Powered By Blogger

domenica 11 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - seconda puntata


 

 

 

 Durante il lungo viaggio ebbe tempo di ripensare ai giorni trascorsi, conoscere Elisa l’aveva turbato, sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiata. Da tutti era considerato l’integerrimo professor Adams di principi severi che mai avrebbe preso in considerazione una sbandata per una ragazza che poteva essere sua figlia,  era meravigliato di se stesso ma sapeva di aver fatto la cosa giusta per  non essersi lasciato catturare dalla forte attrazione che provava per lei, poiché era sicuro che se ne sarebbe pentito.

 

 A Los Angeles l’aspettava Margaret, alla quale era legato da tempo e che aveva pressappoco la sua età. Margaret gli voleva bene e lui le era affezionato accontentandosi di un legame che non aveva nulla di scoppiettante, era una relazione tranquilla tra due persone che si capiscono e che stanno bene insieme. Con lei aveva anche rapporti di lavoro poiché era la maggior azionista della casa d’arte Malwin Corporation per la quale di tanto in tanto lavorava e per la quale, a Perugia, aveva acquistato il dipinto messo all’asta. Sull’aereo ogni tanto controllava che il bagaglio fosse al suo posto, e si rassicurava vedendo la preziosa borsa nera.

Arrivò a destinazione frastornato per le lunghe ore di volo e per lo strano stato d’animo nel quale era invischiato da quando aveva salutato Elisa: non voleva pensare a lei, si voleva convincere che era stato solo un incontro fugace e casuale, ma non ci riusciva. Gli occhi neri lucidi e la zazzeretta spettinata gli tornavano sempre in mente. Solo per il fatto che gli ricordava  Maria provava per lei un trasporto particolare. Margaret l’aspettava all’aeroporto, gli fece cenno con una mano appena lo scorse fra i passeggeri sbarcati dal volo Alitalia. Rivederla lo portò immediatamente alla realtà: i sogni erano finiti e quella era la sua vita.

“Hai fatto buon viaggio?....ti trovo un po’ giù di tono”, disse lei osservandolo con attenzione.

“Sono stanco”, rispose Fred “non vedo l’ora di farmi una doccia…andiamo a casa”.

Margaret era una donna attraente: alta, bionda, molto curata nel vestire e nell’aspetto. Massaggi e creme avevano contribuito a conservarle la bellezza, anche se si avviava verso la cinquantina. Portava un tailleur blu di un noto stilista italiano,  gli accessori, dalle scarpe alla borsa di nappa, erano perfetti: era la classica donna americana sempre a posto in ogni occasione.

 Fred l’aveva conosciuta dopo il divorzio da Grace, la delusione subita dal matrimonio andato in fumo per colpa del carattere instabile della moglie, l’aveva indirizzato verso quella donna che gli dava sicurezza per il suo modo di fare molto attaccato alla realtà e in quel periodo lui aveva bisogno di certezze.

In seguito era nato un affetto solido, anche se a volte avrebbe voluto da lei un po’ più di tenerezza.

Anche il quel momento, Margaret non si lasciò andare a effusioni che considerava superflue, passò subito all’argomento che la interessava:  

“Bravo…sei riuscito a spuntarla, quel quadro ci porterà un notevole guadagno, c’è già chi è disposto ad acquistarlo”, disse compiaciuta. “E’ qui dentro, vero?”, aggiunse accennando alla piccola valigia che Fred teneva saldamente in mano.

“Stai tranquilla…è andato tutto alla perfezione, se vuoi andiamo subito a depositarlo nella cassaforte dello studio, prima di rincasare”, la rassicurò lui.

Quando il professor Adams si accinse a fare scattare le serrature le mani gli tremavano, accanto a lui Margaret emozionata aspettava di ammirare il dipinto di Piero della Francesca.

 Inspiegabilmente il congegno non si aprì, per quanti sforzi facesse non riuscì a far girare la chiave.

“Deve essersi bloccato…”, borbottò Fred mentre tentava in tutti i modi di sollevare quel benedetto coperchio. La donna non si scompose, chiamò la segretaria: “Faccia venire un esperto per aprire questa valigia”, comandò. Poco dopo un giovanotto compì il miracolo e finalmente la serratura si sbloccò.

La tela era adagiata sul fondo, Fred la prese e la mostrò alla donna:
“Che emozione”, disse lei, “questo dipinto ha più di seicento anni…guarda, i colori sono rimasti quasi intatti”, si avvicinò per guardare meglio. Qualcosa attrasse la sua attenzione: posò un dito e, leggermente, lo fece scorrere sulla superficie del quadro.

“Sei certo che sia autentico?”; chiese dubbiosa.

“Vuoi scherzare? Ho con me tutte le garanzie della casa d’aste, puoi essere sicura che è quello vero”, rispose Fred contrariato.

“Chiama subito mister Johnson, voglio una perizia immediata”, ribatté Margaret decisa.

Il professore la guardò sorpreso, quando faceva così non la poteva sopportare:
“Non dirai sul serio…io sono sicuro di ciò che ho acquistato. La casa d’aste è una delle più serie in campo internazionale e mai si presterebbe a un raggiro…gli esperti che lavorano per loro sono abituati a trattare quadri di questo genere ed è impossibile che sbaglino…credimi Margaret, hai davanti a te un originale, non capisco come mai ti sia venuto questo dubbio !”

 Preso dalla discussione Fred era diventato rosso non aveva dubbi: il quadro acquistato a Perugia era stato dipinto da Piero della Francesca intorno alla metà del quattrocento, avrebbe scommesso la vita, anche lui era un esperto ed era difficile imbrogliarlo. Dopo tanti anni passati fra le opere d’arte non gli era mai capitato di sbagliare.  

Margaret era cocciuta, quando si metteva in testa qualcosa era difficile che tornasse indietro. Prese il telefono e si accinse a chiamare il perito.

 Fred le mise una mano sul braccio:

“Fermati”, le disse con la voce dura, “stai facendo un errore”.

 La donna lo guardò dritto negli occhi:

“Lasciami fare, cosa ci costa chiedere un consiglio a chi se ne intende più di noi…”, affermò decisa. Con un gesto secco si liberò della stretta di Fred e compose il numero.

Mister Johnson, strappato all’abitudine quotidiana di fare una piccola siesta, accettò malvolentieri di recarsi allo studio di Margaret. Quando fu in presenza del quadro, si volse verso il professore:


“Questo è autentico”, disse sicuro.

 Fred lanciò un’occhiata di soddisfazione verso la sua compagna:

“Hai visto?”, disse compiaciuto.

“Non sono convinta”, rispose lei, “desidero che mister Johnson faccia una perizia come si deve”, aggiunse con un tono che non ammetteva replica.

“Cosa le fa pensare che questo sia una copia ?”, replicò il perito avvicinandosi al quadro e osservandolo con attenzione.

“E’ una strana sensazione, al tatto la vernice risulta troppo morbida…”, sussurrò Margaret .

“Va bene, l’accontento, porto il quadro in laboratorio poi le comunicherò il risultato della perizia. Devo osservare la tela al microscopio, se si tratta di un falso me ne accorgerò…eppure i colori hanno la luminosità di quel genio e il viso della Madonna ha i tratti inconfondibili …”, rispose assorto Johnson, “se fosse un falso chi l’ha fatto è a sua volta un grande pittore”, concluse.

Il perito d’arte  se ne andò portando con sé il quadro. Fra Fred e Margaret si era instaurata una atmosfera fredda,  lui non ammetteva che la sua donna l’avesse trattato come un incompetente.

Tornarono a casa in silenzio, nessuno dei due voleva fare la prima mossa per riprendere i contatti, così la serata trascorse in modo molto formale, cenarono raccontandosi reciprocamente come avevano trascorso i giorni di lontananza, ma non toccarono mai l’argomento tabù per non degenerare in discussioni.

 Il giorno dopo, il verdetto del perito mise fine ai dubbi: il quadro acquistato da Fred a Perugia non era di Piero della Francesca ma di un abilissimo falsario.

Il professor Adams si sentì sprofondare, essere caduto in questo raggiro lo faceva sentire una nullità. Si mise subito in contatto con la casa d’aste dove aveva acquistato il dipinto:

“Lei professore può fare qualsiasi perizia e chiamare chi vuole,  noi rispondiamo di quello che abbiamo venduto al cento per cento. Non abbiamo assolutamente paura delle le sue azioni legali, lei venga qui, porti con sé la tela e le dimostreremo che sta prendendo un grande granchio”, fu la secca risposta che ebbe Fred da un tale indignato che lo minacciava di diffamazione.

Margaret gongolava, quello che aveva scoperto mister Johnson le aveva dato ragione, il suo carattere rigido la portava a essere fredda nei confronti di Fred che, secondo la sua etica professionale, non avrebbe dovuto cadere nel terribile equivoco che le aveva fatto perdere milioni di dollari.

 Non riusciva a scusarlo “ a me non sarebbe successo, infatti me ne sono accorta subito…” era la frase preferita pronunciata almeno una volta al giorno, con acredine. Fred non dormiva più, si sentiva responsabile, ma anche gli sembrava impossibile aver portato a casa una crosta, ricordava quando aveva esaminato il piccolo dipinto, di averlo guardato in tutti i minimi particolari, con l’apparecchiatura necessaria in queste occasioni. Il quadro poi proveniva dalla collezione privata di una persona la cui serietà e onestà erano al di sopra di ogni sospetto. Anche il certificato di autenticità rilasciatogli dopo l’acquisto era una prova tangibile che tutto era nella regolarità.

“Non mi resta che tornare in Italia”, disse a Margaret, “parto domani non c’è tempo da perdere”, affermò accingendosi a buttare in valigia nervosamente qualche indumento.

Scese dall’aereo al tramonto, e non poté fare a meno di pensare a Elisa, alla serata trascorsa con lei nell’atmosfera incantata del castello immerso nel verde. Si recò in albergo e telefonò immediatamente al signor Alberti, il proprietario della galleria per avere un appuntamento per l’indomani.

Cenò a un tavolo appartato, mangiò senza appetito, poi uscì per distrarsi, non voleva pensare ai suoi guai. L’aria era tiepida e invogliava a passeggiare, indugiò a guardare i negozi già chiusi ma che mantenevano illuminate le loro vetrine, mentre camminava distrattamente  gli sembrò di scorgere dall’altro lato della strada una figura femminile inconfondibile:
“Elisa”, gridò. La donna si voltò e non rispose. Non era Elisa, ma qualcuna che le assomigliava in modo incredibile, più avanti con gli anni, ma con lo stesso portamento e lo stesso modo di muoversi di Elisa.

A quel punto Fred non ebbe esitazioni: “Maria… quella donna è senz’altro Maria”, pensò. Attraversò di corsa per raggiungerla, ma la donna era entrata in un portone che aveva chiuso in fretta dietro di sé. Ritornò sui suoi passi turbato, forse non era lei, probabilmente era sempre quel desiderio, quando si trovava a Perugia, di ritrovare i sogni del passato. Forse per questo aveva voluto vedere le somiglianze fra Elisa e Maria e si era illuso, per una sera, di tornare indietro nel tempo.

Rientrò in hotel e cercò di mettersi a letto, sapeva però che non avrebbe dormito: l’aspettava per il giorno dopo una battaglia che sarebbe stata molto difficile da combattere. Non sapeva a cosa andava incontro: sperava di sentirsi dire che il quadro era autentico e che mister Johnson si era sbagliato, così avrebbe riconquistato la fiducia in se stesso e avrebbe avuto la soddisfazione di tornare da Margaret a testa alta, in caso contrario la sua vita professionale sarebbe stata distrutta per lo scandalo internazionale che ne sarebbe scaturito.

 Quando si alzò aveva gli occhi gonfi per la veglia notturna. La galleria d’arte era a pochi passi dall’albergo nel quale alloggiava; Fred s’incamminò stringendo saldamente in mano la piccola valigia. Entrò nel locale e chiese del signor Alberti, il proprietario.

“Ha fatto bene a tornare subito, professor Adams”, disse senza tanti preamboli l’uomo. “Venga con me, ho convocato i nostri esperti, così potremo risolvere insieme i suoi problemi….che restano solo suoi, perché da parte nostra siamo perfettamente tranquilli”, concluse seccato. In un’altra sala erano presenti due persone, che salutarono Fred solo con un cenno del capo.

“Vediamo l’oggetto della discordia”, continuò sempre molto rigido Alberti.

Fred tolse dall’involucro la tela che consegnò a un tipo con gli occhiali. L’uomo l’osservò con attenzione  usando una lente d’ingrandimento: l’espressione del suo viso era impenetrabile, i presenti pendevano letteralmente dalle sue labbra. Il silenzio nella sala era pesante, i minuti sembravano interminabili; imperturbabile il perito si accinse a esaminare il retro, voltò il quadro e scosse la testa:
“Questa tela non è stata battuta nella nostra asta, noi non ne rispondiamo, non è quella che lei ha portato via di qui”, disse sicuro volgendo lo sguardo verso Fred che lo guardava attonito.

“Non è possibile…”, questi mormorò esterrefatto.

“Vede, non c’è il nostro timbro che mettiamo sempre quando consegniamo il quadro all’acquirente”, nel dire questo mostrò al professore il retro di un quadro da poco venduto.

“Allora quello cos’è?”, disse indicando il dipinto che era ancora nelle mani dell’esperto.

“Una copia perfetta…”, rispose subito l’uomo, “avrebbe tratto in inganno molte persone, ma noi ci cauteliamo appunto in questo modo per non incorrere in incidenti spiacevoli come il suo”, concluse sbrigativamente allungando una mano per salutare il professor Adams che era rimasto immobile, impietrito, pallido come di chi sta per sentirsi male. Chiese un bicchier d’acqua che trangugiò a occhi chiusi.

Il signor Alberti si avvicinò sorridendo:

“Ero sicuro che avremmo fatto piena luce su questo spiacevole equivoco”, disse “ora mi domando chi ha sostituito la tela, lei deve fare uno sforzo per ricordare le mosse che ha fatto quel giorno, uscendo da qui”.

Fred  cercò di riprendersi e di rispondere con un tono il più calmo possibile. Si mise una mano sulla fronte: “Devo fermarmi a pensare, mi ricordo però di essere andato direttamente all’aeroporto …ho preso un taxi che mi ha portato a destinazione, la valigia l’avevo con me e non l’ho lasciata un solo istante prima di imbarcarmi”, disse a fatica. In quell’istante gli tornò alla mente il momento in cui aveva salutato Elisa. Aveva appoggiato il bagaglio per terra per abbracciarla. Qualcuno di mano lesta avrebbe potuto sostituirlo…

“Scusatemi, devo andare a cercare una persona”, affermò concitato e, fra lo stupore dei presenti, si precipitò fuori senza salutare nessuno.  

Uscì con la testa confusa ma aveva la sensazione che la giovane pittrice fosse coinvolta in tutta quell'oscura faccenda: doveva ritrovarla e parlarle per guardarla negli occhi e sapere se lei conosceva la verità. Era determinato a non andarsene dall’Italia prima di scoprire chi l’aveva raggirato.

Cercò di ricordarsi dov’era la chiesa nella quale l’aveva conosciuta, si rammentò che qualcuno dell’albergo, forse il portiere, gli aveva consigliato di andarla a visitare per i preziosi affreschi sulle pareti. Camminava a passi lunghi, in preda all’ansia e, dopo aver girato per una buona mezz’ora,  riconobbe con sollievo il rosone frontale della chiesa. Entrò e si diresse senza alcuna esitazione verso un’impalcatura che si intravvedeva nella navata di destra, avanzò deciso lungo il corridoio buio, arrivato sotto il ponteggio, alzò il capo e vide una donna intenta a dipingere:
“Elisa”, la sua voce, nel silenzio, anche se smorzata arrivò fin su in cima, la donna si voltò: non era Elisa.

“Sono Chiara,” rispose dall’alto, “Elisa non viene più…”.

“Sa dove posso trovarla?”, chiese ancora Fred.

“Mi dispiace, io non la conosco, ho preso il suo posto, ma non ho mai avuto il piacere d’incontrarla…so che è molto brava…se vuole avere notizie può rivolgersi in sagrestia”, disse gentilmente la ragazza prima di volgere le spalle a Fred.

Il professore deluso, si recò da Padre Francesco. Il frate, un giovane con una lunga barba bionda, chiese avvicinandosi:

“Posso esserle utile?”

Fred rimase un attimo perplesso, forse quel frate non gli avrebbe detto dove trovare Elisa, forse stava perdendo tempo, ma si decise a parlare:

“ Sto cercando la pittrice che qualche settimana fa stava eseguendo dei restauri nella vostra chiesa: si chiama Elisa…”, disse.

Il frate lo guardò scuotendo la testa:

“Mi dispiace”, disse poi, “non sono in grado di risponderle, padre Giovanni che si occupava di queste cose non c’è, è andato via per qualche mese, io lo sostituisco ma…non so chi c’era prima della signorina Chiara”, affermò dispiaciuto.

Quando il professor Adams uscì dalla chiesa era avvilito: avrebbe dovuto ricominciare le ricerche da principio, dove trovare Elisa?  di lei non sapeva nulla, né il cognome, né dove abitasse: era stato un incontro così bello che, di proposito aveva voluto rimuovere per non rischiare di essere coinvolto sentimentalmente, si sarebbe sentito in colpa verso Margaret e verso se stesso, ma ora se ne pentiva; avrebbe dovuto chiederle di più.

Ma quello che stava vivendo era talmente assurdo che non si diede per vinto, decise di tornare nel  ristorante, dove avevano cenato quella sera: anche lì Elisa aveva lavorato e certamente si ricordavano di lei. Con taxi si fece portare in collina, fra i boschi, nel luogo incantato dove avevano cenato insieme

.Il castello medievale, visto di giorno era meno suggestivo, forse anche perché Fred era meno disposto ai sentimentalismi. Entrò e chiese del proprietario; un uomo alto e magro gli venne incontro:

“Desidera?”, chiese sospettoso. Fred fece la domanda che gli premeva:
“Vorrei avere notizie di Elisa”, disse senza tanti preamboli.

“Lei chi è?”, replicò l’altro.

“Un suo amico”, rispose Fred, poi si fece più discorsivo, aveva capito che era partito con un atteggiamento che poteva dar luogo a equivoci. “Sono venuto qui a cena con lei, qualche tempo fa, e vorrei rivederla….sa, io mi intendo di arte e vorrei proporle un lavoro…visto che questi quadri sono opera sua ritengo che Elisa abbia del talento…”, concluse cercando di dare alla sua espressione qualcosa che assomigliasse ad un sorriso.

L’uomo che aveva davanti perse l’aria di sospetto e divenne più malleabile.

“Purtroppo la conosco molto poco, da quando ha lavorato per me l’ho vista solo una volta, era venuta al ristorante in compagnia di un uomo”, rispose.

“Probabilmente quell’uomo ero io”, si affrettò a dire Fred, “…le sarei grato se potesse dirmi dove posso rintracciarla”, concluse.

“Aspetti…forse posso fare qualcosa per lei, lavora qui un tale che penso sia suo amico, erano sempre insieme quando portavano i quadri”, il suo interlocutore si voltò e chiamò un cameriere, “chiedi a Fabio di venire…questo signore ha bisogno di parlargli”, disse.

Poco dopo un giovane vestito con jeans e maglietta si presentò, Fred riconobbe in lui il ragazzo che aveva salutato Elisa la sera in cui erano a cena in quel ristorante: la cicatrice che gli attraversava la guancia era inconfondibile. Il professore si mise subito all’erta: forse aveva trovato la strada giusta. Ma appena il nuovo venuto sentì il nome di Elisa si irrigidì:

“E’ partita…e non so dove è andata”, rispose frettolosamente. “Mi dispiace, non posso dirle di più”, fece per allontanarsi, ma Fred lo fermò:

 “E’ una cosa molto importante”, gli disse cercando di catturare il suo sguardo sfuggente, ma l’altro scosse la testa.

“Le assicuro che non so nulla…sta perdendo il suo tempo, adesso, mi scusi, devo lasciarla”, fece una specie di smorfia arricciando la bocca, poi se ne andò.

“Speravo di esserle utile”, disse il padrone del ristorante rivolto a Fred che era rimasto silenzioso, sul suo viso si leggeva l’evidente delusione.

Tornò al taxi che  lo stava aspettando fuori, l’autista capì che non era il caso di intavolare una conversazione , e in silenzio, fece la strada di ritorno.

La sera Margaret, in albergo, lo chiamò:

“Hai parlato con quelli della galleria?”, chiese subito senza nemmeno chiedergli come stava. Lui non si meravigliò: la conosceva molto bene. Era come se la vedesse: sdraiata sul divano, con la sigaretta tra le dita, avvolta nella vestaglia di seta bianca, impeccabile, ordinata, sempre presente a se stessa e sempre molto attenta ai suoi interessi. Molto pacatamente le raccontò ciò che era successo, l’esclamazione di Margaret gli trapassò un timpano:

“Hai visto che avevo ragione? …e adesso cosa fai?…Sicuramente hanno sostituito la valigia e tu non te ne sei nemmeno accorto…”, gli strilli che uscivano dal telefono lo innervosirono. 

“Adesso smettila…”, disse perentorio, “riavrai la tua tela, così non avrai perso i soldi…sono quelli che ti preoccupano, non è vero?”.

Non volle sentire quello che rispondeva lei, nervosamente interruppe la conversazione. Il telefono squillò ancora,  ma Fred lo ignorò, non aveva voglia di sentire altre parole sgradevoli, era già abbastanza di malumore.

 Aveva promesso a Margaret, in un momento di rabbia, la restituzione del dipinto…si prese la testa fra le mani: come avrebbe potuto mantenere se brancolava nel buio e non aveva niente cui aggrapparsi? La tenue speranza che Elisa sapesse qualcosa stava svanendo, se non fosse stato in grado di ritrovarla anche quella pista sarebbe risultata vana.

Non riuscì nemmeno a coricarsi, si affacciò alla finestra, la notte era chiara e il cielo stellato, la città addormentata, ricca d’arte e di cultura, gli diede un senso di pace; qualche finestra illuminata testimoniava che anche qualcun altro in quel momento vegliava. Da quella posizione si dominava la pianura ombrosa punteggiata da luci come un presepio, Fred lasciò spaziare lo sguardo cercando di pensare ad altro, ma era molto difficile estraniarsi dalla situazione drammatica che stava vivendo. Trascorse la notte in bianco, passeggiava per la suite pensando continuamente a quello che era meglio fare: andare a denunciare l’accaduto? Cercare ancora di trovare Elisa? Arrivò il mattino e le domande non avevano ancora una risposta. Si buttò sul letto distrutto e quando l’alba tingeva di rosa il cielo, si assopì.        

Lo svegliò, verso le dieci, il gracchiare del telefono sul comodino, si sollevò con fatica e afferrò la cornetta:

“Cosa c’è?”, farfugliò con la voce impastata dal sonno.

“Professore, ho un messaggio per lei…posso mandarglielo in camera?”, disse cerimonioso il portiere della reception.

Poco dopo sentì bussare alla porta e una cameriera gli consegnò una busta:

 “Mister Adams? Questa è per lei”.

Fred la rigirò fra le dita, oltre al suo nome non c’era altro. L’aprì. Un biglietto conteneva una sola frase: “Telefonami”, un numero e una firma: Maria.

Era la sua Maria? Una moltitudine di sensazioni lo pervase: il ricordo dolcissimo dell’amore di un tempo, la gioia di averla ritrovata proprio in quel momento drammatico della sua vita in cui aveva bisogno di sentire vicino qualcuno. Compose il numero e disse “pronto” con la voce incerta.

      
                                                                                                                       (continua)

Nessun commento:

Posta un commento