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giovedì 4 settembre 2014

IL SEGRETO DI FRATE MARCELLO


 


Il dottor Malvin non riusciva a prendere sonno. Da qualche ora una strana elettricità era nell’aria: la sentiva sulla pelle e dentro di sé. Si rigirava nel letto cercando tutte le posizioni per addormentarsi; un lampo improvviso, seguito dal tuono, lo fece sobbalzare. “Sta arrivando il temporale, ecco perché sono così nervoso”, pensò. Di lì a poco si scatenò l’inferno, dalle fessure delle tapparelle abbassate filtrava la luce accecante dei fulmini che attraversavano il cielo uno dopo l’altro. Il dottor Malvin mise la testa sotto il cuscino per non sentire e per non vedere: aveva bisogno di dormire, la giornata trascorsa era stata faticosa ed era molto stanco.

Fuori il temporale non accennava a calmarsi e nemmeno il dottore riusciva a trovare pace. Sempre più agitato si alzò dal letto e andò alla finestra. Gli alberi si piegavano sotto le raffiche del vento e la pioggia scendeva incessante; la sua attenzione fu attirata da una cosa bianca che si muoveva fra le foglie di un cespuglio.  “Che notte… ci sono anche i fantasmi…”, scosse la testa e puntò gli occhi in quella direzione cercando di vedere meglio. Malvin era un tipo molto aderente alla realtà, per lui l’uomo era solo materia e, come molti scienziati non credeva al soprannaturale e tantomeno agli spiriti. Tuttavia quella figura bianca che si muoveva nella notte gli metteva una certa inquietudine. Rimase in silenzio a osservare, la sagoma  stava attraversando il giardino e si dirigeva verso la porta di casa sua. Poco dopo il suono del campanello lo colse di sorpresa, “i fantasmi non suonano il campanello” si disse.

 Scese le scale per andare ad aprire: davanti a lui c’era un giovane frate con la tonaca bianca grondante acqua che, con la voce affannata per la corsa disse tutto d’un fiato:

“La prego dottore, venga subito, un nostro confratello sta male, non sappiamo cosa fare, è urgente”.

Il dottor Malvin lo guardò:

“Va bene, si calmi, sarò pronto in pochi minuti.”, poi prima di risalire le scale chiese: “E' nel convento qui vicino?”

“Sì”, rispose il fraticello,  " sulla collina poco distante da qui”.

Arrivati nell’antica abbazia il priore lo accolse con sollievo:

“Meno male che è arrivato, dottore, frate Marcello sta molto male, ha cominciato a lamentarsi, non ci vuole dire nulla, ma con il passare del tempo sta sempre peggio.

“Vediamo”, rispose  Malvin, “mi accompagni da lui”.

 Attraversarono un portico e un cortile, in un caseggiato basso c’erano le celle dei frati. Il priore entrò in una di esse: su una branda un frate era raggomitolato su se stesso.

“Coraggio, frate Marcello, c’è il dottore”, sussurrò l’abate. Si volse verso il medico: “E’ un santo, non esce mai, passa le giornate in preghiera”.

Gli occhi carichi di sofferenza dell’uomo sdraiato sul letto si alzarono sul viso di Malvin:

“La ringrazio di essere venuto”, disse con un filo di voce, “ma credo sia troppo tardi.”

“Questo lo devo dire io”, ribatté il medico, “adesso si lasci visitare”.

Poco dopo Malvin estrasse dalla borsa una siringa e si accinse a fare un’iniezione calmante al poveretto. Dalla sua fronte corrugata si capiva che era preoccupato, non riusciva a fare una diagnosi: apparentemente sembrava non ci fosse nulla di grave, forse solo una colica, ma quello che leggeva negli occhi del frate lo metteva in ansia. Ad un tratto sentì una stretta al braccio:

“Dottore, devo parlarle”, bisbigliò frate Marcello, “si sieda vicino a me”, con la mano fece segno al bordo del letto. Malvin stupito ubbidì.

“E’ stata lei”, disse sbarrando gli occhi.

“Chi?”, chiese il dottore sempre più meravigliato.

“Rosa…è venuta stanotte a prendermi, e io devo andare”, continuò il frate,

Il dottor Malvin si guardò intorno, era rimasto solo con lui, non sapeva cosa fare, era convinto che stesse delirando. “Stia tranquillo”, disse, “ cerchi di controllarsi, fra poco starà  meglio”.

“No, io so che è arrivato il mio momento. Dottore, mi ascolti, devo rivelarle un segreto che mi opprime da tanto tempo.”, il frate strinse ancora di più il braccio di Malvin .

“L’ascolto”, rispose Malvin turbato dall’angoscia di quell’uomo.  

 “Quando ero giovane ho ucciso una donna…”, disse fra’ Marcello con gli occhi bassi, “era la mia ragazza, si chiamava Rosa, l’ho accoltellata per gelosia”.

Il medico ebbe un sussulto e guardò il frate con aria smarrita, l’altro capì che poteva non essere creduto:

“Guardi…”, da sotto la tonaca trasse un orologio, fece scattare il coperchio e apparve un viso dolcissimo di donna, poi faticosamente si alzò, tolse da una pila di libri un mucchietto di fogli ingialliti: erano pagine di giornale, in molte di esse c’era la foto di una ragazza. “è questa”, disse ancora il frate sedendosi sfinito. Malvin riconobbe in quelle immagini la donna del piccolo ritratto.  “Io allora ero un professionista molto conosciuto nella mia città”, proseguì con affanno , “non ho avuto il coraggio di costituirmi per non far scoppiare uno scandalo che avrebbe danneggiato anche la mia famiglia”. L’uomo si coprì il volto con le mani in preda alla disperazione.

 Con gli occhi che gli bruciavano il dottor Malvin cominciò a leggere, man mano che andava avanti si rendeva conto che il frate forse stava dicendo la verità, quel fatto di sangue, accaduto una decina di anni prima aveva fatto scalpore, quella bella ragazza era la figlia di un noto industriale, il cadavere era stato scoperto in un bosco con una sola ferita all’altezza del cuore. Non era stata mai trovata l’arma del delitto, si diceva che poteva essere stato un kriss malese, uno di quei pugnali con la lama ritorta, usati anche come tagliacarte.

“Perché mi dice di essere stato lei, frate Marcello, qui è scritto che il colpevole è stato trovato”, disse il dottor Malvin alzando gli occhi dai fogli di giornale e cercando di capire dall’espressione dell’altro cosa stesse succedendo dentro quell’anima tormentata.

“Quel ragazzo è innocente”, l’uomo aveva la voce debole.

 Malvin gli andò più vicino per sentire quello che diceva.

 “Sono stato io, dottore deve credermi… lei aveva un altro e io non potevo sopportare che qualcuno la toccasse all’infuori di me. Non ho capito più niente, l’ho portata nel bosco e , l’ho uccisa. Poi ero disperato, avevo distrutto con le mie mani la sola ragione della mia vita”, le lacrime cadevano copiose sul volto rugoso del frate, “il mondo non faceva più per me, la giustizia terrena non bastava, sono in convento per espiare ma sono stato un vigliacco, ho lasciato condannare un altro uomo al mio posto, la prego dottore, quando non ci sarò più racconti tutto alla polizia. Ho tenuto dentro di me questo segreto per dieci lunghi anni, aspettavo il momento per togliermi questo peso dal cuore. Rosa mi ha chiamato, ora devo raggiungerla, dottore, mi deve giurare che farà quello che le ho chiesto”. Il dottor Malvin si rese conto che il frate era in fin di vita, vedeva l’uomo impallidire sempre più:

“ Va bene, ma adesso si deve fare coraggio, la porto subito in ospedale, cerchi di resistere”.

Frate Marcello lo attirò a sé:

 “Il pugnale con cui l’ho uccisa …è…”, non finì la frase perché la vita l’aveva abbandonato.

Con orrore il dottore vide formarsi sulla pelle del poveretto, proprio sopra il cuore, il segno rosso di una cicatrice che prima non c’era.

Quando rientrò in casa il medico era sconvolto, aveva assistito a un fatto inspiegabile alla mente umana.

 Non riusciva a capire come mai quella ferita fosse apparsa, dopo che il povero frate era morto, era sicuro di averlo visitato e di non aver visto niente prima, i fraticelli attoniti erano arrivati uno a uno a pregare davanti al loro fratello che reputavano un santo, per loro quello era un segno di Dio. Ma non era così per quel miscredente del dottor Malvin, quel pensiero lo perseguitò per giorni e giorni, e ancor più lo metteva in ansia il fatto di dover tener fede al suo giuramento. Doveva credere al frate oppure, com’ era probabile, era tutto frutto di una mente sconvolta dalla vita reclusa che aveva condotto per tanti anni? E se invece avesse detto la verità?  Un innocente stava scontando una pena che non meritava.  Però, come poteva andare a denunciare il fatto se non aveva nessuna prova? Il frate stava dicendogli dove aveva nascosto il coltello, ma non ne aveva avuto il tempo.  Tutti questi pensieri tormentavano la vita del dottore, non riusciva più a dormire, il suo pensiero fisso era sempre rivolto al segreto di frate Marcello.

Dopo quasi una settimana di angosciosi dubbi decise di andare a rivelare alle autorità ciò che aveva appreso sul delitto del bosco. Quella notte ebbe un incubo: una voce di donna lo chiamava, una figura femminile dai contorni nebulosi gli porgeva un oggetto, lui cercava di afferrarlo, ma non riusciva a  muoversi. ”Vieni…vieni a prendere l’arma che mi ha tolto la vita”, Malvin allungava le mani ma, per quanti sforzi facesse non riusciva ad arrivare a quello strano arnese. Si svegliò in un bagno di sudore con il cuore che gli batteva come un martello. Si alzò, non riusciva a stare coricato, aveva paura di addormentarsi e di sognare ancora. Gironzolò per la casa finché non vide apparire l’alba.

Andò in cucina a prepararsi un caffè, stava armeggiando con la caffettiera quando sentì bussare alla porta, guardò l’orologio: erano le cinque di mattina. “Sarà qualcuno per la solita visita d’urgenza”, brontolò fra sé. In pigiama e pantofole andò alla porta: una giovane donna era sulla soglia.

“Desidera?”, chiese Malvin. Uno strano malessere lo pervase, una sensazione di freddo accompagnata da un lungo brivido. La donna rimase in silenzio, il dottore rifece la domanda, lei senza parlare entrò. Il dottor Malvin la seguì con lo sguardo sempre più disorientato:

“Signorina, la prego, mi dica cosa vuole a quest’ora”, sbottò spazientito.

Il volto della strana visitatrice, rimasto in penombra fino ad allora, s’illuminò alla luce del lampadario, il cuore del medico cominciò a battere più velocemente: aveva riconosciuto il viso della donna del ritratto dell’orologio del frate e delle foto sui giornali. Rosa! Mentre la sconosciuta si aggirava per  la stanza nella mente di Malvin c’era come una tempesta: non voleva cedere alla cosa assurda che stava vivendo. Quella ragazza non era un fantasma, era certamente qualcuno che assomigliava alla donna di frate Marcello…Si avvicinò a lei cercando di metterle una mano sulla spalla, ma in quel preciso istante inciampò nel tappeto e cadde. Quando si rialzò si ritrovò solo nella stanza, non c’era nessun altro all’infuori di lui. La donna che fino a un istante prima era lì, vicina al tavolo e che lo fissava con strani occhi senza sguardo, non c’era più. Si rimise in piedi e si precipitò ad aprire la porta e guardare fuori, solo il frusciare degli alberi e il canto degli uccelli stavano a dimostrare che non stava più sognando, ma non c’era anima viva in giardino.

Rientrò in casa ancora incredulo: era convinto che quella donna dovesse essere da qualche parte, ispezionò la casa da cima a fondo senza risultato, ma non si dava per vinto e cercava un pretesto per non cedere al fatto di aver vissuto qualcosa che non era reale, ma soprannaturale.

“Certamente si era spaventata quando sono caduto, ed è fuggita, nascondendosi fra gli alberi, non me ne sono accorto, ma deve essere stato proprio così”.

Ancora turbato stava ritornando in cucina per cercare di prepararsi il caffè che non era riuscito a bere, passando davanti al tavolo del soggiorno, un oggetto attrasse la sua attenzione: qualcosa di metallico dalla forma strana era posato sulla superficie del mobile.

Si avvicinò, il turbamento che l’aveva colto poco prima si ripresentò: con la mano che tremava afferrò quella cosa. Un pugnale, con la lama ritorta mandava bagliori sinistri, Malvin lo rigirò stupefatto, un pensiero cominciò a frullargli nella mente e ricordò le parole del frate morente: “Il pugnale”. Sì, quello era il pugnale che aveva ucciso Rosa e lei gliel’aveva riportato : era la prova che gli serviva per andare dalle autorità e tenere fede al suo giuramento.  Il segreto di frate Marcello doveva essere rivelato per ridare la libertà a  un innocente, e il dottor Malvin da quel momento entrò in crisi avrebbe dovuto ricredersi su certe sue convinzioni fino ad allora incrollabili.

Avrebbe dovuto ammettere che oltre alla realtà esisteva anche un mondo occulto che non ha spiegazioni, è soltanto mistero.

 

FINE