6°puntata
Walter, il fratello
di Serena, già da quando erano iniziate le prime indagini sull’assassinio di
Marcello, aveva pensato bene di dileguarsi. Si era nascosto in un piccolo paese
del sud, protetto dal silenzio dei compaesani, ma viveva con la paura di essere
scoperto. Passava le giornate rintanato in casa , si faceva portare i giornali
del nord, in special modo il “Corriere
della Sera”, il quotidiano milanese che in quei giorni pubblicava notizie
sull’assassinio del pittore.
Leggeva
ansioso gli articoli che riguardavano il caso con il terrore che
scoprissero il suo rifugio.
Effettivamente Parisi era una brutta bestia,
tenace e cocciuto come un mastino; aveva sguinzagliato molti dei suoi collaboratori
dappertutto e la sventurata Caputo ne
aveva fatto le spese. Dopo estenuanti viaggi per le autostrade di tutta Italia,
dopo interrogatori e colloqui interminabili con gli informatori della mala
milanese, riuscì a sapere il nome del paesello dove si era rifugiato il suo
ricercato. La poliziotta non se la sentiva di andare a prelevare un conterraneo
e cercò di essere esentata dall’incarico, ma il commissario fu irremovibile
E Caputo si
rifece l’Autostrada del Sole in direzione Sud.
Non fu
difficile per l’agente speciale scoprire la tana del fratello di Serena, e
Walter si lasciò ammanettare e trasferire dalla Calabria a Milano dove l’aspettava
Parisi.
Davanti al commissario , Walter voleva fare il
duro, ma dentro di sé tremava come una foglia, si rendeva conto di essere in
una situazione tragica, era imputato di omicidio, ma non aveva ucciso il suo
amico, non l’avrebbe mai fatto! Tutte le prove erano contro di lui, anche la
portinaia dello stabile l’aveva riconosciuto per quel tale che saliva le scale quella
mattina, quando era stato scoperto il corpo senza vita di Marcello. Prima tentò
di negare tutto, poi messo alle strette, davanti all’evidenza crollò.
“Sì, è vero,
sono andato su da lui per parlargli…ma era già morto, e sono scappato!”
“Giovanotto…a
chi credi di darla da bere…confessa e sarà meglio per te!”, gridò infuriato il
commissario.
Erano già più
di sei ore che i due uomini si fronteggiavano, Walter era madido di sudore e
Parisi passeggiava nervosamente per l’ufficio accendendosi una sigaretta dietro
l’altra.
“Quei
maledetti diamanti li avete rubati in coppia?…vero?”, si fermò a un centimetro
dal viso dell’imputato puntandogli addosso gli occhi pieni di rabbia.
“Sì…c’ero
anch’io…”, rispose Walter abbassando lo sguardo, poi di scatto rialzò la testa:
“…ma non ho ammazzato Marcello…era mio amico”, urlò.
“ Qualcuno vi
ha sentiti litigare furiosamente…vero??”
“ Sì, ma poi
me ne sono andato e Marcello era ancora vivo e quando sono ritornato per
riprendere la discussione era morto!! Non sono stato io, ve lo giuro!”
Nel suo viso c’era tanta disperazione che
anche il commissario quasi s’impietosì.
“Va bene…va
bene.. tanto per questa sera non riuscirò più a cavarti niente.. Caputo! Fallo
mettere dentro!”
Parisi era un
uomo dalla scorza dura, era difficile entrare nei suoi sentimenti, aveva tanti
anni di mestiere sulle spalle che aveva dovuto mettersi una corazza. Le persone
che doveva affrontare tutti i giorni non erano certo delle mammolette, sapeva
come prendere certi soggetti, ma quando il dubbio si insinuava nel cervello non
si dava pace. Anche quella sera andando a casa pensava agli occhi disperati del
ragazzo che aveva torchiato per tutto il giorno; certo non era uno stinco di
santo ma…e se non fosse stato lui?
Ci pensò su
tutta la notte e la mattina dopo entrò in commissariato spettinato più del
solito e con la barba lunga. I suoi collaboratori si misero subito sulla
difensiva: avevano capito che l’aria che tirava non era delle migliori, infatti
poco dopo cominciò ad impartire ordini.
“Caputo!…vai
a prendere la macchina…sbrigati”.
Quando Parisi
si metteva in testa qualcosa era difficile farlo tornare indietro, in quel caso
non era molto convinto della colpevolezza del Molinari e voleva andare a fondo…e
così ladri, spacciatori, drogati,
malavitosi di ogni specie non ebbero più tregua. La sua cocciutaggine infine fu
premiata perché riuscì a trovare un appiglio nella giungla intricata della
droga.
Risultò dalle
indagini che Marcello Rinaldi
saltuariamente spacciava eroina, aveva un disperato bisogno di soldi proprio
nel periodo in cui decise di rapinare il gioielliere, la banda che gli forniva
la roba pretendeva l’incasso della vendita e…il pittore non aveva più il denaro,
l’aveva dilapidato al gioco.
Fatta la
rapina nascose i brillanti nella cornice del quadro raffigurante Serena e lo
portò alla galleria d’arte di via Brera pregando il proprietario di tenerlo per
qualche giorno: sentiva il fiato sul collo e sapeva che quei preziosi sassolini
sarebbero finiti nelle tasche dei suoi persecutori.
Quando Parisi
capì di essere sulla strada giusta fu come sollevato, anche questa volta il suo
fiuto gli aveva dato ragione, non mollò finché non ebbe il colpevole vero… lo
trovò dopo parecchi giorni, era un killer della mafia.
L’assassinio del pittore era stato il solito
regolamento di conti: in quell’ambiente quando uno sgarra deve essere punito
con la morte
Il fratello
di Serena era stato complice nella rapina dei gioielli ma non c’entrava con l’omicidio
di Marcello. Il caso era finalmente chiuso .
+++
Serena,
carica di pacchetti camminava spedita per la strada, i suoi capelli biondi
ondeggiavano ad ogni passo, era vestita con una minigonna e una camicetta di
seta, molti si voltavano a guardarla; stava andando a un appuntamento di lavoro
ed era già in ritardo. Passò davanti a una rivendita di giornali e si ricordò
di non aver ancora acquistato il quotidiano italiano, come faceva tutti giorni.
Infilò il giornale in una busta insieme ad altre cose, si riprometteva di
leggerlo come d’abitudine nella pausa del pranzo. Entrò nello studio
fotografico che erano già tutti pronti, aspettavano solo lei.
Raniero le andò incontro furibondo: “ Si può
sapere dove ti sei cacciata? dobbiamo finire prima di sera… non riesco mai
a capire perché sei sempre in ritardo!”
“Calmati… mi
preparo subito…”, rispose Serena senza scomporsi; sapeva che le ire di Raniero
sbollivano in fretta, in fondo era un uomo dal cuore d’oro.
Dopo qualche
ora sentì il bisogno di riposarsi: “Facciamo una pausa?” chiese con la sua voce
più dolce.
“E va bene…”,
acconsentì il fotografo, “ Mangio un panino anch’io, mi è venuta una fame da
lupo”.
La ragazza si
mise seduta su una poltroncina e, mentre sbocconcellava un toast diede
un’occhiata al giornale. Poco dopo si alzò di scatto lasciando cadere quello
che aveva in mano:
“Mio Dio!”,
esclamò diventando pallida.
“Cosa succede
?”, Raniero si avvicinò allarmato.
Serena
nascose in fretta il giornale: “Scusami, non è niente… ho creduto di leggere
una brutta notizia, mi sono sbagliata…non preoccuparti…”
L’uomo la
guardò in viso e vide che aveva cambiato espressione:
“Se c’è qualcosa che non va, dimmelo, sono sempre pronto a venire in tuo aiuto”, disse mettendole paternamente una mano sui capelli. Raniero si era affezionato a quella ragazza come a una figlia, aveva intuito che c’era un mistero nella sua vita, qualcosa che la turbava e che la rendeva infelice, spesso la sorprendeva a guardare nel vuoto, con aria assente, come se la sua mente vagasse perduta fra i ricordi.
“Se c’è qualcosa che non va, dimmelo, sono sempre pronto a venire in tuo aiuto”, disse mettendole paternamente una mano sui capelli. Raniero si era affezionato a quella ragazza come a una figlia, aveva intuito che c’era un mistero nella sua vita, qualcosa che la turbava e che la rendeva infelice, spesso la sorprendeva a guardare nel vuoto, con aria assente, come se la sua mente vagasse perduta fra i ricordi.
“Ti assicuro
che tutto è O.K.!”, rispose la ragazza con un mesto sorriso.
.Il fotografo
si rese conto che non avrebbe ottenuto nessuna spiegazione: Serena si era
chiusa in se stessa come un’ostrica. Con molta delicatezza non le chiese più
niente, ma aveva notato che era molto distratta, tutto quello che faceva
sembrava costarle molta fatica. Alla fine della giornata Serena si avvicinò:
“Raniero…devo partire”. Disse . La sua voce era come un sussurro, tanto che quasi lui non aveva capito.
“Raniero…devo partire”. Disse . La sua voce era come un sussurro, tanto che quasi lui non aveva capito.
“Come dici?”,
chiese l’uomo sorpreso.
“Devo tornare
in Italia…”, riprese lei, “è successo qualcosa che per ora non ti posso dire…ti
prego, lasciami andare, tornerò presto, te lo prometto”.
“Come faccio
a lasciarti andare adesso?…dobbiamo finire questo servizio, ti rendi conto ?
Abbiamo preso un impegno che non posso rimandare!”.
L’uomo puntò gli occhi sul viso di Serena:
“Cosa ti sta succedendo? Me lo vuoi dire una buona volta? Ti ho dimostrato
fiducia e…ormai sono affezionato a te, cosa ci posso fare…confidati, cercherò
di essere dalla tua parte”.
La ragazza
prese dalla borsa il giornale che aveva nascosto e glielo mostrò:
“Ecco leggi qui”, disse rassegnata. Sulla pagina spiccava un titolo: “Riaperto il caso Rinaldi. Un amico sospettato dell’omicidio del pittore.” All’interno dell’articolo c’era la foto di Walter.
“Ecco leggi qui”, disse rassegnata. Sulla pagina spiccava un titolo: “Riaperto il caso Rinaldi. Un amico sospettato dell’omicidio del pittore.” All’interno dell’articolo c’era la foto di Walter.
“Ho visto”,
disse il fotografo guardando interrogativamente Serena. “Non capisco…tu cosa
c’entri?”
Puntando il
dito sul piccolo riquadro, Serena rispose con le lacrime agli occhi:
“E’ mio fratello! Devo aiutarlo”, nella sua
voce e nei suoi occhi c’era tanta angoscia che l’uomo si intenerì; la fece
sedere vicino a sé e, delicatamente le sollevò il viso:
“Adesso mi
racconti tutto…voglio sapere quello che ti tormenta da tanto tempo. Cosa credi
che non me ne sia accorto? Sei una bella ragazza, ma tanto triste e avevo
sempre sospettato che c’era qualcosa nel tuo passato che non mi avevi detto…Su,
coraggio… poi ti lascerò andare”, rispose Raniero bonariamente “ma…non prima di
aver ultimato il lavoro in corso”, concluse con un sorriso per cercare di
sdrammatizzare quel momento di tensione.
Serena
cominciò a parlare a bassa voce, mano a mano che le parole le venivano alle
labbra riviveva quei giorni tremendi, ma finalmente poteva dire il suo segreto
a qualcuno e si accorse che questo le faceva bene, si stava liberando dal peso
che l’aveva oppressa fino a quel momento.
Non sapeva però
che nel frattempo il commissario Parisi aveva risolto il caso, sul giornale non
comparivano le ultimissime notizie e Serena era stata presa dalla smania di
tornare in patria per sapere la verità. Dopo aver ascoltato il racconto della
sua pupilla, Raniero non ebbe il coraggio di trattenerla e la lasciò partire.
Tornava a Milano dopo quasi un anno di assenza, durante il quale era diventata
qualcuno e aveva accumulato denaro sufficiente per poter pagare un buon
avvocato che difendesse Walter: era questo il suo obiettivo e durante il
viaggio di ritorno non faceva altro che pensare a suo fratello. Era tormentata
anche da mille paure: rivedere Sandro e soprattutto rivedere i luoghi dove era sbocciato
il suo amore per Philip.
Ritornava
indietro con i ricordi: il momento in cui si erano conosciuti…il primo baco
sotto un portone e l’ultima notte
passata con lui. Il rimorso di averlo tradito non l’aveva mai abbandonata e il
non averlo più rivisto aveva lasciato nel suo animo una ferita che non si era
mai rimarginata. Molto spesso lo sognava e al mattino dopo era contenta, iniziava
la giornata con più allegria. Purtroppo i sogni non erano la realtà e, sperando
in un miracolo, qualche volta era andata alla redazione del suo giornale per
chiedere se era tornato, ma la bionda signora che la prima volta l’aveva
informata con tanta naturalezza che “ il signor Randon era partito” le aveva
puntualmente risposto che era ancora in India…
+++
L’uomo che
scendeva dalla scaletta dell’aereo dell’Air India era un tipo singolare: la barba biondiccia che gli
incorniciava disordinatamente il viso gli dava un’aria trasandata, anche i
capelli spettinati che gli arrivavano quasi sulle spalle ne accentuavano
l’aspetto rude. Indossava un giaccone verde militare dalle cui tasche
spuntavano gli oggetti più disparati. A tracolla un borsone e la macchina
fotografica. Si guardò in giro e alzò gli occhi al cielo:
“Finalmente a
casa!”, borbottò. Si incamminò con gli altri passeggeri all’uscita, prima di
infilarsi dentro un taxi si fermò per comprare dei giornali: la sua attenzione
fu attirata dalla copertina di Vogue
sulla quale compariva un viso che gli fece aumentare i battiti del cuore.
“Serena!”, esclamò. Qualcuno si voltò stupito da quel tipo strano che parlava
da solo.
Philip Randon
stava ritornando dalla lunga permanenza
in India come inviato speciale, aveva pregato il suo direttore di affidargli
quell’incarico per cercare di dimenticare l’assurda e misteriosa storia con la
donna che l’aveva fatto innamorare perdutamente, doveva andarsene per non
continuare a cercarla come aveva sempre fatto dopo il suo rientro a New York
dall’Italia. Tutte le telefonate, le varie indagini fatte fare da amici erano
risultate vane: Serena era sparita nel nulla , come se non fosse mai esistita,
di lei gli era rimasto solo il ricordo struggente delle ore trascorse insieme,
niente altro…Del quadro nessuna traccia, aveva perfino parlato con il direttore
della galleria d’arte dove l’aveva comprato, ma anche lui gli aveva dato
risposta negativa: “Mi dispiace, mister Randon, sono completamente all’oscuro
di tutto…del quadro non ho nessuna notizia e tanto meno della ragazza”. La
telefonata all’antiquario era stata l’ultima della lunga serie, poi Philip si
convinse che non l’avrebbe trovata mai più e se ne andò in India dove niente
avrebbe potuto ricordargli lei…
(continua sabato prossimo)
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