Da quel momento Zaira
visse come in un sogno. Dalle mani del parrucchiere, visagista, manicure, pedicure la sua naturale bellezza sbocciò, sensuale e
misteriosa, come un fiore esotico. Fece centinaia di foto solo per sceglierne
qualcuna, tutto lo studio lavorò per giorni e giorni e infine le dissero che
avevano concluso: era nata l’ “Orchidea Nera”,
mancava solo l’approvazione del cliente.
“Stasera facciamo festa e …domani andiamo a Parigi”, annunciò
Valenti, “naturalmente Zaira, dovrai venire anche tu”.
La ragazza rimase un attimo perplessa:
“Non è possibile, non ho documenti”, rispose , in realtà era
tornata la paura e non aveva nessuna
voglia rischiare.
“Non sottovalutarmi…guarda qui”, disse Alex porgendole una busta .
Zaira l’aprì e dentro c’erano passaporto, carta d’ identità: ma sotto la sua foto c’era
un altro nome: “Cosa vuol dire?”, balbettò.
“D’ora in poi sei Dea Morris, nessuno riuscirà più a trovarti
e come nome d’arte non mi sembra niente male…”, il giovanotto le strizzò
l’occhio: “stai tranquilla, andrà tutto bene, hai fatto un ottimo lavoro e
credo che questo sia l’inizio, presto si accorgeranno di te….prevedo una
brillante carriera….Ma adesso usciamo a
festeggiare…dai, vieni con noi”, la trascinò fuori senza darle il tempo di
replicare.
Si fermarono in un pub e ordinarono una bottiglia di
champagne, erano euforici, le bollicine fecero il resto: dopo la prima bottiglia
ne chiesero altre e alla fine della serata
erano tutti brilli. Uscirono in
strada quando le prime luci dell’alba stavano schiarendo la città addormentata.
“Speriamo che non ci fermi la polizia…e non ci faccia la
prova del palloncino”, disse Valenti, malfermo sulle gambe, entrando nell’auto
al posto di guida.
Partirono sgommando,
ma più tardi il presentimento diventò realtà: la paletta di un agente si
materializzò davanti al guidatore, dopo un semaforo.
I poliziotti chiesero i documenti e si soffermarono, proprio su quelli di Zaira. Sembrava che avessero
particolare interesse a esaminare quelle carte: ogni tanto fissavano, con occhi
dubbiosi, la ragazza, che si rannicchiava spaventata nel sedile. Trascrissero le generalità di tutti e infine,
dopo aver dato una bella multa a Valenti per guida in stato di ebbrezza, li
lasciarono andare. Dal petto della giovane somala uscì un grande sospiro di
sollievo: “Ho avuto paura”, mormorò, “credevo mi arrestassero”.
“Hai visto? Questa è stata la prova che la tua nuova identità funziona…d’ora in poi
sei libera!”, esclamò Alex.
Ancora sotto l’effetto dell’alcol i tre ripartirono
allegramente: che importanza aveva la contravvenzione? Ciò che contava in quel
momento era aver terminato il lavoro in attesa di incassare un bell’assegno con
tanti zeri…
Vito non aveva smesso di cercare Zaira, aveva diramato
l’identikit a tutte le questure d’Italia, lo faceva con testardaggine e non
voleva arrendersi, oltre al dovere di carabiniere c’era soprattutto la voglia di rivederla o almeno di sapere
dov’era andata a finire e se si era messa ancora nei guai.
Non si dava pace, e
non dava tregua nemmeno alla moglie del medico che implacabilmente accusava Zaira di aver
assassinato il marito.
Quella donna era furba e malvagia, rispondeva agli
interrogatori con una calma serafica , ripeteva sempre la stessa versione dei
fatti, non c’era verso di farla cadere in contraddizione.
Ma, se lei era determinata anche Vito non mollava, continuava
le indagini convinto che prima o poi la verità sarebbe emersa. Aveva fatto
esaminare dalla polizia scientifica il gioiello trovato sotto il materasso del
letto di Zaira per rilevare le impronte e stava ancora aspettando i risultati,
sicuro che non ci sarebbero state quelle di Zaira.
Il fatto aveva suscitato molto scalpore e il capitano
Lombardi aveva attirato su di sé l’attenzione dei suoi superiori che non si
spiegavano il suo accanimento di voler continuare le indagini quando era tanto
chiaro che la colpevole era la colf di colore fuggita dopo il delitto… La morte
del dottor Giannini era stata un avvenimento clamoroso, tutti ne avevano
parlato, stampa, televisione, si erano buttati a capofitto sulla notizia e
l’opinione pubblica era divisa in due: chi dubitava della colpa della giovane e
chi si accaniva contro i clandestini .
Quella mattina Vito era più stanco del solito: aveva
trascorso la notte a pensare e si era addormentato solo verso mattina.
L’appuntato Gargiulo lo sbirciò e capì che anche quella sarebbe stata una
giornata nera.
“Novità?”, chiese il capitano non appena lo vide.
“C’è qualche segnalazione…”, cominciò il carabiniere.
“Cosa aspetti a dirmelo?”, sbottò innervosito Vito.
Il povero Gargiulo si limitò a mettere sulla scrivania del
comandante i fogli che teneva in mano.:
“Ecco capitano, riguardano la ragazza somala che stiamo
cercando”, disse timidamente.
Lombardi fece un salto sulla sedia:
“Dovrei arrestarti…ma non posso!”; esclamò al colmo
dell’ira., “Si può sapere cos’hai in testa?…sono giorni che stiamo impazzendo…subito
dovevi avvisarmi , sparisci”.
Il poveretto uscì chiedendosi quale delitto aveva
commesso…
La segnalazione proveniva da Milano, avevano fermato una
vettura con a bordo due uomini e una donna che corrispondeva alla descrizione,
ma che aveva un altro nome: Dea Morris, cittadina americana.
Vito rilesse tante volte il fax e gli venne in mente che, il
giorno stesso in cui Zaira era scomparsa gli avevano segnalato la presenza di
una ragazza di colore trovata senza
biglietto, sul treno per Milano.
Non aveva dato importanza alla notizia, anche perché gli era
stato detto che la giovane in questione era accompagnata da un uomo che aveva
pagato per lei dicendo che non aveva fatto in tempo ad acquistare il biglietto
alla stazione di partenza. Collegò le due cose e convenne che anche se c’era
una labile traccia, doveva seguirla fino in fondo: decise di partire per il
nord per non lasciare nulla d’ intentato, non se lo sarebbe mai perdonato.
Anche Zaira quella sera, era nervosa, non riusciva a prender
sonno, pensava a Vito all’assurda vicenda che stava vivendo: strappare così
dalla sua vita l’amore che la legava a lui era stato troppo doloroso.
Le giornate nello
studio erano state caotiche, quasi non le avevano dato il tempo di riflettere,
ma ora che era tutto finito era presa dalla voglia di rivederlo. A distanza di tempo quello che era successo
le sembrava un brutto sogno dal quale prima o poi si sarebbe risvegliata , ma
si chiedeva se scappare era stata la cosa giusta…forse aveva ragione il suo
carabiniere, doveva avere il coraggio di affrontare il giudice e respingere
l’accusa a testa alta, senza le paure
per colore della sua pelle. In fin dei conti era innocente e Vito l’avrebbe
difesa, doveva aver fiducia in lui.
Si avvicinò al telefono: e se l’avesse chiamato?
L’apparecchio era lì, invitante, bastava cercare il numero, comporlo e avrebbe
sentito la voce di Vito. La mano si protese tremante e…il telefono squillò.
“Sono Alex…allora sei
pronta? Ti vengo a prendere domattina presto, si parte da Linate con l’aereo
delle nove”.
Zaira in quel momento aveva la testa e il cuore da un’altra
parte. Parigi?…cosa le importava di andare a Parigi quando voleva solo rivedere
Vito…rimase in silenzio davanti al ricevitore dal quale, subito dopo, uscì la
voce agitata di Alex:
“Non vorrai tirarti indietro. Se lo fai ci rovini…abbiamo
mandato le tue foto e i francesi vogliono conoscerti. Anzi, ti stanno
aspettando e se non vieni ci metti in gravi difficoltà”.
Lei si sentì come in gabbia:
“Dammi qualche minuto
per pensare, te ne prego”, supplicò.
L’altro, di malumore, l’accontentò:
“Fra dieci minuti ti richiamo….ma vedi di decidere per il sì,
sai che possiamo rovinarti…”, minacciò.
Zaira sorrise, quel ricatto non la riguardava più, aveva
deciso di smettere di fuggire e voleva tornare a credere in se stessa, come aveva
sempre fatto.
Frugò nella borsa e cercò il numero della caserma di Vito e lo compose,
aveva l’animo in pace ma nello stesso tempo si sentiva emozionata e quando
chiese del capitano Lombardi le tremava la voce.
Qualcuno le rispose che il capitano era appena partito e non
poteva dirle quando sarebbe tornato.
Delusa, sentì che il coraggio, che fino a quel momento
l’aveva sostenuta, stava andandosene…era di nuovo sola, in balia della colpa che non aveva commesso e
nessun altro all’infuori di Vito poteva aiutarla. Si lasciò cadere sul letto
fissando il vuoto. Di lì a poco si rifece vivo Alex:
“Va bene”, rispose lei rassegnata, “verrò con voi”.
“Va bene”, rispose lei rassegnata, “verrò con voi”.
Vito
stava percorrendo l’autostrada del sole in direzione Milano; alla guida, Gargiulo
cercava di mantenersi calmo, mentre il
suo comandante era visibilmente nervoso:
“Più in fretta”, sollecitava ogni dieci minuti.
“Più in fretta”, sollecitava ogni dieci minuti.
“Non posso capitano…non vorrà che proprio noi superiamo i
limiti di velocità”, si limitava a rispondere.
“Va bene…va bene…”, borbottava Vito, “ non arriviamo mai!”.
Viaggiarono tutta la notte, si fermarono solo qualche volta
per sgranchirsi le gambe, e arrivarono all’alba a Milano.
Fecero colazione in un bar appena aperto: Gargiulo stava
ancora bevendo il cappuccino quando Vito gli fece fretta:
“Non hai ancora finito? Dobbiamo andare”.
“Ma…il cornetto…non l’ho ancora mangiato”, borbottò il
poveretto posando malinconicamente la brioche sul piattino.
Vito si recò immediatamente alla caserma Montebello di via
Moscova, dalla quale era partito qualche anno prima per essere destinato al
sud, e nella quale aveva ancora tanti amici. Lo accolsero tutti con entusiasmo:
“Come mai a Milano?…cosa ti sta succedendo?”, gli chiesero
facendo crocchio attorno a lui. Vito spiegò il perché aveva intrapreso quel
viaggio, ovviamente senza specificare che era innamorato della latitante
(sicuramente i colleghi non avrebbero né capito né condiviso l’anomala
circostanza) e chiese aiuto per ritrovare Zaira.
“Ti rendi conto che gli indizi che hai sono piuttosto
labili?, A Milano è come trovare un ago nel pagliaio”, gli risposero.
“Ragazzi… chiedo la vostra collaborazione perché so che
questa donna è innocente ed è fuggita solo perché non ha avuto fiducia nella
nostra giustizia…si è sentita considerata come una delinquente solo per il
fatto di essere un’extracomunitaria”, sbottò Vito, “le informazioni sono poche,
è vero, ma la pista, seppur tenue, mi ha portato qui…farò di tutto per
trovarla”, affermò cocciuto.
Il maresciallo Santoro
si alzò: “Va bene capitano, ci mettiamo a disposizione”, disse battendo i
tacchi.
Attraverso i vari canali d’informazione venne rintracciato l’agente che aveva fermato
l’auto con la persona sospetta a bordo, riconosciuta sommariamente
dall’identikit che Vito aveva fatto pervenire alle varie forze dell’ordine.
Il capitano lo sottopose a un vero e proprio interrogatorio,
il giovane era rosso come un peperone. Dopo una raffica di domande alle quali
il poliziotto tentò di rispondere nel migliore dei modi, Vito sbottò::
“Hai notato almeno se la ragazza aveva un neo sopra il labbro sinistro?”, chiese pensando alla bella bocca di Zaira che aveva baciato mille volte. Quel neo non lo poteva dimenticare.
“Hai notato almeno se la ragazza aveva un neo sopra il labbro sinistro?”, chiese pensando alla bella bocca di Zaira che aveva baciato mille volte. Quel neo non lo poteva dimenticare.
Il ragazzo ci pensò e
poi rispose:
“Non ne sono molto sicuro, ma credo di sì…”.
“Non ne sono molto sicuro, ma credo di sì…”.
“Allora perché non l’hai fermata?”, s’innervosì Vito.
“Capitano…i documenti della donna erano regolari, risultava
cittadina americana e , nel dubbio, l’ho lasciata andare”, rispose il ragazzo
confuso.
“Complimenti…Adesso
non possiamo che andare a cercare gli altri due. Voglio andare a fondo di
questa faccenda al più presto”.
(continua)
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