1° puntata
L'onda gigantesca si alzò dal mare infuriato e si abbatté con
rabbia sullo scafo, che galleggiava alla deriva come un fuscello sulla massa
scura dell’acqua. Nella notte senza stelle si stava compiendo, ancora una
volta, una tragedia del mare: la nave di clandestini si era rovesciata gettando
fra i flutti il suo carico umano a qualche centinaia di metri dalla riva. Zaira
si trovò nell’acqua gelida senza neppure rendersi conto di cosa fosse successo.
Quando si era diffusa la notizia che la costa era già stata avvistata, un grido
di gioia si era levato da quella povera gente : quel terribile viaggio era
terminato, erano arrivati nella terra tanto sognata… ma la tempesta arrivò
all’improvviso, i cavalloni si alzarono e l’imbarcazione cominciò ad ondeggiare
paurosamente impedendo l’attracco. Le grida esultanti si trasformarono in urla
di terrore, i più coraggiosi si buttarono giù, gli altri aggrappati ai
parapetti delle fiancate, sferzati dai marosi fissavano annichiliti il buio in
preda alla paura, poi la nave si rovesciò…
La giovane donna affondò e riemerse, cominciò a nuotare
disperatamente cercando di raggiungere la spiaggia ma sentiva che le forze
l’abbandonavano, le braccia si stavano irrigidendo e …si lasciò andare, il
corpo s’immerse lentamente nell’acqua…
Intanto dalla
capitaneria di porto era già partito l’allarme: immediatamente erano stati
allestiti i soccorsi, le lance facevano la spola fra il relitto della nave e la
riva portando i naufraghi che riuscivano a recuperare, qualcuno purtroppo era
già senza vita. Le ambulanze, con un andirivieni frenetico, trasportavano i
feriti all’ospedale della città vicina.
Il capitano dei carabinieri Vito Lombardi dirigeva le
operazioni di salvataggio; sulla battigia si abbandonavano sconvolti i
clandestini portati in salvo.
La morsa allo stomaco nel vedere quell’umanità disperata lo
faceva star male; uomini, donne, qualche bambino venivano portati a riva
grondanti d’acqua, nei loro occhi si leggeva il terrore. Da una lancia
scaricarono una giovane donna che sembrava non dar segni di vita. Il vestito
azzurro aderiva al corpo bruno, mettendo in risalto le forme perfette, aveva gli
occhi chiusi e sulla bocca una smorfia
di dolore, sembrava molto giovane, poteva avere poco più di vent’anni. I
marinai l’adagiarono sulla sabbia e Vito si avvicinò:
“E’ morta”, domandò.
“No, respira ancora”, rispose un ragazzo alzando gli occhi su
di lui.
Vito fece un cenno, due infermieri arrivarono di corsa e
stesero il corpo sulla barella. L’ambulanza partì a tutta velocità seguita
dallo sguardo del capitano: “Spero che se la cavi”, si disse impietosito, senza
spiegarsi perché proprio quella ragazza, fra i tanti naufraghi, aveva suscitato
in lui un particolare interesse.
La giornata era stata faticosa, il via vai delle lance di
salvataggio sembrava non finisse mai…i somali superstiti dovevano essere
rifocillati, rivestiti, avviati in un campo di accoglienza per dar loro modo di
ritemprarsi dopo l’orribile notte trascorsa. Vito Lombardi, come un automa
continuava a dare ordini, arrivò al mattino distrutto. Le immagini di chi aveva
visto la morte in faccia non l’abbandonavano… ma, fra i tanti che gli erano
passati davanti non riusciva a dimenticare il corpo inerte della ragazza con il
vestito azzurro. Chissà se era ancora viva? Questo pensiero lo assillava e si
riprometteva di chiedere sue notizie all’ospedale più tardi. Il mare si stava
calmando e il cielo rischiarava in procinto dell’alba. Vito si passò una mano
sugli occhi che gli bruciavano per la fatica, ormai le operazioni di soccorso
erano giunte al termine, purtroppo non tutti erano stati salvati, molti erano
dispersi fra i flutti e non c’era speranza di poterli recuperare. Lombardi
aveva fatto di tutto per portare aiuto…ormai il destino si era compiuto: decise
perciò di tornarsene a casa, non prima però di aver fatto visita ai feriti.
In ospedale il
primario lo informò sulle condizioni dei superstiti:
“Ne abbiamo ricoverati dodici, dieci uomini e due donne…purtroppo una di queste non ce l’ha fatta, quando è arrivata era in condizioni disperate”, disse il medico.
“Ne abbiamo ricoverati dodici, dieci uomini e due donne…purtroppo una di queste non ce l’ha fatta, quando è arrivata era in condizioni disperate”, disse il medico.
Vito sussultò: “Era giovane?”, chiese con cautela.
Il dottore lo guardò meravigliato, non si aspettava quella
domanda:
“No…avrà avuto circa cinquant’anni”.
“…e l’altra?…”, insistette Vito.
Il medico sempre più sconcertato dalla strana richiesta fissò
il suo interlocutore:
“E’ viva, capitano…la ragazza è ancora in terapia intensiva, ma ce la farà”, rispose leggermente seccato.
“E’ viva, capitano…la ragazza è ancora in terapia intensiva, ma ce la farà”, rispose leggermente seccato.
Vito sentì dentro qualcosa che lo alleggerì dall’angoscia.
L’altro lo osservava con curiosità e si capiva che aveva una domanda che gli
bruciava sulle labbra, infine sbottò:
“Come mai questo interessamento?”.
“Non si meravigli, dottore, l’ho vista portare fuori dall’acqua che sembrava morta e mi ha fatto molta pietà: così giovane…mi chiedevo se era riuscita a sopravvivere, tutto qui”, rispose pronto Vito.
“Come mai questo interessamento?”.
“Non si meravigli, dottore, l’ho vista portare fuori dall’acqua che sembrava morta e mi ha fatto molta pietà: così giovane…mi chiedevo se era riuscita a sopravvivere, tutto qui”, rispose pronto Vito.
Arrivato a casa il
capitano Lombardi si buttò sul letto e ci rimase fino alla sera…
Zaira aprì gli occhi
e, la prima cosa che vide fu il soffitto bianco, poi le sue narici si
riempirono dell’odore dei medicinali.
“Dove sono?”, si chiese, era sdraiata su un lettino e su un
braccio era infilato l’ago di una flebo. Non sentiva dolore, ma era in uno
stato confusionale, non si ricordava nulla di quello che era successo e di come
era arrivata lì. La sua mente era ancora annebbiata. Un’infermiera si avvicinò
al letto.
“Bene…ti sei svegliata, come ti senti?”, domandò premurosa. La giovane somala rimase in silenzio.
“Non capisci?”; le chiese ancora la donna.
“Bene…ti sei svegliata, come ti senti?”, domandò premurosa. La giovane somala rimase in silenzio.
“Non capisci?”; le chiese ancora la donna.
Zaira stentava a mettere a fuoco le immagini e a coordinare
le idee, si sforzò e rispose:
“Sì, capisco …mio nonno era italiano”.
“Sì, capisco …mio nonno era italiano”.
“Molto bene…ora chiamo il dottore di turno…ti visiterà e
magari ti potremo trasportare in corsia”, affermò l’altra.
Il medico era un uomo di mezza età, alto e magro, con un viso
severo, la visitò con cura:
“Come ti chiami?”, le chiese poi.
“Zaira”, sussurrò lei.
“Sei stata fortunata, te la sei cavata mentre tanti tuoi
compatrioti ci hanno rimesso la vita”, il tono era spiccio, freddo, con una
punta di polemica. L’uomo le sollevò il viso: “Sei molto bella…che ci sei
venuta a fare in Italia?”, domandò.
La ragazza intimidita dai modi bruschi non rispose.
“Non importa…sono affari tuoi, tanto ti rimanderanno al tuo
paese, prima o poi…”, tagliò corto lui allontanandosi.
Il dottor Claudio Giannini era in quell’ospedale da più di
vent’anni, era considerato un bravo medico ma come uomo non riscuoteva molte
simpatie. Era sposato con due figli, andava poco d’accordo con la moglie, di
lui si diceva che gli piacessero molto le donne. Aveva avuto diverse storie
anche nell’ambito ospedaliero, appena ne aveva occasione non si faceva scappare
una bella infermiera e ci provava anche con le pazienti se erano giovani ed
attraenti.
Zaira venne trasferita in una camera a due letti, si sentiva
meglio e a poco a poco anche il ricordo della notte del naufragio riaffiorò
nella sua mente. Aveva sperato tanto di raggiungere l’Italia per cominciare una
vita senza stenti, il suo sogno era di tornare nella terra dove avevano vissuto
i nonni e dove aveva le sue radici…ma ora si trovava lì, e non sapeva che fine
avrebbe fatto: aveva ragione il dottore? L’avrebbero rimandata indietro? Senza
un lavoro e senza il permesso di soggiorno non poteva rimanere…. Questi
pensieri la tormentavano e non riusciva a prendere sonno…
Anche le notti di Vito Lombardi erano agitate: da quando
aveva vissuto in prima persona il dramma di quel maledetto naufragio non era
più lui. Nei sogni inquieti appariva spesso la donna con la veste azzurra, in
piedi, sulla spiaggia, vedeva le linee morbide del suo corpo disegnate dalla
stoffa bagnata e quando riusciva a raggiungerla lei lo chiamava per nome e gli
chiedeva aiuto. Ossessionato da quella visione il capitano Lombardi decise di
andare a informarsi di nuovo in ospedale. Con l’autorità che gli conferiva il
suo grado chiese di conoscere i sopravvissuti.
Lo portarono in una corsia dove c’erano uomini che lo guardavano
con occhi grandi e rassegnati, ad uno ad uno passò fra i letti dicendo qualche
parola di conforto e sperando di vedere la giovane che disturbava i suoi sogni.
“Non c’è anche una donna?”; chiese all’infermiera che lo
accompagnava.
“ Venga”, rispose lei dirigendosi verso una stanza.
Vito entrò e si trovò davanti a Zaira che lo guardò
intimorita dalla divisa: negli occhi dorati passò un lampo di paura.
La ragazza era vestita
di un camice bianco che faceva risaltare la sua pelle scura, i capelli corvini,
inanellati le scendevano sulle spalle: era bellissima.
“Sei venuto a portarmi via?”, chiese con un filo di voce.
“Stai tranquilla”, rispose lui, “sono qui solo per chiedere come stai…l’ultima volta che ti ho vista sembravi morta…”.
“Stai tranquilla”, rispose lui, “sono qui solo per chiedere come stai…l’ultima volta che ti ho vista sembravi morta…”.
Un sospiro di sollievo sollevò il petto di Zaira:
“Ti ringrazio, ora sto meglio ma…dovrò tornare in Somalia?”,
mormorò ancora, mentre la bocca si piegava in una smorfia.
“No…ti cercherò un lavoro, se vuoi…”. La giovane si avvicinò
e gli toccò un braccio: “Sei buono…come ti chiami?”, domandò. Lui sentì una
leggera scossa per tutta la persona: “Vito…e tu?”.
La ragazza disse il suo nome e rimasero qualche secondo a
guardarsi negli occhi. Ognuno provò un’emozione sconosciuta. L’uomo si riprese
e le chiese come mai parlasse l’italiano e lei gli raccontò la storia della sua
famiglia: nonno Salvatore si era trasferito in Somalia negli anni trenta per
lavoro e c’era rimasto perché si era innamorato di una ragazza del posto, così
alla seconda generazione era nata lei, di sangue misto, che portava in sé le
caratteristiche delle due razze. Purtroppo in quel paese tutto era precipitato:
la guerra e la miseria l’avevano spinta ad accettare la proposta di un tale che
le prometteva lavoro facile in cambio di una bella somma di denaro. Con sacrifici
era riuscita a raggranellare i soldi ed era partita piena di speranze a bordo
di quella sfortunata carretta del mare.
“Non so ancora come sono riuscita a salvarmi….se non ci fosse
stato l’intervento dei tuoi uomini sarei annegata…ti devo la vita”, concluse
Zaira avvicinandosi ancor di più.
“Sono felice che sia finita così”, mormorò lui emozionato,
“non ti avrei conosciuta e avrei perso molto…”.
La giovane donna sorrise scoprendo i denti bianchissimi,
sopra il labbro superiore un piccolo neo rendeva ancora più attraente la bocca
carnosa.
“Anche per me è stato bello incontrarti, in un primo momento mi hai fatto paura, ma poi…ho capito dai tuoi occhi buoni che mi avresti aiutato”, asserì guardandolo intensamente.
“Anche per me è stato bello incontrarti, in un primo momento mi hai fatto paura, ma poi…ho capito dai tuoi occhi buoni che mi avresti aiutato”, asserì guardandolo intensamente.
Il feeling che si era
creato fra loro era evidente, Vito era turbato: non gli era mai capitato di
essere così imbranato di fronte ad una donna. Si riscosse : “Ora devo andare,
ma verrò ancora a trovarti”, disse.
“Non dimenticarti di me…non voglio tornare là”, lo pregò lei.
“Stai tranquilla, cercherò in tutti i modi di farti restare
”.
Per tutto il giorno Vito pensò a Zaira, oltre alla bellezza
fisica l’aveva colpito la dolcezza del suo sguardo e il suo modo di muoversi:
aveva una sinuosità particolare e una signorilità innata.
Ma non solo Vito era caduto vittima dell’avvenenza della
giovane somala, anche il dottor Giannini ci aveva fatto un pensiero e non
voleva farsela scappare. Era convinto che, pur di non essere rimpatriata,
sicuramente avrebbe ceduto alle sue voglie…erano questi i suoi pensieri segreti
ogni volta che l’aveva davanti… così una sera, prima di andarsene la convocò
nel suo studio:
“Siediti…”, l’invitò. La ragazza si accomodò di fronte a lui,
rigida, sospettosa.
“Tu non vuoi tornare da dove sei venuta, vero?”, cominciò il
medico. Zaira scosse la testa per dire di no.
“Allora dovresti trovarti un lavoro….”, continuò lui.
“Come faccio?…non conosco nessuno…il capitano mi ha promesso
che lo cercherà per me”, rispose sottovoce la giovane.
“Stai attenta…quel militare non mi convince…che ne diresti di
venire a casa mia come domestica?”, insinuò lui con aria melliflua. “Sono
sposato e ho due figli, con noi ti troverai come in famiglia”, continuò.
Zaira rimase sorpresa dall’offerta del dottore, sorpresa e
contenta, se avesse accettato le avrebbero dato anche il permesso di soggiorno
e non ci sarebbero più stati problemi. Poteva ricominciare a vivere.
“Non so come ringraziarla, dottore,” rispose sollevata di
aver preso quella decisione; in fin dei conti quel medico si stava dimostrando
una brava persona… aveva pensato male di lui quando, durante le visite si
soffermava un po’ troppo con le mani sul suo corpo, le dava fastidio essere
toccata in quel modo ma…ora doveva ricredersi, sicuramente era stata
un’impressione sbagliata…
Quando Vito tornò a trovarla la ragazza era felice:
“Ho un lavoro!”, annunciò allegra, “appena sarò ristabilita andrò a casa del dottor Giannini”.
“Ho un lavoro!”, annunciò allegra, “appena sarò ristabilita andrò a casa del dottor Giannini”.
Il capitano le lanciò uno sguardo sospettoso:
“A fare che cosa?”, chiese rabbuiandosi.
“A fare che cosa?”, chiese rabbuiandosi.
“Aiuterò la moglie nelle faccende domestiche….per me va bene,
anche se non l’ho mai fatto. I miei genitori mi hanno fatto studiare, ma non fa
niente…ora l’importante è guadagnare qualcosa per aiutarli: muoiono
letteralmente di fame. Se la situazione non fosse stata così disperata non mi
avrebbero lasciata andare…”, disse tristemente Zaira.
Vito rimase perplesso:
“Anch’io ti avrei trovato una sistemazione…dal parroco”, propose titubante.
“Anch’io ti avrei trovato una sistemazione…dal parroco”, propose titubante.
In quel momento entrò Giannini: “Allora, Zaira, domani ti
dimettiamo e verrai con me”, annunciò trionfante sfidando con lo sguardo il
capitano.
La ragazza guardava l’uno e l’altro confusa, il medico notò
l’indecisione:
“Non ci avrai ripensato?”, si allarmò, “non puoi andare da
nessuna parte…hai bisogno ancora di cure…e se sei in casa mia non ci sarà nessun
problema…”. Mentre pronunciava queste parole guardò Vito, aveva capito di avere
un rivale e giocava tutte le sue carte per vincere la partita. Il capitano
Lombardi non si scompose:
“La decisione deve prenderla lei”, disse secco accennando a Zaira.
“La decisione deve prenderla lei”, disse secco accennando a Zaira.
“No…”, interruppe Giannini”, “come ho detto, per il momento
la ragazza non è in grado di andare altrove….ne va della sua salute…deve ancora
curarsi”.
“ Non le farà certo bene fare la serva”, affermò categorico
Vito.
“Ma…forse non mi sono spiegato: a casa mia farà compagnia a
mia madre che è anziana, solo questo…se poi non si trova bene e se ne vorrà
andare, io non la tratterrò”, continuò il dottore cercando di sorridere in modo
cordiale.
Zaira era indecisa, lanciò uno sguardo a Vito come per
chiedere aiuto, ma Giannini non le diede il tempo nemmeno di rispondere. “Ho
pensato di anticipare ad oggi l’uscita dall’ospedale…preparati, verrò a
prenderti prima di sera”, detto questo accennò ad un saluto e se ne andò senza
dare il modo di replicare.
“Quel medico non mi piace”, disse Vito, “però… un lavoro vale
l’altro e se si tratta di fare compagnia ad una persona anziana può andare
anche bene…”.
(continua)
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