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sabato 21 giugno 2014

FINALE : "INSEGUIRE UN SOGNO"


 Quell’immagine che gli sorrideva dalla copertina gli sembrava un miraggio: “Come è possibile!”, pensò. Nel rivedere quel viso riprovò la medesima sensazione di quasi beatitudine che aveva provato davanti al quadro, ingigantita però dalla felicità di avere la certezza di poter presto rivedere la sua donna.

Nella redazione del giornale seppe che Serena l’aveva cercato più volte e questo gli diede la conferma che era lì, negli Stati Uniti, forse arrivata proprio per lui …ma il destino si era messo di mezzo e l’aveva fatto partire proprio nel momento in cui lei arrivava. Non se la sarebbe più fatta scappare: telefonò immediatamente alla rivista di moda ed ebbe il recapito del fotografo che aveva fatto la foto di copertina. Non lasciò passare nemmeno un minuto, si precipitò all’indirizzo dello studio pregustando il momento di incontrare Serena…quasi non poteva crederci, gli sembrava di vivere in un sogno e aveva paura di svegliarsi.

“Cerca Serena?”, gli chiese Raniero rispondendo alla domanda di quel tipo strano che gli aveva chiesto della signorina Molinari.

“Sì, mi dica dove posso trovarla..” Nella voce del giornalista c’era l’ansia repressa di chi non vuole perdere del tempo prezioso. Il fotografo, dopo una pausa , lo guardò e allungandogli una mano disse:

“Lei è Philip?” Stupito di essere stato riconosciuto lui annuì, “Come sa di me…?”, chiese  sempre più meravigliato.

“Serena mi ha raccontato della vostra storia a Milano”,  rispose Raniero , “sono felice di fare la sua conoscenza, venga , si accomodi…le devo spiegare tante cose.”

 Il fotografo l’accompagnò verso un divanetto:

 “Prego, si sieda.” Per Philip quel cerimoniale era una tortura, non gli interessava parlare con quell’uomo, voleva solo sapere se poteva rivedere Serena, al più presto. Senza accogliere l’invito restò in piedi :

 “Lei…dov’è?” , chiese bruscamente, “ non posso vederla?”

“La prego di accomodarsi”; insisté l’altro, “come le ho detto devo farle un lungo racconto…e ci vuole tempo”

 Pazientemente Raniero aspettò che Philip si sedesse.

Quando il fotografo cominciò a parlare, il giornalista quasi non riusciva a credere alle parole di quel tale che s’impicciava dei fatti suoi; lo guardava con astio, come se inventasse quello che stava raccontando, ma poi la lunga spiegazione della vicenda di Serena lo convinse che stava dicendo la verità. Tutto quello che allora gli era sembrato strano e misterioso diveniva improvvisamente chiaro, si spiegava il comportamento di Serena nell’ultima sera in cui erano stati insieme, si spiegavano gli strani maneggi attorno al quadro  quando l’aveva sorpresa in piedi sul letto mentre stava osservando la cornice…e l’espressione impaurita del suo viso!

Mentre Raniero cercava le parole per raccontare il legame con Sandro, stringeva i pugni per contenere la rabbia. Povera Serena! Perseguitata e ricattata…lasciata in balia di un mascalzone. Stava ad ascoltare attonito l’incredibile storia che quell’uomo gli stava raccontando, ammirato dal coraggio che Serena aveva dimostrato, lei così fragile eppure così forte da mettere nel sacco il suo persecutore; si commosse quando seppe che era arrivata negli Stati Uniti solo per lui, per cercare protezione e non aveva trovato nessuno…

“Ma…adesso dov’è?”, disse interrompendo il fotografo che ancora non aveva finito di raccontare. Raniero gli mostrò il giornale con la foto di Walter:

“E’ tornata in Italia per aiutare suo fratello…non so come andrà a finire ne’ quando tornerà!”, disse tristemente.

“Nooo!”, gridò Peter. “Non posso perderla un’altra volta!”

 Un oscuro destino lo seguiva impedendogli di riunirsi alla donna che amava, imprecando contro tutto e contro tutti uscì dallo studio fotografico e si ritrovò in strada pieno di rabbia senza sapere cosa fare. Non voleva rassegnarsi, ma doveva accettare la realtà e sperare che Serena ritornasse da lui.

+++

Il commissario Parisi sgranò gli occhi stupito: nel suo modesto e polveroso ufficio era entrato un raggio di sole. La ragazza che sedeva al di là della scrivania era straordinariamente bella, gli sembrava di averla già vista da qualche parte…ma non si ricordava dove. Ma l’importante era che  era lì, davanti a lui e lo fissava con quegli occhi grigioazzurri che lo facevano andare in confusione.

“Dunque, signorina, mi stava dicendo…?”, chiese ricomponendosi.

“Commissario, sono la sorella di Walter Molinari…vorrei sapere dov’è e…se posso vederlo.” Rispose Serena, era già la terza volta che ripeteva la domanda.

“Ah… sì…sì, il caso Rinaldi! Sa che suo fratello è imputato di rapina?”

Parisi disse questo controvoglia, avrebbe voluto dare notizie migliori a quella meraviglia della natura.

“Mi scusi, ma sono appena arrivata dagli Stati Uniti…ho letto su un giornale che potrebbe essere l’assassino di Marcello, ma sono sicura che non è stato lui! Mi dica qualcosa, la prego…”

Il commissario si alzò e le andò vicino:

 “Si tranquillizzi…non è stato lui! Proprio in questi giorni ho saputo la verità: Rinaldi è stato vittima di un regolamento di conti…era il suo fidanzato, vero?”, chiese .

 Con un cenno della testa Serena disse di sì, non riusciva nemmeno a parlare, la conferma dell’innocenza di Walter le aveva tolto un enorme peso dal cuore. Non le importava che suo fratello fosse ancora in prigione con l’accusa di rapina, le bastava sapere che non era un assassino, i diamanti erano stati restituiti e un buon avvocato avrebbe potuto fargli ridurre la pena.

Quando Serena uscì dal commissariato era quasi notte, e pioveva. La luce dei lampioni si rifletteva sulle pozzanghere della strada, il cielo era cupo , ma dentro di lei c’era il sereno. Ritornò in albergo e chiamò subito Raniero per dargli la bella notizia. “Torno presto”, gli gridò al telefono e quando l’altro gli disse che Philip era a New York e l’aveva cercata non voleva crederci. La gioia di poterlo rivedere era tanto grande che le mancava quasi il respiro: finalmente poteva ritrovare la felicità che aveva inseguito per tutto quel tempo. Decise di partire con il primo aereo disponibile, subito…voleva buttargli le braccia al collo e dirgli tutto il suo amore, ormai era libera: “mi merito un po’ di serenità” si disse. Il giorno dopo fece i bagagli in fretta, cercò immediatamente un avvocato  per la difesa di Walter, tutto filava liscio, chiuse le valige, ma mentre stava uscendo dalla camera sentì squillare il telefono: “Signorina Molinari, un signore desidera parlarle”. Era l’impiegato della reception. “Sto scendendo, gli dica di attendermi…” , rispose Serena contrariata.

Uscì dall’ascensore e si trovò davanti Sandro: il ciuffo biondo era sempre lo stesso, forse un po’ più arruffato, sul viso la solita espressione indisponente, questa volta accentuata dall’ira che traspariva dagli occhi cupi. Serena sentì gelarsi il sangue nelle vene.

“Ti ho trovata finalmente!”, esclamò lui con voce repressa, “ho un conto da saldare con te… devi pagare perché ho sofferto. Ero innamorato…ma adesso ti odio e non ti perdono. Non mi importa se andrò in galera, tanto la mia vita è rovinata”. Serena non si accorse nemmeno che nella mano di Sandro era comparsa un’arma, non ebbe il tempo di fuggire… il colpo secco risuonò nella grande hall: il corpo della ragazza cadde a terra senza un lamento.

 

Philip Randon ripercorreva via Brera dopo tanto tempo, nei suoi pensieri naturalmente c’era Serena. Come poteva dimenticarla ritrovandosi in quei luoghi? Dal giorno del suo ritorno dall’India erano passati parecchi mesi ed era appena arrivato in Italia per un nuovo incarico. Arrivato all’altezza della galleria d’arte che aveva segnato la sua vita fu preso da un’infinita tristezza. Quanti ricordi! Di proposito volle passare abbassando lo sguardo , ma questo non gli impedì di scorgere con la coda dell’occhio l’immagine che occupava una parte della piccola vetrina. Alzò gli occhi e rimase a fissare il quadro esposto per qualche secondo senza avere il coraggio di entrare: dietro il vetro c’era il viso di Serena con quell’espressione che l’aveva fatto innamorare. La sorpresa l’aveva inchiodato davanti alla porta:  era persecuzione quella che metteva sulla sua strada quel quadro! Si fece forza ed entrò: un giovane gli venne incontro. “Desidera?”, gli chiese . Philip non sapeva nemmeno cosa rispondere. Con un cenno della testa in direzione del dipinto riuscì a farfugliare: “Ecco…vorrei…..”. Intuendo il suo desiderio il ragazzo lo anticipò:
“Quel quadro?…non è in vendita…è solo l’insegna della nostra galleria”.
“Ma io…l’avevo già acquistato…tanto tempo fa”, disse Philip sempre più confuso.

“Come dice?”, il suo interlocutore lo guardava perplesso.

 In quel momento una voce femminile si fece sentire:

 “C’è qualcosa che non va ?”.

 La figura di una donna si stagliò sulla porta a vetri che dava sul retro. Il viso era in ombra ma a Philip cominciò a battere il cuore, quando la giovane donna avanzò e li raggiunse il grido che gli sfuggì era di immensa gioia: “Serena!” Anche lei spalancò gli occhi e gli corse incontro:  si ritrovarono stretti in un appassionato abbraccio. Philip le toccava i capelli, il viso, come impazzito di felicità: “Finalmente …, non posso crederci!… non è un sogno… Adesso non ti lascerò andare via…mai più ! come mai sei qui?…”, chiese guardandosi in giro.

Negli occhi chiari di Serena passò un’ombra:

“Sono viva per miracolo, ho passato dei giorni tremendi, non mi importava più di niente: tutto mi sembrava inutile…anche la vita. Poi lentamente sono uscita dall’incubo, ho rilevato la galleria e sono rimasta ad aspettarti…sapevo che prima o poi saresti ritornato, quel quadro, ritrovato per caso, è servito da richiamo. In quella tela c’è una strana magia che ti attira…”.

Philip la guardò dolcemente:

“Non è quel quadro che voglio…sei tu! E per sempre.

                                                                                                            FINE

 

sabato 14 giugno 2014

SESTA PUNTATA " INSEGUIRE UN SOGNO"


 

 

 

6°puntata

 

Walter, il fratello di Serena, già da quando erano iniziate le prime indagini sull’assassinio di Marcello, aveva pensato bene di dileguarsi. Si era nascosto in un piccolo paese del sud, protetto dal silenzio dei compaesani, ma viveva con la paura di essere scoperto. Passava le giornate rintanato in casa , si faceva portare i giornali del nord, in special modo il “Corriere della Sera”, il quotidiano milanese che in quei giorni pubblicava notizie sull’assassinio del pittore.

Leggeva ansioso gli articoli che riguardavano il caso con il terrore che scoprissero il suo rifugio.

 Effettivamente Parisi era una brutta bestia, tenace e cocciuto come un mastino; aveva sguinzagliato molti dei suoi collaboratori dappertutto e  la sventurata Caputo ne aveva fatto le spese. Dopo estenuanti viaggi per le autostrade di tutta Italia, dopo interrogatori e colloqui interminabili con gli informatori della mala milanese, riuscì a sapere il nome del paesello dove si era rifugiato il suo ricercato. La poliziotta non se la sentiva di andare a prelevare un conterraneo e cercò di essere esentata dall’incarico, ma il commissario fu irremovibile

E Caputo si rifece l’Autostrada del Sole in direzione Sud.

Non fu difficile per l’agente speciale scoprire la tana del fratello di Serena, e Walter si lasciò ammanettare e trasferire dalla Calabria a Milano dove l’aspettava Parisi.

 Davanti al commissario , Walter voleva fare il duro, ma dentro di sé tremava come una foglia, si rendeva conto di essere in una situazione tragica, era imputato di omicidio, ma non aveva ucciso il suo amico, non l’avrebbe mai fatto! Tutte le prove erano contro di lui, anche la portinaia dello stabile l’aveva riconosciuto per quel tale che saliva le scale quella mattina, quando era stato scoperto il corpo senza vita di Marcello. Prima tentò di negare tutto, poi messo alle strette, davanti all’evidenza crollò.

“Sì, è vero, sono andato su da lui per parlargli…ma era già morto, e sono scappato!”

“Giovanotto…a chi credi di darla da bere…confessa e sarà meglio per te!”, gridò infuriato il commissario.

Erano già più di sei ore che i due uomini si fronteggiavano, Walter era madido di sudore e Parisi passeggiava nervosamente per l’ufficio accendendosi una sigaretta dietro l’altra.

“Quei maledetti diamanti li avete rubati in coppia?…vero?”, si fermò a un centimetro dal viso dell’imputato puntandogli addosso gli occhi pieni di rabbia.

“Sì…c’ero anch’io…”, rispose Walter abbassando lo sguardo, poi di scatto rialzò la testa: “…ma non ho ammazzato Marcello…era mio amico”, urlò.

“ Qualcuno vi ha sentiti litigare furiosamente…vero??”

“ Sì, ma poi me ne sono andato e Marcello era ancora vivo e quando sono ritornato per riprendere la discussione era morto!! Non sono stato io, ve lo giuro!”

 Nel suo viso c’era tanta disperazione che anche il commissario quasi s’impietosì.

“Va bene…va bene.. tanto per questa sera non riuscirò più a cavarti niente.. Caputo! Fallo mettere dentro!”

Parisi era un uomo dalla scorza dura, era difficile entrare nei suoi sentimenti, aveva tanti anni di mestiere sulle spalle che aveva dovuto mettersi una corazza. Le persone che doveva affrontare tutti i giorni non erano certo delle mammolette, sapeva come prendere certi soggetti, ma quando il dubbio si insinuava nel cervello non si dava pace. Anche quella sera andando a casa pensava agli occhi disperati del ragazzo che aveva torchiato per tutto il giorno; certo non era uno stinco di santo ma…e se non fosse stato lui?

Ci pensò su tutta la notte e la mattina dopo entrò in commissariato spettinato più del solito e con la barba lunga. I suoi collaboratori si misero subito sulla difensiva: avevano capito che l’aria che tirava non era delle migliori, infatti poco dopo cominciò ad impartire ordini.

“Caputo!…vai a prendere la macchina…sbrigati”.

Quando Parisi si metteva in testa qualcosa era difficile farlo tornare indietro, in quel caso non era molto convinto della colpevolezza del Molinari e voleva andare a fondo…e così  ladri, spacciatori, drogati, malavitosi di ogni specie non ebbero più tregua. La sua cocciutaggine infine fu premiata perché riuscì a trovare un appiglio nella giungla intricata della droga.

Risultò dalle indagini che  Marcello Rinaldi saltuariamente spacciava eroina, aveva un disperato bisogno di soldi proprio nel periodo in cui decise di rapinare il gioielliere, la banda che gli forniva la roba pretendeva l’incasso della vendita e…il pittore non aveva più il denaro, l’aveva dilapidato al gioco.

Fatta la rapina nascose i brillanti nella cornice del quadro raffigurante Serena e lo portò alla galleria d’arte di via Brera pregando il proprietario di tenerlo per qualche giorno: sentiva il fiato sul collo e sapeva che quei preziosi sassolini sarebbero finiti nelle tasche dei suoi persecutori.

Quando Parisi capì di essere sulla strada giusta fu come sollevato, anche questa volta il suo fiuto gli aveva dato ragione, non mollò finché non ebbe il colpevole vero… lo trovò dopo parecchi giorni, era un killer della mafia.

 L’assassinio del pittore era stato il solito regolamento di conti: in quell’ambiente quando uno sgarra deve essere punito con la morte

Il fratello di Serena era stato complice nella rapina dei gioielli ma non c’entrava con l’omicidio di Marcello. Il caso era finalmente chiuso .

+++

 

Serena, carica di pacchetti camminava spedita per la strada, i suoi capelli biondi ondeggiavano ad ogni passo, era vestita con una minigonna e una camicetta di seta, molti si voltavano a guardarla; stava andando a un appuntamento di lavoro ed era già in ritardo. Passò davanti a una rivendita di giornali e si ricordò di non aver ancora acquistato il quotidiano italiano, come faceva tutti giorni. Infilò il giornale in una busta insieme ad altre cose, si riprometteva di leggerlo come d’abitudine nella pausa del pranzo. Entrò nello studio fotografico che erano già tutti pronti, aspettavano solo lei.

 Raniero le andò incontro furibondo: “ Si può sapere dove ti sei cacciata?   dobbiamo finire prima di sera… non riesco mai a capire perché sei sempre in ritardo!”

“Calmati… mi preparo subito…”, rispose Serena senza scomporsi; sapeva che le ire di Raniero sbollivano in fretta, in fondo era un uomo dal cuore d’oro.

Dopo qualche ora sentì il bisogno di riposarsi: “Facciamo una pausa?” chiese con la sua voce più dolce.

“E va bene…”, acconsentì il fotografo, “ Mangio un panino anch’io, mi è venuta una fame da lupo”.

La ragazza si mise seduta su una poltroncina e, mentre sbocconcellava un toast diede un’occhiata al giornale. Poco dopo si alzò di scatto lasciando cadere quello che aveva in mano:

“Mio Dio!”, esclamò diventando pallida.

“Cosa succede ?”, Raniero si avvicinò allarmato.

Serena nascose in fretta il giornale: “Scusami, non è niente… ho creduto di leggere una brutta notizia, mi sono sbagliata…non preoccuparti…”

L’uomo la guardò in viso e vide che aveva cambiato espressione:
“Se c’è qualcosa che non va, dimmelo, sono sempre pronto a venire in tuo aiuto”, disse mettendole paternamente una mano sui capelli. Raniero si era affezionato a quella ragazza come a una figlia, aveva intuito che c’era un mistero nella sua vita, qualcosa che la turbava e che la rendeva infelice, spesso la sorprendeva a guardare nel vuoto, con aria assente, come se la sua mente vagasse perduta fra i ricordi.

“Ti assicuro che tutto è O.K.!”, rispose la ragazza con un mesto sorriso.

.Il fotografo si rese conto che non avrebbe ottenuto nessuna spiegazione: Serena si era chiusa in se stessa come un’ostrica. Con molta delicatezza non le chiese più niente, ma aveva notato che era molto distratta, tutto quello che faceva sembrava costarle molta fatica. Alla fine della giornata Serena si avvicinò:
“Raniero…devo partire”. Disse . La sua voce era come un sussurro, tanto che quasi lui non aveva capito.

“Come dici?”, chiese l’uomo sorpreso.

“Devo tornare in Italia…”, riprese lei, “è successo qualcosa che per ora non ti posso dire…ti prego, lasciami andare, tornerò presto, te lo prometto”.

“Come faccio a lasciarti andare adesso?…dobbiamo finire questo servizio, ti rendi conto ? Abbiamo preso un impegno che non posso rimandare!”.

 L’uomo puntò gli occhi sul viso di Serena: “Cosa ti sta succedendo? Me lo vuoi dire una buona volta? Ti ho dimostrato fiducia e…ormai sono affezionato a te, cosa ci posso fare…confidati, cercherò di essere dalla tua parte”.

La ragazza prese dalla borsa il giornale che aveva nascosto e glielo  mostrò:
“Ecco leggi qui”, disse rassegnata. Sulla pagina spiccava un titolo: “Riaperto il caso Rinaldi. Un amico sospettato dell’omicidio del pittore.” All’interno dell’articolo c’era la foto di Walter.

“Ho visto”, disse il fotografo guardando interrogativamente Serena. “Non capisco…tu cosa c’entri?”

Puntando il dito sul piccolo riquadro, Serena rispose con le lacrime agli occhi:

 “E’ mio fratello! Devo aiutarlo”, nella sua voce e nei suoi occhi c’era tanta angoscia che l’uomo si intenerì; la fece sedere vicino a sé e, delicatamente le sollevò il viso:

“Adesso mi racconti tutto…voglio sapere quello che ti tormenta da tanto tempo. Cosa credi che non me ne sia accorto? Sei una bella ragazza, ma tanto triste e avevo sempre sospettato che c’era qualcosa nel tuo passato che non mi avevi detto…Su, coraggio… poi ti lascerò andare”, rispose Raniero bonariamente “ma…non prima di aver ultimato il lavoro in corso”, concluse con un sorriso per cercare di sdrammatizzare quel momento di tensione.

Serena cominciò a parlare a bassa voce, mano a mano che le parole le venivano alle labbra riviveva quei giorni tremendi, ma finalmente poteva dire il suo segreto a qualcuno e si accorse che questo le faceva bene, si stava liberando dal peso che l’aveva oppressa fino a quel momento.

Non sapeva però che nel frattempo il commissario Parisi aveva risolto il caso, sul giornale non comparivano le ultimissime notizie e Serena era stata presa dalla smania di tornare in patria per sapere la verità. Dopo aver ascoltato il racconto della sua pupilla, Raniero non ebbe il coraggio di trattenerla e la lasciò partire. Tornava a Milano dopo quasi un anno di assenza, durante il quale era diventata qualcuno e aveva accumulato denaro sufficiente per poter pagare un buon avvocato che difendesse Walter: era questo il suo obiettivo e durante il viaggio di ritorno non faceva altro che pensare a suo fratello. Era tormentata anche da mille paure: rivedere Sandro e soprattutto rivedere i luoghi dove era sbocciato il suo amore per Philip.

Ritornava indietro con i ricordi: il momento in cui si erano conosciuti…il primo baco sotto un portone  e l’ultima notte passata con lui. Il rimorso di averlo tradito non l’aveva mai abbandonata e il non averlo più rivisto aveva lasciato nel suo animo una ferita che non si era mai rimarginata. Molto spesso lo sognava e al mattino dopo era contenta, iniziava la giornata con più allegria. Purtroppo i sogni non erano la realtà e, sperando in un miracolo, qualche volta era andata alla redazione del suo giornale per chiedere se era tornato, ma la bionda signora che la prima volta l’aveva informata con tanta naturalezza che “ il signor Randon era partito” le aveva puntualmente risposto che era ancora in India…

+++

L’uomo che scendeva dalla scaletta dell’aereo dell’Air India era un tipo  singolare: la barba biondiccia che gli incorniciava disordinatamente il viso gli dava un’aria trasandata, anche i capelli spettinati che gli arrivavano quasi sulle spalle ne accentuavano l’aspetto rude. Indossava un giaccone verde militare dalle cui tasche spuntavano gli oggetti più disparati. A tracolla un borsone e la macchina fotografica. Si guardò in giro e alzò gli occhi al cielo:

“Finalmente a casa!”, borbottò. Si incamminò con gli altri passeggeri all’uscita, prima di infilarsi dentro un taxi si fermò per comprare dei giornali: la sua attenzione fu attirata dalla copertina di Vogue sulla quale compariva un viso che gli fece aumentare i battiti del cuore. “Serena!”, esclamò. Qualcuno si voltò stupito da quel tipo strano che parlava da solo.

Philip Randon  stava ritornando dalla lunga permanenza in India come inviato speciale, aveva pregato il suo direttore di affidargli quell’incarico per cercare di dimenticare l’assurda e misteriosa storia con la donna che l’aveva fatto innamorare perdutamente, doveva andarsene per non continuare a cercarla come aveva sempre fatto dopo il suo rientro a New York dall’Italia. Tutte le telefonate, le varie indagini fatte fare da amici erano risultate vane: Serena era sparita nel nulla , come se non fosse mai esistita, di lei gli era rimasto solo il ricordo struggente delle ore trascorse insieme, niente altro…Del quadro nessuna traccia, aveva perfino parlato con il direttore della galleria d’arte dove l’aveva comprato, ma anche lui gli aveva dato risposta negativa: “Mi dispiace, mister Randon, sono completamente all’oscuro di tutto…del quadro non ho nessuna notizia e tanto meno della ragazza”. La telefonata all’antiquario era stata l’ultima della lunga serie, poi Philip si convinse che non l’avrebbe trovata mai più e se ne andò in India dove niente avrebbe potuto ricordargli lei…

(continua sabato prossimo)

sabato 7 giugno 2014

QUINTA PUNTATA " INSEGUIRE UN SOGNO"


 



 

L’aereo per New York volava oltre le nubi, rannicchiata in un sedile Serena tremava per l’emozione: non sapeva a cosa andava incontro, l’unico suo pensiero era di fuggire il più lontano possibile. Le era rimasto ancora  denaro sufficiente per partire e mantenersi qualche giorno in una città qualsiasi.

Quando si era trovata all’aeroporto, al momento di fare il biglietto l’unica meta sicura le era sembrata la città dove avrebbe trovato Philip, era certa che lui l’avrebbe aiutata.

Accanto a lei sedeva un uomo maturo con grandi occhiali scuri che ogni tanto si voltava a guardarla. Serena non l’aveva nemmeno notato, era troppo intenta a pensare … “A quest’ora Sandro starà impazzendo per cercarmi… non mi può denunciare, altrimenti sarebbe coinvolto anche lui, come spiegherebbe alla polizia la scomparsa dei diamanti della rapina?…per il momento anche mio fratello non corre rischi…” Questi ed altri pensieri frullavano per la mente di Serena quando sentì qualcosa di strano salirle alla gola e vide oscurarsi tutto davanti a lei.

Il tizio che le sedeva accanto si accorse del suo pallore:

“Signorina, si sente male?”, chiese preoccupato.

Serena cercò di riprendersi, ma sentiva che le forze le venivano meno. L’uomo prese una fiaschetta dalla tasca e cercò di fare bere un sorso di liquore alla ragazza. Questa ingollò il liquido forte e poco dopo il viso riprese colore.

“Grazie”, sussurrò. “Forse sarà perché non mangio da parecchie ore”

“Se è per questo risolviamo subito”, disse il suo vicino. Chiamò la hostess e si fece portare qualcosa di sostanzioso.

“Mi chiamo Raniero e faccio il fotografo di moda”, disse il suo salvatore .Serena conosceva bene quel nome, aveva sempre sperato in passato di lavorare con lui, ma non ce n’era mai stata l’occasione: non disse niente, tanto ormai quel tipo di lavoro non la interessava più.

Il fotografo la guardava con insistenza.

“Va anche lei a New York?” le chiese.

“Sì, vado da un amico”, rispose lei. “Spero di trovarlo, altrimenti non saprei come fare”, aggiunse in fretta.

Raniero non rispose, stava osservandola.

“E’ da quando siamo partiti che vorrei farle una proposta…”

Serena lo guardò di traverso .

“No, non mi fraintenda… sto proprio cercando una ragazza come lei per una serie di servizi di moda che dovrò fare negli Stati Uniti, se vuole… venga a trovarmi nello studio di New York”.

Serena non si aspettava nulla di simile, prese il biglietto che l’uomo aveva fra le mani e lo guardò incredula:

“Non so…”, disse, “non posso promettere niente, non so nemmeno cosa sarà di me domani…”

“Ho capito che si trova in difficoltà…se posso, sarò ben felice di aiutarla” .Dietro i grossi occhiali cerchiati di tartaruga gli occhi dell’uomo ispiravano fiducia.

Quando l’aereo atterrò all’aeroporto di New York, Serena si diresse di corsa verso un posteggio di taxi e si fece portare al giornale dove lavorava Philip. Non vedeva l’ora di incontrarlo anche se avrebbe dovuto spiegare troppe cose e aveva quasi paura di non essere creduta. Tremava per l’emozione quando si trovò nella grande sala open space della redazione. Non sapeva a chi rivolgersi e si guardava in giro smarrita, finalmente una graziosa signora bionda le rivolse la parola:

“Posso esserle utile?”, chiese con garbo.

“Vorrei parlare con Philip Randon ..sono una sua amica…”, rispose titubante.

L’altra la osservava con simpatia : “E’ italiana?”, disse sorridendo.

“Sì…sono arrivata da poco… “

“Oh, io adoro l’Italia…Roma…Venezia…Firenze”, sussurrò la donna con occhi sognanti.

Serena era sulle spine, avrebbe voluto affrettare i tempi ma non osava interrompere la sua interlocutrice che si era lanciata in una descrizione appassionata delle bellezze italiane.

“Scusi… potrei vedere mister Randon?”, riuscì a porre la domanda in una breve pausa.

“Ah, sì… Philip  non è qui…ho dimenticato di dirle che è partito per l’India la settimana scorsa…” rispose la signora come se annunciasse una bella notizia.

Sul viso di Serena passò una nube:

“Quando ritorna?”, disse con la voce che le tremava.

“Non so… forse tra sei mesi…un anno…”, rispose l’altra alzando le spalle.

Sussurrando un flebile “grazie” Serena se ne andò a capo chino, senza voltarsi indietro .

Sul marciapiede della grande città si sentiva annientata: non conosceva nessuno, non sapeva dove andare, i soldi che si era fatta dare da Sandro con la scusa dello shopping erano dimezzati. La gente frettolosa la spintonava , i grattacieli con la loro presenza maestosa le mettevano angoscia, vagava per la strada senza una meta e le lacrime scendevano copiose a bagnarle il viso. Mise la mano in tasca per prendere il fazzoletto e si trovò fra le dita il biglietto del fotografo incontrato sull’aereo. Le tornò alla mente lo sguardo bonario dell’uomo dietro le lenti , si ricordò delle sue parole “ se si trova in difficoltà venga da me, cercherò di aiutarla”; non aveva altra scelta e decise di seguire il destino …

Lo studio fotografico si trovava al ventesimo piano di un grattacielo, l’ascensore saliva velocemente e Serena avrebbe voluto scendere, non sapeva a cosa andava incontro e aveva timore di aver preso la decisione sbagliata. Quando finalmente arrivò si trovò catapultata nel caos più totale: le modelle seminude stavano cambiandosi per indossare gli abiti ammucchiati su un divano blu, grandi teloni bianchi facevano da sfondo nel grande spazio occupato da riflettori e attrezzature fotografiche; truccatori, assistenti, redattori di moda, si muovevano freneticamente ai comandi di Raniero che stava su una specie di trespolo in maniche di camicia e bretellone rosse. Serena si fermò sulla porta senza dire una parola, non osava avanzare di un passo per non intralciare il lavoro degli altri, si guardò intorno cercando qualcuno cui rivolgersi, ma erano tutti talmente indaffarati che non l’avevano nemmeno notata. Stava per andarsene quando sentì la voce del fotografo:

“Vieni avanti, non stare lì impalata… sei arrivata proprio come il cacio sui maccheroni!”

“Dice a me?”, chiese la ragazza stupita.

“Sì, dico proprio a te, sono contento che tu sia venuta…”, l’uomo scese dallo sgabello e si diresse verso Serena, la prese per le braccia e la diresse al centro del locale.

“Vedi?… stavo proprio cercando una faccia come la tua…queste ragazze sono belle”, disse indicando il gruppetto delle modelle, “ma non hanno la tua espressione… sono fredde…non hanno anima…”.

Serena arrossì. L’uomo vedendo che le sue parole l’avevano confusa disse:
“Non credere che questi siano complimenti…sei veramente bella e… mi servi per lavoro, dunque…mettiamoci all’opera!”

Il grande peso che Serena aveva nel cuore si dileguò: poteva dire di aver risolto in parte i suoi problemi; seguì docilmente Raniero e cominciò a posare per le foto. Serena si muoveva disinvolta davanti all’obiettivo, il clic del fotografo era come impazzito, scattava in continuazione preso dall’entusiasmo: era stupito dalla professionalità della ragazza.

“Non dirmi che è la prima volta”, disse “ sei troppo brava!”

Serena preferì tacere per non sciupare quel momento magico e per lasciargli la soddisfazione di aver scoperto un “talento naturale”, come diceva lui. Lavorarono fino a notte alta, poi spossata chiese una pausa.

“Accipicchia! Hai ragione, non mi sono accorto che è tardissimo…vieni con me, ti trovo una stanza nel mio albergo, domani si continua…”,disse Raniero allargando la bocca in uno sbadiglio. Era evidentemente contento delle foto scattate, mise una mano attorno le spalle di Serena e le disse serio:

“Sono contento di aver trovato una stella….stammi vicino e non te ne pentirai”.

Da quel momento Serena visse come dentro una favola, si trovò improvvisamente al centro di un turbine: Raniero ne fece una fotomodella richiesta dalle agenzie e dai giornali del settore, gli stilisti se la contendevano per farle indossare i loro abiti, il suo bellissimo viso occupava le copertine delle più importanti riviste di moda. Ma nonostante che la fama e la ricchezza le fossero piombate addosso di colpo lasciandola quasi stordita, nel cuore di Serena c’era una vena di tristezza, il suo passato tornava per ricordarle che c’era sempre una minaccia in agguato.

Da parecchi mesi era negli Stati Uniti e non aveva avuto più notizie né di Sandro e tantomeno di suo fratello Walter, viveva nell’ansia di sapere come erano andate a finire le cose. Sfogliava i giornali italiani con la paura di leggere il nome di Walter fra gli imputati di omicidio. Pensava spesso anche a Philip, ma aveva abbandonato l’idea di rivederlo, era ormai passato troppo tempo e non si illudeva di essere ancora nei suoi pensieri. Molti uomini la desideravano, ma per lei c’era solo il lavoro, le piaceva stordirsi in lunghe ore davanti all’obiettivo del fotografo, era continuamente in viaggio per il mondo, ma non era più tornata in Italia.

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La telefonata di Serena aveva portato lo scompiglio alla Questura Centrale di Milano; immediatamente la macchina della giustizia si era messa in moto e le indagini sulla rapina di via Montenapoleone erano state riaperte. La lettera contenente la chiave della cassetta alla stazione era arrivata puntualmente e il commissario Parisi si era recato di persona a prelevare la piccola borsa di pelle nera contenente i diamanti.

Quando, nell’ufficio del commissariato, aprì la valigetta non poté trattenere un’esclamazione di meraviglia: “Guarda qui che roba!...sembrano proprio i diamanti della rapina in Montenapoleone…chissà perché ce l’hanno restituiti”. Alzò il capo e puntò il dito contro chi gli stava vicino: “Caputo!”, disse perentorio, “dobbiamo ricominciare tutto da capo”.

Loredana Caputo annuì rassegnata, incrociò le braccia e aspettò: sapeva che di lì a poco il commissario l’avrebbe mandata chissà dove. Infatti Parisi nello spazio di pochi secondi sciorinò una serie di indagini che la povera Caputo doveva effettuare entro le ventiquattrore, non c’era stato niente da fare: quando il commissario dava ordini bisognava scattare, subito, senza fiatare.

Il giorno dopo infatti l’agente speciale entrò nell’ufficio del capo trionfante:

“Sono stata dal solito confidente, sa quel tale che chiamano lo slavo, e mi ha detto che un biondino ha venduto qualche brillante proprio la settimana scorsa. Glieli ha comprati Samuel , il ricettatore di porta Romana”, disse tutto di un fiato.

La ragazza aveva la gola secca e non riusciva ad andare avanti. Però Parisi non era molto paziente e alzando la voce gridò:

“Vuoi sbrigarti a parlare?…non ho tempo da perdere, spero che tu sia andata da quel Samuel!”

“Certo capo, ma prima vorrei bere un bicchiere d’acqua…”, rispose Caputo con la voce impastata.

Ingollò tutto d’un fiato un enorme bicchiere di liquido, poi si ricompose.

“Dunque, sono andata dal ricettatore e sotto la minaccia di metterlo dentro mi sono fatta dire chi gli aveva venduto i diamanti”.

“Chi è questo galantuomo?”, disse il commissario con un sorrisetto.

“E’ un tale Sandro, che frequentava il giro dei pittori, anzi era amico del Rinaldi…quello trovato morto nella mansarda”.

A queste parole le orecchie di Parisi si fecero più attente:
“Brava Caputo, forse abbiamo trovato qualcosa di molto, molto interessante…”, disse accendendosi una sigaretta. “Per prima cosa dobbiamo assolutamente mettere le mani su questo Sandro, poi penso che troveremo la strada in discesa… prenderemo due piccioni con una fava…cioè, risolveremo due casi in un sol colpo!” Si fregò le mani, si infilò il soprabito e uscì.

Nella mente di Parisi si era fatta strada un’ipotesi che voleva verificare, il furto dei diamanti e il delitto della soffitta potevano essere collegati, doveva interrogare il biondino, ma la sua ricerca si era dimostrata più difficile del previsto, era scomparso da parecchi giorni e nessuno sapeva dove fosse andato.

Per parecchio tempo il commissario brancolò nel buio, aveva messo sottosopra tutto il quartiere, nessuno parlava, anzi più passavano i giorni e più si allontanava la soluzione del caso.

Ma la mano del destino era pronta ad aiutarlo. Sandro, dopo aver inutilmente cercato Serena a Montecarlo, aveva deciso di tornare a Milano, era furioso, deluso e ancora incredulo che quella fanciullina dal viso d’angelo gli avesse tirato quel tiro mancino…non poteva aver fatto tutto da sola, certamente qualcuno l’aveva aiutata…non poteva essere andata lontano, e lui l’avrebbe trovata!

Ricominciò a bazzicare per i soliti posti, a frequentare i soliti amici, a interrogare qua e là per cercare di scoprire dove era finita Serena. A furia di farsi vedere in giro anche il commissario Parisi riuscì a pizzicarlo e a portarlo in questura.

In principio cercò di negare tutto: “State prendendo un granchio, io non c’entro per niente… non so nemmeno di cosa state parlando”. Ma quando il commissario gli mostrò la borsa con i diamanti il suo viso si sbiancò, capì di essere intrappolato e, con sadico compiacimento per punire Serena, spifferò tutto quello che aveva sentito nella famosa notte di gennaio tirando in ballo naturalmente Walter, sul quale si dovevano concentrare i sospetti per l’omicidio di Marcello. Aveva capito che la ragazza si era vendicata restituendo il malloppo alla polizia e l’unico modo per renderle pan per focaccia era quello di denunciare suo fratello, come aveva sempre minacciato di fare.

Per Parisi ricominciava la caccia all’uomo.

(continua sabato prossimo)