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sabato 19 settembre 2015

L'ORCHIDEA NERA


 

 1° puntata


   

L'onda gigantesca si alzò dal mare infuriato e si abbatté con rabbia sullo scafo, che galleggiava alla deriva come un fuscello sulla massa scura dell’acqua. Nella notte senza stelle si stava compiendo, ancora una volta, una tragedia del mare: la nave di clandestini si era rovesciata gettando fra i flutti il suo carico umano a qualche centinaia di metri dalla riva. Zaira si trovò nell’acqua gelida senza neppure rendersi conto di cosa fosse successo. Quando si era diffusa la notizia che la costa era già stata avvistata, un grido di gioia si era levato da quella povera gente : quel terribile viaggio era terminato, erano arrivati nella terra tanto sognata… ma la tempesta arrivò all’improvviso, i cavalloni si alzarono e l’imbarcazione cominciò ad ondeggiare paurosamente impedendo l’attracco. Le grida esultanti si trasformarono in urla di terrore, i più coraggiosi si buttarono giù, gli altri aggrappati ai parapetti delle fiancate, sferzati dai marosi fissavano annichiliti il buio in preda alla paura, poi la nave si rovesciò…

La giovane donna affondò e riemerse, cominciò a nuotare disperatamente cercando di raggiungere la spiaggia ma sentiva che le forze l’abbandonavano, le braccia si stavano irrigidendo e …si lasciò andare, il corpo s’immerse lentamente nell’acqua…

 Intanto dalla capitaneria di porto era già partito l’allarme: immediatamente erano stati allestiti i soccorsi, le lance facevano la spola fra il relitto della nave e la riva portando i naufraghi che riuscivano a recuperare, qualcuno purtroppo era già senza vita. Le ambulanze, con un andirivieni frenetico, trasportavano i feriti all’ospedale della città vicina.

Il capitano dei carabinieri Vito Lombardi dirigeva le operazioni di salvataggio; sulla battigia si abbandonavano sconvolti i clandestini portati in salvo. 

La morsa allo stomaco nel vedere quell’umanità disperata lo faceva star male; uomini, donne, qualche bambino venivano portati a riva grondanti d’acqua, nei loro occhi si leggeva il terrore. Da una lancia scaricarono una giovane donna che sembrava non dar segni di vita. Il vestito azzurro aderiva al corpo bruno, mettendo in risalto le forme perfette, aveva gli occhi chiusi e sulla bocca  una smorfia di dolore, sembrava molto giovane, poteva avere poco più di vent’anni. I marinai l’adagiarono sulla sabbia e Vito si avvicinò:

“E’ morta”, domandò.

“No, respira ancora”, rispose un ragazzo alzando gli occhi su di lui.

Vito fece un cenno, due infermieri arrivarono di corsa e stesero il corpo sulla barella. L’ambulanza partì a tutta velocità seguita dallo sguardo del capitano: “Spero che se la cavi”, si disse impietosito, senza spiegarsi perché proprio quella ragazza, fra i tanti naufraghi, aveva suscitato in lui un particolare interesse.

La giornata era stata faticosa, il via vai delle lance di salvataggio sembrava non finisse mai…i somali superstiti dovevano essere rifocillati, rivestiti, avviati in un campo di accoglienza per dar loro modo di ritemprarsi dopo l’orribile notte trascorsa. Vito Lombardi, come un automa continuava a dare ordini, arrivò al mattino distrutto. Le immagini di chi aveva visto la morte in faccia non l’abbandonavano… ma, fra i tanti che gli erano passati davanti non riusciva a dimenticare il corpo inerte della ragazza con il vestito azzurro. Chissà se era ancora viva? Questo pensiero lo assillava e si riprometteva di chiedere sue notizie all’ospedale più tardi. Il mare si stava calmando e il cielo rischiarava in procinto dell’alba. Vito si passò una mano sugli occhi che gli bruciavano per la fatica, ormai le operazioni di soccorso erano giunte al termine, purtroppo non tutti erano stati salvati, molti erano dispersi fra i flutti e non c’era speranza di poterli recuperare. Lombardi aveva fatto di tutto per portare aiuto…ormai il destino si era compiuto: decise perciò di tornarsene a casa, non prima però di aver fatto visita ai feriti.

 In ospedale il primario lo informò sulle condizioni dei superstiti:
“Ne abbiamo ricoverati dodici, dieci uomini e due donne…purtroppo una di queste non ce l’ha fatta, quando è arrivata era in condizioni disperate”, disse il medico.

Vito sussultò: “Era giovane?”, chiese con cautela.

Il dottore lo guardò meravigliato, non si aspettava quella domanda:

“No…avrà avuto circa cinquant’anni”.

“…e l’altra?…”, insistette Vito.

Il medico sempre più sconcertato dalla strana richiesta fissò il suo interlocutore:
“E’ viva, capitano…la ragazza è ancora in terapia intensiva, ma ce la farà”, rispose leggermente seccato.

Vito sentì dentro qualcosa che lo alleggerì dall’angoscia. L’altro lo osservava con curiosità e si capiva che aveva una domanda che gli bruciava sulle labbra, infine sbottò:
“Come mai questo interessamento?”.
 “Non si meravigli, dottore, l’ho vista portare fuori dall’acqua che sembrava morta e mi ha fatto molta pietà: così giovane…mi chiedevo se era riuscita a sopravvivere, tutto qui”, rispose pronto Vito.

 Arrivato a casa il capitano Lombardi si buttò sul letto e ci rimase fino alla sera…

  Zaira aprì gli occhi e, la prima cosa che vide fu il soffitto bianco, poi le sue narici si riempirono dell’odore dei medicinali.

“Dove sono?”, si chiese, era sdraiata su un lettino e su un braccio era infilato l’ago di una flebo. Non sentiva dolore, ma era in uno stato confusionale, non si ricordava nulla di quello che era successo e di come era arrivata lì. La sua mente era ancora annebbiata. Un’infermiera si avvicinò al letto.
“Bene…ti sei svegliata, come ti senti?”, domandò premurosa. La giovane somala rimase in silenzio.
“Non capisci?”; le chiese ancora la donna.

Zaira stentava a mettere a fuoco le immagini e a coordinare le idee, si sforzò e rispose:
“Sì, capisco …mio nonno era italiano”.

“Molto bene…ora chiamo il dottore di turno…ti visiterà e magari ti potremo trasportare in corsia”, affermò l’altra.

Il medico era un uomo di mezza età, alto e magro, con un viso severo, la visitò con cura:

“Come ti chiami?”, le chiese poi.

“Zaira”, sussurrò lei.

“Sei stata fortunata, te la sei cavata mentre tanti tuoi compatrioti ci hanno rimesso la vita”, il tono era spiccio, freddo, con una punta di polemica. L’uomo le sollevò il viso: “Sei molto bella…che ci sei venuta a fare in Italia?”, domandò.

La ragazza intimidita dai modi bruschi non rispose.

“Non importa…sono affari tuoi, tanto ti rimanderanno al tuo paese, prima o poi…”, tagliò corto lui allontanandosi.

Il dottor Claudio Giannini era in quell’ospedale da più di vent’anni, era considerato un bravo medico ma come uomo non riscuoteva molte simpatie. Era sposato con due figli, andava poco d’accordo con la moglie, di lui si diceva che gli piacessero molto le donne. Aveva avuto diverse storie anche nell’ambito ospedaliero, appena ne aveva occasione non si faceva scappare una bella infermiera e ci provava anche con le pazienti se erano giovani ed attraenti.

Zaira venne trasferita in una camera a due letti, si sentiva meglio e a poco a poco anche il ricordo della notte del naufragio riaffiorò nella sua mente. Aveva sperato tanto di raggiungere l’Italia per cominciare una vita senza stenti, il suo sogno era di tornare nella terra dove avevano vissuto i nonni e dove aveva le sue radici…ma ora si trovava lì, e non sapeva che fine avrebbe fatto: aveva ragione il dottore? L’avrebbero rimandata indietro? Senza un lavoro e senza il permesso di soggiorno non poteva rimanere…. Questi pensieri la tormentavano e non riusciva a prendere sonno…

Anche le notti di Vito Lombardi erano agitate: da quando aveva vissuto in prima persona il dramma di quel maledetto naufragio non era più lui. Nei sogni inquieti appariva spesso la donna con la veste azzurra, in piedi, sulla spiaggia, vedeva le linee morbide del suo corpo disegnate dalla stoffa bagnata e quando riusciva a raggiungerla lei lo chiamava per nome e gli chiedeva aiuto. Ossessionato da quella visione il capitano Lombardi decise di andare a informarsi di nuovo in ospedale. Con l’autorità che gli conferiva il suo grado chiese di conoscere i sopravvissuti.

Lo portarono in una corsia dove c’erano uomini che lo guardavano con occhi grandi e rassegnati, ad uno ad uno passò fra i letti dicendo qualche parola di conforto e sperando di vedere la giovane che disturbava i suoi sogni.

“Non c’è anche una donna?”; chiese all’infermiera che lo accompagnava.

“ Venga”, rispose lei dirigendosi verso una stanza.

Vito entrò e si trovò davanti a Zaira che lo guardò intimorita dalla divisa: negli occhi dorati passò un lampo di paura.

 La ragazza era vestita di un camice bianco che faceva risaltare la sua pelle scura, i capelli corvini, inanellati le scendevano sulle spalle: era bellissima.

“Sei venuto a portarmi via?”, chiese con un filo di voce.
“Stai tranquilla”, rispose lui, “sono qui solo per chiedere come stai…l’ultima volta che ti ho vista sembravi morta…”.

Un sospiro di sollievo sollevò il petto di Zaira:

“Ti ringrazio, ora sto meglio ma…dovrò tornare in Somalia?”, mormorò ancora, mentre la bocca si piegava in una smorfia.

“No…ti cercherò un lavoro, se vuoi…”. La giovane si avvicinò e gli toccò un braccio: “Sei buono…come ti chiami?”, domandò. Lui sentì una leggera scossa per tutta la persona: “Vito…e tu?”.

La ragazza disse il suo nome e rimasero qualche secondo a guardarsi negli occhi. Ognuno provò un’emozione sconosciuta. L’uomo si riprese e le chiese come mai parlasse l’italiano e lei gli raccontò la storia della sua famiglia: nonno Salvatore si era trasferito in Somalia negli anni trenta per lavoro e c’era rimasto perché si era innamorato di una ragazza del posto, così alla seconda generazione era nata lei, di sangue misto, che portava in sé le caratteristiche delle due razze. Purtroppo in quel paese tutto era precipitato: la guerra e la miseria l’avevano spinta ad accettare la proposta di un tale che le prometteva lavoro facile in cambio di una bella somma di denaro. Con sacrifici era riuscita a raggranellare i soldi ed era partita piena di speranze a bordo di quella sfortunata carretta del mare.

“Non so ancora come sono riuscita a salvarmi….se non ci fosse stato l’intervento dei tuoi uomini sarei annegata…ti devo la vita”, concluse Zaira avvicinandosi ancor di più.

“Sono felice che sia finita così”, mormorò lui emozionato, “non ti avrei conosciuta e avrei perso molto…”.

La giovane donna sorrise scoprendo i denti bianchissimi, sopra il labbro superiore un piccolo neo rendeva ancora più attraente la bocca carnosa.
“Anche per me è stato bello incontrarti, in un primo momento mi hai fatto paura, ma poi…ho capito dai tuoi occhi buoni che mi avresti aiutato”, asserì guardandolo intensamente. 

 Il feeling che si era creato fra loro era evidente, Vito era turbato: non gli era mai capitato di essere così imbranato di fronte ad una donna. Si riscosse : “Ora devo andare, ma verrò ancora a trovarti”, disse.

“Non dimenticarti di me…non voglio tornare là”, lo pregò lei.

“Stai tranquilla, cercherò in tutti i modi di farti restare ”.  

Per tutto il giorno Vito pensò a Zaira, oltre alla bellezza fisica l’aveva colpito la dolcezza del suo sguardo e il suo modo di muoversi: aveva una sinuosità particolare e una signorilità innata.

Ma non solo Vito era caduto vittima dell’avvenenza della giovane somala, anche il dottor Giannini ci aveva fatto un pensiero e non voleva farsela scappare. Era convinto che, pur di non essere rimpatriata, sicuramente avrebbe ceduto alle sue voglie…erano questi i suoi pensieri segreti ogni volta che l’aveva davanti… così una sera, prima di andarsene la convocò nel suo studio:

“Siediti…”, l’invitò. La ragazza si accomodò di fronte a lui, rigida, sospettosa.

“Tu non vuoi tornare da dove sei venuta, vero?”, cominciò il medico. Zaira scosse la testa per dire di no.

“Allora dovresti trovarti un lavoro….”, continuò lui.

“Come faccio?…non conosco nessuno…il capitano mi ha promesso che lo cercherà per me”, rispose sottovoce la giovane.

“Stai attenta…quel militare non mi convince…che ne diresti di venire a casa mia come domestica?”, insinuò lui con aria melliflua. “Sono sposato e ho due figli, con noi ti troverai come in famiglia”, continuò.

Zaira rimase sorpresa dall’offerta del dottore, sorpresa e contenta, se avesse accettato le avrebbero dato anche il permesso di soggiorno e non ci sarebbero più stati problemi. Poteva ricominciare a vivere.

“Non so come ringraziarla, dottore,” rispose sollevata di aver preso quella decisione; in fin dei conti quel medico si stava dimostrando una brava persona… aveva pensato male di lui quando, durante le visite si soffermava un po’ troppo con le mani sul suo corpo, le dava fastidio essere toccata in quel modo ma…ora doveva ricredersi, sicuramente era stata un’impressione sbagliata…

Quando Vito tornò a trovarla la ragazza era felice:
“Ho un lavoro!”, annunciò allegra, “appena sarò ristabilita andrò a casa del dottor Giannini”.

Il capitano le lanciò uno sguardo sospettoso:
“A fare che cosa?”, chiese rabbuiandosi.

“Aiuterò la moglie nelle faccende domestiche….per me va bene, anche se non l’ho mai fatto. I miei genitori mi hanno fatto studiare, ma non fa niente…ora l’importante è guadagnare qualcosa per aiutarli: muoiono letteralmente di fame. Se la situazione non fosse stata così disperata non mi avrebbero lasciata andare…”, disse tristemente Zaira.

Vito rimase perplesso:
“Anch’io ti avrei trovato una sistemazione…dal parroco”, propose titubante.

In quel momento entrò Giannini: “Allora, Zaira, domani ti dimettiamo e verrai con me”, annunciò trionfante sfidando con lo sguardo il capitano.

La ragazza guardava l’uno e l’altro confusa, il medico notò l’indecisione:

“Non ci avrai ripensato?”, si allarmò, “non puoi andare da nessuna parte…hai bisogno ancora di cure…e se sei in casa mia non ci sarà nessun problema…”. Mentre pronunciava queste parole guardò Vito, aveva capito di avere un rivale e giocava tutte le sue carte per vincere la partita. Il capitano Lombardi non si scompose:
“La decisione deve prenderla lei”, disse secco accennando a Zaira.

“No…”, interruppe Giannini”, “come ho detto, per il momento la ragazza non è in grado di andare altrove….ne va della sua salute…deve ancora curarsi”.

“ Non le farà certo bene fare la serva”, affermò categorico Vito.

“Ma…forse non mi sono spiegato: a casa mia farà compagnia a mia madre che è anziana, solo questo…se poi non si trova bene e se ne vorrà andare, io non la tratterrò”, continuò il dottore cercando di sorridere in modo cordiale.

Zaira era indecisa, lanciò uno sguardo a Vito come per chiedere aiuto, ma Giannini non le diede il tempo nemmeno di rispondere. “Ho pensato di anticipare ad oggi l’uscita dall’ospedale…preparati, verrò a prenderti prima di sera”, detto questo accennò ad un saluto e se ne andò senza dare il modo di replicare.

“Quel medico non mi piace”, disse Vito, “però… un lavoro vale l’altro e se si tratta di fare compagnia ad una persona anziana può andare anche bene…”.
                                                                                                                                             (continua)

 

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