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sabato 7 giugno 2014

QUINTA PUNTATA " INSEGUIRE UN SOGNO"


 



 

L’aereo per New York volava oltre le nubi, rannicchiata in un sedile Serena tremava per l’emozione: non sapeva a cosa andava incontro, l’unico suo pensiero era di fuggire il più lontano possibile. Le era rimasto ancora  denaro sufficiente per partire e mantenersi qualche giorno in una città qualsiasi.

Quando si era trovata all’aeroporto, al momento di fare il biglietto l’unica meta sicura le era sembrata la città dove avrebbe trovato Philip, era certa che lui l’avrebbe aiutata.

Accanto a lei sedeva un uomo maturo con grandi occhiali scuri che ogni tanto si voltava a guardarla. Serena non l’aveva nemmeno notato, era troppo intenta a pensare … “A quest’ora Sandro starà impazzendo per cercarmi… non mi può denunciare, altrimenti sarebbe coinvolto anche lui, come spiegherebbe alla polizia la scomparsa dei diamanti della rapina?…per il momento anche mio fratello non corre rischi…” Questi ed altri pensieri frullavano per la mente di Serena quando sentì qualcosa di strano salirle alla gola e vide oscurarsi tutto davanti a lei.

Il tizio che le sedeva accanto si accorse del suo pallore:

“Signorina, si sente male?”, chiese preoccupato.

Serena cercò di riprendersi, ma sentiva che le forze le venivano meno. L’uomo prese una fiaschetta dalla tasca e cercò di fare bere un sorso di liquore alla ragazza. Questa ingollò il liquido forte e poco dopo il viso riprese colore.

“Grazie”, sussurrò. “Forse sarà perché non mangio da parecchie ore”

“Se è per questo risolviamo subito”, disse il suo vicino. Chiamò la hostess e si fece portare qualcosa di sostanzioso.

“Mi chiamo Raniero e faccio il fotografo di moda”, disse il suo salvatore .Serena conosceva bene quel nome, aveva sempre sperato in passato di lavorare con lui, ma non ce n’era mai stata l’occasione: non disse niente, tanto ormai quel tipo di lavoro non la interessava più.

Il fotografo la guardava con insistenza.

“Va anche lei a New York?” le chiese.

“Sì, vado da un amico”, rispose lei. “Spero di trovarlo, altrimenti non saprei come fare”, aggiunse in fretta.

Raniero non rispose, stava osservandola.

“E’ da quando siamo partiti che vorrei farle una proposta…”

Serena lo guardò di traverso .

“No, non mi fraintenda… sto proprio cercando una ragazza come lei per una serie di servizi di moda che dovrò fare negli Stati Uniti, se vuole… venga a trovarmi nello studio di New York”.

Serena non si aspettava nulla di simile, prese il biglietto che l’uomo aveva fra le mani e lo guardò incredula:

“Non so…”, disse, “non posso promettere niente, non so nemmeno cosa sarà di me domani…”

“Ho capito che si trova in difficoltà…se posso, sarò ben felice di aiutarla” .Dietro i grossi occhiali cerchiati di tartaruga gli occhi dell’uomo ispiravano fiducia.

Quando l’aereo atterrò all’aeroporto di New York, Serena si diresse di corsa verso un posteggio di taxi e si fece portare al giornale dove lavorava Philip. Non vedeva l’ora di incontrarlo anche se avrebbe dovuto spiegare troppe cose e aveva quasi paura di non essere creduta. Tremava per l’emozione quando si trovò nella grande sala open space della redazione. Non sapeva a chi rivolgersi e si guardava in giro smarrita, finalmente una graziosa signora bionda le rivolse la parola:

“Posso esserle utile?”, chiese con garbo.

“Vorrei parlare con Philip Randon ..sono una sua amica…”, rispose titubante.

L’altra la osservava con simpatia : “E’ italiana?”, disse sorridendo.

“Sì…sono arrivata da poco… “

“Oh, io adoro l’Italia…Roma…Venezia…Firenze”, sussurrò la donna con occhi sognanti.

Serena era sulle spine, avrebbe voluto affrettare i tempi ma non osava interrompere la sua interlocutrice che si era lanciata in una descrizione appassionata delle bellezze italiane.

“Scusi… potrei vedere mister Randon?”, riuscì a porre la domanda in una breve pausa.

“Ah, sì… Philip  non è qui…ho dimenticato di dirle che è partito per l’India la settimana scorsa…” rispose la signora come se annunciasse una bella notizia.

Sul viso di Serena passò una nube:

“Quando ritorna?”, disse con la voce che le tremava.

“Non so… forse tra sei mesi…un anno…”, rispose l’altra alzando le spalle.

Sussurrando un flebile “grazie” Serena se ne andò a capo chino, senza voltarsi indietro .

Sul marciapiede della grande città si sentiva annientata: non conosceva nessuno, non sapeva dove andare, i soldi che si era fatta dare da Sandro con la scusa dello shopping erano dimezzati. La gente frettolosa la spintonava , i grattacieli con la loro presenza maestosa le mettevano angoscia, vagava per la strada senza una meta e le lacrime scendevano copiose a bagnarle il viso. Mise la mano in tasca per prendere il fazzoletto e si trovò fra le dita il biglietto del fotografo incontrato sull’aereo. Le tornò alla mente lo sguardo bonario dell’uomo dietro le lenti , si ricordò delle sue parole “ se si trova in difficoltà venga da me, cercherò di aiutarla”; non aveva altra scelta e decise di seguire il destino …

Lo studio fotografico si trovava al ventesimo piano di un grattacielo, l’ascensore saliva velocemente e Serena avrebbe voluto scendere, non sapeva a cosa andava incontro e aveva timore di aver preso la decisione sbagliata. Quando finalmente arrivò si trovò catapultata nel caos più totale: le modelle seminude stavano cambiandosi per indossare gli abiti ammucchiati su un divano blu, grandi teloni bianchi facevano da sfondo nel grande spazio occupato da riflettori e attrezzature fotografiche; truccatori, assistenti, redattori di moda, si muovevano freneticamente ai comandi di Raniero che stava su una specie di trespolo in maniche di camicia e bretellone rosse. Serena si fermò sulla porta senza dire una parola, non osava avanzare di un passo per non intralciare il lavoro degli altri, si guardò intorno cercando qualcuno cui rivolgersi, ma erano tutti talmente indaffarati che non l’avevano nemmeno notata. Stava per andarsene quando sentì la voce del fotografo:

“Vieni avanti, non stare lì impalata… sei arrivata proprio come il cacio sui maccheroni!”

“Dice a me?”, chiese la ragazza stupita.

“Sì, dico proprio a te, sono contento che tu sia venuta…”, l’uomo scese dallo sgabello e si diresse verso Serena, la prese per le braccia e la diresse al centro del locale.

“Vedi?… stavo proprio cercando una faccia come la tua…queste ragazze sono belle”, disse indicando il gruppetto delle modelle, “ma non hanno la tua espressione… sono fredde…non hanno anima…”.

Serena arrossì. L’uomo vedendo che le sue parole l’avevano confusa disse:
“Non credere che questi siano complimenti…sei veramente bella e… mi servi per lavoro, dunque…mettiamoci all’opera!”

Il grande peso che Serena aveva nel cuore si dileguò: poteva dire di aver risolto in parte i suoi problemi; seguì docilmente Raniero e cominciò a posare per le foto. Serena si muoveva disinvolta davanti all’obiettivo, il clic del fotografo era come impazzito, scattava in continuazione preso dall’entusiasmo: era stupito dalla professionalità della ragazza.

“Non dirmi che è la prima volta”, disse “ sei troppo brava!”

Serena preferì tacere per non sciupare quel momento magico e per lasciargli la soddisfazione di aver scoperto un “talento naturale”, come diceva lui. Lavorarono fino a notte alta, poi spossata chiese una pausa.

“Accipicchia! Hai ragione, non mi sono accorto che è tardissimo…vieni con me, ti trovo una stanza nel mio albergo, domani si continua…”,disse Raniero allargando la bocca in uno sbadiglio. Era evidentemente contento delle foto scattate, mise una mano attorno le spalle di Serena e le disse serio:

“Sono contento di aver trovato una stella….stammi vicino e non te ne pentirai”.

Da quel momento Serena visse come dentro una favola, si trovò improvvisamente al centro di un turbine: Raniero ne fece una fotomodella richiesta dalle agenzie e dai giornali del settore, gli stilisti se la contendevano per farle indossare i loro abiti, il suo bellissimo viso occupava le copertine delle più importanti riviste di moda. Ma nonostante che la fama e la ricchezza le fossero piombate addosso di colpo lasciandola quasi stordita, nel cuore di Serena c’era una vena di tristezza, il suo passato tornava per ricordarle che c’era sempre una minaccia in agguato.

Da parecchi mesi era negli Stati Uniti e non aveva avuto più notizie né di Sandro e tantomeno di suo fratello Walter, viveva nell’ansia di sapere come erano andate a finire le cose. Sfogliava i giornali italiani con la paura di leggere il nome di Walter fra gli imputati di omicidio. Pensava spesso anche a Philip, ma aveva abbandonato l’idea di rivederlo, era ormai passato troppo tempo e non si illudeva di essere ancora nei suoi pensieri. Molti uomini la desideravano, ma per lei c’era solo il lavoro, le piaceva stordirsi in lunghe ore davanti all’obiettivo del fotografo, era continuamente in viaggio per il mondo, ma non era più tornata in Italia.

+++

La telefonata di Serena aveva portato lo scompiglio alla Questura Centrale di Milano; immediatamente la macchina della giustizia si era messa in moto e le indagini sulla rapina di via Montenapoleone erano state riaperte. La lettera contenente la chiave della cassetta alla stazione era arrivata puntualmente e il commissario Parisi si era recato di persona a prelevare la piccola borsa di pelle nera contenente i diamanti.

Quando, nell’ufficio del commissariato, aprì la valigetta non poté trattenere un’esclamazione di meraviglia: “Guarda qui che roba!...sembrano proprio i diamanti della rapina in Montenapoleone…chissà perché ce l’hanno restituiti”. Alzò il capo e puntò il dito contro chi gli stava vicino: “Caputo!”, disse perentorio, “dobbiamo ricominciare tutto da capo”.

Loredana Caputo annuì rassegnata, incrociò le braccia e aspettò: sapeva che di lì a poco il commissario l’avrebbe mandata chissà dove. Infatti Parisi nello spazio di pochi secondi sciorinò una serie di indagini che la povera Caputo doveva effettuare entro le ventiquattrore, non c’era stato niente da fare: quando il commissario dava ordini bisognava scattare, subito, senza fiatare.

Il giorno dopo infatti l’agente speciale entrò nell’ufficio del capo trionfante:

“Sono stata dal solito confidente, sa quel tale che chiamano lo slavo, e mi ha detto che un biondino ha venduto qualche brillante proprio la settimana scorsa. Glieli ha comprati Samuel , il ricettatore di porta Romana”, disse tutto di un fiato.

La ragazza aveva la gola secca e non riusciva ad andare avanti. Però Parisi non era molto paziente e alzando la voce gridò:

“Vuoi sbrigarti a parlare?…non ho tempo da perdere, spero che tu sia andata da quel Samuel!”

“Certo capo, ma prima vorrei bere un bicchiere d’acqua…”, rispose Caputo con la voce impastata.

Ingollò tutto d’un fiato un enorme bicchiere di liquido, poi si ricompose.

“Dunque, sono andata dal ricettatore e sotto la minaccia di metterlo dentro mi sono fatta dire chi gli aveva venduto i diamanti”.

“Chi è questo galantuomo?”, disse il commissario con un sorrisetto.

“E’ un tale Sandro, che frequentava il giro dei pittori, anzi era amico del Rinaldi…quello trovato morto nella mansarda”.

A queste parole le orecchie di Parisi si fecero più attente:
“Brava Caputo, forse abbiamo trovato qualcosa di molto, molto interessante…”, disse accendendosi una sigaretta. “Per prima cosa dobbiamo assolutamente mettere le mani su questo Sandro, poi penso che troveremo la strada in discesa… prenderemo due piccioni con una fava…cioè, risolveremo due casi in un sol colpo!” Si fregò le mani, si infilò il soprabito e uscì.

Nella mente di Parisi si era fatta strada un’ipotesi che voleva verificare, il furto dei diamanti e il delitto della soffitta potevano essere collegati, doveva interrogare il biondino, ma la sua ricerca si era dimostrata più difficile del previsto, era scomparso da parecchi giorni e nessuno sapeva dove fosse andato.

Per parecchio tempo il commissario brancolò nel buio, aveva messo sottosopra tutto il quartiere, nessuno parlava, anzi più passavano i giorni e più si allontanava la soluzione del caso.

Ma la mano del destino era pronta ad aiutarlo. Sandro, dopo aver inutilmente cercato Serena a Montecarlo, aveva deciso di tornare a Milano, era furioso, deluso e ancora incredulo che quella fanciullina dal viso d’angelo gli avesse tirato quel tiro mancino…non poteva aver fatto tutto da sola, certamente qualcuno l’aveva aiutata…non poteva essere andata lontano, e lui l’avrebbe trovata!

Ricominciò a bazzicare per i soliti posti, a frequentare i soliti amici, a interrogare qua e là per cercare di scoprire dove era finita Serena. A furia di farsi vedere in giro anche il commissario Parisi riuscì a pizzicarlo e a portarlo in questura.

In principio cercò di negare tutto: “State prendendo un granchio, io non c’entro per niente… non so nemmeno di cosa state parlando”. Ma quando il commissario gli mostrò la borsa con i diamanti il suo viso si sbiancò, capì di essere intrappolato e, con sadico compiacimento per punire Serena, spifferò tutto quello che aveva sentito nella famosa notte di gennaio tirando in ballo naturalmente Walter, sul quale si dovevano concentrare i sospetti per l’omicidio di Marcello. Aveva capito che la ragazza si era vendicata restituendo il malloppo alla polizia e l’unico modo per renderle pan per focaccia era quello di denunciare suo fratello, come aveva sempre minacciato di fare.

Per Parisi ricominciava la caccia all’uomo.

(continua sabato prossimo)

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