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domenica 5 febbraio 2017

L'ULTIMA ORA



 
  
Alle nove di mattina Marcello stava alzando la saracinesca del suo negozio di orefice. Nonostante una fitta alla schiena riuscì a sollevare la pesante serranda; quel giorno non era un giorno come gli altri: lo aspettavano i festeggiamenti per le nozze d’argento. Venticinque anni trascorsi con la sua Laura che amava ancora come il primo giorno di nozze. Aveva aperto l’esercizio solo per prendere l’anello con diamanti che aveva fatto fare esclusivamente per sua moglie: dopo la cerimonia in chiesa, con figli nipoti e parenti se ne sarebbero andati in un ristorantino fuori porta per il rinfresco. Era contento, lo commuoveva il pensiero di tutta la famiglia stretta attorno ai genitori in festa.
 Andò alla cassaforte per prendere  il gioiello, estrasse dal taschino l’orologio a cipolla di suo padre, dal quale non si separava mai, per vedere l’ora. Era un classico orologio con la cassa d’acciaio finemente intarsiata e le ore in numeri romani. Muovendo il perno per caricarlo scattava un congegno e si apriva, all’interno della cassa era inciso un nome: Pietro, quello di papà..
Marcello era molto affezionato a quel ricordo: quell’orologio si era fermato proprio nell’istante in cui suo padre moriva. Aveva amato molto suo padre e non poteva dimenticare quella notte in cui, straziato dal dolore, aveva preso dal comodino il vecchio cronometro e aveva notato che era fermo: aveva cessato di battere nel medesimo istante in cui il cuore di Pietro si fermava, l’aveva messo in tasca e non se ne era più separato. Considerava quell’oggetto più prezioso di tutti gli ori e i diamanti che aveva nell’oreficeria. Posò l’orologio sul banco e aprì la cassaforte. Mentre cercava l’anello il  campanello della porta suonò, dietro la porta a vetri c’era un uomo di mezz’età, ben vestito, che aspettava di entrare. Marcello gli fece un cenno per dirgli che il negozio era chiuso. L’altro lo invitò ad avvicinarsi. L’orefice si accostò e aprì uno spiraglio:
“Oggi non lavoro…torni domani per favore”, disse gentilmente.
“La prego…è solo questione di un momento: devo acquistare qualcosa per mia moglie…mi sono ricordato solo stamattina che oggi è il nostro anniversario di matrimonio”, supplicò l’uomo, “sa come sono fatte le donne…se mi presento senza un regalo, non me lo perdonerebbe mai”, concluse con un sorriso accattivante.
Marcello rimase interdetto: pensò alla strana coincidenza e decise che in fin dei conti poteva fare un favore a quel distinto signore in difficoltà.
“Va bene, entri…ma ho solo qualche minuto di tempo…sa anch’io festeggio, sono venticinque anni oggi che mi sono sposato”, disse aprendo la porta
 “Auguri!”, rispose l’altro.
“Ha già qualche idea ?”, chiese Marcello..
L’uomo lo guardò titubante:
“Sa…ma moglie è molto esigente in fatto di gioielli, vorrei…un anello con brillanti… oppure un collier…non so…mi faccia vedere qualcosa”, borbottò indeciso.
Marcello estrasse dalla cassaforte dei rotoli di velluto rosso e li svolse sul banco: il luccichio delle gemme sprigionò dai gioielli esposti in bell’ordine sul contenitore. L’uomo ne osservò qualcuno, prese un bracciale con smeraldi e brillanti e se lo rigirò fra le mani:
“Un' ottima scelta”, disse Marcello, “è un esemplare unico, fatto a mano…”.     
“E’ molto bello…ma pensavo a qualcosa di meno impegnativo, che si possa portare senza problemi”, disse l’altro.
L’orefice ritornò alla cassaforte voltando le spalle per qualche secondo, quando si girò l’uomo aveva una pistola in mano:
“Stai buono…è una rapina”, minacciò arraffando tutto quello che c’era sul banco.
 In quell’attimo squillò il telefono, Marcello guardò l’apparecchio e istintivamente fece un gesto… il colpo di pistola con il silenziatore lo fece stramazzare a terra, dietro il banco…Il rapinatore schiacciò il pulsante per aprire e corse fuori. Nessuno si accorse di niente, l’orefice rimase così, ferito a morte, finché il suo corpo non fu ritrovato da Laura che si chiedeva come mai il marito non tornasse ancora per aiutarla a sistemare le ultime cose, per esempio i fiori…ne erano arrivati talmente tanti!

Raoul Giuliani saltò in auto e si dileguò in un baleno, nella borsa aveva il malloppo: “E’ un bel colpo, nessuno mi ha visto e posso stare tranquillo”, pensava, “mi dispiace per quel tale, ma…non potevo fare altrimenti, magari era armato…”, si giustificò. Alzò le spalle e continuò a guidare. Era un uomo con il freddo dentro l’anima: senza cuore e con pochi sentimenti; cresciuto in un orfanotrofio, senza famiglia e ai margini della società, molto presto si era trovato a fare i conti con la giustizia. Era finito in galera per furti e scippi fin da giovane, scontate le pene aveva ricominciato : non sapeva fare altro, poi si era specializzato in rapine ; progettate e studiate con cura.
Fino ad allora gli era andata bene…anche se questa volta era finita male: gli era scappato il dito sul grilletto e aveva sparato…non avrebbe voluto ammazzarlo, in fondo era simpatico…ma le cose erano andate diversamente…peccato!.
A casa srotolò i velluti con le gioie: “Qui ci posso fare un bel gruzzolo…è tutta roba che costa…”, mormorò soddisfatto. In fondo alla borsa sentì qualcosa di duro: “E questo cos’è?”, si chiese rigirando l’orologio di papà Pietro fra le dita. “Non è male…è un po’ vecchio, ma adesso va di moda l’antiquariato, quasi me lo tengo”.
Se lo mise in tasca e sentì un brivido corrergli lungo le ossa. “Fa freddo qua dentro”, borbottò infilandosi un pullover.
Nei giorni che seguirono andò dal solito ricettatore e riuscì a mettere insieme una bella somma; quella che gli serviva per realizzare il suo sogno: andarsene via, all’estero…in Brasile, per esempio, a Rio per godersi il sole sulla spiaggia di Copacabana. In tasca aveva sempre l’orologio a cipolla: “Caro Pietro…adesso non ti serve più”, mormorò cinicamente quando scoprì il nome inciso all’interno.
Cominciò a fare i preparativi per andarsene ma, in quei giorni non si sentiva bene: aveva strani malesseri e il mal di testa lo tormentava, sentiva come un ticchettio continuo…tic  tac…tic tac.. “Sono esaurito…devo proprio cambiare aria”, si diceva. C’era anche un altro fatto strano: ogni volta che toccava il vecchio cronometro il brivido che aveva già sentito gli percorreva il corpo, come una scossa elettrica. Un giorno, innervosito lo gettò nel primo cestino dei rifiuti trovato per strada…”Mi porti rogna!”, esclamò e si allontanò più disteso.
Forse era solo un caso, ma da quel momento si sentì meglio. Con Daria, la sua donna, si era messo a fare progetti per l’avvenire: “Ce ne andiamo lontano…io e te, a Rio de Janeiro conosco qualcuno che ci potrà aiutare, un vecchio amico che ha aperto là un ristorante…anche noi potremo ricominciare una nuova vita, vedrai saremo felici”, le diceva nei momenti di tenerezza.
 Lei era innamorata di quell’uomo che le sembrava forte, deciso, e molto generoso… non le importava sapere da dove provenisse il denaro che spendeva senza problemi: anche la proposta di andare a vivere insieme dall’altra parte del mondo l’aveva accettata subito. Dovunque pur di stare con lui.
 Era ormai tutto pronto, i biglietti aerei, le valige… se ne stavano andando senza nessun rimpianto, nessun rimorso e senza voltarsi indietro: la nuova vita li aspettava..
L’aereo atterrò all’aeroporto di Rio de Janeiro, Raoul e Daria si fecero portare al Plaza Copacabana Hotel dove avevano già prenotato una camera. L’albergo lussuoso era una grande costruzione a pochi minuti dalla spiaggia, la camera arredata con i colori brasiliani, blu e giallo era straordinaria. Lui si buttò sul letto allargando le braccia: “Questa è la vita che preferisco…dai, facciamo una doccia e andiamo fuori a vedere il mare”.
Catapultati in quel paradiso passeggiavano fra la gente sul lungomare soddisfatti di essere arrivati fin lì come una coppia qualsiasi in viaggio di piacere, chi li incontrava non poteva immaginare di avere di fronte un assassino e la sua amante.
 Una donna li fermò: era vecchia e stracciata, nel viso pieno di rughe spiccavano gli occhi nerissimi, vivaci:
“Fatti leggere la mano”, lo supplicò con voce tremolante.
“Vattene via”, sbottò lui spintonandola.
Lei  gli afferrò una manica e Raoul si innervosì:
 “Vuoi dei soldi?”, disse allungandole qualche moneta, “adesso lasciami in pace”.
 Riprese a camminare trascinando con sé Daria rimasta  indietro a guardare.
“Fermati …non andrai lontano…sei scappato ma ti troverà anche qui…stai molto attento, la tua ora sta per arrivare…”, minacciò la sconosciuta con la voce rauca.
Raoul tornò indietro: “Cosa hai detto, vecchia? Chi mi troverà?”.
La donna puntò gli occhi sul viso sconvolto di lui, la sua bocca si stirò in una smorfia:
“Quello che hai ucciso”, sibilò cattiva, “ricordati…sta per scoccare per te l’ultima ora”, scappò via dileguandosi fra la folla. Lui non reagì, rimase impietrito a osservare la megera che si allontanava, sentì le gambe diventare molli, impallidì senza più avere la forza di reagire.
Daria si avvicinò: “Ti senti male?”, chiese preoccupata.
Raoul si scosse, “Non è niente…quella maledetta mi ha scombussolato. Sono tutte balle”, esclamò furioso.
“E’  strano , siamo in Brasile ma lei si è rivolta a noi nella nostra lingua…” , mormorò assorta lei.
“Basta…non ne voglio parlare più…smettila”, sbottò Raoul allungando il passo.
Ma quell’incontro inquietante l’aveva segnato, quella profezia gli ronzava nella testa, le parole della zingara gli pungevano dentro come una spada. Nei giorni seguenti cercò di cacciare dal cervello quel tarlo che lo rodeva, cercava di  stordirsi frequentando discoteche, ristoranti, andando a visitare la grande metropoli di Rio. Salì con la teleferica sulla grande montagna il Pan di Zucchero da dove si ammirava uno dei più bei panorami del mondo…andò perfino sul Corcovado dove il grande Cristo con le braccia aperte sembrava voler abbracciare tutta la città ai suoi piedi. Ma non bastava, non riusciva ad apprezzare nulla perché dentro di lui c’era la minaccia della strega incontrata sul mare. Un mattino si alzò con la bocca amara e gli occhi pesti, si guardò allo specchio e si passò una mano sul viso: “Come ti sei conciato!”, riscontrò amaramente. Tornò in camera e svegliò Daria:
“Smettila di dormire, alzati…”, le disse brusco. Lei aprì gli occhi meravigliata.
“Cosa succede?”; chiese con la voce impastata di sonno.
“Andiamo a trovare quel mio amico…la vacanza è finita, ora bisogna pensare a fare altri soldi”.
Carmelo Locascio, ex  galeotto, compagno di cella di Raoul aveva il ristorante sulla spiaggia di Ipanema: un bel locale dove si mangiavano le aragoste e i gamberi appena pescati..
“Ti sei deciso a venire…sono molto contento di vederti”, l'amico lo abbracciò, poi lo guardò meglio: “Cosa hai combinato? Non hai una buona cera…rimani qui e ti rimetterai in forma”, concluse mollandogli una pacca sulla spalla.. Raoul non gradì molto…ma superò il leggero nervosismo: doveva parlare d’affari e voleva che l’atmosfera fosse tranquilla. Dopo una buona cena a base di pesce fresco si misero d’accordo per vedersi al più presto con un boss della zona, …anche lì, se non c’erano certi appoggi non si combinava nulla…
Era già diventato buio, la notte era calda ma  Raoul sentiva freddo: nella testa ricominciò a battere il tic tac ...
“Andiamo Daria, si è fatto tardi”, disse sgarbato alla  compagna. Carmelo lo guardò di traverso, intuì che l’amico non era di buon umore e si offrì di accompagnarli all’albergo:
“Non ti vedo molto in gamba…andiamo con la Ferrari, così ti sembrerà di essere a casa”, scherzò.
Rombando per le strade raggiunsero in un baleno l’Hotel Plaza a Copacabana. La coppia scese ringraziando, stavano per entrare nella grande vetrata quando Carmelo li richiamò:
“Mi dimenticavo di darti un piccolo regalo, me l’hanno portato dall’Italia e penso ti faccia piacere”, disse porgendo a Raoul una scatoletta fiorata. L’uomo la prese e la osservò a lungo:
“Cos’è?”, domandò.
“…E’ una sorpresa, aprila dopo…buonanotte…”, Carmelo se ne andò sulla sua potente vettura scomparendo in pochi secondi.
Arrivato in camera, Raoul  si accinse ad aprire la scatola, ma Daria gliela prese:
 “Fammi vedere…mi piacciono le sorprese…vediamo cosa c’è dentro”, mormorò curiosa.
 “Che bello…è un orologio antico”, esclamò porgendolo al compagno.
L’uomo impallidì:
“Non è possibile…come ha fatto ad arrivare fin qui?…buttalo via…”, balbettò con gli occhi sbarrati. Un tremore intenso lo assalì. Daria era così intenta a rimirare il regalo che non si era accorta della sua agitazione.
“Perché?…funziona…sono esattamente le due del mattino.”, rigirò l’oggetto fra le mani e fece scattare una molla:
“Si apre!…c’è scritto un nome…”, si avvicinò alla cassa dell’orologio, “Pietro…”., disse alzando il viso.
Raoul sentì una morsa stringergli la gola e il respiro diventare sempre più corto…ansimando si sdraiò sulla poltrona: “Aiutami…sto male!”, rantolò.
Daria, in preda al panico, non sapeva cosa fare…gli fece bere qualcosa di forte, aprì la finestra per far entrare l’aria fresca della notte…ma l’uomo stava soffocando, il suo petto si alzava e abbassava affannosamente …. finché non cessò di respirare: era arrivata per lui l’ultima ora.
 Per terra l’orologio di Pietro si fermò  in quel momento: Marcello era stato vendicato.
 
Fine                                                                                                                                       
 
 
 
 
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