“Sei
tu Fred?”, rispose una voce femminile.
Era
proprio lei, riconobbe dopo tanti anni il modo in cui pronunciava il suo nome.
In quell’attimo ritornò al passato: aveva dimenticato la brutta storia che
l’aveva portato lì, voleva solo rivedere Maria.
Balzò
dal letto e si ficcò sotto la doccia per svegliarsi definitivamente. Mentre si faceva la barba davanti allo specchio si passò una
mano sul viso: molte rughe attraversavano la fronte, gli angoli della bocca
erano segnati, le tempie stavano diventando grigie, ma lo sguardo era quello di
allora… cosa avrebbe detto Maria? L’avrebbe trovato senz’altro invecchiato, ma
non gli importava…non vedeva il momento d’incontrarla. Percorse la strada quasi
correndo, non aspettò l’ascensore, salì i gradini due alla volta e bussò alla
porta col cuore in gola. Lei aprì. Si trovarono di fronte e rimasero in
silenzio, ognuno di loro era sopraffatto dalla commozione, poi si buttarono
l’uno nelle braccia dell’altra. Restarono stretti senza parlare, felici di
vivere quel meraviglioso momento. Infine Maria lo condusse in casa: “Vieni”,
gli disse prendendolo per mano. “Non sei cambiato molto”, sussurrò osservandolo attentamente, “qualche ruga qua e là ma, per me, sei rimasto
quello di un tempo”.
Anche
Fred non riusciva a staccare gli occhi da lei: ritrovava lo sguardo, il sorriso
che l’aveva conquistato, aveva la pelle ancora liscia come se il tempo si fosse
dimenticato di lei…anzi, ora aveva raggiunto il fascino della maturità.
Indossava una semplice camicetta di seta bianca sopra pantaloni di lino beige,
al collo portava una collana d’ambra che le
illuminava il viso. Fra i capelli neri spuntava qualche filo grigio, ma gli
occhi erano ancora brillanti come allora. Anche la figura era rimasta snella,
assomigliava in modo sorprendente a Elisa, tanto è vero che rimase attonito a
guardarla.
“Sei
ancora più bella”, bisbigliò emozionato mentre lo sguardo smarrito e incredulo
vagava su di lei. Si sedettero vicini, tenendosi le mani come avessero paura di
perdersi ancora.
“Come
mi hai ritrovato?”; chiese Fred incuriosito.
“Ti
ho visto mentre rientravi in albergo”.
“Anch’io
ti sono corso dietro per strada…ma non ero sicuro che fossi tu e allora ho
lasciato perdere…ma devo confessarti che, da quando sono a Perugia, non ho mai
perso la speranza di incontrarti”, disse lui accarezzandole una guancia. “
Raccontami di te.. sei sposata? Hai figli?…”, proseguì concitato: voleva sapere
tutto di lei.
Maria
cominciò il racconto della sua vita, si era sposata, aveva una figlia ma ora
era completamente sola: il marito l’aveva lasciata per un’altra e la figlia se
ne era andata a vivere da sola. Disse tutto questo con un po’ di malinconia,
gli occhi erano diventati tristi. Fred l’abbracciò ancora una volta:
“Adesso
ci sono io”, affermò, “anche per me non è andata troppo diversamente….sono
separato ma, fortunatamente non ho prole, ora convivo con una donna”, si fermò.
“Sei
felice?”, chiese lei.
Fred
chinò il capo e non rispose, rimase in silenzio per qualche secondo, infine si
decise a parlare:
“Mi
devi ascoltare attentamente”, iniziò. Il tono della voce era diventato
improvvisamente troppo serio. Maria, meravigliata, lo guardò:
“Qualcosa non va?”, chiese preoccupata, aveva notato il cambiamento d’espressione: c’era qualcosa in lui che l’opprimeva, ne era certa.
“Qualcosa non va?”, chiese preoccupata, aveva notato il cambiamento d’espressione: c’era qualcosa in lui che l’opprimeva, ne era certa.
Mentre
Fred le stava raccontando quello che gli era capitato, senza tralasciare nulla,
anche l’incontro con la pittrice dalla quale era stato attratto perché le
assomigliava, Maria lo seguiva con attenzione; a un tratto l’interruppe:
“Come
hai detto che si chiama la ragazza?”, chiese.
“Elisa”,
rispose Fred, “perché me lo chiedi?”.
Maria
si alzò dal divano, fece qualche passo, poi tornò a sedersi:
“Sono
quasi certa che sia mia figlia”, bisbigliò abbassando lo sguardo.
Fred
rimase attonito: “Credi che sia possibile?”
“Penso
proprio di sì, troppe coincidenze in questo racconto…il nome, la professione,
il luogo dove l’hai incontrata”.
Fred
la stava ad ascoltare stupito, nella sua mente si faceva strada un
pensiero: se fosse stata veramente lei avrebbe smesso di cercare, e forse,
avrebbe saputo qualcosa che l’avrebbe aiutato nella risoluzione del caso di cui
era la vittima.
“Come
possiamo esserne certi?”, domandò ansioso.
“Sono
molti giorni che non la vedo, di solito mi telefona verso sera, se vuoi… ho il numero di cellulare”.
“
Fantastico! Ti prego, chiamala....”, esclamò Fred.
Maria
fece il numero, ma aspettò invano la risposta.
“
Suona a vuoto…probabilmente ha staccato
il telefono”, disse.
Ma nel suo viso qualcosa era cambiato:
“Mia figlia si è messa in un brutto giro”,
confessò tristemente, “da quello che mi hai detto non ho molti dubbi…Elisa ha
un grande talento come pittrice, ultimamente esegue copie d’autore con molta
maestria, ma…questa sarebbe anche una bella cosa se non si fosse lasciata
convincere a lavorare per gente che non mi piace …devo pensare purtroppo che la
ragazza che hai conosciuto sia proprio lei”, concluse sospirando.
Il
professore la stava ascoltando e stava tirando le fila di quell’intrigo: Maria
aveva ragione, ripensandoci molte circostanze combaciavano ed Elisa poteva
essere l’autrice del falso.
Che
bello scherzo gli aveva giocato la vita!…ritrovare l’amore di un tempo era
stato meraviglioso, però non avrebbe mai pensato che i loro destini fossero
intrecciati in modo così singolare. Si rendeva conto ora che l’attrazione che
aveva provato per Elisa era qualcosa di innato: era la figlia di Maria e i suoi
sensi l’avevano subito percepito. Si rivolse alla donna che era rimasta in
silenzio aspettando una risposta.
“Mi dispiace, Maria…non ho intenzione di
denunciare Elisa, se ha fatto questo è necessario ritrovarla e farla ragionare,
forse si può ancora fare qualcosa, deve rendersi conto di aver commesso un
reato se lei mi aiuta potrò recuperare quello che mi è stato sottratto…a me
basta così”.
La
donna lo abbracciò:
“Grazie…ti
aiuterò anch’io, vedrai che tutto andrà bene…riusciremo a ritrovare Elisa e il
tuo quadro. Mia figlia non è una delinquente, se ha fatto questo sicuramente è
stata costretta.”, disse Maria.
“Non
sai proprio dove sia ora?”, domandò ancora lui.
“No…ma
credo sia col suo ragazzo, un tale che non mi è mai piaciuto…sicuramente è
stato lui a convincerla”.
“E’
un con una cicatrice su una guancia?”, disse Fred rammentandosi di aver visto
quel tipo anche all’aeroporto. Maria sobbalzò:
“Sì…
è Fabio, come fai a conoscerlo?”, ribatté stupita.
Fred
le raccontò di averlo incontrato quella stessa mattina al castello e, forse, di
averlo visto all’aeroporto, quando stava per partire per gli Stati Uniti.
“Allora
Elisa si è lasciata coinvolgere nei loro loschi affari, quel ragazzo ha
un’influenza negativa su di lei…”, disse la donna parlando a bassa voce, quasi
con se stessa. “a questo punto non so nemmeno se mi chiamerà più”, continuò cambiando
tono, “ dobbiamo trovarla prima che sia troppo tardi…”.
“Devo
tornare lassù…forse quel Fabio sarà ancora lì e lo farò parlare”, affermò Fred
in preda ad uno scatto di rabbia.
Non aveva tempo da perdere, abbracciò ancora
una volta Maria e si precipitò in cerca di un taxi. Quell’interminabile
giornata, così densa di avvenimenti, l’aveva distrutto, si abbandonò sui sedili
dell’auto, mille pensieri si accavallavano nella mente: l’emozione di aver
ritrovato Maria, ma ancor più il fatto che Elisa fosse sua figlia, l’aveva
sconvolto. La realtà si stava dimostrando molto più complessa della fantasia,
mai avrebbe pensato di vivere quell’avventura nella quale s’intrecciavano le
vicende della sua vita.
Era
quasi a metà del percorso quando vide venire in senso opposto una macchina
nera, quando le due vetture s’incrociarono Fred sgranò gli occhi: aveva
riconosciuto Elisa e quello che doveva essere il suo ragazzo.
“Inverta
la marcia!”, comandò all’autista. Questi credeva di aver sentito male:
“Come dice?”, chiese.
“Come dice?”, chiese.
“Ho
detto di tornare indietro e di seguire quella macchina “; esclamò spazientito
il professore. L’uomo al volante fermò la vettura ai bordi della strada e si
voltò verso quel passeggero che considerava un po’ suonato.
“E’
pericoloso…non me la sento di fare la manovra, non si vede chi può esserci
dietro la curva”.
Fred
non lo lasciò continuare:
“Mi
chieda quello che vuole, sono disposto a pagare qualsiasi cifra”, affermò Fred
spazientito, “però si decida e faccia presto, altrimenti li perdiamo”:
L’autista
convinto da un argomento così interessante, invertì velocemente il senso di
marcia.
A
ogni curva le gomme stridevano, andavano giù a rotta di collo rischiando un
incidente ogni secondo, ma Fred era determinato a raggiungere la vettura nera.
Finalmente l’avvistarono.
“Adesso
si metta dietro, voglio vedere dove vanno….”, disse all’uomo ancora carico di
tensione per la corsa fatta. Attraversarono la città e si diressero verso la
periferia, sempre all’inseguimento della preda.
Si
fermarono davanti ad un capannone, i due giovani entrarono e Fred ordinò
all’autista di appostarsi nei pressi senza farsi vedere. Il professor Adams pagò
la notevole cifra che gli chiese l’uomo:
“Se
non torno entro mezz’ora può andare, avverta però questa persona”, disse, e gli
diede il nome e l’indirizzo di Maria.
Si
fermò davanti al portone di ferro grigio, provò la maniglia e si accorse che
cedeva. Non ci pensò un attimo ed entrò. L’interno era un grande vano zeppo di
macchinari in disuso, i finestroni di vetro incrostato di polvere,
lasciavano passare poca luce; Fred proseguiva cauto per paura d’inciampare.
Dietro una porta aperta di uno sgabuzzino sentì provenire delle voci. Si fermò,
un uomo stava parlando:
“Questi
sono i biglietti…mi raccomando, sparite subito, l’americano è tornato…
evidentemente se n’è accorto”. Un’altra voce maschile rispose:
“Va bene…e i soldi?”, dal tono si capiva che era in ansia.
“Va bene…e i soldi?”, dal tono si capiva che era in ansia.
“Sono
qui…questa è una prima parte, se la cosa va in porto ritornerete a prendere il
saldo quando non ci saranno più sospetti”, rispose l’uomo che aveva parlato per
primo.
“Il
quadro dov’è?”, chiese ancora una donna che Fred riconobbe per Elisa.
“Nel
doppio fondo della valigia, dovete portarlo a Berlino, poi da lì tagliate
definitivamente la corda per il Venezuela…Se starete attenti agli ordini fra
qualche giorno sarà tutto finito e…sarete ricchi”, quella voce aveva un tono di
comando, “probabilmente sarà il capo della banda”, pensò Fred.
Qualcuno parlò a voce bassa e lui cercò di
avvicinarsi per sentire meglio, ma fece un passo falso e inciampò in qualcosa
che non aveva visto. Il rumore, nel silenzio del capannone vuoto s’ingigantì,
Fred s’immobilizzò attendendo gli eventi, mettendosi sulla difensiva. Le voci
si spensero, un uomo con la barba incolta apparve sull’uscio:
“Tu
chi sei?”, chiese aggressivo. Nel medesimo istante uscirono anche gli altri
due, dalla bocca della ragazza uscì un grido: “Professore….cosa ci fai qui”.
“Ah,
l’americano è venuto a curiosare”, esclamò il primo e, prima che Fred se ne
potesse rendere conto sentì un dolore lancinante al capo… stramazzò per terra
senza sensi.
Elisa
lo vide per terra e cercò di portagli soccorso, ma uno strattone l’allontanò:
“Mettiamolo qui dentro e andiamo via, dobbiamo sparire prima che si riprenda”, disse il ragazzo con la cicatrice. Trascinarono il corpo nello stanzino, poi uscirono di corsa. “Presto, squagliamocela, l’aereo parte fra tre ore”.
“Mettiamolo qui dentro e andiamo via, dobbiamo sparire prima che si riprenda”, disse il ragazzo con la cicatrice. Trascinarono il corpo nello stanzino, poi uscirono di corsa. “Presto, squagliamocela, l’aereo parte fra tre ore”.
Elisa salì in macchina con gli altri due, ma
non era più la stessa. Si accucciò in un angolo del sedile senza dire una
parola; non riusciva a togliersi dalla mente il corpo di Fred per terra. “Cosa gli
succederà?”, si chiedeva angosciata, “se nessuno sa dov’è come possono
salvarlo…quel capannone è abbandonato ed è difficile che qualcuno vada in
quella zona”. Questi pensieri la tormentavano mentre la macchina correva veloce
nella campagna in direzione dell’aeroporto di Fiumicino…
Intanto
Maria, nel suo appartamento, non riusciva a stare ferma. Si sedeva in salotto,
poi si alzava e andava in cucina a farsi una tisana, poi si metteva di nuovo in
poltrona, sempre con lo sguardo rivolto all’apparecchio telefonico che non
suonava mai. Aspettava che Fred o addirittura sua figlia si facessero vivi, ma
le ore passavano senza nessuna novità. Gli avvenimenti di quella giornata erano
stati talmente straordinari che le sembrava di vivere in un sogno. Era vero che
Fred era tornato? Era vero che Elisa era coinvolta in quell’assurdo pasticcio
del quadro falso? la luce del giorno si
affievoliva e lei era ancora lì ad aspettare non sapeva nemmeno che cosa.
A
un tratto il campanello della porta la fece sobbalzare. Si precipitò all’uscio
e guardò dallo spioncino: un uomo di mezza età, robusto, vestito di blu era
dietro la porta. La donna si mise in allarme: “Chi è?”, esclamò sospettosa.
“Non
abbia paura, signora, sono un tassista”, rispose lo sconosciuto.
“Non
ho chiamato nessun taxi”, affermò lei sempre più agitata.
“Le
porto notizie del professor Adams”, disse ancora lui.
A
quelle parole Maria aprì:
“Cosa
è successo? Dov’è il professore?”, chiese con ansia.
L’uomo,
sempre rimanendo sul pianerottolo le spiegò come erano andate le cose:
“Il professore mi ha
detto che se non fosse tornato entro mezz’ora dovevo farle avere questo”, disse l’uomo porgendole un foglietto.
Maria
lesse concitatamente quello che c’era scritto: “Sto seguendo Elisa, sono in un
capannone alla periferia, fatti dire dal tassista l’indirizzo…poi vai alla
polizia. Fred”.
Con
il biglietto fra le mani Maria non sapeva cosa fare, sospettava che tutta
quella faccenda fosse un intrigo che in quel momento lei non sapeva spiegare.
“E’
tutto vero, signora, il mio cliente è entrato là dentro e non è più uscito, poi
ho visto una macchina partire con tre persone a bordo”, l’uomo che aveva
davanti sembrava sincero, Maria doveva prendere una decisione al più presto:
“Mi aspetti”, disse improvvisamente, “vengo con lei, andiamo al commissariato”.
“Mi aspetti”, disse improvvisamente, “vengo con lei, andiamo al commissariato”.
In
quell’istante il telefono squillò: la voce che sentì le fece battere il cuore.
“Elisa”,
esclamò abbandonandosi su una poltrona.
“Mamma,
sto partendo, io sto bene…non ti preoccupare, ti telefono appena posso…”, le
frasi smozzicate della ragazza facevano pensare che fosse in compagnia di
qualcuno.
“Non
staccare la comunicazione, ti prego…dimmi dove vai e cosa ti sta succedendo…”,
gridò. Ma la conversazione era stata interrotta.
Maria
si precipitò fuori accompagnata dall’uomo che la guardava preoccupato: quella
signora era talmente agitata che poteva sentisi male da un momento all’altro…
Il
commissario Loiacono stava seguendo pazientemente il racconto di quella bella
donna con gli occhi lucidi che stava davanti a lui da parecchi minuti. Mentre
l’ascoltava l’osservava compiaciuto, Maria era il tipo di donna per la quale
avrebbe fatto follie…bruna, con la pelle ambrata e gli occhi neri, focosi.
Però, forse perché si era distratto, forse perché lei parlava in modo concitato,
aveva capito ben poco di ciò che gli era stato detto.
“Ricapitoliamo”,
l’interruppe ad un certo punto, “un certo professor Adams è stato sequestrato
in un capannone …non si sa da chi e perché”, affermò infine per cercare di
mettere un punto fermo in tutta quella faccenda.
“Proprio
così…però, commissario non perdiamo tempo, le spiegherò meglio dopo… la prego,
mandi qualcuno a vedere…non so cosa gli sia successo”, lo scongiurò Maria con
tutta la grazia di cui era capace. Aveva capito, da come il poliziotto la
guardava, di essergli simpatica e cercava di sfruttare l’occasione.
“Farò
come dice lei ma…questo Adams cos’è per lei?…”, chiese curioso Loiacono.
“Un
caro amico e…forse di più”, rispose la donna con un piccolo sorriso.
Il
commissario si lasciò commuovere:
“Va
bene…andiamo a vedere “, disse infine.
Poco
dopo la macchina della polizia sfrecciò lungo la città a sirene spiegate.
Fred aprì gli occhi, e si accorse di essere
sdraiato sul pavimento polveroso, che ci faceva lì?…non ricordava nulla…lo sguardo
vagò smarrito per tutto l’ambiente, sopra di lui l’alto soffitto pieno di
ragnatele gli dava un senso di nausea, si toccò con la mano la testa che gli
faceva male. Quando la ritrasse si accorse che era piena di sangue, fece un
tentativo di alzarsi ma non ci riuscì…era debole e intontito. Con uno sforzo
cercò di ricordare. Le cose intorno a lui non gli dicevano niente, quel luogo
gli era completamente sconosciuto. Chiuse di nuovo le palpebre e sforzò la
memoria fino a sentire un cerchio attorno alla testa. Poi, lentamente dal
profondo dell’inconscio qualcosa cominciò a riaffiorare, la prima cosa che
ricordò fu Elisa…c’erano due persone con lei…infatti come se un velo si fosse
improvvisamente squarciato il volto dei due uomini gli apparve chiaro e da quel
momento ricordò tutto. Se ne erano andati e avevano portato con loro il quadro
autentico, aveva sentito che dovevano consegnarlo a un compratore a Berlino…non
c’era tempo da perdere…non sapeva ancora come, ma doveva fermarli. Si alzò con
fatica e si appoggiò a una sedia, il sangue continuava a scendere dalla ferita
ancora aperta, raggiunse la porta e girò la maniglia, ma si accorse che era
chiuso dentro. Non si perse d’animo
cercò in quella specie di sgabuzzino qualcosa che servisse a forzare la
serratura: trovò un arnese appuntito e provò ancora ad aprire. Dopo molti
sforzi dovette desistere, non ci riusciva; si sedette per terra…dopo pochi minuti sentì il cigolio
del portone di ferro: qualcuno stava entrando. “Finalmente…”, pensò, “il tassista
ha avvertito Maria…”. Si rialzò e si preparò mentalmente a uscire; qualcuno
aprì la porta ma la sorpresa non fu proprio piacevole. Davanti a lui, con una
rivoltella in mano c’era il boss, quello che aveva dato gli ordini ai due
ragazzi che se n’erano andati.
“Eccomi
professore, cosa credevi che ti lasciassi qua dentro con il pericolo che
qualcuno ti trovasse? “, sibilò, “
adesso vieni con me …sbrigati!”. Con un gesto imperioso della mano agitò la
pistola e si fece da parte per lasciarlo passare.
Fred
si rese conto che c’era poco da fare, doveva ubbidire a quell’uomo che aveva
dei buoni argomenti a suo vantaggio; gli passò davanti e l’altro lo seguì
sempre con l’arma puntata dietro le spalle. Si inoltrarono nel grande spazio
del capannone, il portone era ancora lontano, il professore fece finta di
inciampare e cadde a terra. L’altro si lasciò sfuggire un’imprecazione, lo
prese per la manica e tentò di rialzarlo, Fred si voltò e gli si aggrappò alle
ginocchia facendolo cadere… con tutta la sua forza lo tempestò di pugni…dalla
pistola uscì improvvisamente un proiettile, Fred rimase a terra raggomitolato
su se stesso…
In
quel momento la porta del capannone si spalancò e il commissario Loiacono si
trovò di fronte a quella scena da film. “Aveva ragione la signora”, borbottò,
“è più grave di quello che pensassi”. Mettendo in pratica la sua esperienza
cominciò immediatamente a impartire ordini.
I
poliziotti si gettarono sull’uomo che tentava di scappare, il commissario si
avvicinò a Fred che era per terra dolorante: “ Lei è il professor Adams?”,
chiese chinandosi sopra di lui. Il ferito annuì con un cenno del capo. “Presto,
chiamate un’ambulanza”, ordinò Loiacono rendendosi conto che il ferito era in
gravi condizioni. Quando gli infermieri arrivarono Fred aveva perso conoscenza.
( continua)
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