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venerdì 7 febbraio 2014

UNO SPARO NELLA NOTTE


 

 

Un colpo di pistola ruppe il silenzio della notte e un corpo cadde di schianto sull’asfalto, un’ombra fuggì e scomparve dietro l’angolo della via. Qualche finestra si illuminò, un grido si propagò per tutta la strada.

 Poco dopo l’urlo della sirena squarciò l’aria, un’ambulanza si fermò al limite del marciapiede dove era disteso un uomo.

Adriana stava rincasando, era andata a teatro con un’amica, poi si era fermata a bere qualcosa in un locale; sapeva che suo marito sarebbe rimasto in ospedale per il turno di notte e non aveva fretta. Arrivò nei pressi di casa e notò il capannello di gente che stava osservando qualcosa sulla strada. Posteggiò l’auto e si avvicinò incuriosita: «E’ morto…chiamate la polizia», stava dicendo un medico chino su un corpo. La donna si avvicinò e il cuore cominciò a batterle all’impazzata, aveva riconosciuto il giubbotto di pelle di Mauro. «Lasciatemi passare. E’ mio marito!», urlò con la voce strozzata, ci fu un momento di silenzio, poi gli agenti si scostarono. La donna si buttò sul corpo senza vita piangendo disperata, nessuno osava disturbare il suo dolore, alzò il viso e chiese singhiozzando: «Che cosa è successo?! Chi gli ha sparato?».

«Non lo sappiamo, stiamo aspettando la polizia, siamo appena arrivati. Venga, le do’ un calmante», rispose il medico sorreggendo Adriana che stava per sentirsi male. E in quel momento la vettura azzurra delle forze dell’ordine inchiodò sull’asfalto: un uomo scese e si avvicinò al cadavere, l’osservò attentamente:

 «Chi ci ha chiamato?», disse poi guardandosi  intorno. Si fece avanti un tipo di mezza età:

«Io…», rispose con la voce tremante.

«Commissario Parisi», si presentò quello che era sceso dalla pantera, «mi dica cos’ha visto».

«Sono una guardia giurata e stavo facendo il solito giro di controllo, quando ho sentito un colpo di pistola, poi ho visto qualcuno scappare e salire su un’auto parcheggiata all’angolo, non ho potuto vedere la targa, era buio, mi sono precipitato qui, per vedere cosa era successo».

«Va bene, per ora può andare, lasci le sue generalità e si tenga a disposizione», lo congedò il commissario.

 «Cercate i suoi documenti», ordinò ai suoi uomini accennando al morto.

L’agente speciale Loredana Caputo frugò nelle tasche dell’uomo per terra.

. «E’ il dottor Mauro Guidi, medico chirurgo, e abitava in questa via al numero quaranta», affermò mentre stava prendendo visione della carta d’identità del morto.  

Il commissario si guardò intorno e individuò lo stabile, in quel momento qualcuno gli disse che la moglie della vittima era nell’ambulanza per un malore dopo aver visto il marito ammazzato brutalmente.

 Parisi si avvicinò mentre Adriana stava uscendo ancora pallida e sconvolta.

«Le mie condoglianze, signora», sillabò il commissario che in quelle circostanze non sapeva mai cosa dire. Lei alzò su di lui gli occhi dolenti: «Grazie», rispose semplicemente.

«Capisco che non è il momento, però dovrei farle qualche domanda, ma non qui. Vedo che non si sente bene, potremmo salire in casa sua, così possiamo parlare con calma», disse con tutta la gentilezza di cui disponeva.

Adriana l’accompagnò senza dire una parola:

 «C’è mio figlio Samuel in casa», disse infine  prima di aprire la porta.

 Il ragazzo dormiva, il trambusto in strada non  l’aveva svegliato, si alzò stropicciandosi gli occhi e, vedendo la madre entrare con uno sconosciuto la guardò con aria interrogativa

«Chi è?», chiese. Adriana non rispose subito,  poi con molta cautela raccontò i fatti.

 Samuel apprese così che suo padre era stato assassinato. Contrariamente a ciò che il commissario Parisi si aspettava, il ragazzo non batté ciglio, diventò pallido e, rivolgendosi alla madre mormorò :

««Posso vederlo?».

«Se vuoi scendere in strada prima che rimuovano il corpo, potrai dare l’ultimo saluto a tuo padre», affermò il poliziotto guardandolo fisso in viso. Samuel aprì la porta e uscì senza parlare.

Il commissario seppe da Adriana che il marito era un chirurgo della clinica Salus e che quella notte avrebbe dovuto essere in servizio per questo lei non si spiegava come mai, alle due fosse nei pressi di casa. Alla domanda se pensava che avesse dei nemici, la donna disse semplicemente:

«Non credo, alla clinica gli volevano tutti bene», nella sua voce c’era una sofferenza infinita, rispondeva come se fosse in un'altra dimensione.

Quando uscì da quella casa Alex Parisi aveva le farfalle nello stomaco e un macigno al posto del cuore.

Come capitava sempre, quando c’erano dei casi da risolvere, il commissario entrava in uno stato di perenne agitazione, Loredana  si augurava che tutto finisse presto perché sapeva che il suo capo  diventava intrattabile e rendeva  la vita impossibile a tutti.

 Parisi, in quel caso aveva escluso subito l’aggressione per  rapina perché nel portafoglio trovato nelle tasche del dottore c’era ancora una notevole somma di denaro, e non mancavano né l’orologio e neppure il cellulare. Era senza nessun dubbio un omicidio compiuto per vendetta, o per altre ragioni che ancora non gli erano chiare, ma quello che era certo era che  bisognava trovare il colpevole.

 Diede ordini precisi: interrogare il personale della clinica, indagare sulla vita del chirurgo e della famiglia Guidi in generale… e così la Caputo, come al solito, era in pista tutto il santo giorno a indagare e interrogare chi gli capitava a tiro.

I risultati non si fecero attendere: seppe che il medico qualche giorno prima aveva avuto una forte discussione con il marito di una paziente da lui operata e purtroppo deceduta: l’uomo l’accusava di aver sbagliato l’intervento: «Me l’hai uccisa! », l’avevano sentito urlare, «hai tolto la madre ai miei figli, assassino!». Il chirurgo non aveva avuto la forza di replicare, un’infermiera presente aveva detto che il dottore era diventato pallido e le sole parole che aveva pronunciato erano state: «Non è stata colpa mia….è intervenuta un’emorragia mentre operavo. Ho fatto di tutto per salvarla!»,  poi se ne era andato a capo chino.

L’autore della scenata era  un certo Viviani, idraulico:

«Commissario lo vuole interrogare?», chiese Loredana mettendo sulla scrivania i verbali delle inchieste.

«Certamente! Cosa aspetti…», sbottò lui, «manda subito a prenderlo!»

Poco dopo,  seduto davanti alla scrivania l’uomo non riusciva a stare fermo, la sua gamba sinistra sembrava avesse un tremito, era in continua agitazione, si torceva le mani nervosamente.

Il commissario lo stava fissando da qualche minuto senza battere ciglio, finalmente si decise a fare la domanda di rito: «Dov’era all’ora del delitto? ».

«Ero fuori a camminare, da quando è morta mia moglie non riesco a prendere sonno».

«Allora non ha un alibi», incalzò Parisi.

L’idraulico scosse la testa:

 «E’ così purtroppo…, lui ha ucciso Vittoria, ma io non l’ho ucciso, cercate da un’altra parte, siete sulla strada sbagliata», disse quasi urlando. Era diventato rosso e sembrava sul punto di scoppiare.

«Calmati, Viviani, se non sei stato tu lo vedremo», esclamò innervosito il commissario.

 Poi l’interrogò con accanimento: quel tipo non gli era simpatico, era un irascibile attaccabrighe e poteva essere stato lui. Non aveva alibi, c’era il movente,  mancava l’arma ma con calma si sarebbe  trovata…

Non riuscendo a cavargli nulla  lo lasciò andare: uscendo l’uomo sbatté la porta dell’ufficio dietro di sé.

Non passò nemmeno mezz’ora dall’interrogatorio del presunto colpevole che l’agente Caputo irruppe nel suo ufficio:

«Commissario, guardi qui», esclamò mettendogli davanti un plico.

«E questo cos’è? Devo leggermi tutto il dossier?».

«No, commissario, bastano le prime righe», ribatté la ragazza.

  E, quando il solerte commissario scorse mezza pagina, scosse la testa e si mise una mano sotto il mento in atteggiamento statico, si volse verso Loredana:

«Guarda, guarda… il ragazzo non è figlio del dottore, ma della moglie», sogghignò.

«E sembra anche che non sia uno stinco di santo. E’ già stato indagato perché trovato in possesso di hashish, e i suoi vicini dicono che non era in buoni rapporti con il padrigno, litigavano spesso!», rispose la Caputo.

«Cerca di portarmelo qui al più presto, voglio sentire cosa mi dice questo giovanotto», ordinò il commissario.

Samuel controvoglia, varcò la soglia dell’ufficio di polizia.

«Non andavi d’accordo con tuo padre?», cominciò Parisi rivolto al ragazzo.

Lui lo fissò, le sue labbra si strinsero e il viso assunse un’espressione aggressiva:

« Chi gliel’ha detto, mia madre?», rispose strafottente.

«Stai tranquillo, io so più di quanto credi, allora mi rispondi? E preferisco che tu mi dica la verità, mi sono spiegato?», minacciò il poliziotto.

Samuel ammise di non essere mai stato in buoni rapporti con il chirurgo che lo teneva a stecchetto e pretendeva di inserirsi nella sua vita.

« Non era nemmeno mio padre», si lasciò scappare il ragazzo.

«E tu eri pieno di debiti, giocavi e ti facevi le canne, forse se non ci fosse stato lui avresti potuto spremere meglio tua madre?», azzardò il commissario aspettando una reazione.

Ma l’altro non batté ciglio e scosse la testa:

 «So dove vuole arrivare, non sono stato io, poi  ho un alibi: ero a letto e mi ha visto proprio lei, ricorda?».

« Avevi tutto il tempo di ficcarti sotto le lenzuola e far finta di niente», ribatté Parisi, «Per adesso vai, ne riparleremo», disse congedandolo.

Era già sera e il commissario aveva voglia di staccare e tornare a casa, pregustava già il  momento di mettersi in poltrona con un buon bicchiere di vino rosso: era un’abitudine che non voleva perdere, lo riconciliava con la vita.

Stava proprio gustando il Brunello da Montalcino, quando la musichetta del telefonino si fece sentire. «Ho dimenticato di spegnerlo», brontolò. La voce agitata di Loredana uscì dal cellulare:

 «So che non dovrei disturbarla, mi perdoni commissario, ma ho una notizia importante da darle».

«Sono tutt’orecchi», rispose pazientemente Parisi.

(continua)

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