Il dottor Malvin non riusciva a
prendere sonno. Da qualche ora una strana elettricità era nell’aria: la sentiva
sulla pelle e dentro di sé. Si rigirava nel letto cercando tutte le posizioni per
addormentarsi; un lampo improvviso, seguito dal tuono, lo fece sobbalzare. “Sta
arrivando il temporale, ecco perché sono così nervoso”, pensò. Di lì a poco si
scatenò l’inferno, dalle fessure delle tapparelle abbassate filtrava la luce
accecante dei fulmini che attraversavano il cielo uno dopo l’altro. Il dottor
Malvin mise la testa sotto il cuscino per non sentire e per non vedere: aveva
bisogno di dormire, la giornata trascorsa era stata faticosa ed era molto
stanco.
Fuori il temporale non accennava a
calmarsi e nemmeno il dottore riusciva a trovare pace. Sempre più agitato si
alzò dal letto e andò alla finestra. Gli alberi si piegavano sotto le raffiche del vento
e la pioggia scendeva incessante; la sua attenzione fu attirata da una cosa
bianca che si muoveva fra le foglie di un cespuglio. “Che notte… ci sono anche i fantasmi…”,
scosse la testa e puntò gli occhi in quella direzione cercando di vedere
meglio. Malvin era un tipo molto aderente alla realtà, per lui l’uomo era solo
materia e, come molti scienziati non credeva al soprannaturale e tantomeno agli
spiriti. Tuttavia quella figura bianca che si muoveva nella notte gli metteva
una certa inquietudine. Rimase in silenzio a osservare, la sagoma stava
attraversando il giardino e si dirigeva verso la porta di casa sua. Poco dopo
il suono del campanello lo colse di sorpresa, “i fantasmi non suonano il
campanello” si disse.
Scese le scale per andare ad aprire: davanti a
lui c’era un giovane frate con la tonaca bianca grondante acqua che, con la
voce affannata per la corsa disse tutto d’un fiato:
“La prego dottore, venga subito, un nostro confratello sta male, non sappiamo
cosa fare, è urgente”.
Il dottor Malvin lo guardò:
“Va bene, si calmi, sarò pronto in
pochi minuti.”, poi prima di risalire le scale chiese: “E' nel convento qui
vicino?”
“Sì”, rispose il fraticello, " sulla
collina poco distante da qui”.
Arrivati nell’antica abbazia il
priore lo accolse con sollievo:
“Meno male che è arrivato, dottore, frate Marcello sta molto male, ha
cominciato a lamentarsi, non ci vuole dire nulla, ma con il passare del tempo
sta sempre peggio.
“Vediamo”, rispose Malvin, “mi accompagni da lui”.
Attraversarono un portico e un cortile, in un
caseggiato basso c’erano le celle dei frati. Il priore entrò in una di esse: su
una branda un frate era raggomitolato su se stesso.
“Coraggio, frate Marcello, c’è il
dottore”, sussurrò l’abate. Si volse verso il medico: “E’ un santo, non esce
mai, passa le giornate in preghiera”.
Gli occhi carichi di sofferenza
dell’uomo sdraiato sul letto si alzarono sul viso di Malvin:
“La ringrazio di essere venuto”,
disse con un filo di voce, “ma credo sia troppo tardi.”
“Questo lo devo dire io”, ribatté il
medico, “adesso si lasci visitare”.
Poco dopo Malvin estrasse dalla borsa
una siringa e si accinse a fare un’iniezione calmante al poveretto. Dalla sua
fronte corrugata si capiva che era preoccupato, non riusciva a fare una
diagnosi: apparentemente sembrava non ci fosse nulla di grave, forse solo una
colica, ma quello che leggeva negli occhi del frate lo metteva in ansia. Ad un
tratto sentì una stretta al braccio:
“Dottore, devo parlarle”, bisbigliò
frate Marcello, “si sieda vicino a me”, con la mano fece segno al bordo del
letto. Malvin stupito ubbidì.
“E’ stata lei”, disse sbarrando gli
occhi.
“Chi?”, chiese il dottore sempre più
meravigliato.
“Rosa…è venuta stanotte a prendermi,
e io devo andare”, continuò il frate,
Il dottor Malvin si guardò intorno,
era rimasto solo con lui, non sapeva cosa fare, era convinto che stesse
delirando. “Stia tranquillo”, disse, “ cerchi di controllarsi, fra poco
starà meglio”.
“No, io so che è arrivato il mio
momento. Dottore, mi ascolti, devo rivelarle un segreto che mi opprime da tanto
tempo.”, il frate strinse ancora di più il braccio di Malvin .
“L’ascolto”, rispose Malvin turbato
dall’angoscia di quell’uomo.
“Quando ero giovane ho ucciso una donna…”,
disse fra’ Marcello con gli occhi bassi, “era la mia ragazza, si chiamava Rosa,
l’ho accoltellata per gelosia”.
Il medico ebbe un sussulto e guardò
il frate con aria smarrita, l’altro capì che poteva non essere creduto:
“Guardi…”, da sotto la tonaca trasse
un orologio, fece scattare il coperchio e apparve un viso dolcissimo di donna,
poi faticosamente si alzò, tolse da una pila di libri un mucchietto di fogli
ingialliti: erano pagine di giornale, in molte di esse c’era la foto di una
ragazza. “è questa”, disse ancora il frate sedendosi sfinito. Malvin riconobbe
in quelle immagini la donna del piccolo ritratto. “Io allora ero un professionista molto conosciuto
nella mia città”, proseguì con affanno , “non ho avuto il coraggio di
costituirmi per non far scoppiare uno scandalo che avrebbe danneggiato anche la
mia famiglia”. L’uomo si coprì il volto con le mani in preda alla disperazione.
Con gli occhi che gli bruciavano il dottor
Malvin cominciò a leggere, man mano che andava avanti si rendeva conto che il
frate forse stava dicendo la verità, quel fatto di sangue, accaduto una decina
di anni prima aveva fatto scalpore, quella bella ragazza era la figlia di un
noto industriale, il cadavere era stato scoperto in un bosco con una sola
ferita all’altezza del cuore. Non era stata mai trovata l’arma del delitto, si
diceva che poteva essere stato un kriss malese, uno di quei pugnali con la lama
ritorta, usati anche come tagliacarte.
“Perché mi dice di essere stato lei,
frate Marcello, qui è scritto che il colpevole è stato trovato”, disse il
dottor Malvin alzando gli occhi dai fogli di giornale e cercando di capire
dall’espressione dell’altro cosa stesse succedendo dentro quell’anima
tormentata.
“Quel ragazzo è innocente”, l’uomo
aveva la voce debole.
Malvin gli andò più vicino per sentire quello
che diceva.
“Sono stato io, dottore deve credermi… lei
aveva un altro e io non potevo sopportare che qualcuno la toccasse all’infuori
di me. Non ho capito più niente, l’ho portata nel bosco e , l’ho uccisa. Poi
ero disperato, avevo distrutto con le mie mani la sola ragione della mia vita”,
le lacrime cadevano copiose sul volto rugoso del frate, “il mondo non faceva
più per me, la giustizia terrena non bastava, sono in convento per espiare ma
sono stato un vigliacco, ho lasciato condannare un altro uomo al mio posto, la
prego dottore, quando non ci sarò più racconti tutto alla polizia. Ho tenuto
dentro di me questo segreto per dieci lunghi anni, aspettavo il momento per
togliermi questo peso dal cuore. Rosa mi ha chiamato, ora devo raggiungerla,
dottore, mi deve giurare che farà quello che le ho chiesto”. Il dottor Malvin
si rese conto che il frate era in fin di vita, vedeva l’uomo impallidire sempre
più:
“ Va bene, ma adesso si deve fare
coraggio, la porto subito in ospedale, cerchi di resistere”.
Frate Marcello lo attirò a sé:
“Il pugnale con cui l’ho uccisa …è…”, non finì
la frase perché la vita l’aveva abbandonato.
Con orrore il dottore vide formarsi
sulla pelle del poveretto, proprio sopra il cuore, il segno rosso di una
cicatrice che prima non c’era.
Quando rientrò in casa il medico era
sconvolto, aveva assistito a un fatto inspiegabile alla mente umana.
Non riusciva a capire come mai quella ferita
fosse apparsa, dopo che il povero frate era morto, era sicuro di averlo
visitato e di non aver visto niente prima, i fraticelli attoniti erano arrivati
uno a uno a pregare davanti al loro fratello che reputavano un santo, per loro
quello era un segno di Dio. Ma non era così per quel miscredente del dottor
Malvin, quel pensiero lo perseguitò per giorni e giorni, e ancor più lo metteva
in ansia il fatto di dover tener fede al suo giuramento. Doveva credere al
frate oppure, com’ era probabile, era tutto frutto di una mente sconvolta dalla
vita reclusa che aveva condotto per tanti anni? E se invece avesse detto la
verità? Un innocente stava scontando una
pena che non meritava. Però, come poteva
andare a denunciare il fatto se non aveva nessuna prova? Il frate stava
dicendogli dove aveva nascosto il coltello, ma non ne aveva avuto il
tempo. Tutti questi pensieri
tormentavano la vita del dottore, non riusciva più a dormire, il suo pensiero
fisso era sempre rivolto al segreto di frate Marcello.
Dopo quasi una settimana di
angosciosi dubbi decise di andare a rivelare alle autorità ciò che aveva
appreso sul delitto del bosco. Quella notte ebbe un incubo: una voce di donna
lo chiamava, una figura femminile dai contorni nebulosi gli porgeva un oggetto,
lui cercava di afferrarlo, ma non riusciva a
muoversi. ”Vieni…vieni a prendere l’arma che mi ha tolto la vita”,
Malvin allungava le mani ma, per quanti sforzi facesse non riusciva ad arrivare
a quello strano arnese. Si svegliò in un bagno di sudore con il cuore che gli
batteva come un martello. Si alzò, non riusciva a stare coricato, aveva paura
di addormentarsi e di sognare ancora. Gironzolò per la casa finché non vide
apparire l’alba.
Andò in cucina a prepararsi un caffè,
stava armeggiando con la caffettiera quando sentì bussare alla porta, guardò
l’orologio: erano le cinque di mattina. “Sarà qualcuno per la solita visita
d’urgenza”, brontolò fra sé. In pigiama e pantofole andò alla porta: una
giovane donna era sulla soglia.
“Desidera?”, chiese Malvin. Uno
strano malessere lo pervase, una sensazione di freddo accompagnata da un lungo
brivido. La donna rimase in silenzio, il dottore rifece la domanda, lei senza
parlare entrò. Il dottor Malvin la seguì con lo sguardo sempre più disorientato:
“Signorina, la prego, mi dica cosa
vuole a quest’ora”, sbottò spazientito.
Il volto della strana visitatrice,
rimasto in penombra fino ad allora, s’illuminò alla luce del lampadario, il
cuore del medico cominciò a battere più velocemente: aveva riconosciuto il viso
della donna del ritratto dell’orologio del frate e delle foto sui
giornali. Rosa! Mentre la sconosciuta si aggirava per la stanza nella mente di Malvin c’era come
una tempesta: non voleva cedere alla cosa assurda che stava vivendo. Quella
ragazza non era un fantasma, era certamente qualcuno che assomigliava alla
donna di frate Marcello…Si avvicinò a lei cercando di metterle una mano sulla
spalla, ma in quel preciso istante inciampò nel tappeto e cadde. Quando si
rialzò si ritrovò solo nella stanza, non c’era nessun altro all’infuori di lui.
La donna che fino a un istante prima era lì, vicina al tavolo e che lo fissava
con strani occhi senza sguardo, non c’era più. Si rimise in piedi e si
precipitò ad aprire la porta e guardare fuori, solo il frusciare degli alberi e
il canto degli uccelli stavano a dimostrare che non stava più sognando, ma non
c’era anima viva in giardino.
Rientrò in casa ancora incredulo: era
convinto che quella donna dovesse essere da qualche parte, ispezionò la casa da
cima a fondo senza risultato, ma non si dava per vinto e cercava un pretesto
per non cedere al fatto di aver vissuto qualcosa che non era reale, ma
soprannaturale.
“Certamente si era spaventata quando
sono caduto, ed è fuggita, nascondendosi fra gli alberi, non me ne sono
accorto, ma deve essere stato proprio così”.
Ancora turbato stava ritornando in
cucina per cercare di prepararsi il caffè che non era riuscito a bere, passando
davanti al tavolo del soggiorno, un oggetto attrasse la sua attenzione:
qualcosa di metallico dalla forma strana era posato sulla superficie del
mobile.
Si avvicinò, il turbamento che
l’aveva colto poco prima si ripresentò: con la mano che tremava afferrò quella
cosa. Un pugnale, con la lama ritorta mandava bagliori sinistri, Malvin lo
rigirò stupefatto, un pensiero cominciò a frullargli nella mente e ricordò le
parole del frate morente: “Il pugnale”. Sì, quello era il pugnale che aveva
ucciso Rosa e lei gliel’aveva riportato : era la prova che gli serviva per
andare dalle autorità e tenere fede al suo giuramento. Il segreto di frate Marcello doveva essere
rivelato per ridare la libertà a un
innocente, e il dottor Malvin da quel momento entrò in crisi avrebbe dovuto
ricredersi su certe sue convinzioni fino ad allora incrollabili.
Avrebbe dovuto ammettere che oltre
alla realtà esisteva anche un mondo occulto che non ha spiegazioni, è soltanto
mistero.
FINE