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domenica 16 ottobre 2016

LA FIAMMA CHE NON SI SPEGNE --terza puntata




Ma il tempo passava e le sue speranze andavano man mano scemando: doveva convincersi di essere stato raggirato da quella bella donna che l’aveva stregato a tal punto da fargli dimenticare i suoi doveri. Ma chi andava a pensare a una cosa simile?  tutto sembrava così bello e perfetto!

Con il cuore a pezzi  si decise a chiamare l’ingegner Morandi:

“Cosa succede Andreani?  Ha già parlato con Kreuzer? E’ andato storto qualcosa?”, chiese l’altro preoccupato.

“Sì… e la prego di accettare le mie dimissioni, riceverà la lettera tra breve. Non mi è possibile dirle di più …mi scusi, ma devo andare”, concluse in fretta.

Interruppe la conversazione  mentre Morandi  gridava qualcosa.

 Si mise alla piccola scrivania della stanza e si accinse a scrivere la sua sconfitta. Dopo aver infilato la busta in una casella postale, si fece portare all’aeroporto , prese  il primo aereo per Milano e se ne tornò a casa con l’animo gonfio di amarezza.

 Non si presentò più in sede, nella lettera spedita  aveva confessato la ragione delle sue dimissioni: scrisse che, per la seconda volta non era riuscito a portare a termine la sua missione.

Per tanto tempo rimase rintanato nel suo appartamento , si lasciava andare senza curarsi più di se stesso, mangiava gli avanzi del frigorifero, non si faceva nemmeno la barba, doveva prendere sonniferi per cercare di dormire qualche ora. Quello che gli era accaduto lo stava distruggendolo anche fisicamente. Non rispondeva più al telefono tanto che gli amici erano preoccupati per lui. Quando andavano a trovarlo e lo vedevano in quelle condizioni cercavano di tirarlo fuori dalla tana, ma lui non ne voleva sapere, stava lì come un leone ferito che non trovava  la forza di combattere. Anche con Claudia era finita, non c’era mai stata tanta affinità fra loro e, da quando nella sua vita era apparsa Fiamma, tutte le altre avevano perso ogni attrattiva. Trascorse giorni e giorni in quel modo, poi lentamente cominciò a uscire: andava per le strade come in trance, vedeva Fiamma ovunque, ogni chioma fulva che incontrava gli faceva battere il cuore, era arrivato persino a fermare qualcuna che sembrava lei; non faceva niente tutto il giorno si limitava a gironzolare senza una meta.  Si era infilato in un tunnel buio dal quale era difficile uscire,  chiese aiuto a uno psicologo…i giorni passavano uno dietro l’altro, stava cadendo nel baratro della depressione , le crisi d’ansia lo sommergevano ….

   Dopo tanto tempo, con l’aiuto dei farmaci e della sua forza riuscì a vedere una luce in fondo al buio.  Ricominciò ad attaccarsi alla vita : iniziò a spedire domande di assunzione e a contattare colleghi e conoscenti per cercare di tornare nel mondo del  lavoro.

 Fece molti colloqui, ma senza nessun esito; la risposta era sempre la stessa: “Le faremo sapere”. Cominciò a pensare che, nel settore si era sparsa la voce della sua triste storia e che nessuno volesse assumere un tale che si era fatto raggirare per ben due volte .

La lettera che una mattina trovò nella posta  era di  un suo amico, trasferitosi a Bombay per lavoro,  Mario gli raccontava la sua vita e lo invitava ad andarlo a trovare quando voleva. Perché non approfittare per sparire per un po’ di tempo fino a che le acque non si fossero calmate? L’India era un paese che l’aveva sempre affascinato: per la sua cultura, i misteri, la civiltà tanto lontana dalla nostra. Decise di partire, anche alla ricerca di se stesso: sentiva la necessità di trovarsi in un’altra atmosfera che non fosse quella incombente del denaro e degli affari. Partì, convinto di fare la cosa giusta.

Quando mise piede nel nuovo paese una forte emozione lo pervase, si era allontanato per cercare una nuova dimensione  e capì che lì poteva trovarla. Era tutto diverso, anche l’odore che aleggiava nell’aria era un altro: le strade erano affollate di gente vestite con abiti multicolore, le donne avvolte nei sari incedevano con una naturale eleganza. Si toccava la povertà, ma anche la dignità di ognuno di loro.

Mario, felice di ospitare un vecchio amico, gli fece da guida in tutto quello che doveva vedere in città,  lo introdusse nel suo mondo e nelle sue amicizie.

 In un circolo culturale conobbe un giovane medico indiano, Rhami con il quale si trovò subito in sintonia: avevano in comune l’interesse per la ricerca e  per merito suo  cominciò a ritornare alla vita e a interessarsi al lavoro.

 Rhami praticava la medicina alternativa  con erbe e  elementi naturali, Giulio si era appassionato a cercare con lui nuove formule per creare medicinali in grado di guarire le malattie senza intossicare l’organismo. Si fermava in laboratorio fino a sera, lavorando ininterrottamente anche dodici ore. Quando finiva era stanco, ma soddisfatto: si era buttato su qualcosa che l’interessava e cercava di dimenticare , di non pensare.

“Mi stai aiutando molto”, gli diceva spesso Rhami, “senza di te sarei ancora al punto di partenza”. E lui era felice di trafficare ancora fra i suoi alambicchi, sapendo di essere utile a qualcuno. Lavorando al fianco dell’amico indiano la serenità era tornata, anche se pensava spesso a Fiamma, ormai lo faceva solo con nostalgia e non più con  rancore.  

Ma quando una sera si sentì ripetere i ringraziamenti dal nuovo amico indiano, gli uscì una parte della sua verità:

“ Tu non sai che mi hai salvato….ero caduto in depressione perché avevo perso il lavoro e  stare qui con te mi ha riportato alla vita”.

Rhami lo guardò stupito:

“ Io non sapevo….ma allora perché non ti fermi qui,  ti potrei assumere , sei bravo e ormai sai tutto , sei diventato indispensabile e il pensiero di perderti quando saresti ritornato in Italia mi terrorizzava ”, disse battendogli una mano sulla spalla.

Giulio rimase un attimo perplesso, quella proposta l’aveva lusingato e sconcertato.

“Grazie, hai ragione, lavoriamo bene insieme” si fermò qualche secondo, in quegli attimi nella sua mente scattò qualcosa d’imprevisto: “ e…sai cosa ti dico?” continuò, “accetto,  ti devo la mia rinascita… ”, concluse sorridendo.

Rhami gli prese una mano e la strinse: “ Sono contento….hai fatto una buona scelta, non te ne pentirai. E adesso andiamo a cena a casa mia a festeggiare ”, concluse.

Giulio non seppe dire di no, da quando era in India aveva sempre cenato da solo o con l’amico italiano, e pensare di andare in una famiglia del posto lo attirava molto: l’unico modo di entrare nell’anima di un popolo era di conoscerne gli usi e i costumi.

Entrò nella casa di Rhami con timidezza, la moglie, avvolta in un sari arancio era bellissima, i grandi occhi scuri, vellutati lo fissavano con simpatia mentre sorridendo lo invitava ad entrare. La casa, arredata con mobili di stile orientale era accogliente, nel locale, dove era apparecchiata con cura la tavola, in un divanetto di bambù era seduta una giovane donna:
“Posso presentarti mia sorella Lena?”, disse Rhami. La ragazza si alzò, anche lei indossava il sari che le fasciava il corpo snello e cadeva in morbide pieghe sulla spalla. Il viso con i lineamenti minuti e regolari era illuminato dagli occhi neri e da un bel sorriso:

“Molto lieta”, disse allungando con grazia una mano.

Giulio la strinse, stupito di incontrare una ragazza così carina:

“E’ medico anche lei, lavora in ospedale”, si affrettò a dire l’amico.

“Sono felice di conoscerti, Rhami mi aveva nascosto di avere una sorella, è un vero piacere!”, disse guardandola  negli occhi….e lei arrossì.

 La cena fu davvero deliziosa, e la serata trascorse così piacevolmente che quando  ritornò nella sua stanza d’albergo ripensò molto al viso sereno di Lena. Lo sguardo sincero degli occhi scuri l’avevano portato a paragonarlo a quello ardito di Fiamma.

 Nei giorni che seguirono si fermò parecchie volte in laboratorio per  mettere a punto un medicinale che stavano preparando , erano a arrivati a buoni risultati e questo gli dava molta soddisfazione. Una sera la porta si aprì e entrò Lena, vestiva un tailleur blu e aveva i capelli raccolti da un grande nastro celeste, era molto graziosa, diversa da quando l’aveva vista quella sera in casa del fratello.
“Ciao”, disse semplicemente.

Giulio stupito guardò la sua figurina esile avanzare.“Ho finito il turno in ospedale e sono venuta a trovarti. Stai lavorando…disturbo?”, proseguì lei, timida.

Giulio si passò una mano sugli occhi e si staccò dal bancone:
“Assolutamente no”, rispose, “ero stanco ma non mi decidevo a smettere, tanto…nessuno mi aspetta e qualche volta preferisco restare”.

 Senza aggiungere altro si mise la giacca “Per oggi ne ho abbastanza, se vuoi possiamo uscire”, disse accompagnando Lena alla porta.

In strada, Lena si mise al suo fianco, lei così minuta, vicino a lui sembrava una bambina; gli trotterellava a fianco sforzandosi di tenere il suo passo.

 Alzò il viso verso di lui: “ Hai detto che sei solo?  Ero venuta appunto per chiederti di venire  a cena da noi”, i suoi occhi scuri erano pieni di luce.

  Giulio raccolse l’invito di quello sguardo, in fin dei conti faceva piacere anche a lui, da quando si era trasferito in albergo le sue serate erano solitarie.

  Da quella sera altre volte Lena invitò Giulio, era evidente che era attratta da lui, ma non erano mai andati oltre l’amicizia. Anche a Giulio non dispiaceva quella piccola donna bruna, ma provava per lei solo un sentimento di grande ammirazione per il modo in cui svolgeva il suo lavoro, sacrificando per gli altri una parte della sua vita. Andò a trovarla in ospedale e vide con quanta abnegazione si dedicava ai bambini ammalati, felice quando riusciva a strappare un sorriso da quelle bocche pallide.

 I grandi occhi dei piccoli erano costantemente fissi sulla loro dottoressa  che cercava con ogni mezzo di distrarli e di farli giocare..

“Sei veramente in gamba”, le disse ammirato Giulio, “avremmo bisogno di medici come te, anche da noi”.

Lei lo fissò divenendo improvvisamente seria:

 “Non lascerei questo paese per nessuna ragione al mondo”, rispose.

Sempre più spesso si vedevano e cominciava a nascere fra loro un sentimento che avrebbe potuto trasformarsi in amore se nel cuore di Giulio non fosse entrata con tanta prepotenza Fiamma.  Non riusciva a dimenticarla, anche se conoscerla  era stata una disgrazia e  aveva cambiato il corso della sua vita.

 Continuò a frequentare la casa di Rhami, per passare qualche sera in un’atmosfera familiare in  compagnia di Lena tanto dolce e riposante.  Un giorno arrivò prima del tempo e trovò un uomo e un bambino di circa sei anni: non fece domande, ma si accorse che lei non aveva più l’espressione serena di sempre  e, quando lo vide entrare abbassò la testa a disagio, come se avesse qualcosa da nascondere.

“Ti presento Nadir …e mio figlio Omar”, disse lei arrossendo leggermente.

Negli occhi di Giulio, Lena lesse lo stupore e quasi l’incredulità:
“Sì”,  proseguì calma, “sono separata da quasi un anno: ognuno di noi è andato per la propria strada, ma mio figlio sta con il padre. In India, le leggi non sono molto favorevoli alle donne anche se lavoriamo alla pari degli uomini, e forse anche di più” confessò con una certa amarezza.

 Giulio non replicò, c’era rimasto male, ma del resto non aveva nessun diritto di frugare nella sua vita.  Si era accorto anche che lei stava pian piano scivolando verso un sentimento più profondo nei suoi confronti…

Quella fu l’ultima visita che fece in casa dell’amico indiano, pensò che forse la sua presenza disturbava l’equilibrio di Lena, lei aveva un figlio da un uomo del suo paese…e lui  non era sicuro di se stesso e di quello che provava per lei....doveva dare un taglio netto, far passare del tempo per scrutarsi dentro in attesa di una risposta. 
Gli dispiaceva molto troncare con Lena, ma era sicuro che lei avrebbe capito...

                                                                                                                     (continua)


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