sul
marciapiede pieno di gente, che a quell’ora aveva fretta di arrivare a casa,
una ragazza, spettinata e infagottata in un giubbotto trapuntato, importunava i
passanti chiedendo con voce fastidiosa: “Un euro…per favore, ho fame…”.
Qualcuno si fermava a rovistare nel borsellino, qualcun altro la guardava con
aria di disprezzo; Luca si sentì tirare per la manica:
“Un euro..”., piagnucolò lei.
Il giovane si fermò e la guardò: sotto la
zazzera incolta luccicavano gli occhi neri. Con uno strattone si liberò dalla
presa: “Aspetta, tieni”, disse poi allungandole una banconota. Lei sorrise:
“Sei generoso…grazie”, disse intascando
velocemente il denaro e rivolgendogli uno sguardo riconoscente; fece per
allontanarsi ma lui la trattenne:
“ Sei affamata o chiedi l’elemosina per
qualche altra ragione?”, chiese sarcastico.
Sul viso della ragazza passò un’ombra:
Sono
affari miei…”, rispose con malgarbo.
Luca
la osservò meglio: era alta, con un fisico esile, i lineamenti marcati dalla
bocca carnosa e dal naso importante, i capelli ramati contrastavano con gli
occhi neri, vivaci, carichi d’espressione.
“Se
vuoi ti posso offrire un cappuccino al bar”, propose dopo qualche attimo di
silenzio, “e magari anche una brioche”. Senza nemmeno perdere un istante lei
accettò:
“Andiamo”, disse avviandosi verso il locale
più vicino. Entrarono e la ragazza si diresse decisa a un tavolino:
“Allora…già che ci sei ordina un panino”,
affermò scostando la sedia ed accomodandosi.
Luca
sorrise: “Avevi proprio fame….. Come ti chiami?”, chiese sedendosi di fronte a
lei.
“Nora…e
tu?”.
“…Luca,
ma ora che abbiamo fatto le presentazioni puoi anche cominciare…”,; la giovane
donna non se lo fece ripetere due volte, addentò con ingordigia il paanin o al
prosciutto che il cameriere aveva appena portato e si riempì la bocca a tal
punto che fece fatica a deglutire.
“Un
bicchier d’acqua….”, riuscì a farfugliare strabuzzando gli occhi. Luca si alzò
e andò al banco a prenderle qualcosa da bere, lei, sull’orlo del soffocamento,
ingollò la bevanda poi si pulì la bocca con la manica del giubbotto. Vista da
vicino faceva tenerezza, le guance si erano arrossate e gli occhi avevano perso
l’aria smarrita di quando era sulla strada. La domanda che Luca voleva farle
gli bruciava sulla bocca…, aspettò che finisse di mangiare:
“Come mai ti sei ridotta così?”.
“Come mai ti sei ridotta così?”.
Nora
non rispose subito, si accomodò meglio sulla sedia poi lo guardò fisso:
“Ho
perso il lavoro e …dovrò pur vivere, no?”.
“Non
hai una famiglia?”, chiese ancora lui.
“Sono
orfana…sola al mondo, ti basta?”, ribatté lei.
“…e
una casa ce l’hai?”.
“Quante
cose vuoi sapere…sì, ho un monolocale in periferia”.
Luca
era incuriosito da quella strana ragazza che sembrava così fragile e che aveva
scelto di fare una vita così dura. “Cosa
facevi prima?”, continuò testardo.
“Prima
di fare la barbona?”, disse lei con un sorrisetto ironico, “ero segretaria in
una ditta che è andata in malora e ha chiuso i battenti sbattendoci tutti per
strada”, concluse amaramente.
“Se
vuoi posso aiutarti…sono un pittore, magari potresti farmi da modella…”,
propose lui.
Nora
gli lanciò uno sguardo prima di rispondere:
“Grazie,
non mi fido…devo spogliarmi suppongo, non ci sto, ho avuto tante bidonate che
non ascolto più nessuno! Mi arrangio da sola… ”, disse . Poi, cambiando
improvvisamente tono: “Che ne diresti di offrirmi anche un caffè”.
“Vada
per il caffè ma…”, rispose lui sconcertato, “se hai deciso di vivere in quel
modo, sono affari tuoi. Comunque, se ci
ripensi questo è l’indirizzo del mio studio, ti assicuro che con me puoi stare
tranquilla…ti volevo fare soltanto il ritratto e…non ho intenzione di
violentarti se è questo che pensi”.
Lei
non disse niente, mise in tasca il biglietto da visita, aspettò il caffè e lo
portò alla bocca con le due mani fissando Luca negli occhi. Un giovane, nel
tavolo accanto li stava osservando fin da quando erano entrati. Nora si voltò
verso di lui, incrociò il suo sguardo, poi si rigirò immediatamente:
“Lo conosci” chiese Luca incuriosito.
“Lo conosci” chiese Luca incuriosito.
“No…ma
che importa, è un bel ragazzo, un’occhiata si può dare…che ne dici?”, scherzò
la ragazza.
“Certo”,
rispose Luca, leggermente seccato, “ma…ora che ti sei sfamata, io devo andare”,
decise guardando l’orologio.
Nora
si alzò: “Grazie di tutto e…arrivederci, forse”.
Mise le mani nelle tasche, si strinse addosso
il giubbotto troppo largo e uscì in strada seguita dallo sguardo di Luca. Poco
dopo anche lui si alzò scuotendo la testa, uscì e si mise in attesa alla fermata
del tram per andare a casa.
Luca Gervasi, trentadue anni, abitava da solo
in un piccolo appartamento al quarto piano di una casa di ringhiera sui
Navigli, una di quelle case rimaste a testimoniare la Milano di una volta, ma
che ora fanno parte di un quartiere di moda dove vivono artisti, studenti, per
lo più giovani single che si arrangiano da soli. La casa non era grande, due locali e un piccolo studio dove regnava perennemente
la confusione più totale: i quadri alle pareti e ammonticchiati per terra non
si contavano, dappertutto c’erano colori e pennelli; la tavolozza era
appoggiata su un trespolo, e una tela sul cavalletto aspettava di essere
terminata…Qui ci passava interi pomeriggi a dipingere senza stancarsi. Si era
specializzato in ritratti femminili; nelle poche mostre che aveva fatto i
critici erano stati concordi nel giudicarlo un artista di un certo valore..
Purtroppo con i quadri venduti non
riusciva a mantenersi e aveva dovuto cercarsi un altro lavoro: faceva il
grafico in un’agenzia pubblicitaria e ci si trovava bene ma il tempo libero lo
dedicava alla sua passione: dipingere. Sentimentalmente stava vivendo una
relazione burrascosa con Clelia, una donna interessante, con un viso volitivo
con gli occhi chiari, trasparenti. Era molto curata nel vestire: raffinata nei
particolari riusciva ad essere sempre
perfetta nonostante che la sua professione di medico le lasciasse poco tempo a disposizione. Purtroppo tra
tutti questi pregi c’era un solo difetto: la gelosia. Il suo carattere
impetuoso la portava a scenate, la maggior parte ingiustificate, che Luca
subiva con rassegnazione. Solo uno sguardo, una parola di troppo, un ritardo
dal lavoro o a un appuntamento mancato potevano scatenare la sua ossessione.
Molte volte Luca era stato sul punto di troncare...poi per pigrizia e
soprattutto per paura di rimanere solo, non l’aveva fatto.
Quella sera rientrando sentì dentro di sé
un’inquietudine: la strana circostanza che l’aveva portato a conoscere Nora lo
faceva riflettere; quella ragazza spettinata e malvestita aveva un viso
dall’espressione intensa e aggressiva, che gli era rimasto impresso. Gli sarebbe
piaciuto mettere sulla tela ciò che aveva provato guardandola. Si aggirava per
la casa e, pensando a lei, provava un sentimento misto di rabbia e compassione:
elemosinare qualche euro per strada voleva dire
essere arrivata proprio in fondo al baratro. Il suo primo impulso era
stato quello di aiutarla, ma davanti al suo rifiuto aveva fatto marcia
indietro, sicuramente la pietà non era di suo gradimento. “Peccato, finire
così”, si disse, “sembra una ragazza in gamba, magari domani la rivedo e...torno
alla carica, mi piacerebbe convincerla a posare”. Sempre rimuginando su ciò che
gli era successo, si decise a prepararsi qualcosa per la cena. Aprì il
frigorifero: due pezzi di formaggio quasi ammuffito, qualche uovo e una
bottiglia di latte adagiati sugli scaffali avevano un’aria così triste che lo
misero di malumore.
“Al
diavolo...questa sera non mi va di mangiare in casa”, esclamò sbattendo la
porta del frigo.
In quel
momento squillò il telefono: era Clelia.
“Amore,
come stai? Cosa hai fatto oggi?…ci vediamo stasera?”.
Una serie
di domande sparate una dopo l’altra senza nemmeno prendere fiato. Così era
fatta Clelia.
Luca,
vista la situazione tragica del frigo vuoto, disse subito di sì.
“Andiamo
fuori a mangiare….preparati, vengo a prenderti fra dieci minuti”.
“Dammi il
tempo di ripristinarmi…ho avuto una giornata faticosa. A proposito, hai fatto
tardi anche tu…ti ho telefonato mezz’ora fa e non eri ancora a casa”, nella
voce di Clelia c’era quell’intonazione dubbiosa che lui ben conosceva.
“Sì”,
rispose seccato, ”sono rimasto a finire un progetto”.
Riattaccò
appoggiando il ricevitore con forza. “Ci risiamo, sono stufo delle sue
insinuazione…”, brontolò.
Si rivestì
e uscì in fretta. Portò Clelia in un ristorante nei pressi di via Solferino
frequentato di solito da giornalisti, artisti di teatro, televisione o cinema,
uno di quei ristoranti con la parete dietro la cassa tappezzata da ritratti con
dedica. Mangiarono quasi in silenzio. Le linguine all’astice erano ottime,
anche la tagliata di pesce spada sapeva di mare tanto era fresca, ma Luca non
era di buonumore.
“A cosa
stai pensando?”, chiese infine Clelia vedendolo assorto.
Lui si
scosse: “Assolutamente a nulla”, mentì, “ho solo un leggero mal di testa”. In
verità non riusciva a togliersi dalla mente il viso di quella ragazza mentre
addentava il panino.
“Ho
capito…è una serata no…paghiamo e andiamocene, vedo che la mia compagnia ti
annoia”, disse stizzita la donna facendo l’atto di alzarsi.
“Non fare
così, questa sera non sono in forma, devi scusarmi….”. Lei non replicò, ma lo
guardò male.
Dopo il
caffè si alzarono dal tavolo, Luca si girò verso l’ingresso e credette di avere
le traveggole: una coppia stava uscendo in quel momento e la donna vista di
profilo gli ricordò Nora, ma non poteva essere lei, questa era elegante e ben
truccata; l’uomo che l’accompagnava era di spalle. Si diede dell’imbecille:
“Cosa mi sta succedendo?”, pensò, “ la vedo dappertutto”.
Clelia si
accorse del suo cambiamento: “ Cosa fai con gli occhi sbarrati, hai visto un
fantasma?”, l’apostrofò.
“Andiamo…si
è fatto tardi”, rispose il giovane nervoso, si affrettò a pagare per uscire al
più presto.
Clelia lo
seguì sempre più sorpresa, quando furono fuori Luca si guardò intorno, ma la
coppia era sparita: solo qualche passante frettoloso se ne andava per i fatti
suoi. Si convinse perciò che quella non poteva essere Nora.
(continua)
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