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lunedì 15 aprile 2013

UN FIORE NEL FANGO

Seconda puntata

 Nei giorni seguenti le speranze si affievolirono: non aveva più visto Rosalia,  il  pasto gli era stato recapitato da una mano sconosciuta che si introduceva nello spiraglio della porta semiaperta. Anche questo mistero contribuiva a esasperare il suo stato: cosa stava succedendo là fuori? La sua famiglia, sua moglie, i suoi operai… quanti pensieri si accavallavano nella sua mente! Da quanto tempo era prigioniero fra quelle quattro mura che odiava con tutto il suo essere? Cominciava a temere anche per la sua vita, se qualcosa fosse andato storto sapeva che non avrebbero esitato ad ucciderlo, quella era gente spietata che pur di salvarsi non aveva scrupoli, non avrebbero certo lasciato un testimone vivo.
Quando finalmente qualcuno si fece vedere, Giulio era al colmo della tensione . Con aria strafottente  il capo entrò e lo guardò diritto negli occhi:
“Caro ingegnere”, cominciò calcando sulle parole, “si mette male per lei…sua moglie è un osso duro, non vuol cedere, si è rivolta anche alla polizia….un passo falso, mi creda, probabilmente non le importa molto che suo marito ritorni vivo da questa avventura”, un sorriso di scherno gli increspava le labbra mentre si avvicinava a Giulio con in mano un piccolo registratore, “le dica di pagare altrimenti le assicuro che finirà davvero male questa storia…” Dall’espressione dura del viso si capiva che stava dicendo sul serio, i suoi occhi freddi lampeggiarono mentre avvicinava alla bocca di Giulio l’apparecchio.
 “Non farò mai una cosa simile”, rispose il prigioniero allontanando la testa, “lasciatemi in pace!”.
“Va bene…cominceremo a mandare alla bella signora un pezzo di suo marito, così capirà che non stiamo scherzando…”,  poco dopo un uomo incappucciato  entrò con un affilato coltello fra le mani. Quando vide quella lama luccicare a due centimetri dal padiglione del suo orecchio, Giulio cercò di stringere i pugni per non far vedere che aveva dalla paura, ma in quell’istante la porta si aprì e la voce di Rosalia arrestò la mano che lo stava mutilando.
“Fermatevi!”, gridò, “non servirebbe a niente…”.
 “Tu cosa ne sai?”, le chiese pieno di rabbia il boss, “ non sono cose che ti riguardano, vattene!”
La ragazza uscì senza replicare e Giulio si accorse che il suo intervento aveva allentato quel momento di estrema tensione che si era creata quando stavano per tagliargli l’orecchio, infatti l’uomo si allontanò da lui e volse il capo verso il padrone: “Cosa faccio?”, chiese indispettito.
“Per oggi lasciamo stare…l’abbiamo spaventato abbastanza, vedremo in seguito se deciderà di collaborare”, si avvicinò all’uscio e, prima di aprirlo si voltò: “Ricordati, ingegnere, la prossima volta non ti salverà nessuno…oggi sono stato buono!”
Giulio si abbandonò sul letto ancora tremante, sconvolto da una profonda emozione, il bagliore della lama affilata a pochi centimetri dal suo viso gli ritornava in mente e un brivido di paura lo percorse.
Dopo quella scena disgustosa  tutto ritornò nel silenzio più assoluto, ogni movimento al di fuori della porta lo metteva in ansia, per due giorni non gli diedero nemmeno da mangiare, si riempiva lo stomaco con l’acqua di un rubinetto che c’era nella stanza….finché una notte, sentì muovere il chiavistello dell’uscio. Si mise subito sulla difensiva, ma riconobbe la figura che si insinuava in silenzio attraverso l’uscio e si calmò.
“Sei tu Rosalia?”, chiese sottovoce.
“Sì…devo parlarti”, rispose lei con un sussurro. Si misero a sedere sul letto, per Giulio la vicinanza di quella giovane donna era come una ventata d’aria fresca.
“Sei in pericolo… si sta mettendo male! , tua moglie non vuole pagare, anche perché non sa se sei ancora vivo, ti prego, fa’ quello che ti dicono…”, disse la ragazza prendendogli una mano. Nel buio della stanza Giulio sentiva il suo profumo, e la sua vicinanza lo turbava:
“Perché fai questo per me?…forse ti hanno mandato a convincermi”, chiese scostandosi.
“No…, ti giuro che io non c’entro con questa storia. Sono contro la violenza, contro il sopruso e non condivido quello che fa mio padre, purtroppo devo ubbidire altrimenti non mi lascia vivere…ma stanotte se ne sono andati e ho approfittato per venire ad avvisarti”. La sua voce era sincera e  Giulio lo capì.
“Ti ringrazio, farò come mi consigli, almeno avrò ancora qualche giorno di tregua”, disse.
Rosalia gli passò del pane e del salame: “Mangia qualcosa …domani si faranno ancora vivi. Ora devo andare”, si alzò, Giulio non vedeva il suo viso, ancora nascosto dal cappuccio.
“Toglilo…”, sussurrò alzando una mano, “voglio vederti”.
“No!”, esclamò lei, “e poi è buio, non riusciresti …”.
Si allontanò da lui in fretta, prima di uscire gli disse: “Verrò ancora”.
Vennero i suoi carcerieri e Giulio fece quello che gli dicevano: incise un nastro dove assicurava che stava bene e invitava la sua famiglia a pagare il riscatto.
Dopo questo,  per qualche tempo lo lasciarono in pace, Rosalia tenne fede alla sua promessa e una sera, all’imbrunire ritornò. Era vestita con un paio di jeans e una maglietta bianca che metteva in risalto il suo seno prosperoso, lo sguardo di Giulio tradiva la sua ammirazione:
“Sorpreso?”, chiese lei avvicinandosi maliziosa.
“No…sapevo che eri bella, ma ora voglio vedere anche il viso”,  con un gesto improvviso le tolse il cappuccio: i capelli neri e lucidi come seta le caddero sulle spalle e la bella faccia dai lineamenti marcati della donna del sud si rivelò in tutto il suo splendore: gli occhi verdi e grandi, ombreggiati da lunghe ciglia scure, contrastavano con i capelli corvini; la bocca carnosa lasciava intravvedere i denti bianchi e forti, un po’ irregolari. Rosalia cercò di coprirsi il viso con le mani ma Giulio le scostò, le sue dita leggere le accarezzarono la fronte soffermandosi sul piccolo neo fra le sopracciglia:
“Sembri una principessa indiana”, mormorò. I loro sguardi si incrociarono e le labbra si unirono in un bacio. Con uno scatto Rosalia si staccò da lui: “No…non posso…”, disse.
“Perché?”, rispose Giulio scostandole i capelli, ma lei fuggì lasciandolo sconvolto da quell’attimo dolcissimo, con ancora negli occhi la visione del suo viso. Quella notte era ancora sveglio quando sentì il rumore dell’uscio che si apriva, riconobbe subito l’ombra che si era intrufolata , la vide attraversare a tentoni la stanza e sdraiarsi sul letto accanto a lui, il profumo dei suoi capelli abbandonati sul cuscino lo stordì: “Rosalia!”, sussurrò. “Sono qui”, rispose lei. 
Da quel momento magico non furono più capaci di sottrarsi alla passione che li aveva catturati, per quattro giorni ogni notte Rosalia andava da lui, sfidando il pericolo di venire sorpresa, ma non le importava niente, doveva vivere fino in fondo quell’amore che non aveva mai trovato fino allora. E Giulio l’aspettava con la febbre nel sangue, tremando ad ogni rumore che preannunciava la sua visita: quando stava con Rosalia
dimenticava tutto, provava con lei sensazioni nuove, una tenerezza infinita nell’accarezzare quella pelle morbida e calda, una dolcezza mai provata quando toccava al buio i suoi lunghi capelli di seta.. 
 “Questa è l’ultima volta che ci incontriamo”, sussurrò lei  nella quarta notte dei loro incontri.
“Come fai a dirlo, non sappiamo cosa succederà di noi…”, rispose lui stringendola a sé.
“Domani sarai libero”, nella voce di Rosalia c’era tanta tristezza.
“Allora è tutto finito?”, chiese Giulio sorpreso.
“Finirà domani…te lo prometto…ma non mi cercare, la tua vita deve continuare come prima…con tua moglie”, concluse lei abbassando gli occhi.
Giulio le rialzò il viso e la baciò: “Non ti potrò mai dimenticare principessa, rimarrai sempre l’unico vero amore della mia vita. Non ti posso promettere che non ti cercherò, devo rivederti ancora….”, la strinse forte forte . Dagli occhi di Rosalia scese silenziosa una lacrima.
L’alba arrivò e lei se ne andò senza voltarsi. Poco dopo Giulio sentì al di fuori un rumore assordante di motori, la porta venne sfondata e sulla soglia si stagliò la figura di un militare che imbracciava un mitra.
“Ingegnere, è libero!”, disse l’uomo avanzando verso di lui.
Giulio attonito non si rendeva ancora conto di quello che era successo, uscì da quel tugurio maleodorante e la luce del sole gli fece strizzare gli occhi. Davanti a lui c’erano delle camionette dei Carabinieri, gli uomini armati spingevano con le canne dei mitragliatori altri uomini in manette. Finalmente poteva guardare in faccia i suoi sequestratori: riconobbe il boss dagli abiti e dagli stivali che indossava quando era entrato per l’ultima volta nella prigione, lo fissò dritto negli occhi e l’altro abbassò lo sguardo.
“Venga, ingegnere”, disse quello che sembrava il comandante, “ce l’abbiamo fatta! Li abbiamo catturati tutti, finalmente la giustizia ha trionfato!”
Giulio cercava con gli occhi Rosalia, con sollievo vide che non era fra gli arrestati.
“Come è successo?”, chiese ancora istupidito dalla sorpresa.
“La telefonata di una donna ci rivelato il nascondiglio, sulle prime si credeva alla solita soffiata di una mitomane, ma poi…abbiamo costatato che era tutto vero, “, rispose il capitano soddisfatto.
“Si sente bene?”, riprese l’uomo.
“L’importante è essere ancora vivo”, rispose Giulio, “vi ringrazio per avermi liberato”, si mise una mano sulla fronte, “sono molto stanco, la prego mi porti a casa…” , salì sulla jeep e, prima di partire si voltò ancora una volta a rivedere il luogo dove aveva tanto sofferto, ma anche dove aveva provato le emozioni più intense della sua vita.
Linda lo accolse con gioia: “Finalmente  l’incubo è finito… Come sei sciupato! Ora non ci pensare più, tutto ritornerà come prima in breve tempo, ne sono sicura.  Hai bisogno di riposare e di dimenticare”, gli disse abbracciandolo.
Come poteva dimenticare? Ci sarebbe voluto tanto tempo per ricominciare a vivere in modo normale, sentiva che i giorni trascorsi là dentro si erano impadroniti di lui, i ricordi di quando non poteva lavarsi, non aveva da mangiare, la paura che lo rendeva insonne,  lo perseguitavano, ma soprattutto lo torturava il ricordo di Rosalia: ogni notte viveva i momenti vissuti su quel letto sgangherato che allora gli sembrava il posto più bello del mondo. Percepiva accanto a sé il respiro di Linda che dormiva e la guardava sentendosi in colpa, ma non poteva farci niente, era difficile cancellare quel sentimento scoppiato all’improvviso e vissuto così brevemente da sembrargli un sogno.
Il clamore suscitato dalla sua liberazione non serviva certo a staccarlo dai ricordi, ogni giorno era costretto a rivivere la sua prigionia e questo gli era sempre più difficile da sopportare. Le interviste alla televisione, alla stampa, i lunghi interrogatori nella caserma dei carabinieri, erano diventati un incubo. Il capitano Giorgi, che dirigeva le indagini, si era messo in testa di individuare la misteriosa donna della telefonata e tempestava Giulio di domande ogni volta che l’aveva davanti. L’intuito e la lunga esperienza in casi analoghi gli avevano fatto cogliere negli occhi del suo interlocutore quell’attimo di indecisione quando gli aveva chiesto a bruciapelo: “Non ha mai visto o sentito una donna durante il sequestro?”. Ma Giulio si era immediatamente ripreso e aveva risposto “no” con decisione. L’avevano lasciato tranquillo per qualche tempo poi, una mattina si era presentato un giovane carabiniere che l’aveva gentilmente pregato di recarsi in caserma urgentemente.
“Ingegner Tomasi”, gli disse Giorgi fissandolo negli occhi, “avrei bisogno che lei identificasse una persona…”.



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