Durante il lungo viaggio ebbe tempo di ripensare
ai giorni trascorsi, conoscere Elisa l’aveva turbato, sentiva che qualcosa
dentro di lui era cambiata. Da tutti era considerato l’integerrimo professor
Adams di principi severi che mai avrebbe preso in considerazione una sbandata
per una ragazza che poteva essere sua figlia,
era meravigliato di se stesso ma sapeva di aver fatto la cosa giusta
per non essersi lasciato catturare dalla
forte attrazione che provava per lei, poiché era sicuro che se ne sarebbe
pentito.
A Los Angeles l’aspettava Margaret, alla quale
era legato da tempo e che aveva pressappoco la sua età. Margaret gli voleva
bene e lui le era affezionato accontentandosi di un legame che non aveva nulla
di scoppiettante, era una relazione tranquilla tra due persone che si capiscono
e che stanno bene insieme. Con lei aveva anche rapporti di lavoro poiché era la
maggior azionista della casa d’arte Malwin Corporation per la quale di tanto in
tanto lavorava e per la quale, a Perugia, aveva acquistato il dipinto messo
all’asta. Sull’aereo ogni tanto controllava che il bagaglio fosse al suo posto,
e si rassicurava vedendo la preziosa borsa nera.
Arrivò
a destinazione frastornato per le lunghe ore di volo e per lo strano stato
d’animo nel quale era invischiato da quando aveva salutato Elisa: non voleva
pensare a lei, si voleva convincere che era stato solo un incontro fugace e
casuale, ma non ci riusciva. Gli occhi neri lucidi e la zazzeretta spettinata
gli tornavano sempre in mente. Solo per il fatto che gli ricordava Maria provava per lei un trasporto particolare.
Margaret l’aspettava all’aeroporto, gli fece cenno con una mano appena lo
scorse fra i passeggeri sbarcati dal volo Alitalia. Rivederla lo portò
immediatamente alla realtà: i sogni erano finiti e quella era la sua vita.
“Hai
fatto buon viaggio?....ti trovo un po’ giù di tono”, disse lei osservandolo con
attenzione.
“Sono
stanco”, rispose Fred “non vedo l’ora di farmi una doccia…andiamo a casa”.
Margaret
era una donna attraente: alta, bionda, molto curata nel vestire e nell’aspetto.
Massaggi e creme avevano contribuito a conservarle la bellezza, anche se si
avviava verso la cinquantina. Portava un tailleur blu di un noto stilista
italiano, gli accessori, dalle scarpe
alla borsa di nappa, erano perfetti: era la classica donna americana sempre a
posto in ogni occasione.
Fred l’aveva conosciuta dopo il divorzio da
Grace, la delusione subita dal matrimonio andato in fumo per colpa del
carattere instabile della moglie, l’aveva indirizzato verso quella donna che
gli dava sicurezza per il suo modo di fare molto attaccato alla realtà e in
quel periodo lui aveva bisogno di certezze.
In
seguito era nato un affetto solido, anche se a volte avrebbe voluto da lei un
po’ più di tenerezza.
Anche
il quel momento, Margaret non si lasciò andare a effusioni che considerava
superflue, passò subito all’argomento che la interessava:
“Bravo…sei
riuscito a spuntarla, quel quadro ci porterà un notevole guadagno, c’è già chi
è disposto ad acquistarlo”, disse compiaciuta. “E’ qui dentro, vero?”, aggiunse
accennando alla piccola valigia che Fred teneva saldamente in mano.
“Stai
tranquilla…è andato tutto alla perfezione, se vuoi andiamo subito a depositarlo
nella cassaforte dello studio, prima di rincasare”, la rassicurò lui.
Quando
il professor Adams si accinse a fare scattare le serrature le mani gli
tremavano, accanto a lui Margaret emozionata aspettava di ammirare il dipinto
di Piero della Francesca.
Inspiegabilmente il congegno non si aprì, per
quanti sforzi facesse non riuscì a far girare la chiave.
“Deve
essersi bloccato…”, borbottò Fred mentre tentava in tutti i modi di sollevare
quel benedetto coperchio. La donna non si scompose, chiamò la segretaria:
“Faccia venire un esperto per aprire questa valigia”, comandò. Poco dopo un
giovanotto compì il miracolo e finalmente la serratura si sbloccò.
La
tela era adagiata sul fondo, Fred la prese e la mostrò alla donna:
“Che emozione”, disse lei, “questo dipinto ha più di seicento anni…guarda, i colori sono rimasti quasi intatti”, si avvicinò per guardare meglio. Qualcosa attrasse la sua attenzione: posò un dito e, leggermente, lo fece scorrere sulla superficie del quadro.
“Che emozione”, disse lei, “questo dipinto ha più di seicento anni…guarda, i colori sono rimasti quasi intatti”, si avvicinò per guardare meglio. Qualcosa attrasse la sua attenzione: posò un dito e, leggermente, lo fece scorrere sulla superficie del quadro.
“Sei
certo che sia autentico?”; chiese dubbiosa.
“Vuoi
scherzare? Ho con me tutte le garanzie della casa d’aste, puoi essere sicura
che è quello vero”, rispose Fred contrariato.
“Chiama
subito mister Johnson, voglio una perizia immediata”, ribatté Margaret decisa.
Il
professore la guardò sorpreso, quando faceva così non la poteva sopportare:
“Non dirai sul serio…io sono sicuro di ciò che ho acquistato. La casa d’aste è una delle più serie in campo internazionale e mai si presterebbe a un raggiro…gli esperti che lavorano per loro sono abituati a trattare quadri di questo genere ed è impossibile che sbaglino…credimi Margaret, hai davanti a te un originale, non capisco come mai ti sia venuto questo dubbio !”
“Non dirai sul serio…io sono sicuro di ciò che ho acquistato. La casa d’aste è una delle più serie in campo internazionale e mai si presterebbe a un raggiro…gli esperti che lavorano per loro sono abituati a trattare quadri di questo genere ed è impossibile che sbaglino…credimi Margaret, hai davanti a te un originale, non capisco come mai ti sia venuto questo dubbio !”
Preso dalla discussione Fred era diventato
rosso non aveva dubbi: il quadro acquistato a Perugia era stato dipinto da
Piero della Francesca intorno alla metà del quattrocento, avrebbe scommesso la
vita, anche lui era un esperto ed era difficile imbrogliarlo. Dopo tanti anni
passati fra le opere d’arte non gli era mai capitato di sbagliare.
Margaret
era cocciuta, quando si metteva in testa qualcosa era difficile che tornasse
indietro. Prese il telefono e si accinse a chiamare il perito.
Fred le mise una mano sul braccio:
“Fermati”,
le disse con la voce dura, “stai facendo un errore”.
La donna lo guardò dritto negli occhi:
“Lasciami
fare, cosa ci costa chiedere un consiglio a chi se ne intende più di noi…”,
affermò decisa. Con un gesto secco si liberò della stretta di Fred e compose il
numero.
Mister
Johnson, strappato all’abitudine quotidiana di fare una piccola siesta, accettò
malvolentieri di recarsi allo studio di Margaret. Quando fu in presenza del
quadro, si volse verso il professore:
“Questo è autentico”, disse sicuro.
Fred lanciò un’occhiata di soddisfazione verso
la sua compagna:
“Hai
visto?”, disse compiaciuto.
“Non
sono convinta”, rispose lei, “desidero che mister Johnson faccia una perizia
come si deve”, aggiunse con un tono che non ammetteva replica.
“Cosa
le fa pensare che questo sia una copia ?”, replicò il perito avvicinandosi al
quadro e osservandolo con attenzione.
“E’
una strana sensazione, al tatto la vernice risulta troppo morbida…”, sussurrò
Margaret .
“Va
bene, l’accontento, porto il quadro in laboratorio poi le comunicherò il
risultato della perizia. Devo osservare la tela al microscopio, se si tratta di
un falso me ne accorgerò…eppure i colori hanno la luminosità di quel genio e il
viso della Madonna ha i tratti inconfondibili …”, rispose assorto Johnson, “se
fosse un falso chi l’ha fatto è a sua volta un grande pittore”, concluse.
Il
perito d’arte se ne andò portando con sé
il quadro. Fra Fred e Margaret si era instaurata una atmosfera fredda, lui non ammetteva che la sua donna l’avesse
trattato come un incompetente.
Tornarono
a casa in silenzio, nessuno dei due voleva fare la prima mossa per riprendere i
contatti, così la serata trascorse in modo molto formale, cenarono
raccontandosi reciprocamente come avevano trascorso i giorni di lontananza, ma
non toccarono mai l’argomento tabù per non degenerare in discussioni.
Il giorno dopo, il verdetto del perito mise
fine ai dubbi: il quadro acquistato da Fred a Perugia non era di Piero della
Francesca ma di un abilissimo falsario.
Il
professor Adams si sentì sprofondare, essere caduto in questo raggiro lo faceva
sentire una nullità. Si mise subito in contatto con la casa d’aste dove aveva
acquistato il dipinto:
“Lei
professore può fare qualsiasi perizia e chiamare chi vuole, noi rispondiamo di quello che abbiamo venduto
al cento per cento. Non abbiamo assolutamente paura delle le sue azioni legali,
lei venga qui, porti con sé la tela e le dimostreremo che sta prendendo un
grande granchio”, fu la secca risposta che ebbe Fred da un tale indignato che
lo minacciava di diffamazione.
Margaret
gongolava, quello che aveva scoperto mister Johnson le aveva dato ragione, il
suo carattere rigido la portava a essere fredda nei confronti di Fred che,
secondo la sua etica professionale, non avrebbe dovuto cadere nel terribile
equivoco che le aveva fatto perdere milioni di dollari.
Non riusciva a scusarlo “ a me non sarebbe
successo, infatti me ne sono accorta subito…” era la frase preferita
pronunciata almeno una volta al giorno, con acredine. Fred non dormiva più, si
sentiva responsabile, ma anche gli sembrava impossibile aver portato a casa una
crosta, ricordava quando aveva esaminato il piccolo dipinto, di averlo guardato
in tutti i minimi particolari, con l’apparecchiatura necessaria in queste
occasioni. Il quadro poi proveniva dalla collezione privata di una persona la
cui serietà e onestà erano al di sopra di ogni sospetto. Anche il certificato
di autenticità rilasciatogli dopo l’acquisto era una prova tangibile che tutto
era nella regolarità.
“Non
mi resta che tornare in Italia”, disse a Margaret, “parto domani non c’è tempo
da perdere”, affermò accingendosi a buttare in valigia nervosamente qualche indumento.
Scese
dall’aereo al tramonto, e non poté fare a meno di pensare a Elisa, alla serata
trascorsa con lei nell’atmosfera incantata del castello immerso nel verde. Si
recò in albergo e telefonò immediatamente al signor Alberti, il proprietario
della galleria per avere un appuntamento per l’indomani.
Cenò
a un tavolo appartato, mangiò senza appetito, poi uscì per distrarsi, non
voleva pensare ai suoi guai. L’aria era tiepida e invogliava a passeggiare,
indugiò a guardare i negozi già chiusi ma che mantenevano illuminate le loro
vetrine, mentre camminava distrattamente gli sembrò di scorgere dall’altro lato della
strada una figura femminile inconfondibile:
“Elisa”, gridò. La donna si voltò e non rispose. Non era Elisa, ma qualcuna che le assomigliava in modo incredibile, più avanti con gli anni, ma con lo stesso portamento e lo stesso modo di muoversi di Elisa.
“Elisa”, gridò. La donna si voltò e non rispose. Non era Elisa, ma qualcuna che le assomigliava in modo incredibile, più avanti con gli anni, ma con lo stesso portamento e lo stesso modo di muoversi di Elisa.
A
quel punto Fred non ebbe esitazioni: “Maria… quella donna è senz’altro Maria”,
pensò. Attraversò di corsa per raggiungerla, ma la donna era entrata in un
portone che aveva chiuso in fretta dietro di sé. Ritornò sui suoi passi
turbato, forse non era lei, probabilmente era sempre quel desiderio, quando si
trovava a Perugia, di ritrovare i sogni del passato. Forse per questo aveva
voluto vedere le somiglianze fra Elisa e Maria e si era illuso, per una sera,
di tornare indietro nel tempo.
Rientrò
in hotel e cercò di mettersi a letto, sapeva però che non avrebbe dormito:
l’aspettava per il giorno dopo una battaglia che sarebbe stata molto difficile
da combattere. Non sapeva a cosa andava incontro: sperava di sentirsi dire che
il quadro era autentico e che mister Johnson si era sbagliato, così avrebbe
riconquistato la fiducia in se stesso e avrebbe avuto la soddisfazione di
tornare da Margaret a testa alta, in caso contrario la sua vita professionale
sarebbe stata distrutta per lo scandalo internazionale che ne sarebbe
scaturito.
Quando si alzò aveva gli occhi gonfi per la
veglia notturna. La galleria d’arte era a pochi passi dall’albergo nel quale
alloggiava; Fred s’incamminò stringendo saldamente in mano la piccola valigia.
Entrò nel locale e chiese del signor Alberti, il proprietario.
“Ha
fatto bene a tornare subito, professor Adams”, disse senza tanti preamboli
l’uomo. “Venga con me, ho convocato i nostri esperti, così potremo risolvere
insieme i suoi problemi….che restano solo suoi, perché da parte nostra siamo
perfettamente tranquilli”, concluse seccato. In un’altra sala erano presenti
due persone, che salutarono Fred solo con un cenno del capo.
“Vediamo
l’oggetto della discordia”, continuò sempre molto rigido Alberti.
Fred
tolse dall’involucro la tela che consegnò a un tipo con gli occhiali. L’uomo
l’osservò con attenzione usando una
lente d’ingrandimento: l’espressione del suo viso era impenetrabile, i presenti
pendevano letteralmente dalle sue labbra. Il silenzio nella sala era pesante, i
minuti sembravano interminabili; imperturbabile il perito si accinse a
esaminare il retro, voltò il quadro e scosse la testa:
“Questa tela non è stata battuta nella nostra asta, noi non ne rispondiamo, non è quella che lei ha portato via di qui”, disse sicuro volgendo lo sguardo verso Fred che lo guardava attonito.
“Questa tela non è stata battuta nella nostra asta, noi non ne rispondiamo, non è quella che lei ha portato via di qui”, disse sicuro volgendo lo sguardo verso Fred che lo guardava attonito.
“Non
è possibile…”, questi mormorò esterrefatto.
“Vede,
non c’è il nostro timbro che mettiamo sempre quando consegniamo il quadro
all’acquirente”, nel dire questo mostrò al professore il retro di un quadro da
poco venduto.
“Allora
quello cos’è?”, disse indicando il dipinto che era ancora nelle mani
dell’esperto.
“Una
copia perfetta…”, rispose subito l’uomo, “avrebbe tratto in inganno molte
persone, ma noi ci cauteliamo appunto in questo modo per non incorrere in
incidenti spiacevoli come il suo”, concluse sbrigativamente allungando una mano
per salutare il professor Adams che era rimasto immobile, impietrito, pallido
come di chi sta per sentirsi male. Chiese un bicchier d’acqua che trangugiò a
occhi chiusi.
Il
signor Alberti si avvicinò sorridendo:
“Ero
sicuro che avremmo fatto piena luce su questo spiacevole equivoco”, disse “ora
mi domando chi ha sostituito la tela, lei deve fare uno sforzo per ricordare le
mosse che ha fatto quel giorno, uscendo da qui”.
Fred cercò di riprendersi e di rispondere con un
tono il più calmo possibile. Si mise una mano sulla fronte: “Devo fermarmi a
pensare, mi ricordo però di essere andato direttamente all’aeroporto …ho preso
un taxi che mi ha portato a destinazione, la valigia l’avevo con me e non l’ho
lasciata un solo istante prima di imbarcarmi”, disse a fatica. In quell’istante
gli tornò alla mente il momento in cui aveva salutato Elisa. Aveva appoggiato
il bagaglio per terra per abbracciarla. Qualcuno di mano lesta avrebbe potuto
sostituirlo…
“Scusatemi,
devo andare a cercare una persona”, affermò concitato e, fra lo stupore dei
presenti, si precipitò fuori senza salutare nessuno.
Uscì
con la testa confusa ma aveva la sensazione che la giovane pittrice fosse coinvolta
in tutta quell'oscura faccenda: doveva ritrovarla e parlarle per guardarla
negli occhi e sapere se lei conosceva la verità. Era determinato a non
andarsene dall’Italia prima di scoprire chi l’aveva raggirato.
Cercò
di ricordarsi dov’era la chiesa nella quale l’aveva conosciuta, si rammentò che
qualcuno dell’albergo, forse il portiere, gli aveva consigliato di andarla a
visitare per i preziosi affreschi sulle pareti. Camminava a passi lunghi, in
preda all’ansia e, dopo aver girato per una buona mezz’ora, riconobbe con sollievo il rosone frontale
della chiesa. Entrò e si diresse senza alcuna esitazione verso un’impalcatura
che si intravvedeva nella navata di destra, avanzò deciso lungo il corridoio
buio, arrivato sotto il ponteggio, alzò il capo e vide una donna intenta a
dipingere:
“Elisa”, la sua voce, nel silenzio, anche se smorzata arrivò fin su in cima, la donna si voltò: non era Elisa.
“Elisa”, la sua voce, nel silenzio, anche se smorzata arrivò fin su in cima, la donna si voltò: non era Elisa.
“Sono
Chiara,” rispose dall’alto, “Elisa non viene più…”.
“Sa
dove posso trovarla?”, chiese ancora Fred.
“Mi
dispiace, io non la conosco, ho preso il suo posto, ma non ho mai avuto il
piacere d’incontrarla…so che è molto brava…se vuole avere notizie può rivolgersi
in sagrestia”, disse gentilmente la ragazza prima di volgere le spalle a Fred.
Il
professore deluso, si recò da Padre Francesco. Il frate, un giovane con una
lunga barba bionda, chiese avvicinandosi:
“Posso
esserle utile?”
Fred
rimase un attimo perplesso, forse quel frate non gli avrebbe detto dove trovare
Elisa, forse stava perdendo tempo, ma si decise a parlare:
“
Sto cercando la pittrice che qualche settimana fa stava eseguendo dei restauri
nella vostra chiesa: si chiama Elisa…”, disse.
Il
frate lo guardò scuotendo la testa:
“Mi
dispiace”, disse poi, “non sono in grado di risponderle, padre Giovanni che si
occupava di queste cose non c’è, è andato via per qualche mese, io lo
sostituisco ma…non so chi c’era prima della signorina Chiara”, affermò
dispiaciuto.
Quando
il professor Adams uscì dalla chiesa era avvilito: avrebbe dovuto ricominciare
le ricerche da principio, dove trovare Elisa? di lei non sapeva nulla, né il cognome, né
dove abitasse: era stato un incontro così bello che, di proposito aveva voluto
rimuovere per non rischiare di essere coinvolto sentimentalmente, si sarebbe
sentito in colpa verso Margaret e verso se stesso, ma ora se ne pentiva; avrebbe
dovuto chiederle di più.
Ma
quello che stava vivendo era talmente assurdo che non si diede per vinto,
decise di tornare nel ristorante, dove
avevano cenato quella sera: anche lì Elisa aveva lavorato e certamente si ricordavano
di lei. Con taxi si fece portare in collina, fra i boschi, nel luogo incantato
dove avevano cenato insieme
.Il
castello medievale, visto di giorno era meno suggestivo, forse anche perché
Fred era meno disposto ai sentimentalismi. Entrò e chiese del proprietario; un
uomo alto e magro gli venne incontro:
“Desidera?”,
chiese sospettoso. Fred fece la domanda che gli premeva:
“Vorrei avere notizie di Elisa”, disse senza tanti preamboli.
“Vorrei avere notizie di Elisa”, disse senza tanti preamboli.
“Lei
chi è?”, replicò l’altro.
“Un
suo amico”, rispose Fred, poi si fece più discorsivo, aveva capito che era
partito con un atteggiamento che poteva dar luogo a equivoci. “Sono venuto qui a
cena con lei, qualche tempo fa, e vorrei rivederla….sa, io mi intendo di arte e
vorrei proporle un lavoro…visto che questi quadri sono opera sua ritengo che
Elisa abbia del talento…”, concluse cercando di dare alla sua espressione
qualcosa che assomigliasse ad un sorriso.
L’uomo
che aveva davanti perse l’aria di sospetto e divenne più malleabile.
“Purtroppo
la conosco molto poco, da quando ha lavorato per me l’ho vista solo una volta, era
venuta al ristorante in compagnia di un uomo”, rispose.
“Probabilmente
quell’uomo ero io”, si affrettò a dire Fred, “…le sarei grato se potesse dirmi
dove posso rintracciarla”, concluse.
“Aspetti…forse
posso fare qualcosa per lei, lavora qui un tale che penso sia suo amico, erano
sempre insieme quando portavano i quadri”, il suo interlocutore si voltò e
chiamò un cameriere, “chiedi a Fabio di venire…questo signore ha bisogno di
parlargli”, disse.
Poco
dopo un giovane vestito con jeans e maglietta si presentò, Fred riconobbe in
lui il ragazzo che aveva salutato Elisa la sera in cui erano a cena in quel
ristorante: la cicatrice che gli attraversava la guancia era inconfondibile. Il
professore si mise subito all’erta: forse aveva trovato la strada giusta. Ma
appena il nuovo venuto sentì il nome di Elisa si irrigidì:
“E’
partita…e non so dove è andata”, rispose frettolosamente. “Mi dispiace, non
posso dirle di più”, fece per allontanarsi, ma Fred lo fermò:
“E’ una cosa molto importante”, gli disse
cercando di catturare il suo sguardo sfuggente, ma l’altro scosse la testa.
“Le
assicuro che non so nulla…sta perdendo il suo tempo, adesso, mi scusi, devo
lasciarla”, fece una specie di smorfia arricciando la bocca, poi se ne andò.
“Speravo
di esserle utile”, disse il padrone del ristorante rivolto a Fred che era
rimasto silenzioso, sul suo viso si leggeva l’evidente delusione.
Tornò
al taxi che lo stava aspettando fuori, l’autista
capì che non era il caso di intavolare una conversazione , e in silenzio, fece
la strada di ritorno.
La
sera Margaret, in albergo, lo chiamò:
“Hai
parlato con quelli della galleria?”, chiese subito senza nemmeno chiedergli
come stava. Lui non si meravigliò: la conosceva molto bene. Era come se la
vedesse: sdraiata sul divano, con la sigaretta tra le dita, avvolta nella
vestaglia di seta bianca, impeccabile, ordinata, sempre presente a se stessa e
sempre molto attenta ai suoi interessi. Molto pacatamente le raccontò ciò che
era successo, l’esclamazione di Margaret gli trapassò un timpano:
“Hai
visto che avevo ragione? …e adesso cosa fai?…Sicuramente hanno sostituito la
valigia e tu non te ne sei nemmeno accorto…”, gli strilli che uscivano dal
telefono lo innervosirono.
“Adesso
smettila…”, disse perentorio, “riavrai la tua tela, così non avrai perso i
soldi…sono quelli che ti preoccupano, non è vero?”.
Non
volle sentire quello che rispondeva lei, nervosamente interruppe la conversazione.
Il telefono squillò ancora, ma Fred lo
ignorò, non aveva voglia di sentire altre parole sgradevoli, era già abbastanza
di malumore.
Aveva promesso a Margaret, in un momento di
rabbia, la restituzione del dipinto…si prese la testa fra le mani: come avrebbe
potuto mantenere se brancolava nel buio e non aveva niente cui aggrapparsi? La
tenue speranza che Elisa sapesse qualcosa stava svanendo, se non fosse stato in
grado di ritrovarla anche quella pista sarebbe risultata vana.
Non
riuscì nemmeno a coricarsi, si affacciò alla finestra, la notte era chiara e il
cielo stellato, la città addormentata, ricca d’arte e di cultura, gli diede un
senso di pace; qualche finestra illuminata testimoniava che anche qualcun altro
in quel momento vegliava. Da quella posizione si dominava la pianura ombrosa
punteggiata da luci come un presepio, Fred lasciò spaziare lo sguardo cercando
di pensare ad altro, ma era molto difficile estraniarsi dalla situazione
drammatica che stava vivendo. Trascorse la notte in bianco, passeggiava per la
suite pensando continuamente a quello che era meglio fare: andare a denunciare
l’accaduto? Cercare ancora di trovare Elisa? Arrivò il mattino e le domande non
avevano ancora una risposta. Si buttò sul letto distrutto e quando l’alba
tingeva di rosa il cielo, si assopì.
Lo
svegliò, verso le dieci, il gracchiare del telefono sul comodino, si sollevò
con fatica e afferrò la cornetta:
“Cosa
c’è?”, farfugliò con la voce impastata dal sonno.
“Professore,
ho un messaggio per lei…posso mandarglielo in camera?”, disse cerimonioso il
portiere della reception.
Poco
dopo sentì bussare alla porta e una cameriera gli consegnò una busta:
“Mister Adams? Questa è per lei”.
Fred
la rigirò fra le dita, oltre al suo nome non c’era altro. L’aprì. Un biglietto
conteneva una sola frase: “Telefonami”, un numero e una firma: Maria.
Era
la sua Maria? Una moltitudine di
sensazioni lo pervase: il ricordo dolcissimo dell’amore di un tempo, la gioia
di averla ritrovata proprio in quel momento drammatico della sua vita in cui
aveva bisogno di sentire vicino qualcuno. Compose il numero e disse “pronto”
con la voce incerta.
(continua)
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