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martedì 4 novembre 2014

QUEL MALEDETTO GIORNO


 Terminata la faticosa giornata all'Università dove insegnava matematica , il professor Enrico Corsi, come tutte le sere,  rientrava nella sua bella casa nascosta nel verde dove l'aspettava , la moglie americana sposata da poco. Lui era un uomo sulla cinquantina e lei una bella e giovane donna di trent'anni che aveva lasciato la California per amor suo, era stato un matrimonio perfetto fino a quando non era arrivato un affascinante vicino nella villetta accanto. Appena l'aveva visto aveva avuto la sensazione che il suo arrivo gli avrebbe procurato guai, si era accorto di avere una specie di avversione per quell’uomo alto, abbronzato, con i capelli neri e ricci, l'esatto suo contrario: lui era di statura media, portava occhiali con montatura pesante e minacciava una calvizie incipiente.

Non aveva fatto mistero con Susan della sua antipatia nei confronti del nuovo venuto:
 «Sei geloso?», gli aveva chiesto lei con un sorrisetto provocatorio.
«Figurati, mi considero al di sopra di qualsiasi bellimbusto», aveva ribattuto seccato.
  Nella villetta accanto c’era sempre un via vai di persone ad ogni ora del giorno e spesso  i festini andavano avanti fino all’alba. Una notte, infastidito dal chiasso che gli impediva di prendere sonno, Corsi andò a bussare:
« Le sembra l’ora di fare tanto baccano? », aveva chiesto furibondo.
«Scusi…però, non è poi così tardi, sono soltanto le tre»,  aveva risposto l’uomo che era venuto ad aprirgli.
Il professore non riuscì a frenarsi e si mise ad imprecare  a voce alta svegliando il vicinato: «Non può permettersi di disturbare il sonno degli altri, lei è un incivile! la smetta, altrimenti…», urlò fuori di sé. Da quel giorno evitarono di salutarsi.
 
A bordo della sua  Mercedes nera, il docente stava percorrendo la solita strada poco frequentata, guidava a velocità moderata immerso nei propri pensieri , all’uscita di una galleria  notò in lontananza una vettura ferma ai bordi della strada, non c’era nessuno accanto all'auto, ma dopo essersi avvicinato vide una figura femminile china sul cofano aperto del motore,  si fermò:
«Posso aiutarla?», chiese sporgendosi dal finestrino.
La donna sobbalzò, alzò la testa e lo fissò preoccupata; Corsi aprì la portiera e uscì:
«Posso dare un’occhiata?  non me ne intendo molto, ma forse qualcosa più di lei...», sorrise alla ragazza: era carina, bionda e giovane. S’immerse fra candele, cilindri, carburatore cercando di capire dov'era il guasto, ma dopo aver armeggiato sperando in un miracolo, dovette arrendersi:
 «Chiamiamo il soccorso stradale... mi dispiace, non ce l'ho fatta», disse alzando la testa e rivolgendosi  alla giovane sconosciuta.  Ma la ragazza  non era più accanto a lui.... era a bordo della Mercedes e la stava mettendo in moto.
«Ferma...cosa sta facendo!!!», urlò...ciò che vide lo sconvolse, la sua vettura sgommando si stava immettendo sulla carreggiata a tutta velocità. Non gli rimase altro che  fissare l’auto che diventava sempre più piccola fino a scomparire alla sua vista. Si guardò intorno sgomento, cercò di fermare qualche automobilista di passaggio ma  nessuno si arrestava, con quello che si sentiva in giro, la gente non si fidava e aveva paura.
«Accidenti in che guaio mi sono cacciato, mi sono lasciato infinocchiare…sono proprio un imbecille», si insultò, cercò nelle tasche il telefonino, ma si ricordò di averlo lasciato  nella giacca rimasta nell’auto….oltre al portafoglio e ai documenti. Non sapendo cosa altro fare decise di raggiungere il primo punto di soccorso stradale, ma nell’attimo in cui si stava mettendo in marcia, una vettura della polizia si fermò, era tanto agitato che non l’aveva neppure sentita arrivare.
Il poliziotto scese: « Non riparte ?», chiese indicando l’auto con il cofano ancora aperto..
Corsi allargò le braccia:
 «No, non so dov’è il guasto… non è la mia», rispose ancora sotto choc.
«Come non è la sua?», disse l’agente avvicinandosi.
«Le posso spiegare: sono stato vittima di un furto», cominciò, ma l’uomo in divisa non lo stava a sentire. Stava osservando con sospetto l’auto cercando di capire come mai quel tale era fermo ai bordi della carreggiata accanto ad una vettura non sua. Girò attorno e si fermò davanti al baule:
«Vuole aprire?», chiese rivolgendosi al professore.
Questi entrò nell’abitacolo e tirò la leva sotto il cruscotto ; l’esclamazione dell’agente lo fece sussultare, scese e ciò che vide lo sconvolse: nel bagagliaio c’era il cadavere insanguinato di un uomo raggomitolato su se stesso.
«Mio Dio… chi è?» domandò con un filo di voce.
«Questo lo chiedo a lei», disse il poliziotto fissandolo in viso e aspettando una risposta.
 Cominciò a tremare per l’emozione, continuava a fissare quel corpo senza vita:
 «Mi creda, non ne so nulla…le ripeto: questa vettura non è mia, sono stato derubato ….», balbettò, «non sono stato io…sono il professor Enrico Corsi e insegno all’Università, non sarei mai capace di uccidere”.
L’altro non lo lasciò finire:
 «Mi dia i documenti, e poi racconterà la sua versione a chi di dovere», affermò secco.
 Il professore costernato dovette dire che non possedeva nessun documento: si erano involati con la Mercedes.
«Molto bene, ricapitoliamo, la vettura non è sua, lei non sa di chi sia questo cadavere e non mi può fornire i documenti…quante coincidenze!», esclamò sarcastico il poliziotto prendendo il telefono di servizio.
«Manda il medico legale al km 60 della provinciale, c’è un morto nel baule di una macchina», disse al collega che aveva risposto alla sua chiamata.
 Intanto Corsi stava per svenire: aveva riconosciuto nel corpo senza vita il suo vicino di casa. Il sangue gli si era gelato nelle vene: si rendeva conto di essere sempre più in pericolo, era talmente assurda tutta la vicenda che la verità era difficile da credere …era stato coinvolto in un omicidio e non sarebbe stato facile uscirne.
Poco dopo, seduto davanti al commissario Parisi, capo della sezione omicidi, aveva la fronte imperlata da piccole gocce di sudore e il corpo irrigidito… stava vivendo un sogno?
 «Dunque, mi dica dove abita, professore», disse il commissario soffermandosi  ironicamente sull’ultima parola.
Enrico Corsi rispose meccanicamente, Parisi lo fissò sporgendosi dalla scrivania:
 «Abbiamo individuato la vittima, Wladimir  Bosnac che, guarda caso è un suo vicino di casa…cosa mi racconta in proposito?».
Ormai il pover’uomo non sapeva più cosa rispondere, aveva detto troppe volte come erano andate le cose, sul viso di chi l’ascoltava leggeva l’incredulità, era talmente sfiduciato che avrebbe voluto  abbandonarsi al destino avverso senza combattere.
«Lo conoscevo appena, non so niente di lui…credetemi, non l’ho ucciso io!», c’era il pianto nella sua voce.
«Eppure gli abitanti della zona hanno detto di averlo sentito gridare nel cuore della notte contro il suo vicino», incalzò il poliziotto.
«Chiamate mia moglie, voglio vederla», ormai non aveva più risposte da dare e aveva bisogno di avere qualcuno che lo guardasse con altri occhi.
«Siamo costretti a trattenerla finché non abbiamo appurato la sua vera identità…ad avvertire sua moglie ci penseremo poi», affermò il commissario.
Enrico Corsi passò la notte in camera di sicurezza, non avrebbe mai creduto nella sua vita di andare in prigione, le ore non passavano mai, nella sua mente si accavallavano mille pensieri negativi…ormai disperava di uscire da quella situazione così paradossale da sembrare costruita, le cose si erano svolte troppo in fretta per poterci ragionare sopra.
Chi era quella donna che l’aveva così facilmente turlupinato?…Perché aveva scelto proprio lui? Queste domande lo assillavano e… come poteva difendersi dalle accuse se non poteva fornire prove a sua discolpa! Sperava che la polizia indagasse a fondo senza accontentarsi dell’evidenza, forse il commissario che l’aveva interrogato era scrupoloso e non si sarebbe fermato, aveva fiducia in quell’uomo, e la speranza era la sola che lo tenesse in vita.
Anche la notte del commissario Parisi non era stata serena, il caso del cadavere nel bagagliaio, anche se poteva dirsi praticamente risolto, aveva qualche punto oscuro. Doveva proseguire le indagini per appurare la vera identità del presunto assassino, poi per trovare un eventuale movente. La vittima era uno slavo dal passato losco, una specie di avventuriero che aveva avuto problemi con la giustizia per droga e incitamento alla prostituzione. Era da poco ritornato dagli Stati Uniti e aveva preso alloggio nella villetta adiacente a quella dell’imputato. Parisi doveva essere sicuro che non ci fosse qualche legame tra i due, durante l’interrogatorio, molte volte aveva avuto la sensazione che il sedicente professore dicesse la verità.
Susan si presentò in commissariato e venne messa a confronto col marito:
«Finalmente!…», esclamò lui mentre la guardava come si guarda un’apparizione, «diglielo tu che non c’entro niente in tutta questa storia, tu sai benissimo che non  ho mai avuto a che fare con quel tipo», supplicò.
 Il commissario invitò la donna a sedersi:
 «Quest’uomo è Enrico Corsi, suo marito?», chiese.
 Lei assentì, tesa con le labbra serrate.
«Cosa può dirmi dei suoi rapporti con la vittima? è vero che hanno avuto una disputa accesa in cui sono volate minacce e insulti?», incalzò il commissario.
Susan impallidì ancora di più, rimase in silenzio per qualche secondo:
 «E’ vero, mio marito odiava quell’uomo e ha minacciato più volte di ucciderlo per gelosia», rispose infine abbassando lo sguardo per non incontrare quello del professore.
«Nooo…non è vero, lo conoscevo appena! Cosa stai dicendo Susan, perché fai questo?…Mi vuoi distruggere?», urlò Corsi stravolto.
 Parisi guardava ora l’uno ora l’altra, non sapeva a chi credere ma il suo fiuto gli diceva che la verità era ancora lontana.
Aspettò un attimo poi:
 «Corsi…la testimonianza di sua moglie mi costringe ad arrestarla », affermò sinceramente dispiaciuto, in fin dei conti quel poveretto gli faceva pena, forse stava dicendo il vero e nessuno gli credeva.
«Susan…perché…», ripeteva il professore scuotendo il capo senza togliere lo sguardo dal viso della moglie che lo fissava freddamente.
L’uomo si lasciò condurre fuori mentre Susan lasciava il locale in fretta senza voltarsi indietro.
 
Qualche giorno dopo il telefono della villetta del professor Corsi subì un guasto, un uomo in tuta blu si qualificò come tecnico delle linee telefoniche e chiese di entrare, Susan lo condusse all’apparecchio. Passarono pochi minuti e l’operaio si rivolse alla padrona di casa:
«E’ tutto a posto, signora….è stato un guasto alla cabina centrale», disse mettendo in borsa gli arnesi.
A poca distanza dalla casa era fermo un furgone grigio, all’interno il commissario Parisi, con l’agente speciale Loredana Caputo, si accingeva ad ascoltare quello che succedeva nell’abitazione del professore, dopo essersi assicurato che funzionasse  “la pulce” inserita nel telefono dal finto tecnico.
Passò qualche giorno ma dentro la villa non succedeva nulla d’ interessante:
 «Domani sgomberiamo…abbiamo fatto un buco nell’acqua», affermò il commissario stanco di sentire banalità.
«Commissario, aspettiamo ancora qualche giorno….sento che succederà qualcosa», disse la Caputo.
Parisi la guardò :
 « E va bene…oggi è venerdì, passeremo il week-end qui dentro!», brontolò seccato.
  Però, proprio il giorno dopo verso sera Parisi lanciò un’occhiata alla sua assistente:
«Caputo avevi ragione…ci siamo!», esclamò .
 Ascoltò attentamente il dialogo fra due donne al telefono:
 «Stai attenta a venire qui…non voglio che ti vedano, devi essere prudente», diceva la moglie del professore.
«Non ti preoccupare Susan, nessuno si è accorto di me, volevo dirti che i passaporti sono pronti e domani ce ne andremo finalmente!», rispondeva l’altra voce femminile.
«Mi sembra un sogno essermi liberata di quel disgraziato, Wladimir  se l’è cercata…non doveva ricattarmi, il ricordo di quando ero sulla strada a prostituirmi per lui era quasi cancellato, ormai mi ero rifatta una vita, avevo sposato una persona perbene, ma poi si  è rifatto vivo! Ti ricordi com'ero disperata quando l'ho visto venire a piazzarsi proprio nella villa vicina ? Comunque sei stata brava a farlo cadere nella rete, se non c’eri tu ad avere il sangue freddo di accoltellarlo io non ne sarei stata capace. E ti devo fare anche i complimenti per essere riuscita a incastrare mio marito sull’autostrada…a volte mi dispiace, ma non avevo scelta o lui o noi! Non ti pare giusto?»
Il commissario Parisi ascoltava trionfante, fin dal primo momento Susan non gli era piaciuta, aveva lo sguardo falso e lui se n’era accorto…
«Caputo, chiama i rinforzi e vai ad arrestare quella donna !...e trova quell’altra…però hai un buon fiuto…brava!».
Quando le manette scattarono ai polsi delle due assassine, il comandante della sezione omicidi era soddisfatto di se stesso: il caso era chiuso, il professore poteva tornare in libertà.
«Lei può andare a casa», annunciò la sera stessa a Corsi che lo guardava con occhi stupiti.
«Avete preso il colpevole?», chiese l’uomo incredulo, «chi è stato?».
«Si tenga forte…sua moglie Susan con un’amica, e hanno tentato di far cadere la colpa su di lei», concluse Parisi tristemente, si rendeva conto che per quel poveraccio era una notizia sconvolgente.
 Enrico Corsi impallidì:
 «Non ci posso credere, la mia Susan voleva distruggermi…», balbettò,  «quel maledetto giorno lo ricorderò per sempre».
«Coraggio professore…la vita ricomincerà e, me lo lasci dire, quella non era la donna per lei!», esclamò Parisi battendogli una mano sulle spalle.
 L’uomo sorrise mesto:
 «Forse ha ragione, commissario», disse accingendosi ad uscire.
L’aria fresca gli sferzò il viso, guardò in alto, il cielo era sereno senza nubi, s’incamminò con passo svelto verso un nuovo avvenire.
 

                                                                                                                                                FINE