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sabato 7 luglio 2012

UNA NOTTE MAGICA



La pioggia stava scendendo a dirotto, i tergicristalli con un ritmo frenetico schizzavano l’acqua dai vetri, la luce dei fari fendeva a malapena la cortina nebbiosa che oscurava la strada . Adriano stava tornando dall’Austria, dove era andato a un congresso di medicina, procedeva con prudenza sulla strada viscida dove, a ogni curva c’era pericolo di sbandare. Improvvisamente in mezzo alla carreggiata si materializzò un grosso tronco, caduto dagli alberi vicini, Adriano frenò di botto, la macchina sbandò e andò a sbattere contro il muretto che delimitava la strada. Rimase un secondo di più attaccato al volante per sincerarsi di non essere ferito, poi scese e allargò le braccia in un gesto di sconforto: la berlina aveva il davanti distrutto. Guardò giù dal muretto e gli vennero i brividi: sotto di lui si apriva un pauroso precipizio . “L’ho scampata bella”, pensò con terrore. Chiamò il carro attrezzi che poco dopo lo condusse in un piccolo borgo alpino con poche case. Stava venendo sera e, dopo aver lasciato la macchina nell’unica officina meccanica, chiese che gli indicassero un posto dove passare la notte.
«Provi alla “Locanda del Lupo”, gli consigliò il meccanico.
Adriano si avviò per la via indicata, le porte delle case erano sbarrate e con fatica scorse     
l’insegna della locanda. Entrò, i tavoli erano tutti occupati, gli occhi dei presenti si volsero verso di lui, una donna bionda e robusta si avvicinò.
«Avete una camera per questa notte?», chiese Adriano guardandosi intorno.
«Se vuole mangiare…ma per dormire non ho più posto», rispose lei accennando un sorriso.
Confortato dal calore che emanava da una grande stufa di ceramica, Adriano si sedette a un tavolo e ordinò il menù del giorno. La rubiconda ostessa arrivò con un piatto fumante e, dopo averlo posato sul tavolo, si fermò un attimo per vedere se era gradito. Il profumo del capriolo in salmì con la polenta stuzzicò le narici di Adriano che approvò con un gesto di soddisfazione l’ottima scelta.
Timidamente, con una voce sottile che contrastava con la sua corporatura la donna disse:
«Se vuole posso darle l’indirizzo di un albergo poco lontano da qui, è l’Hotel del Bosco, sicuramente hanno posto, è un vecchio castello ristrutturato e ci sono tante camere».
«La ringrazio, lei è molto gentile. Quando ho finito questo magnifico piatto ne parliamo», rispose Adriano accingendosi ad affrontare l’invitante cena.
«Se vuole telefono subito», propose la donna.
«Oh…sì, grazie», farfugliò lui con la bocca piena.
Dopo pochi minuti: «Signore, può andare…nell’albergo c’è posto. La faccio accompagnare da mio figlio», annunciò con un largo sorriso.
Più tardi il dottor Adriano Rinaldi, si presentò nell’Hotel del Bosco: un vecchio maniero che manteneva la sua aria severa anche se le luci al neon dell’insegna cercavano di dargli un aspetto più moderno. Nella hall cosparsa di poltrone in velluto rosso, faceva spicco un enorme tappeto persiano, l’uomo della reception gli diede le chiavi della camera:
«Non ha bagagli, signore?», chiese
Adriano con poche parole spiegò la sua presenza in quell’albergo:
«Rimango solo stanotte, domani cercherò di raggiungere una stazione ferroviaria. Ho avuto un incidente e ho la macchina in riparazione», disse conciso.
Stava avviandosi all’ascensore quando fu avvicinato da una giovane donna bruna:
«Ho sentito che è in difficoltà», disse la sconosciuta puntandogli addosso gli occhi neri nei quali brillava una strana luce.
Adriano notò che era una bella donna , con il viso dai lineamenti forti che le davano un aspetto interessante, l’abito nero le fasciava il corpo snello e ben  fatto.
«Ho quasi distrutto la mia macchina, ho trovato un ostacolo sulla strada, ho frenato e ho sbandato contro un muretto», rispose lui osservandola con interesse.
La sconosciuta gli allungò una mano lunga e sottile:
«Sono la contessa Brandi, anch’io mi fermo solo per stanotte, domani mattina ritorno in città, se vuole posso darle un passaggio…odio viaggiare da sola», disse con un sorriso accattivante.
 Adriano rimase un attimo perplesso, l’invito arrivava a proposito e non seppe rifiutare, tanto più che la bella signora lo stava guardando in un certo modo.
«E’ stata un’insperata fortuna a conoscerla…posso offrirle qualcosa?».
«Con piacere, andare in  camera mi rattrista, se vuole facciamo quattro chiacchiere».
Adriano non se lo fece ripetere due volte, non avrebbe mai pensato di concludere la serata in compagnia di una bella donna!
 Il cameriere servì il whisky e appoggiò i bicchieri sul tavolino di cristallo, la bevanda forte contribuì a dare a entrambi l’euforia necessaria per cominciare una piacevole conversazione che durò a lungo. Non si accorsero che era passata mezzanotte quando lei disse:
«Si è fatto tardi, andiamo?», nel suo sguardo c’era un palese invito che Adriano colse, del resto era scapolo e libero, un’avventura poteva permettersela, quella donna lo intrigava, gli piaceva non solo per l’aspetto ma per il suo modo di fare diverso dalle donne che era solito frequentare.
Salirono lo scalone che portava alle camere, guardarono fuori, dai finestroni e con sorpresa videro che la neve stava scendendo copiosa.
«E’ bellissimo», sussurrò lei ,« è una notte magica…», nel suo sguardo perduto nel buio c’era un’ombra di tristezza.
Adriano si fermò a osservarla:
«Qualcosa non va?», chiese.
«Non ci faccia caso, è solo un momento di debolezza», rispose la contessa.
Le loro camere erano vicine: «Non ho sonno», disse la donna.
Adriano si fece coraggio : «Possiamo continuare a parlare in camera mia», azzardò.
Lei lo guardò: «Perché no… ma preferirei stare da me, se ti fa piacere, naturalmente», era passata al tu senza tanti preamboli e lui non aspettava che questo.
Entrarono nella stanza arredata con mobili antichi, una grande pacco avvolto in una carta dorata e legato con un fiocco rosso era posato sul letto. La contessa lo prese con delicatezza e lo posò su una sedia. «E’ un regalo che mi sono fatta…», disse. Poi si volse verso Adriano: « sei sposato, hai bambini?», chiese fissandolo.
«No…sono single convinto», rispose lui.
«Meglio così», sussurrò la donna facendogli una lieve carezza sui capelli. 
«Non mi hai detto ancora il tuo nome», disse lui abbracciandola.
«Mi chiamo Azzurra…come un cielo sereno che non mi assomiglia...e adesso stringimi…», bisbigliò buttandogli le braccia al collo.
Da quel momento il tempo non ebbe più dimensione, le ore sembravano minuti, l’alba li colse abbracciati nel grande letto con baldacchino. Si addormentarono e quando si svegliarono c’era il sole. «Meno male che non nevica più», disse Azzurra guardando fuori dalla finestra che Adriano aveva spalancato. «dobbiamo partire», sussurrò con la voce impastata di sonno, aveva il viso un po’ gonfio e gli occhi avevano perso la brillantezza della sera prima.
«Forza… alzati, devi farmi da autista», scherzò lui, «te la senti?».
«Sono in gran forma…ho sempre sognato una notte così prima di…», si interruppe bruscamente.
«Prima di che cosa?», domandò lui sorpreso.
«Niente, sono cose che non puoi capire», rispose lei a bassa voce.
 (continua)



     

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