Powered By Blogger

domenica 18 ottobre 2015

L'ORCHIDEA NERA quinta puntata





 Da quel momento  Zaira  visse come in un sogno. Dalle mani del parrucchiere, visagista,  manicure, pedicure  la sua naturale bellezza sbocciò, sensuale e misteriosa, come un fiore esotico. Fece centinaia di foto solo per sceglierne qualcuna, tutto lo studio lavorò per giorni e giorni e infine le dissero che avevano concluso: era nata l’ “Orchidea Nera”,  mancava solo l’approvazione del cliente.

“Stasera facciamo festa e …domani andiamo a Parigi”, annunciò Valenti, “naturalmente Zaira, dovrai venire anche tu”.

La ragazza rimase un attimo perplessa:

“Non è possibile, non ho documenti”, rispose , in realtà era tornata la paura e  non aveva nessuna voglia rischiare.

“Non sottovalutarmi…guarda qui”, disse Alex porgendole  una busta .

Zaira l’aprì e dentro c’erano passaporto,  carta d’ identità: ma sotto la sua foto c’era un altro nome: “Cosa vuol dire?”, balbettò.

“D’ora in poi sei Dea Morris, nessuno riuscirà più a trovarti e come nome d’arte non mi sembra niente male…”, il giovanotto le strizzò l’occhio: “stai tranquilla, andrà tutto bene, hai fatto un ottimo lavoro e credo che questo sia l’inizio, presto si accorgeranno di te….prevedo una brillante carriera….Ma  adesso usciamo a festeggiare…dai, vieni con noi”, la trascinò fuori senza darle il tempo di replicare.

Si fermarono in un pub e ordinarono una bottiglia di champagne, erano euforici, le bollicine fecero il resto: dopo la prima bottiglia ne chiesero altre e alla fine della serata  erano tutti brilli.  Uscirono in strada quando le prime luci dell’alba stavano schiarendo la città addormentata.

“Speriamo che non ci fermi la polizia…e non ci faccia la prova del palloncino”, disse Valenti, malfermo sulle gambe, entrando nell’auto al posto di guida.

 Partirono sgommando, ma più tardi il presentimento diventò realtà: la paletta di un agente si materializzò davanti al guidatore, dopo un semaforo.

I poliziotti chiesero i documenti e si soffermarono,  proprio su quelli di Zaira. Sembrava che avessero particolare interesse a esaminare quelle carte: ogni tanto fissavano, con occhi dubbiosi, la ragazza, che si rannicchiava spaventata nel sedile.  Trascrissero le generalità di tutti e infine, dopo aver dato una bella multa a Valenti per guida in stato di ebbrezza, li lasciarono andare. Dal petto della giovane somala uscì un grande sospiro di sollievo: “Ho avuto paura”, mormorò, “credevo mi arrestassero”.

“Hai visto? Questa è stata la prova che  la tua nuova identità funziona…d’ora in poi sei libera!”, esclamò Alex.

Ancora sotto l’effetto dell’alcol i tre ripartirono allegramente: che importanza aveva la contravvenzione? Ciò che contava in quel momento era aver terminato il lavoro in attesa di incassare un bell’assegno con tanti zeri…

 

Vito non aveva smesso di cercare Zaira, aveva diramato l’identikit a tutte le questure d’Italia, lo faceva con testardaggine e non voleva arrendersi, oltre al dovere di carabiniere c’era soprattutto la  voglia di rivederla o almeno di sapere dov’era andata a finire e se si era messa ancora nei guai.

 Non si dava pace, e non dava tregua nemmeno alla moglie del medico che  implacabilmente accusava Zaira di aver assassinato il marito.

Quella donna era furba e malvagia, rispondeva agli interrogatori con una calma serafica , ripeteva sempre la stessa versione dei fatti, non c’era verso di farla cadere in contraddizione.

Ma, se lei era determinata anche Vito non mollava, continuava le indagini convinto che prima o poi la verità sarebbe emersa. Aveva fatto esaminare dalla polizia scientifica il gioiello trovato sotto il materasso del letto di Zaira per rilevare le impronte e stava ancora aspettando i risultati, sicuro che non ci sarebbero state quelle di Zaira.

Il fatto aveva suscitato molto scalpore e il capitano Lombardi aveva attirato su di sé l’attenzione dei suoi superiori che non si spiegavano il suo accanimento di voler continuare le indagini quando era tanto chiaro che la colpevole era la colf di colore fuggita dopo il delitto… La morte del dottor Giannini era stata un avvenimento clamoroso, tutti ne avevano parlato, stampa, televisione, si erano buttati a capofitto sulla notizia e l’opinione pubblica era divisa in due: chi dubitava della colpa della giovane e chi si accaniva contro i clandestini . 

Quella mattina Vito era più stanco del solito: aveva trascorso la notte a pensare e si era addormentato solo verso mattina. L’appuntato Gargiulo lo sbirciò e capì che anche quella sarebbe stata una giornata nera.

“Novità?”, chiese il capitano non appena lo vide.

“C’è qualche segnalazione…”, cominciò il carabiniere.

“Cosa aspetti a dirmelo?”, sbottò innervosito Vito.

Il povero Gargiulo si limitò a mettere sulla scrivania del comandante i fogli che teneva in mano.:

“Ecco capitano, riguardano la ragazza somala che stiamo cercando”, disse timidamente.

Lombardi fece un salto sulla sedia:

“Dovrei arrestarti…ma non posso!”; esclamò al colmo dell’ira., “Si può sapere cos’hai in testa?…sono giorni che stiamo impazzendo…subito dovevi avvisarmi , sparisci”.
Il poveretto uscì chiedendosi quale delitto aveva commesso…

La segnalazione proveniva da Milano, avevano fermato una vettura con a bordo due uomini e una donna che corrispondeva alla descrizione, ma che aveva un altro nome: Dea Morris, cittadina americana.

Vito rilesse tante volte il fax e gli venne in mente che, il giorno stesso in cui Zaira era scomparsa gli avevano segnalato la presenza di una ragazza di colore  trovata senza biglietto, sul treno per Milano.

Non aveva dato importanza alla notizia, anche perché gli era stato detto che la giovane in questione era accompagnata da un uomo che aveva pagato per lei dicendo che non aveva fatto in tempo ad acquistare il biglietto alla stazione di partenza. Collegò le due cose e convenne che anche se c’era una labile traccia, doveva seguirla fino in fondo: decise di partire per il nord per non lasciare nulla d’ intentato, non se lo sarebbe mai perdonato.

 

Anche Zaira quella sera, era nervosa, non riusciva a prender sonno, pensava a Vito all’assurda vicenda che stava vivendo: strappare così dalla sua vita l’amore che la legava a lui era stato troppo doloroso.

 Le giornate nello studio erano state caotiche, quasi non le avevano dato il tempo di riflettere, ma ora che era tutto finito era presa dalla voglia di rivederlo.  A distanza di tempo quello che era successo le sembrava un brutto sogno dal quale prima o poi si sarebbe risvegliata , ma si chiedeva se scappare era stata la cosa giusta…forse aveva ragione il suo carabiniere, doveva avere il coraggio di affrontare il giudice e respingere l’accusa a testa alta, senza  le paure per colore della sua pelle. In fin dei conti era innocente e Vito l’avrebbe difesa, doveva aver fiducia in lui.

Si avvicinò al telefono: e se l’avesse chiamato? L’apparecchio era lì, invitante, bastava cercare il numero, comporlo e avrebbe sentito la voce di Vito. La mano si protese tremante e…il telefono squillò.

 “Sono Alex…allora sei pronta? Ti vengo a prendere domattina presto, si parte da Linate con l’aereo delle nove”.

Zaira in quel momento aveva la testa e il cuore da un’altra parte. Parigi?…cosa le importava di andare a Parigi quando voleva solo rivedere Vito…rimase in silenzio davanti al ricevitore dal quale, subito dopo, uscì la voce agitata di Alex:

“Non vorrai tirarti indietro. Se lo fai ci rovini…abbiamo mandato le tue foto e i francesi vogliono conoscerti. Anzi, ti stanno aspettando e se non vieni ci metti in gravi difficoltà”.

Lei si sentì come in gabbia: 

 “Dammi qualche minuto per pensare, te ne prego”, supplicò.

L’altro, di malumore, l’accontentò:

“Fra dieci minuti ti richiamo….ma vedi di decidere per il sì, sai che possiamo rovinarti…”, minacciò.

Zaira sorrise, quel ricatto non la riguardava più, aveva deciso di smettere di fuggire e voleva tornare a credere in se stessa, come aveva sempre fatto.
Frugò nella borsa e cercò il numero della caserma di Vito e lo compose, aveva l’animo in pace ma nello stesso tempo si sentiva emozionata e quando chiese del capitano Lombardi le tremava la voce.

Qualcuno le rispose che il capitano era appena partito e non poteva dirle quando sarebbe tornato.

Delusa, sentì che il coraggio, che fino a quel momento l’aveva sostenuta, stava andandosene…era di nuovo sola,  in balia della colpa che non aveva commesso e nessun altro all’infuori di Vito poteva aiutarla. Si lasciò cadere sul letto fissando il vuoto. Di lì a poco si rifece vivo Alex:
“Va bene”, rispose lei rassegnata, “verrò con voi”.

 Vito stava percorrendo l’autostrada del sole in direzione Milano; alla guida, Gargiulo cercava di mantenersi calmo, mentre  il suo comandante era  visibilmente nervoso:
“Più in fretta”, sollecitava ogni dieci minuti.

“Non posso capitano…non vorrà che proprio noi superiamo i limiti di velocità”, si limitava a rispondere.

“Va bene…va bene…”, borbottava Vito, “ non arriviamo mai!”.

Viaggiarono tutta la notte, si fermarono solo qualche volta per sgranchirsi le gambe, e arrivarono all’alba a Milano.

Fecero colazione in un bar appena aperto: Gargiulo stava ancora bevendo il cappuccino quando Vito gli fece fretta:

“Non hai ancora finito? Dobbiamo andare”.

“Ma…il cornetto…non l’ho ancora mangiato”, borbottò il poveretto posando malinconicamente la brioche sul piattino.

Vito si recò immediatamente alla caserma Montebello di via Moscova, dalla quale era partito qualche anno prima per essere destinato al sud, e nella quale aveva ancora tanti amici. Lo accolsero tutti con entusiasmo:

“Come mai a Milano?…cosa ti sta succedendo?”, gli chiesero facendo crocchio attorno a lui. Vito spiegò il perché aveva intrapreso quel viaggio, ovviamente senza specificare che era innamorato della latitante (sicuramente i colleghi non avrebbero né capito né condiviso l’anomala circostanza) e chiese aiuto per ritrovare Zaira.

“Ti rendi conto che gli indizi che hai sono piuttosto labili?, A Milano è come trovare un ago nel pagliaio”, gli risposero.

“Ragazzi… chiedo la vostra collaborazione perché so che questa donna è innocente ed è fuggita solo perché non ha avuto fiducia nella nostra giustizia…si è sentita considerata come una delinquente solo per il fatto di essere un’extracomunitaria”, sbottò Vito, “le informazioni sono poche, è vero, ma la pista, seppur tenue, mi ha portato qui…farò di tutto per trovarla”, affermò cocciuto.

Il maresciallo  Santoro si alzò: “Va bene capitano, ci mettiamo a disposizione”, disse battendo i tacchi.

Attraverso i vari canali d’informazione  venne rintracciato l’agente che aveva fermato l’auto con la persona sospetta a bordo, riconosciuta sommariamente dall’identikit che Vito aveva fatto pervenire alle varie forze dell’ordine.

Il capitano lo sottopose a un vero e proprio interrogatorio, il giovane era rosso come un peperone. Dopo una raffica di domande alle quali il poliziotto tentò di rispondere nel migliore dei modi, Vito sbottò::
“Hai notato almeno se la ragazza aveva un neo sopra il labbro sinistro?”, chiese pensando alla bella bocca di Zaira che aveva baciato mille volte. Quel neo non lo poteva dimenticare.

   Il ragazzo ci pensò e poi rispose:
“Non ne sono molto sicuro, ma credo di sì…”.

“Allora perché non l’hai fermata?”, s’innervosì Vito.

“Capitano…i documenti della donna erano regolari, risultava cittadina americana e , nel dubbio, l’ho lasciata andare”, rispose il ragazzo confuso.

 “Complimenti…Adesso non possiamo che andare a cercare gli altri due. Voglio andare a fondo di questa faccenda al più presto”.

                                                                                                                     (continua)

Nessun commento:

Posta un commento