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domenica 4 ottobre 2015

L'ORCHIDEA NERA - terza puntata




Vito aspettava la risposta di Gargiulo con il cuore in gola.

“Un uomo….la donna che ha telefonato era molto agitata, dobbiamo intervenire ?”, rispose l’appuntato.
 Un profondo respiro di sollievo sollevò il petto del capitano: la vittima non era Zaira!

 “Andiamo”, disse concitato , “ chissà cosa è successo in casa del dottore”.

A sirene spiegate la Pantera dei Carabinieri attraversò il paese .

 Si fermarono davanti alla villetta , si avviarono al cancello e non trovarono resistenza: era aperto. Anche la porta di casa era spalancata.  Entrarono nel salone :

 Marisa, abbandonata sul divano pallida e con  gli occhi lucidi era lo specchio della  disperazione:

 “Venga capitano, l’ha ucciso…”, mormorò indicando il cadavere del dottore ai piedi della scala a chiocciola.

“Chi è stato?”, domandò Vito osservando il corpo dell’uomo senza vita.

 Marisa si scosse e lo fissò:

 “Quella serva negra…probabilmente mio marito l’aveva sorpresa a rubare…guardi, la cassaforte è aperta… lei l’ha spinto dalle scale. Io ero appena rientrata e ho visto tutto, poi è scappata….”, un singhiozzo interruppe il racconto di Marisa.

 Vito la guardò fisso in viso, stava dicendo la verità?  si rifiutava di credere: Zaira non poteva aver fatto ciò che diceva quella donna, c’era qualcosa di poco chiaro nella storia.

“Suo marito è precipitato dalle scale che salgono in mansarda dove era Zaira, secondo lei cosa ci era andato a fare?”, chiese Vito .

La donna ebbe un attimo di perplessità, ci mise qualche secondo per rispondere:

“Sicuramente sarà andato per chiederle come mai la cassaforte era aperta…io ero sulla porta e ho visto che lei l’ha buttato giù, lui è caduto ed ha battuto la testa”, disse Marisa abbassando lo sguardo.

Il capitano ebbe l’impressione che la donna mentisse, era troppo intenta a cercare le parole per rispondere .
“Va bene, signora…quando avremo trovato Zaira potremo sentire la sua versione dei fatti”, affermò sempre più convinto che la moglie del dottore cercasse di aggiustare le cose a modo suo.  

Dopo che il medico legale costatò la morte del dottore ; il capitano ordinò una perquisizione in camera della sospettata e…quando un agente tornò con in mano il collier, sentì un colpo allo stomaco.

“Dove l’hai trovato?”, domandò.

“Sotto il materasso, capitano”, rispose pronto l’altro. Vito rimase di sasso, ma non perse il controllo né credette, anche per un solo istante, che Zaira l’avesse rubato…

Vito uscì dalla villa disperato, doveva iniziare le ricerche di Zaira. Il suo pensiero andava a quel pomeriggio d’amore, riviveva i momenti passati con lei e un’amarezza infinita lo prese: perché il destino aveva voluto infrangere un amore appena iniziato? Chissà dov’era andata…era sola e non conosceva nessuno, l’immaginava vagare nella notte. Era sicuro della sua innocenza, ma,….perché era fuggita? Doveva esserci sotto qualcosa che in quel momento non riusciva ad afferrare…

Con una pattuglia trascorse la notte a cercarla, andò nei locali ancora aperti, percorse tutte le vie, le stradine, gli angoli, i giardini …passavano le ore e la speranza di rintracciarla si allontanava sempre più. Arrivò il mattino, le strade  si stavano animando…Vito dovette cedere: Zaira era scomparsa.

 Non ce la faceva più…era stanchissimo e decise perciò di tornare a casa. Infilò la chiave nella toppa del portone d’ingresso e salì le scale lentamente: oltre alla fatica fisica aveva il morale a pezzi. La luce fioca che filtrava dalle finestre rendeva difficile la visibilità, salendo l’ultima rampa di gradini notò una forma scura davanti alla porta del suo appartamento. Arrivato sul pianerottolo la sorpresa lo paralizzò: Zaira, accovacciata sullo zerbino lo stava guardando, nei grandi occhi nocciola si leggeva tutta la sua disperazione. Lui si chinò per aiutarla ad alzarsi e la strinse a sé:
“Amore mio…come sono felice…non devi più aver paura, adesso ci sono io…vieni, sei intirizzita”.

La ragazza si lasciò portare dentro senza dire una sola parola. Tremava, aveva le palpebre gonfie per le tante lacrime versate…Vito la fece sedere sul divano e la coprì con un plaid:

“Vado a prepararti qualcosa di caldo”, disse. Poco dopo tornò con una tazza di tè bollente:
“Bevi…ti farà bene”. Zaira ingollò la bevanda calda, il suo viso riprese colore:
“Grazie”, sussurrò posando il recipiente sul tavolo, “ora sto meglio”.

“Ho girato tutta la notte a cercarti…sono contento che tu sia venuta da me?”.

La giovane donna alzò su di lui lo sguardo spaventato:

“Sono arrivata qui d’istinto…ho suonato e non eri in casa…è passato un tale che ha aperto il portone e mi sono seduta per terra ad aspettarti… io non l’ho ucciso, è precipitato dalle scale…aiutami…”, implorò. Le parole uscivano a fatica si aggrappò a lui stringendolo con forza. Vito sentiva il suo corpo fremere.

“Ora calmati…mi racconterai dopo, troveremo insieme una soluzione”.

“No…ti voglio raccontare tutto, subito”, esclamò lei con uno scatto improvviso.

Raccontò come erano andate le cose, il tentativo di violenza, la sua ribellione e l’incidente del dottore nel tentativo di raggiungerla. Vito stava ad ascoltare, nel suo cuore si stava sciogliendo il nodo che si era formato fin dal momento in cui era stato chiamato nella villa, era sicuro dell’innocenza di Zaira e adesso ne aveva la conferma.

“Che mascalzone….sembrava una brava persona”, sibilò con rabbia, “non capisco una cosa però”.

“Cosa?”, chiese lei, dal viso teso di Vito intuì che quello che stava per dirle le avrebbe fatto male.

“Sua moglie ti ha accusata…di aver rubato un collier di grande valore…, suo marito ti ha sorpresa in flagrante e tu l’hai spinto…lei era presente e ha visto tutto…così ha detto”, affermò il capitano a disagio, “purtroppo il gioiello è stato trovato sotto il tuo materasso”, concluse amareggiato.

“Non è vero!…non so niente di tutto questo….non ho rubato, non ne sono capace”, gridò lei smarrita, “credimi…la verità è la mia”.

Vito l’abbracciò: “Ti credo, calmati….quella donna ti odia”.

“Lo so, è sempre stata gelosa….si era accorta che suo marito non mi toglieva gli occhi di dosso….anch’io avevo paura, ma speravo che tutto finisse lì, invece…”.

“Perché non mi hai detto nulla?”; chiese indispettito, “ti avrei fatto uscire da quella casa”.

“Hai ragione, perdonami, volevo cavarmela da sola…non credevo che quell’uomo arrivasse a tanto!”, Vito asciugò le lacrime che scendevano sulle guance di Zaira.

“Vedrai che tutto andrà bene…domani andremo dal giudice e racconterai la tua versione”, disse dolcemente.

La ragazza ebbe uno scatto improvviso:
“No…tu mi devi nascondere, io non verrò mai con te…non mi   crederanno. Guardami! la mia pelle è scura e sono  arrivata come una clandestina…saranno tutti contro di me”, i suoi occhi brillavano di rabbia.

Vito cercò di tranquillizzarla e convincerla a costituirsi, ma la giovane donna continuava a scuotere la testa: “No…non voglio…”.

 Stremato, Vito la prese per le braccia:

 “Se mi ami devi fidarti e fare ciò che ti dico”, affermò guardandola fissa negli occhi, “altrimenti vuol dire che non ti importa nulla di me”.

Zaira si calmò e, dopo qualche secondo di silenzio disse con un filo di voce:

 “Verrò con te”, con fatica pronunciò le parole che non avrebbe mai voluto dire.

“Così va bene, riuscirò a far venire fuori la verità…”, mormorò Vito, “vieni, andiamo a dormire….siamo sfiniti”.

 Si sdraiarono uno accanto all’altra, si abbracciarono forte, poi il sonno ebbe il sopravvento e si addormentarono..

Dopo qualche ora Zaira si svegliò, era mattina presto, i rumori della strada entravano nella camera, ma Vito era ancora nelle braccia di Morfeo. Lei lo guardò con tenerezza: stava dormendo così bene! Se quello, non fosse stato il giorno in cui doveva portarla dal giudice, sarebbe stato un momento dolcissimo.
Zaira lo guardava e pensava che da lì a poco avrebbe potuto essere in prigione, perdere la libertà. Quella libertà per la quale aveva affrontato il viaggio, abbandonato i suoi cari e  sopportato tante umiliazioni. Le passarono davanti agli occhi gli stenti, la guerra, la difficoltà di vivere nel suo paese martoriato dalla rivoluzione. “No, non ci voglio tornare…non posso farmi arrestare….mi metteranno in prigione, nessuno mi crederà…”, pensò.   Era sempre più convinta che la signora Giannini, moglie stimata del dottore, avrebbe avuto la meglio…le sue parole contro quelle di una serva di colore? Non c’erano dubbi: avrebbe vinto lei!. Si vedeva già trascinata in manette e sbattuta in una cella.

Ossessionata da questi pensieri si alzò, cercando di non fare rumore si rivestì, si avvicinò in punta di piedi al suo amore addormentato e gli inviò un bacio sulla punta delle dita: “Addio Vito, perdonami…non posso…”. Chiuse la porta con cautela e si precipitò lungo le scale. Arrivata in strada cominciò a camminare svelta, ma non sapeva dove andare i suoi piedi percorrevano i marciapiedi e le lacrime le inondavano il viso. Si trovò davanti alla stazione ferroviaria ed entrò, un treno era in partenza e salì senza nemmeno pensarci un attimo, cercò un posto in uno scompartimento e si sedette: non sapeva neppure dove l’avrebbe portata quel treno…

 Vito dormì parecchio, si svegliò e allungò un braccio per accarezzare il corpo della sua donna, ma si accorse che Zaira non era nel letto. Si alzò stirando le membra indolenzite, andò in cucina convinto di trovala lì. La chiamò ma non ebbe risposta, cominciò ad avere paura: “Zaira!”, la voce risuonò nella casa deserta …Si precipitò in strada nella speranza di trovarla….rimase sulla porta impietrito con lo sguardo perso nel vuoto e dovette cedere alla realtà: lei era andata via….era stata presa dal terrore di non essere creduta…Si passò una mano sugli occhi: perché non aveva avuto fiducia in lui? Con la sua fuga si condannava, non avrebbe più potuto fare nulla per dimostrare la sua innocenza. Ma ciò che lo faceva star male era il fatto che forse l’aveva perduta per sempre. Il rimorso di non averla ascoltata lo tormentava: se l’avesse aiutata a nascondersi o a fuggire come gli aveva chiesto non l’avrebbe persa  ma…c’era di mezzo il dovere e il giuramento che aveva fatto tanto tempo prima, quando era entrato nell’Arma. La divisa che portava non gli permetteva  debolezze: aveva l’obbligo di far rispettare la legge anche a costo calpestare il suo amore.  Si sentiva come un cane bastonato, stava male…  Chissà dov’era Zaira in quel momento? L’immaginava in strada, sola, senza soldi, esposta a tutti i pericoli  ai quali una giovane donna poteva andare incontro. Uscì per andare in caserma, a bordo della sua utilitaria percorse le strade col pensiero di organizzare velocemente le ricerche, aveva ancora qualche speranza di trovarla, come era successo la sera prima. Arrivò teso come una corda di violino, i suoi collaboratori si guardarono in faccia: “Cosa stava succedendo al capitano? Non si era mai comportato così quando dovevano trovare qualcuno scomparso”. Se avessero saputo che la ricercata era la  sua donna  non si sarebbero tanto meravigliati…  Forse era meglio scattare e ubbidire senza fare domande. Poco dopo le vetture nere lasciavano il cortile e si immettevano sulla strada sgommando, tutte alla ricerca della bella somala sparita nel nulla.


 
                                                                                                                                           (Continua)

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