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domenica 25 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - fine


 

Elisa, seduta accanto a Fabio in attesa della chiamata del volo, era tesa e nervosa, stava aspettando il momento di mettere in azione quel piano che stava preparando da giorni. Non si era mai perdonata di aver messo il suo talento al servizio di quella mafia che commerciava in quadri falsi e che non aveva scrupoli. Era tutta colpa dell’amore cieco che aveva per Fabio: uno col fascino misterioso e l’aria da duro, di quelli  che fanno perdere la testa; per lui si era lasciata andare alla passione che travolge i sensi e cancella ogni morale. Per non perderlo avrebbe fatto qualsiasi cosa. Infatti, quando le chiese di copiare il famoso dipinto del pittore aretino in mostra alla galleria d’arte, non ebbe esitazioni.

“Tesoro”, le aveva detto lui, “ ho bisogno di te”.

“ Dimmi”, aveva risposto non immaginando quello che le proponeva.

“ So che sei brava….”, continuò Fabio insinuante, “ hai presente il quadro di Pier della Francesca che è in mostra in questi giorni?”

Elisa era rimasta un attimo perplessa: “ Sì”

“Dovresti copiare quel quadro”.

La proposta l’aveva sconcertata:

“Perché” aveva chiesto allibita.

“E’ di un privato che l’ha già venduto a casa d’arte americana e …se ne fai una copia gli rifiliamo quella e ci teniamo l’originale! Sei così brava che nessuno se ne accorgerà… amore, ce ne andiamo via , io e te, lontano da qui…saremo ricchi , voglio farti felice e stare con te tutta la vita…”

Elisa, catturata dal suo fascino perverso non aveva saputo dirgli di no.

E così, si  era prestata anche a farsi corteggiare dall’americano che aveva acquistato il quadro, per avere il motivo di andarlo a salutare alla partenza in modo che Fabio potesse scambiare le valigie all’aeroporto.

Si era accorta però che frequentare  Fred l’aveva cambiata, aveva svegliato dentro di lei i sensi di colpa: aver imbrogliato quell’uomo così corretto, con gli occhi trasparenti dove si poteva leggere quello che pensava, l’aveva messa in una crisi profonda. Si era come svegliata dal torpore in cui era sprofondata, annebbiata da quell’amore che l’aveva resa un automa al servizio di Fabio: aveva cominciato a vederlo con altri occhi, specialmente quando aveva capito che per lui contava solo il denaro…

Quando era entrata in quella cerchia di malavitosi si era resa conto che non poteva più continuare con lui, per liberarsi della sua influenza negativa che l’aveva resa quasi sua schiava, lo doveva lasciare.

L’aveva seguito fino a quel momento ma, quando aveva visto che stava cadendo in un baratro da dove era difficile risalire, aveva preso la decisione di andarsene.
Aveva fatto un piano un piano e aspettava l’occasione per metterlo in atto   senza provocare reazioni... la visione del povero Fred, per terra con la testa sanguinante, la spingeva a far presto…sapeva che quella specie di boss che aveva architettato tutto sarebbe ritornato e il professore ne avrebbe subito le conseguenze, quello era anche capace di farlo fuori.

 

Approfittando di un momento di distrazione di Fabio, Elisa si alzò:

“Vado a comperare un giornale”, disse cercando di dare alla voce un tono tranquillo.

Sospettoso lui si mosse dalla poltrona: “Vado io…tu rimani qui”.

In quel momento la voce della speaker annunciò il loro volo:
“Non c’è più tempo…vieni”, disse lui trascinandola per un braccio. Si avviarono lungo il corridoio, ma , prima di varcare il cancello lei si voltò:
“Io non parto”, disse decisa. Fabio sbarrò gli occhi e tentò di replicare, ma lei lo bloccò:
“Tieni tutto…il quadro e i soldi…addio!”, si voltò e corse via, inseguita dallo sguardo dell’uomo che era rimasto pietrificato.

 

Elisa correva facendosi largo fra la gente, arrivò fuori con il cuore in gola. Si infilò in una vettura pubblica e diede l’indirizzo del capannone, a Perugia, con la poca voce che le era rimasta. Le speranze di arrivare in tempo a liberare Fred erano poche, ma ci doveva provare…i minuti non passavano mai, avrebbe voluto che quella macchina avesse le ali…

Quando arrivò, quello che vide la sconvolse: una vettura della polizia era ferma davanti al cancello e due poliziotti stavano trascinando un uomo in manette. Sebbene fosse lontana riconobbe il capo della banda, non riusciva a capire cosa fosse successo e come erano arrivati ad arrestarlo. E Fred?…era vivo? …in quell’istante il suono persistente e lacerante dell’ambulanza che si fermò frenando di colpo, la fece sussultare. Due infermieri balzarono fuori con una barella e, dopo qualche minuto tornarono, un corpo era steso sulla lettiga, dopo averla infilata  nell’abitacolo partirono a sirena spiegata. Poco dopo, sul luogo, non c’era più nessuno…i protagonisti della drammatica sequenza avevano lasciato la scena.

Elisa, sempre più stupefatta, si guardò intorno per rassicurarsi di essere sola, licenziò l’autista e si introdusse cautamente nel capannone rimasto aperto; si diresse sicura in fondo, e poco dopo uscì di nuovo…

 

A  Los Angeles Margaret non aveva più notizie di Fred da due giorni, in albergo non era reperibile e il cellulare non dava segni di vita… la donna era preoccupata, poteva essergli successo qualunque cosa e poi voleva sapere come era finita la storia del  quadro.

Ad ogni squillo del telefono sobbalzava: forse era lui…ma ripiombava nell’ansia subito dopo. Decise di aspettare ancora un giorno…, dopo di che decise che sarebbe partita per l’Italia.

Nel momento in cui Margaret arrivò all’hotel e chiese del professor Adams l’espressione dell’impiegato alla reception cambiò, da sorridente divenne improvvisamente seria:

“Il professore è in ospedale”, disse. La donna lo guardò sorpresa:
“E’ sicuro di quello che dice?”, affermò.

“Certo…”; rispose titubante il giovanotto intimidito, “ le chiamo il direttore? Può parlare con lui”. 

Poco dopo il direttore spiegò a Margaret, come erano andate le cose:

 “Lo sapevo che si sarebbe messo nei pasticci…”, borbottò lei.

 

Quando Fred fu ricoverato era molto grave: la pallottola aveva attraversato il torace, causando lesioni interne; i medici l’avevano trasportato con urgenza in sala operatoria ed era stato sotto i ferri per molte ore.

Maria, chiamata dal commissario Loiacono, aveva trascorso la notte accanto al letto, in attesa che Fred aprisse gli occhi. Vederlo addormentato, pieno di tubi e tubicini, la addolorava…l’aveva ritrovato ma ora rischiava di perderlo ancora e…forse per sempre. Si rendeva conto in quel momento di averlo sempre amato, quello che la vita le aveva riservato dopo di lui era poca cosa…solo la figlia avuta dal marito, sposato senza passione, era stata una delle gioie, ma…anche lei l’aveva delusa, non sapeva dove era finita…forse se n’era andata e non l’avrebbe rivista mai più.

 Questi pensieri neri le frullavano in mente quando si accorse che Fred si stava svegliando.

“Amore mio…”, sussurrò.

Lui aprì lentamente le palpebre:

“Maria…”, disse a stento, “sei proprio tu…speravo di vederti…sei l’unica persona che in questo momento desidero vicina”, richiuse gli occhi, ma sulle sue labbra rimase l’ombra di un sorriso.

“Zitto…non ti affaticare”, mormorò lei. Un medico entrò:

“E’ andato tutto bene, signora”, la rassicurò, “se la caverà presto…e potrà tornare a casa”.

Quale casa? Si disse la donna, sarebbe stato troppo bello prendersi cura di lui…ma non era possibile, Fred doveva tornare in California, alla sua vita di sempre… Si avvicinò e lo baciò delicatamente sulla fronte. In quell’istante la porta si aprì e Margaret entrò nella stanza.

“E’ qui il professor Adams?”, disse lanciando uno sguardo sorpreso a Maria che la guardò a sua volta con aria interrogativa.

Fred, al suono di quella voce, aprì gli occhi: “Margaret…”, disse.

L’americana si avvicinò al letto: “Come stai?”, gli chiese, e poi, voltandosi verso Maria: “Chi è questa donna?”, domandò.

Il professore rimase un attimo perplesso, Maria si alzò dalla sedia sulla quale aveva passato la notte e si avvicinò alla nuova venuta.

“Vorrei pregarla di lasciarlo in pace…ha subìto una lunga operazione e si è appena svegliato, non può ancora parlare…”, disse guardandola decisamente negli occhi.

Margaret la squadrò da capo a piedi meravigliata dal fatto che parlasse inglese:
“Allora mi dica lei chi è e cosa ci fa qui…, io sono la donna di Fred e sono venuta apposta da Los Angeles per lui…”, rispose freddamente, scostandosi.

“Andiamo in corridoio, potremo spiegarci meglio”, Maria aprì la porta della camera e invitò l’altra a uscire, chiuse l’uscio con delicatezza e cominciò subito :

 “Ho rivisto Fred dopo quasi trent’anni, le circostanze della vita hanno fatto in modo che ci incontrassimo per caso…”, si interruppe per cercare le parole, “per una serie di fatti che le racconterò in seguito, i nostri destini si sono incrociati, lui non aveva nessuno ed ha avuto bisogno di me….sono qui per questo, per non lasciarlo solo”, concluse.

Margaret l’ascoltava in silenzio, quella donna bruna, così diversa da lei non doveva essere certo solo un’amica:

“Sono disorientata, per il momento non sono in grado di capire…aspetterò che qualcuno mi spieghi questa storia così complicata”, disse infine seccata, rientrando nella stanza. Poi volle parlare con i medici per sapere se il professore poteva considerarsi fuori pericolo, e si accinse ad andarsene:

“Torno domani…quando Fred potrà parlare mi spiegherà quello che è successo. Ora vado in albergo…sono molto stanca”, posò le labbra sulla fronte dell’uomo che dormiva, raccolse la borsetta che aveva appoggiata su una sedia, fece un cenno del capo e uscì.

 Maria rimase a guardare la porta dietro la quale era sparita, un nodo le serrava la gola ed era sul punto di piangere…sapeva che lui aveva un legame, ma incontrare quella donna faccia a faccia era la prova tangibile che, appena guarito, non l’avrebbe rivisto mai più. Frugò in tasca per cercare un fazzoletto di carta per asciugarsi gli occhi che stavano riempendosi di lacrime, quando la musichetta del cellulare spezzò il silenzio.

“Pronto…mamma…sono io”, la voce di Elisa le diede un tuffo al cuore.

“Dove sei?…”, chiese subito ansiosa.

“Sono qui, a casa, ma non ti ho trovato…”, proseguì sua figlia.

Maria non rispose subito:

“Raggiungimi all’ospedale…ti racconterò tutto”, disse mestamente.

Alla parola “ospedale” Elisa si allarmò:

 “Stai bene? “, esclamò ansiosa.

“Non ti preoccupare per me, non mi è successo nulla, però vieni”, pregò la donna.

“Dimmi almeno perché sei lì”.

Maria non sapeva rispondere, rimase zitta per qualche secondo poi si decise:

“ Sono qui per Fred Adams, è stato operato e sono al suo capezzale”.

Elisa sempre più sconcertata non riusciva a capire:

“Perché? Perchè tu…cosa c’entri in tutta questa storia!!”, quasi gridò.

“ Sbrigati, vieni qui se vuoi sapere”, tagliò corto Maria.

 Quando Elisa entrò in camera e vide sua madre al capezzale di Fred restò di stucco:
“Cosa ci fai tu qui?”; domandò stupita.

Maria raccontò alla figlia l’amore per quel ragazzo che frequentava il suo stesso corso, la passione che li aveva travolti, il doloroso distacco e…dopo ventisette anni, l’incontro. Elisa seguiva il racconto attentamente: “singolare e romantico intreccio”, pensava e si sentiva colpevole di aver portato in quella bella storia d’amore la nota negativa. Capiva in quel momento il trasporto che Fred aveva provato per lei quando l’aveva conosciuta: gli ricordava la mamma che aveva amato in passato. A maggior ragione si sentiva colpevole per aver trascinato in quella oscura vicenda l’uomo del quale aveva sentito parlare fin da quando era bambina, ma che non aveva mai conosciuto.

Elisa, commossa, si avvicinò al letto di Fred, questi si era appena ripreso dal torpore degli anestetici:

“Ti ho tanto cercato”, mormorò.

“Eccomi…riuscirai a perdonarmi?”, disse sottovoce Elisa, “per questo ti ho portato un regalo…”

Mostrò all’uomo steso sul letto un tubo, come quelli che contengono i disegni.

Fred cercò di alzare la testa, ma le forze non lo sostennero, ricadde sul cuscino stremato.

“Non ti sforzare adesso, quando starai meglio vedrai la mia sorpresa”, mentre diceva queste parole gli occhi avevano una luce particolare, come di chi si è liberato di un peso ed è in pace con se stesso, “ora devo andare, addio Fred,…”, fece un cenno con la mano, abbracciò la madre e corse via.

 Maria la vide allontanarsi per il corridoio a passo svelto, quasi correndo, la chiamò ma Elisa non rispose.

 

Margaret si svegliò riposata, si guardò allo specchio e scoprì che aveva un ottimo aspetto, rinfrancata si accinse a vestirsi, scelse con cura gli abiti. Voleva essere a posto, come sempre, per presentarsi a Fred e discutere con la donna che gli stava accanto. Arrivò e si diresse subito dal medico di turno, voleva sapere se il malato della stanza 417 si era rimesso tanto da poter sostenere una conversazione.

Quando la vide Fred  le sorrise, era seduto sul letto e aveva il viso sereno:
“Entra Margaret…sono felice di vederti”, disse con voce chiara e sicura.

 Maria era ancora lì, aveva passato un’altra notte su una sedia a vegliarlo. L’americana l’ignorò e si diresse diritta verso il professore.

“Vedo che oggi stai molto meglio…e che hai superatola crisi”, osservò compiaciuta. Poi si volse verso l’altra donna che se ne stava  in un angolo:

 “Se non le dispiace dovremmo parlare”, affermò con tono autoritario.

Maria uscì in silenzio, senza replicare. Rimasti soli Margaret stava per dire qualcosa quando Fred l’anticipò:

“Sono contento che tu sia qui solo per un fatto: posso restituirti il quadro”, si allungò fuori dal letto e prese il rotolo dalla sedia vicina: “eccolo!”, aprì l’involucro e stese la tela: “questa è quella vera…puoi fare qualsiasi perizia, non ci sono dubbi…”.

Agli occhi esterrefatti della donna apparve la Madonna con bambino.

 “E’ una storia lunga che non voglio raccontarti…ma quello che conta è che si è conclusa nel migliore dei modi”.

Dal petto di Margaret uscì un sospiro di sollievo:

 “Grazie, Fred, non avevo mai messo in dubbio che tu l’avresti recuperata…sei straordinario…”, fece per avvicinarsi e baciarlo ma l’uomo si scostò.

“La cosa più importante che devo dirti però è che….quando sarò ristabilito non tornerò in California, rimarrò qui…”, affermò serio.

 Lei lo guardò stupita, rimase zitta per qualche secondo:

 “Con lei?”, chiese poi con un filo di voce.

“Sì, con Maria…non volermene, il passato è tornato facendomi sentire quello di allora. Mi sono accorto di non aver mai smesso di amarla”, rispose Fred.

 

Maria, per ingannare il tempo stava guardando oltre la vetrata del corridoio, da dietro la porta chiusa della camera 417 le voci che provenivano erano talvolta concitate, talvolta sommesse, dopo molti minuti l’uscio si aprì e, la signora impeccabile che era entrata uscì, aveva gli occhi arrossati e il viso contratto, ma stringeva in pugno come un trofeo un tubo di cartone. Maria rientrò preoccupata, però l’espressione che vide sul viso di Fred la rassicurò.

“Vieni”, mormorò lui “stai qui, accanto a me…per sempre. Non posso perderti ancora”. Lei capì, gli prese la mano e la strinse forte.

 

Sulla veranda della casa di Maria, Fred stava prendendo il caffè, con loro c’era Elisa.

“Raccontami di nuovo questo giallo”, disse lui rivolgendosi alla ragazza, “forse sarà stato il colpo in testa ma…non riesco a seguirti”, affermò sorridendo.

“Come ho già detto avevo in mente un piano: quando mi sono accorta di essere invischiata in un brutto imbroglio mi sono detta “Elisa, devi venirne fuori”. Allora ho fatto di nascosto un’altra copia del dipinto, era piccolo e non ci ho messo molto, e l’ho sostituita all’originale che sapevo essere nascosto nel capannone. Così, il boss senza saperlo, ha messo nella valigia di Fabio il falso; quando sono tornata dall’aeroporto sono andata a recuperare la Madonna con bambino e te l’ho portata…è chiaro?”, dichiarò Elisa raggiante.

“Con questa tua attitudine a copiare capolavori stai diventando pericolosa…”, scherzò il professore, “…e mi hai fatto passare parecchi guai”, aggiunse. “Però ti perdono…tutto ciò è servito a ritrovare Maria”, concluse Fred  mettendo un braccio attorno alle spalle della sua donna e stringendola a sé. “Staremo bene insieme”, disse ancora, “e, se metterai il tuo talento soltanto a servizio dell’arte, diventerai una grande pittrice…parola del professor Adams”.     

 FINE
 

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