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domenica 18 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - terza puntata




“Sei tu Fred?”, rispose una voce femminile.
Era proprio lei, riconobbe dopo tanti anni il modo in cui pronunciava il suo nome.
In quell’attimo ritornò al passato: aveva dimenticato la brutta storia che l’aveva portato lì, voleva solo rivedere Maria.
Balzò dal letto e si ficcò sotto la doccia per svegliarsi definitivamente.  Mentre si faceva  la barba davanti allo specchio si passò una mano sul viso: molte rughe attraversavano la fronte, gli angoli della bocca erano segnati, le tempie stavano diventando grigie, ma lo sguardo era quello di allora… cosa avrebbe detto Maria? L’avrebbe trovato senz’altro invecchiato, ma non gli importava…non vedeva il momento d’incontrarla. Percorse la strada quasi correndo, non aspettò l’ascensore, salì i gradini due alla volta e bussò alla porta col cuore in gola. Lei aprì. Si trovarono di fronte e rimasero in silenzio, ognuno di loro era sopraffatto dalla commozione, poi si buttarono l’uno nelle braccia dell’altra. Restarono stretti senza parlare, felici di vivere quel meraviglioso momento. Infine Maria lo condusse in casa: “Vieni”, gli disse prendendolo per mano. “Non sei cambiato molto”, sussurrò osservandolo attentamente, “qualche ruga qua e là ma, per me, sei rimasto quello di un tempo”.
Anche Fred non riusciva a staccare gli occhi da lei: ritrovava lo sguardo, il sorriso che l’aveva conquistato, aveva la pelle ancora liscia come se il tempo si fosse dimenticato di lei…anzi, ora aveva raggiunto il fascino della maturità. Indossava una semplice camicetta di seta bianca sopra pantaloni di lino beige, al collo portava una collana d’ambra che le illuminava il viso. Fra i capelli neri spuntava qualche filo grigio, ma gli occhi erano ancora brillanti come allora. Anche la figura era rimasta snella, assomigliava in modo sorprendente a Elisa, tanto è vero che rimase attonito a guardarla.
“Sei ancora più bella”, bisbigliò emozionato mentre lo sguardo smarrito e incredulo vagava su di lei. Si sedettero vicini, tenendosi le mani come avessero paura di perdersi ancora.
“Come mi hai ritrovato?”; chiese Fred incuriosito.
“Ti ho visto mentre rientravi in albergo”.
“Anch’io ti sono corso dietro per strada…ma non ero sicuro che fossi tu e allora ho lasciato perdere…ma devo confessarti che, da quando sono a Perugia, non ho mai perso la speranza di incontrarti”, disse lui accarezzandole una guancia. “ Raccontami di te.. sei sposata? Hai figli?…”, proseguì concitato: voleva sapere tutto di lei.
Maria cominciò il racconto della sua vita, si era sposata, aveva una figlia ma ora era completamente sola: il marito l’aveva lasciata per un’altra e la figlia se ne era andata a vivere da sola. Disse tutto questo con un po’ di malinconia, gli occhi erano diventati tristi. Fred l’abbracciò ancora una volta:
“Adesso ci sono io”, affermò, “anche per me non è andata troppo diversamente….sono separato ma, fortunatamente non ho prole, ora convivo con una donna”, si fermò.
“Sei felice?”, chiese lei.
Fred chinò il capo e non rispose, rimase in silenzio per qualche secondo, infine si decise a parlare:
“Mi devi ascoltare attentamente”, iniziò. Il tono della voce era diventato improvvisamente troppo serio. Maria, meravigliata, lo guardò:
“Qualcosa non va?”, chiese  preoccupata,  aveva notato il cambiamento d’espressione: c’era qualcosa in lui che l’opprimeva, ne era certa.
Mentre Fred le stava raccontando quello che gli era capitato, senza tralasciare nulla, anche l’incontro con la pittrice dalla quale era stato attratto perché le assomigliava, Maria lo seguiva con attenzione; a un tratto l’interruppe:
“Come hai detto che si chiama la ragazza?”, chiese.
“Elisa”, rispose Fred, “perché me lo chiedi?”.
Maria si alzò dal divano, fece qualche passo, poi tornò a sedersi:
“Sono quasi certa che sia mia figlia”, bisbigliò abbassando lo sguardo.
Fred rimase attonito: “Credi che sia possibile?”
“Penso proprio di sì, troppe coincidenze in questo racconto…il nome, la professione, il luogo dove l’hai incontrata”.
Fred la stava ad ascoltare stupito, nella sua mente si faceva strada un pensiero: se fosse stata veramente lei avrebbe smesso di cercare, e forse, avrebbe saputo qualcosa che l’avrebbe aiutato nella risoluzione del caso di cui era la vittima.
“Come possiamo esserne certi?”, domandò ansioso.
“Sono molti giorni che non la vedo, di solito mi telefona verso sera,  se vuoi… ho il numero di cellulare”.
“ Fantastico! Ti prego, chiamala....”, esclamò Fred.
Maria fece il numero, ma aspettò invano la risposta.
“ Suona a vuoto…probabilmente  ha staccato il telefono”, disse.
 Ma nel suo viso qualcosa era cambiato:
 “Mia figlia si è messa in un brutto giro”, confessò tristemente, “da quello che mi hai detto non ho molti dubbi…Elisa ha un grande talento come pittrice, ultimamente esegue copie d’autore con molta maestria, ma…questa sarebbe anche una bella cosa se non si fosse lasciata convincere a lavorare per gente che non mi piace …devo pensare purtroppo che la ragazza che hai conosciuto sia proprio lei”, concluse sospirando.
Il professore la stava ascoltando e stava tirando le fila di quell’intrigo: Maria aveva ragione, ripensandoci molte circostanze combaciavano ed Elisa poteva essere l’autrice del falso.
Che bello scherzo gli aveva giocato la vita!…ritrovare l’amore di un tempo era stato meraviglioso, però non avrebbe mai pensato che i loro destini fossero intrecciati in modo così singolare. Si rendeva conto ora che l’attrazione che aveva provato per Elisa era qualcosa di innato: era la figlia di Maria e i suoi sensi l’avevano subito percepito. Si rivolse alla donna che era rimasta in silenzio aspettando una risposta.
 “Mi dispiace, Maria…non ho intenzione di denunciare Elisa, se ha fatto questo è necessario ritrovarla e farla ragionare, forse si può ancora fare qualcosa, deve rendersi conto di aver commesso un reato se lei mi aiuta potrò recuperare quello che mi è stato sottratto…a me basta così”.
La donna lo abbracciò:
“Grazie…ti aiuterò anch’io, vedrai che tutto andrà bene…riusciremo a ritrovare Elisa e il tuo quadro. Mia figlia non è una delinquente, se ha fatto questo sicuramente è stata costretta.”, disse Maria.
“Non sai proprio dove sia ora?”, domandò ancora lui.
“No…ma credo sia col suo ragazzo, un tale che non mi è mai piaciuto…sicuramente è stato lui a convincerla”.
“E’ un con una cicatrice su una guancia?”, disse Fred rammentandosi di aver visto quel tipo anche all’aeroporto. Maria sobbalzò:
“Sì… è Fabio, come fai a conoscerlo?”, ribatté stupita.
Fred le raccontò di averlo incontrato quella stessa mattina al castello e, forse, di averlo visto all’aeroporto, quando stava per partire per gli Stati Uniti.
“Allora Elisa si è lasciata coinvolgere nei loro loschi affari, quel ragazzo ha un’influenza negativa su di lei…”, disse la donna parlando a bassa voce, quasi con se stessa. “a questo punto non so nemmeno se mi chiamerà più”, continuò cambiando tono, “ dobbiamo trovarla prima che sia troppo tardi…”.
“Devo tornare lassù…forse quel Fabio sarà ancora lì e lo farò parlare”, affermò Fred in preda ad uno scatto di rabbia.
 Non aveva tempo da perdere, abbracciò ancora una volta Maria e si precipitò in cerca di un taxi. Quell’interminabile giornata, così densa di avvenimenti, l’aveva distrutto, si abbandonò sui sedili dell’auto, mille pensieri si accavallavano nella mente: l’emozione di aver ritrovato Maria, ma ancor più il fatto che Elisa fosse sua figlia, l’aveva sconvolto. La realtà si stava dimostrando molto più complessa della fantasia, mai avrebbe pensato di vivere quell’avventura nella quale s’intrecciavano le vicende della sua vita.
Era quasi a metà del percorso quando vide venire in senso opposto una macchina nera, quando le due vetture s’incrociarono Fred sgranò gli occhi: aveva riconosciuto Elisa e quello che doveva essere il suo ragazzo.
“Inverta la marcia!”, comandò all’autista. Questi credeva di aver sentito male:
“Come dice?”, chiese.
“Ho detto di tornare indietro e di seguire quella macchina “; esclamò spazientito il professore. L’uomo al volante fermò la vettura ai bordi della strada e si voltò verso quel passeggero che considerava un po’ suonato.
“E’ pericoloso…non me la sento di fare la manovra, non si vede chi può esserci dietro la curva”.
Fred non lo lasciò continuare:
“Mi chieda quello che vuole, sono disposto a pagare qualsiasi cifra”, affermò Fred spazientito, “però si decida e faccia presto, altrimenti li perdiamo”:
L’autista convinto da un argomento così interessante, invertì velocemente il senso di marcia.
A ogni curva le gomme stridevano, andavano giù a rotta di collo rischiando un incidente ogni secondo, ma Fred era determinato a raggiungere la vettura nera. Finalmente l’avvistarono.
“Adesso si metta dietro, voglio vedere dove vanno….”, disse all’uomo ancora carico di tensione per la corsa fatta. Attraversarono la città e si diressero verso la periferia, sempre all’inseguimento della preda.
Si fermarono davanti ad un capannone, i due giovani entrarono e Fred ordinò all’autista di appostarsi nei pressi senza farsi vedere. Il professor Adams pagò la notevole cifra che gli chiese l’uomo:
“Se non torno entro mezz’ora può andare, avverta però questa persona”, disse, e gli diede il nome e l’indirizzo di Maria.
Si fermò davanti al portone di ferro grigio, provò la maniglia e si accorse che cedeva. Non ci pensò un attimo ed entrò. L’interno era un grande vano zeppo di macchinari in disuso, i finestroni di vetro incrostato di polvere, lasciavano passare poca luce; Fred proseguiva cauto per paura d’inciampare. Dietro una porta aperta di uno sgabuzzino sentì provenire delle voci. Si fermò, un uomo stava parlando:
“Questi sono i biglietti…mi raccomando, sparite subito, l’americano è tornato… evidentemente se n’è accorto”. Un’altra voce maschile rispose:
“Va bene…e i soldi?”, dal tono si capiva che era in ansia.
“Sono qui…questa è una prima parte, se la cosa va in porto ritornerete a prendere il saldo quando non ci saranno più sospetti”, rispose l’uomo che aveva parlato per primo.
“Il quadro dov’è?”, chiese ancora una donna che Fred riconobbe per Elisa.
“Nel doppio fondo della valigia, dovete portarlo a Berlino, poi da lì tagliate definitivamente la corda per il Venezuela…Se starete attenti agli ordini fra qualche giorno sarà tutto finito e…sarete ricchi”, quella voce aveva un tono di comando, “probabilmente sarà il capo della banda”, pensò Fred.
 Qualcuno parlò a voce bassa e lui cercò di avvicinarsi per sentire meglio, ma fece un passo falso e inciampò in qualcosa che non aveva visto. Il rumore, nel silenzio del capannone vuoto s’ingigantì, Fred s’immobilizzò attendendo gli eventi, mettendosi sulla difensiva. Le voci si spensero, un uomo con la barba incolta apparve sull’uscio:
“Tu chi sei?”, chiese aggressivo. Nel medesimo istante uscirono anche gli altri due, dalla bocca della ragazza uscì un grido: “Professore….cosa ci fai qui”.
“Ah, l’americano è venuto a curiosare”, esclamò il primo e, prima che Fred se ne potesse rendere conto sentì un dolore lancinante al capo… stramazzò per terra senza sensi.
Elisa lo vide per terra e cercò di portagli soccorso, ma uno strattone l’allontanò:
“Mettiamolo qui dentro e andiamo via, dobbiamo sparire prima che si riprenda”, disse il ragazzo con la cicatrice. Trascinarono il corpo nello stanzino, poi uscirono di corsa. “Presto, squagliamocela, l’aereo parte fra tre ore”.
 Elisa salì in macchina con gli altri due, ma non era più la stessa. Si accucciò in un angolo del sedile senza dire una parola; non riusciva a togliersi dalla mente il corpo di Fred per terra. “Cosa gli succederà?”, si chiedeva angosciata, “se nessuno sa dov’è come possono salvarlo…quel capannone è abbandonato ed è difficile che qualcuno vada in quella zona”. Questi pensieri la tormentavano mentre la macchina correva veloce nella campagna in direzione dell’aeroporto di Fiumicino…

Intanto Maria, nel suo appartamento, non riusciva a stare ferma. Si sedeva in salotto, poi si alzava e andava in cucina a farsi una tisana, poi si metteva di nuovo in poltrona, sempre con lo sguardo rivolto all’apparecchio telefonico che non suonava mai. Aspettava che Fred o addirittura sua figlia si facessero vivi, ma le ore passavano senza nessuna novità. Gli avvenimenti di quella giornata erano stati talmente straordinari che le sembrava di vivere in un sogno. Era vero che Fred era tornato? Era vero che Elisa era coinvolta in quell’assurdo pasticcio del quadro falso?  la luce del giorno si affievoliva e lei era ancora lì ad aspettare non sapeva nemmeno che cosa.
A un tratto il campanello della porta la fece sobbalzare. Si precipitò all’uscio e guardò dallo spioncino: un uomo di mezza età, robusto, vestito di blu era dietro la porta. La donna si mise in allarme: “Chi è?”, esclamò sospettosa.
“Non abbia paura, signora, sono un tassista”, rispose lo sconosciuto.
“Non ho chiamato nessun taxi”, affermò lei sempre più agitata.
“Le porto notizie del professor Adams”, disse ancora lui.
A quelle parole Maria aprì:
“Cosa è successo? Dov’è il professore?”, chiese con ansia.
L’uomo, sempre rimanendo sul pianerottolo le spiegò come erano andate le cose:
 “Il professore mi ha detto che se non fosse tornato entro mezz’ora dovevo farle avere questo”, disse l’uomo porgendole un foglietto.
Maria lesse concitatamente quello che c’era scritto: “Sto seguendo Elisa, sono in un capannone alla periferia, fatti dire dal tassista l’indirizzo…poi vai alla polizia. Fred”.
Con il biglietto fra le mani Maria non sapeva cosa fare, sospettava che tutta quella faccenda fosse un intrigo che in quel momento lei non sapeva spiegare.
“E’ tutto vero, signora, il mio cliente è entrato là dentro e non è più uscito, poi ho visto una macchina partire con tre persone a bordo”, l’uomo che aveva davanti sembrava sincero, Maria doveva prendere una decisione al più presto:
“Mi aspetti”, disse improvvisamente, “vengo con lei, andiamo al commissariato”.
In quell’istante il telefono squillò: la voce che sentì le fece battere il cuore.
“Elisa”, esclamò abbandonandosi su una poltrona.
“Mamma, sto partendo, io sto bene…non ti preoccupare, ti telefono appena posso…”, le frasi smozzicate della ragazza facevano pensare che fosse in compagnia di qualcuno.
“Non staccare la comunicazione, ti prego…dimmi dove vai e cosa ti sta succedendo…”, gridò. Ma la conversazione era stata interrotta.
Maria si precipitò fuori accompagnata dall’uomo che la guardava preoccupato: quella signora era talmente agitata che poteva sentisi male da un momento all’altro…

Il commissario Loiacono stava seguendo pazientemente il racconto di quella bella donna con gli occhi lucidi che stava davanti a lui da parecchi minuti. Mentre l’ascoltava l’osservava compiaciuto,  Maria era il tipo di donna per la quale avrebbe fatto follie…bruna, con la pelle ambrata e gli occhi neri, focosi. Però, forse perché si era distratto, forse perché lei parlava in modo concitato, aveva capito ben poco di ciò che gli era stato detto.
“Ricapitoliamo”, l’interruppe ad un certo punto, “un certo professor Adams è stato sequestrato in un capannone …non si sa da chi e perché”, affermò infine per cercare di mettere un punto fermo in tutta quella faccenda.
“Proprio così…però, commissario non perdiamo tempo, le spiegherò meglio dopo… la prego, mandi qualcuno a vedere…non so cosa gli sia successo”, lo scongiurò Maria con tutta la grazia di cui era capace. Aveva capito, da come il poliziotto la guardava, di essergli simpatica e cercava di sfruttare l’occasione.
“Farò come dice lei ma…questo Adams cos’è per lei?…”, chiese curioso Loiacono.
“Un caro amico e…forse di più”, rispose la donna con un piccolo sorriso.
Il commissario si lasciò commuovere:
“Va bene…andiamo a vedere “, disse infine.
Poco dopo la macchina della polizia sfrecciò lungo la città a sirene spiegate.
 
 Fred aprì gli occhi, e si accorse di essere sdraiato sul pavimento polveroso, che ci faceva lì?…non ricordava nulla…lo sguardo vagò smarrito per tutto l’ambiente, sopra di lui l’alto soffitto pieno di ragnatele gli dava un senso di nausea, si toccò con la mano la testa che gli faceva male. Quando la ritrasse si accorse che era piena di sangue, fece un tentativo di alzarsi ma non ci riuscì…era debole e intontito. Con uno sforzo cercò di ricordare. Le cose intorno a lui non gli dicevano niente, quel luogo gli era completamente sconosciuto. Chiuse di nuovo le palpebre e sforzò la memoria fino a sentire un cerchio attorno alla testa. Poi, lentamente dal profondo dell’inconscio qualcosa cominciò a riaffiorare, la prima cosa che ricordò fu Elisa…c’erano due persone con lei…infatti come se un velo si fosse improvvisamente squarciato il volto dei due uomini gli apparve chiaro e da quel momento ricordò tutto. Se ne erano andati e avevano portato con loro il quadro autentico, aveva sentito che dovevano consegnarlo a un compratore a Berlino…non c’era tempo da perdere…non sapeva ancora come, ma doveva fermarli. Si alzò con fatica e si appoggiò a una sedia, il sangue continuava a scendere dalla ferita ancora aperta, raggiunse la porta e girò la maniglia, ma si accorse che era chiuso dentro.  Non si perse d’animo cercò in quella specie di sgabuzzino qualcosa che servisse a forzare la serratura: trovò un arnese appuntito e provò ancora ad aprire. Dopo molti sforzi dovette desistere, non ci riusciva; si sedette  per terra…dopo pochi minuti sentì il cigolio del portone di ferro: qualcuno stava entrando. “Finalmente…”, pensò, “il tassista ha avvertito Maria…”. Si rialzò e si preparò mentalmente a uscire; qualcuno aprì la porta ma la sorpresa non fu proprio piacevole. Davanti a lui, con una rivoltella in mano c’era il boss, quello che aveva dato gli ordini ai due ragazzi che se n’erano andati.
“Eccomi professore, cosa credevi che ti lasciassi qua dentro con il pericolo che qualcuno ti trovasse?  “, sibilò, “ adesso vieni con me …sbrigati!”. Con un gesto imperioso della mano agitò la pistola e si fece da parte per lasciarlo passare.
Fred si rese conto che c’era poco da fare, doveva ubbidire a quell’uomo che aveva dei buoni argomenti a suo vantaggio; gli passò davanti e l’altro lo seguì sempre con l’arma puntata dietro le spalle. Si inoltrarono nel grande spazio del capannone, il portone era ancora lontano, il professore fece finta di inciampare e cadde a terra. L’altro si lasciò sfuggire un’imprecazione, lo prese per la manica e tentò di rialzarlo, Fred si voltò e gli si aggrappò alle ginocchia facendolo cadere… con tutta la sua forza lo tempestò di pugni…dalla pistola uscì improvvisamente un proiettile, Fred rimase a terra raggomitolato su se stesso…
In quel momento la porta del capannone si spalancò e il commissario Loiacono si trovò di fronte a quella scena da film. “Aveva ragione la signora”, borbottò, “è più grave di quello che pensassi”. Mettendo in pratica la sua esperienza cominciò immediatamente a impartire ordini.
I poliziotti si gettarono sull’uomo che tentava di scappare, il commissario si avvicinò a Fred che era per terra dolorante: “ Lei è il professor Adams?”, chiese chinandosi sopra di lui. Il ferito annuì con un cenno del capo. “Presto, chiamate un’ambulanza”, ordinò Loiacono rendendosi conto che il ferito era in gravi condizioni. Quando gli infermieri arrivarono Fred aveva perso conoscenza.
( continua)
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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