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venerdì 16 giugno 2017

UNA NOTTE DI LUNA PIENA

 




 L'architetto Roberto Tommasi passava spesso dal Viale dei Platani e ogni volta guardava la casa rosa che s’intravvedeva attraverso la folta vegetazione del giardino incolto: gli piacevano le costruzioni del primo novecento vagamente liberty, aveva sempre sognato di possederne una per restaurarla  e viverci con la sua famiglia. Una volta si era anche fermato a curiosare, aveva provato ad aprire inutilmente il cancello e attraverso le sbarre aveva sbirciato l’edificio con i muri sbiaditi dal tempo, un po’ scrostati che denunciavano incuria e abbandono.
 Però quel giorno c’era una novità: un cartello con la scritta VENDESI era appeso alle sbarre arrugginite. Inchiodò l’auto e scese per vedere meglio, prese nota del numero di telefono, sapendo perfettamente che mai avrebbe avuto i soldi per acquistarla, però voleva almeno provare a chiedere quanto, per curiosità e per cancellare dai sogni quel desiderio.
“Sai che quella villa che mi piace è in vendita?”, disse la sera stessa a Loredana.
 Sua moglie lo guardò:
 “Cosa ti viene in mente, non ci possiamo permettere tanto lusso! ”, rispose lei  scuotendo la testa.
 Dalla camera accanto provenivano le grida dei figli che stavano giocando alla play-station.
“Ecco, senti? Ormai il nostro appartamento è piccolo, pensa se avessimo tutte quelle camere come staremmo tranquilli, non li sentiremmo nemmeno”, rispose lui tappandosi le orecchie.
“Sì, ho capito, ma è soltanto un sogno”, disse Loredana.
“Io ci voglio provare”, replicò Roberto determinato a non mollare.
 Prese il telefono e compose il numero.
Gli rispose una voce di donna dal timbro leggermene rauco, sicuramente una persona anziana che, alla sua richiesta rispose gentilmente:
“Non sono solita dare informazioni per telefono, se vuole, può venire da me, e le darò tutte le notizie che le interessano”.
“Dove posso trovarla?”, chiese lui .
“Naturalmente in villa, allora ci vediamo domani nel pomeriggio?”, propose la sua interlocutrice.
L’architetto fissò l’appuntamento e lanciò un’occhiata alla moglie:
“Non prendermi per pazzo, magari non chiede molto, la casa è talmente in cattivo stato che solo per restaurarla ci vorrebbero un mucchio di soldi”, borbottò aspettandosi la reazione che non tardò a venire.
“Appunto”, rimbeccò Loredana, “proprio quelli che non abbiamo”.
“Non dimenticare che sono un architetto e so come ci si muove nel mio mestiere, un po’ per volta ce la farei, e poi, ormai voglio andare in fondo, domani vado da quella signora e vedremo”, rispose Roberto cocciuto.
Puntuale si presentò alla villa, donna Clara  lo stava aspettando, era una signora alta, magra con i capelli candidi e il viso segnato dalle rughe, aveva lo sguardo dolce e il sorriso simpatico.
Si accomodarono in salotto e, dopo i convenevoli e le presentazioni la signora lo invitò a visitare la villa. Roberto osservava tutto con occhi esperti e pensava che quella sarebbe stata la casa ideale: quei soffitti alti nelle stanze ampie lo entusiasmavano.
Terminato il giro si rimisero a sedere:
“Ed ora vorrei sapere il prezzo”, disse pronto a ricevere la mazzata.
L’anziana signora lo guardò per qualche secondo senza parlare aumentando così la tensione dell’attesa..
“Vede, architetto, io non ho eredi, sono vecchia e sola, e lei mi piace”, si fermò, poi riprese, “ha bambini?”, chiese improvvisamente.
“Sì, due maschietti di sette e dodici anni”, rispose Roberto sempre in attesa di conoscere il verdetto.
 “Bene, sarei felice di concludere con lei, finalmente questa casa ritornerebbe viva”, disse con un triste sorriso. Quando finalmente la signora si decise a dire la cifra, Roberto rimase di stucco, non avrebbe mai creduto che la nobildonna chiedesse così poco: praticamente con qualche sacrificio e un mutuo avrebbe potuto permettersi di realizzare il suo desiderio. Non ci pensò due volte e accettò ,corse a casa per dire a Loredana la grande notizia.
“Sei sicuro di quello che dici?”, chiese lei incredula.
“Stai tranquilla, ho capito bene, è un grande affare, sarebbe sciocco lasciarselo scappare”, rispose lui  euforico.
Sempre più entusiasta e sempre più incredulo di aver fatto un affare , a operazione conclusa  Roberto 
cominciò subito i lavori di ristrutturazione… dopo pochi mesi la villa era pronta per ospitare la famiglia dell’architetto Tommasi. 
I ragazzi erano felicissimi, avevano tutto lo spazio per giocare e per ricevere gli amici, Loredana e Roberto stavano finalmente apprezzando la gioia di avere una bella casa.
Decisero, dopo qualche tempo di dare una festa per l’inaugurazione e invitarono amici, parenti e anche clienti dell’architetto, dopotutto, per incrementare il suo lavoro, erano necessarie anche alle pubbliche relazioni.
 La sera del ricevimento la villa era nel suo massimo splendore, tutti i lampadari di cristallo brillavano illuminando il salone preparato per l’occasione.
Marco, un vecchio amico di Roberto lo prese in disparte:
 “Come mai hai comperato questa villa?”; gli chiese con un’aria enigmatica.
“E’ stato un affare! Perché me lo chiedi?”.
“Non è molto che ti sei stabilito qui e sicuramente non sai la storia di questa casa”, incalzò l’amico.
Sollecitato da Roberto, Marco si lasciò convincere a raccontare:
“Nessuno del posto l’avrebbe acquistata, donna Clara ha cercato di venderla diverse volte ma non ci è mai riuscita. Questa casa ha una cattiva nomea “, l’uomo non sapeva se continuare e Roberto l’incalzò: “Vai avanti, se c’è qualcosa di spiacevole lo devo sapere”.
“Va bene, te lo devo dire.  Sembra che nelle notti di luna nuova si sentano delle voci e dei suoni in tutte le stanze e ci siano fenomeni paranormali, non vorrei essere in casa in quel momento”, confessò Marco rabbrividendo.
Roberto lo guardò un attimo esterrefatto poi scoppiò in una risata:
“Dovrei credere a queste fandonie, scordatelo, i fantasmi non esistono”, asserì sicuro di sé, “piuttosto, andiamo a bere un bicchiere di spumante, mi è venuta la gola secca”.
Roberto non disse nulla a Loredana né ai ragazzi, non aveva mai creduto nell’arcano mondo dell’al di là e nemmeno voleva pensare che potesse succedere proprio in casa sua, così continuò soddisfatto a vivere con la famiglia nella casa nuova.
“Sai papà”, gli disse una sera Nicolò, il figlio più piccolo di sei anni, “in questa casa ho trovato un amico”.
“Ah sì?”, rispose Roberto, “e chi è?”.
“Si chiama Samuel e viene a trovarmi tutte le sere prima di addormentarmi”.
“Vorrai dire prima di tornare a casa, l’avrai conosciuto ai giardinetti”.
“No, viene proprio vicino al mio letto e mi parla di tante cose”, disse il ragazzino.
“Ti senti bene?”, chiese Roberto toccando la fronte del bambino
“Sto benissimo, non credi a quello che dico?”; continuò il ragazzino
“Certo e, di che cosa parlate?”, chiese ancora il papà che non lo voleva contraddire .
“Lui mi racconta una strana storia, dice che la sua casa è stretta, che non si può muovere e aspetta qualcuno che lo venga a salvare. Da che cosa non l’ho capito”, affermò Nicolò alzando le spalle.
“Adesso vai a dormire e stai tranquillo, vengo io a raccontarti una favola”, lo rassicurò Roberto preoccupato.
Le parole del figlio l’avevano impressionato, ne parlò a Loredana che lo tranquillizzò:
“Molti bambini si fanno un amico immaginario, non ti preoccupare, vedrai che fra non molto gli passerà”.
Nei giorni seguenti osservò meglio Nicolò, però gli sembrava del tutto normale, anche Pietro, il fratello più grande non dava peso a ciò che raccontava, anzi si divertiva a punzecchiarlo sull’amico virtuale.
“Domani c’è la luna nuova”, disse improvvisamente a tavola Loredana mentre serviva l’arrosto.
Roberto risentì la voce del suo amico “sembra che nelle notti di luna piena avvengano fenomeni paranormali” e gli si chiuse lo stomaco. “No, grazie, per me nulla, mi è passata la fame”..
Quella notte prima di ficcarsi sotto le coperte Roberto scostò le tendine della finestra e guardò il cielo: una grande luna illuminava il buio. “Luna nuova”, sussurrò.
Poi si coricò e tentò di addormentarsi, la casa era silenziosa, tutto il resto della famiglia dormiva, era già passata la mezzanotte quando un rumore sordo lo fece sobbalzare. Proveniva dal soggiorno, rimase in ascolto, il rumore continuava, anzi era un susseguirsi di tonfi, come se un bambino corresse per la stanza. Si alzò e scese le scale, improvvisamente una ventata spalancò le vetrate, le grandi tende bianche svolazzarono creando un’atmosfera spettrale che faceva venire i brividi. Un lampo squarciò il buio, Loredana si svegliò di soprassalto: “Sta arrivando il temporale, chiudi le finestre”, raccomandò al marito con la voce impastata dal sonno, si rigirò dal lato opposto e si riaddormentò.
 “Altro che temporale, il cielo non è mai stato così sereno”, pensò lui impaurito da ciò che stava accadendo; risalì con le gambe molli e si tappò le orecchie per non sentire il tramestio nel locale sottostante. Della famiglia fu l’unico che non dormì, con gli occhi sbarrati e i sensi vigili si rigirò nelle lenzuola finché non sentì la sveglia che l’avvertiva che era l’ora di alzarsi. Scese in cucina come uno zombi e si preparò un caffè, ne aveva bisogno, mentre sorseggiava il liquido bollente lo sguardo cadde su una foto in bella vista sulla credenza, incuriosito la prese, erano persone sconosciute, e nemmeno si era mai accorto che il ritratto fosse su quel mobile.
Osservò meglio, era una famiglia, i genitori con i figli: due ragazzini fra i sette e i dieci anni, vestiti bene, ma con abiti passati di moda, forse anni quaranta, il più piccolo indossava un berretto con la visiera e sul bavero della giacca aveva un distintivo, un piccolo aereo dorato.
Quando sua moglie lo raggiunse le mostrò la foto: Loredana scosse il capo: “Non so chi sia questa gente”, rispose attonita. I ragazzi arrivarono correndo a fare colazione, Nicolò appena vide il ritratto esclamò:
“Ecco il mio amico…è questo!”, disse indicando il ragazzino col cappellino.
Suo padre gli si avvicinò: “Sei proprio sicuro?”, chiese cauto
“Ha lo stesso berretto, e il distintivo…è proprio lui, è venuto anche stanotte e mi ha detto che presto andrà via, perché lo faranno uscire dalla camera stretta e mi verrà a salutare”, disse il bambino tutto d’un fiato.
Gli altri si guardarono in viso, suo fratello sbottò:
“Smettila di dire sciocchezze, ti stai inventando tutto!”.
“Sto dicendo la verità, credetemi!”, gridò Nicolò . “Lui ha detto che parla solo con me perché sono un bambino, i grandi non possono sentirlo”, poi offeso perché nessuno gli credeva, corse via singhiozzando.
 L’architetto Tommasi impressionato decise di fare visita a donna Clara portando con sé la foto misteriosa. L’anziana signora, non appena ebbe fra le mani quel ritratto cambiò espressione, il suo viso si fece triste e gli occhi si inumidirono:
“Poveretti”, mormorò. Poi si riprese:
 “E’ la famiglia di mio zio, erano ebrei, furono deportati a Mathausen ; la loro villa, quella che lei ha acquistato  fu occupata dai tedeschi; morirono tutti, eccetto Samuel, questo ragazzino”, disse indicando il bambino con il berretto, “è sfuggito all’arresto, ma di lui non si è saputo più nulla”.
 Roberto sentì un brivido corrergli lungo la schiena, tutto coincideva con ciò che gli aveva detto Nicolò.
Quella notte si fermò accanto al letto del figlio, ma non accadde nulla, il bambino dormì tranquillo fino alla mattina, ma quando aprì gli occhi e lo vide sorrise:
“Sai papà che Samuel mi ha detto dov’è la sua casa? Anzi mi ha pregato di dirti di andare da lui, subito. “Vieni”, si alzò dal letto e prese per mano il padre.
Roberto lo seguì stordito fino alla porta sulle scale della cantina:
 “Dove stai andando?”; chiese angosciato .
 “Dai, facciamo presto!”, rispose Nicolò .
Entrarono nel locale zeppo di cianfrusaglie e si fermarono davanti ad un grande baule: “Ecco, siamo arrivati”, disse il ragazzino, “…apri”.
Con il cuore che gli usciva dal petto e le mani tremanti, Roberto alzò il coperchio con fatica, ciò che vide quasi gli fece perdere i sensi, si appoggiò a un vecchio mobile, chiuse di scatto il baule e sussurrò a suo figlio: “Vai su, ti chiama la mamma”.
“Fammi vedere cosa c’è”, insistette il bambino.
“No! ritorna in camera, te lo dico dopo”, ordinò. Nicolò andò via imbronciato.
   L’uomo non poteva mostrare a suo figlio ciò che era rimasto del corpo di Samuel, poiché si trattava proprio di lui, c’era un berretto consunto e un distintivo dorato sul bavero di quella che era stata una giacca.
Donna Clara riconobbe i resti del bimbo sfuggito ai nazisti: quando arrestarono la sua famigli era scappato in cantina, si era nascosto nel baule e non era stato più capace di aprirlo…
Qualche giorno dopo Nicolò disse serafico:
“Il mio amico vi ringrazia, è venuto a salutarmi perché non verrà più, finalmente ha trovato una casa più bella”.
“E tutti abbiamo ritrovato la pace”, sussurrò Roberto.
                                                                                                                                                            FINE








  

 


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