L'architetto Roberto Tommasi passava spesso dal Viale dei
Platani e ogni volta guardava la casa rosa che s’intravvedeva attraverso la
folta vegetazione del giardino incolto: gli piacevano le costruzioni del primo
novecento vagamente liberty, aveva sempre sognato di possederne una per
restaurarla e viverci con la sua
famiglia. Una volta si era anche fermato a curiosare, aveva provato ad aprire
inutilmente il cancello e attraverso le sbarre aveva sbirciato l’edificio con i
muri sbiaditi dal tempo, un po’ scrostati che denunciavano incuria e abbandono.
Però quel giorno
c’era una novità: un cartello con la scritta VENDESI era appeso alle sbarre
arrugginite. Inchiodò l’auto e scese per vedere meglio, prese nota del numero
di telefono, sapendo perfettamente che mai avrebbe avuto i soldi per
acquistarla, però voleva almeno provare a chiedere quanto, per curiosità e per
cancellare dai sogni quel desiderio.
“Sai che quella villa che mi piace è in vendita?”, disse
la sera stessa a Loredana.
Sua moglie lo
guardò:
“Cosa ti viene in
mente, non ci possiamo permettere tanto lusso! ”, rispose lei scuotendo la testa.
Dalla camera
accanto provenivano le grida dei figli che stavano giocando alla play-station.
“Ecco, senti? Ormai il nostro appartamento è piccolo,
pensa se avessimo tutte quelle camere come staremmo tranquilli, non li
sentiremmo nemmeno”, rispose lui tappandosi le orecchie.
“Sì, ho capito, ma è soltanto un sogno”, disse Loredana.
“Io ci voglio provare”, replicò Roberto determinato a non
mollare.
Prese il telefono e
compose il numero.
Gli rispose una voce di donna dal timbro leggermene rauco,
sicuramente una persona anziana che, alla sua richiesta rispose gentilmente:
“Non sono solita dare informazioni per telefono, se vuole,
può venire da me, e le darò tutte le notizie che le interessano”.
“Dove posso trovarla?”, chiese lui .
“Naturalmente in villa, allora ci vediamo domani nel
pomeriggio?”, propose la sua interlocutrice.
L’architetto fissò l’appuntamento e lanciò un’occhiata
alla moglie:
“Non prendermi per pazzo, magari non chiede molto, la casa
è talmente in cattivo stato che solo per restaurarla ci vorrebbero un mucchio
di soldi”, borbottò aspettandosi la reazione che non tardò a venire.
“Appunto”, rimbeccò Loredana, “proprio quelli che non
abbiamo”.
“Non dimenticare che sono un architetto e so come ci si
muove nel mio mestiere, un po’ per volta ce la farei, e poi, ormai voglio
andare in fondo, domani vado da quella signora e vedremo”, rispose Roberto
cocciuto.
Puntuale si presentò alla villa, donna Clara lo stava aspettando, era una signora alta,
magra con i capelli candidi e il viso segnato dalle rughe, aveva lo sguardo
dolce e il sorriso simpatico.
Si accomodarono in salotto e, dopo i convenevoli e le
presentazioni la signora lo invitò a visitare la villa. Roberto osservava tutto
con occhi esperti e pensava che quella sarebbe stata la casa ideale: quei
soffitti alti nelle stanze ampie lo entusiasmavano.
Terminato il giro si rimisero a sedere:
“Ed ora vorrei sapere il prezzo”, disse pronto a ricevere
la mazzata.
L’anziana signora lo guardò per qualche secondo senza
parlare aumentando così la tensione dell’attesa..
“Vede, architetto, io non ho eredi, sono vecchia e sola, e
lei mi piace”, si fermò, poi riprese, “ha bambini?”, chiese improvvisamente.
“Sì, due maschietti di sette e dodici anni”, rispose
Roberto sempre in attesa di conoscere il verdetto.
“Bene, sarei felice
di concludere con lei, finalmente questa casa ritornerebbe viva”, disse con un
triste sorriso. Quando finalmente la signora si decise a dire la cifra, Roberto
rimase di stucco, non avrebbe mai creduto che la nobildonna chiedesse così
poco: praticamente con qualche sacrificio e un mutuo avrebbe potuto permettersi
di realizzare il suo desiderio. Non ci pensò due volte e accettò ,corse a casa
per dire a Loredana la grande notizia.
“Sei sicuro di quello che dici?”, chiese lei incredula.
“Stai tranquilla, ho capito bene, è un grande affare,
sarebbe sciocco lasciarselo scappare”, rispose lui euforico.
Sempre più entusiasta e sempre più incredulo di aver fatto
un affare , a operazione conclusa
Roberto
cominciò subito i lavori di ristrutturazione… dopo pochi
mesi la villa era pronta per ospitare la famiglia dell’architetto Tommasi.
I ragazzi erano felicissimi, avevano tutto lo spazio per
giocare e per ricevere gli amici, Loredana e Roberto stavano finalmente
apprezzando la gioia di avere una bella casa.
Decisero, dopo qualche tempo di dare una festa per
l’inaugurazione e invitarono amici, parenti e anche clienti dell’architetto,
dopotutto, per incrementare il suo lavoro, erano necessarie anche alle
pubbliche relazioni.
La sera del
ricevimento la villa era nel suo massimo splendore, tutti i lampadari di
cristallo brillavano illuminando il salone preparato per l’occasione.
Marco, un vecchio amico di Roberto lo prese in disparte:
“Come mai hai
comperato questa villa?”; gli chiese con un’aria enigmatica.
“E’ stato un affare! Perché me lo chiedi?”.
“Non è molto che ti sei stabilito qui e sicuramente non
sai la storia di questa casa”, incalzò l’amico.
Sollecitato da Roberto, Marco si lasciò convincere a
raccontare:
“Nessuno del posto l’avrebbe acquistata, donna Clara ha
cercato di venderla diverse volte ma non ci è mai riuscita. Questa casa ha una
cattiva nomea “, l’uomo non sapeva se continuare e Roberto l’incalzò: “Vai
avanti, se c’è qualcosa di spiacevole lo devo sapere”.
“Va bene, te lo devo dire. Sembra che nelle notti di luna nuova si
sentano delle voci e dei suoni in tutte le stanze e ci siano fenomeni
paranormali, non vorrei essere in casa in quel momento”, confessò Marco
rabbrividendo.
Roberto lo guardò un attimo esterrefatto poi scoppiò in
una risata:
“Dovrei credere a queste fandonie, scordatelo, i fantasmi non esistono”, asserì sicuro di sé, “piuttosto, andiamo a bere un bicchiere di spumante, mi è venuta la gola secca”.
“Dovrei credere a queste fandonie, scordatelo, i fantasmi non esistono”, asserì sicuro di sé, “piuttosto, andiamo a bere un bicchiere di spumante, mi è venuta la gola secca”.
Roberto non disse nulla a Loredana né ai ragazzi, non
aveva mai creduto nell’arcano mondo dell’al di là e nemmeno voleva pensare che
potesse succedere proprio in casa sua, così continuò soddisfatto a vivere con
la famiglia nella casa nuova.
“Sai papà”, gli disse una sera Nicolò, il figlio più
piccolo di sei anni, “in questa casa ho trovato un amico”.
“Ah sì?”, rispose Roberto, “e chi è?”.
“Si chiama Samuel e viene a trovarmi tutte le sere prima
di addormentarmi”.
“Vorrai dire prima di tornare a casa, l’avrai conosciuto
ai giardinetti”.
“No, viene proprio vicino al mio letto e mi parla di tante
cose”, disse il ragazzino.
“Ti senti bene?”, chiese Roberto toccando la fronte del
bambino
“Sto benissimo, non credi a quello che dico?”; continuò il ragazzino
“Sto benissimo, non credi a quello che dico?”; continuò il ragazzino
“Certo e, di che cosa parlate?”, chiese ancora il papà che
non lo voleva contraddire .
“Lui mi racconta una strana storia, dice che la sua casa è
stretta, che non si può muovere e aspetta qualcuno che lo venga a salvare. Da
che cosa non l’ho capito”, affermò Nicolò alzando le spalle.
“Adesso vai a dormire e stai tranquillo, vengo io a
raccontarti una favola”, lo rassicurò Roberto preoccupato.
Le parole del figlio l’avevano impressionato, ne parlò a
Loredana che lo tranquillizzò:
“Molti bambini si fanno un amico immaginario, non ti preoccupare, vedrai che fra non molto gli passerà”.
“Molti bambini si fanno un amico immaginario, non ti preoccupare, vedrai che fra non molto gli passerà”.
Nei giorni seguenti osservò meglio Nicolò, però gli
sembrava del tutto normale, anche Pietro, il fratello più grande non dava peso
a ciò che raccontava, anzi si divertiva a punzecchiarlo sull’amico virtuale.
“Domani c’è la luna nuova”, disse improvvisamente a tavola
Loredana mentre serviva l’arrosto.
Roberto risentì la voce del suo amico “sembra che nelle
notti di luna piena avvengano fenomeni paranormali” e gli si chiuse lo stomaco.
“No, grazie, per me nulla, mi è passata la fame”..
Quella notte prima di ficcarsi sotto le coperte Roberto
scostò le tendine della finestra e guardò il cielo: una grande luna illuminava
il buio. “Luna nuova”, sussurrò.
Poi si coricò e tentò di addormentarsi, la casa era
silenziosa, tutto il resto della famiglia dormiva, era già passata la
mezzanotte quando un rumore sordo lo fece sobbalzare. Proveniva dal soggiorno,
rimase in ascolto, il rumore continuava, anzi era un susseguirsi di tonfi, come
se un bambino corresse per la stanza. Si alzò e scese le scale, improvvisamente
una ventata spalancò le vetrate, le grandi tende bianche svolazzarono creando
un’atmosfera spettrale che faceva venire i brividi. Un lampo squarciò il buio,
Loredana si svegliò di soprassalto: “Sta arrivando il temporale, chiudi le
finestre”, raccomandò al marito con la voce impastata dal sonno, si rigirò dal
lato opposto e si riaddormentò.
“Altro che
temporale, il cielo non è mai stato così sereno”, pensò lui impaurito da ciò
che stava accadendo; risalì con le gambe molli e si tappò le orecchie per non
sentire il tramestio nel locale sottostante. Della famiglia fu l’unico che non
dormì, con gli occhi sbarrati e i sensi vigili si rigirò nelle lenzuola finché
non sentì la sveglia che l’avvertiva che era l’ora di alzarsi. Scese in cucina
come uno zombi e si preparò un caffè, ne aveva bisogno, mentre sorseggiava il
liquido bollente lo sguardo cadde su una foto in bella vista sulla credenza,
incuriosito la prese, erano persone sconosciute, e nemmeno si era mai accorto
che il ritratto fosse su quel mobile.
Osservò meglio, era una famiglia, i genitori con i figli:
due ragazzini fra i sette e i dieci anni, vestiti bene, ma con abiti passati di
moda, forse anni quaranta, il più piccolo indossava un berretto con la visiera
e sul bavero della giacca aveva un distintivo, un piccolo aereo dorato.
Quando sua moglie lo raggiunse le mostrò la foto: Loredana
scosse il capo: “Non so chi sia questa gente”, rispose attonita. I ragazzi
arrivarono correndo a fare colazione, Nicolò appena vide il ritratto esclamò:
“Ecco il mio amico…è questo!”, disse indicando il ragazzino col cappellino.
“Ecco il mio amico…è questo!”, disse indicando il ragazzino col cappellino.
Suo padre gli si avvicinò: “Sei proprio sicuro?”, chiese
cauto
“Ha lo stesso berretto, e il distintivo…è proprio lui, è
venuto anche stanotte e mi ha detto che presto andrà via, perché lo faranno
uscire dalla camera stretta e mi verrà a salutare”, disse il bambino tutto d’un
fiato.
Gli altri si guardarono in viso, suo fratello sbottò:
“Smettila di dire sciocchezze, ti stai inventando tutto!”.
“Smettila di dire sciocchezze, ti stai inventando tutto!”.
“Sto dicendo la verità, credetemi!”, gridò Nicolò . “Lui
ha detto che parla solo con me perché sono un bambino, i grandi non possono
sentirlo”, poi offeso perché nessuno gli credeva, corse via singhiozzando.
L’architetto
Tommasi impressionato decise di fare visita a donna Clara portando con sé la
foto misteriosa. L’anziana signora, non appena ebbe fra le mani quel ritratto
cambiò espressione, il suo viso si fece triste e gli occhi si inumidirono:
“Poveretti”, mormorò. Poi si riprese:
“Poveretti”, mormorò. Poi si riprese:
“E’ la famiglia di
mio zio, erano ebrei, furono deportati a Mathausen ; la loro villa, quella che
lei ha acquistato fu occupata dai
tedeschi; morirono tutti, eccetto Samuel, questo ragazzino”, disse indicando il
bambino con il berretto, “è sfuggito all’arresto, ma di lui non si è saputo più
nulla”.
Roberto sentì un
brivido corrergli lungo la schiena, tutto coincideva con ciò che gli aveva
detto Nicolò.
Quella notte si fermò accanto al letto del figlio, ma non
accadde nulla, il bambino dormì tranquillo fino alla mattina, ma quando aprì
gli occhi e lo vide sorrise:
“Sai papà che Samuel mi ha detto dov’è la sua casa? Anzi mi ha pregato di dirti di andare da lui, subito. “Vieni”, si alzò dal letto e prese per mano il padre.
“Sai papà che Samuel mi ha detto dov’è la sua casa? Anzi mi ha pregato di dirti di andare da lui, subito. “Vieni”, si alzò dal letto e prese per mano il padre.
Roberto lo seguì stordito fino alla porta sulle scale
della cantina:
“Dove stai
andando?”; chiese angosciato .
“Dai, facciamo
presto!”, rispose Nicolò .
Entrarono nel locale zeppo di cianfrusaglie e si fermarono
davanti ad un grande baule: “Ecco, siamo arrivati”, disse il ragazzino, “…apri”.
Con il cuore che gli usciva dal petto e le mani tremanti,
Roberto alzò il coperchio con fatica, ciò che vide quasi gli fece perdere i
sensi, si appoggiò a un vecchio mobile, chiuse di scatto il baule e sussurrò a
suo figlio: “Vai su, ti chiama la mamma”.
“Fammi vedere cosa c’è”, insistette il bambino.
“No! ritorna in camera, te lo dico dopo”, ordinò. Nicolò
andò via imbronciato.
L’uomo non poteva
mostrare a suo figlio ciò che era rimasto del corpo di Samuel, poiché si
trattava proprio di lui, c’era un berretto consunto e un distintivo dorato sul
bavero di quella che era stata una giacca.
Donna Clara riconobbe i resti del bimbo sfuggito ai
nazisti: quando arrestarono la sua famigli era scappato in cantina, si era
nascosto nel baule e non era stato più capace di aprirlo…
Qualche giorno dopo Nicolò disse serafico:
“Il mio amico vi ringrazia, è venuto a salutarmi perché
non verrà più, finalmente ha trovato una casa più bella”.
“E tutti abbiamo ritrovato la pace”, sussurrò Roberto.
FINE
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