbero in parte capito che l’ eroe era tornato per salvare la sua
principessa. Marina l’aveva visto nella macchina del tempo.
FINE
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