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venerdì 16 giugno 2017

UNA NOTTE DI LUNA PIENA

 




 L'architetto Roberto Tommasi passava spesso dal Viale dei Platani e ogni volta guardava la casa rosa che s’intravvedeva attraverso la folta vegetazione del giardino incolto: gli piacevano le costruzioni del primo novecento vagamente liberty, aveva sempre sognato di possederne una per restaurarla  e viverci con la sua famiglia. Una volta si era anche fermato a curiosare, aveva provato ad aprire inutilmente il cancello e attraverso le sbarre aveva sbirciato l’edificio con i muri sbiaditi dal tempo, un po’ scrostati che denunciavano incuria e abbandono.
 Però quel giorno c’era una novità: un cartello con la scritta VENDESI era appeso alle sbarre arrugginite. Inchiodò l’auto e scese per vedere meglio, prese nota del numero di telefono, sapendo perfettamente che mai avrebbe avuto i soldi per acquistarla, però voleva almeno provare a chiedere quanto, per curiosità e per cancellare dai sogni quel desiderio.
“Sai che quella villa che mi piace è in vendita?”, disse la sera stessa a Loredana.
 Sua moglie lo guardò:
 “Cosa ti viene in mente, non ci possiamo permettere tanto lusso! ”, rispose lei  scuotendo la testa.
 Dalla camera accanto provenivano le grida dei figli che stavano giocando alla play-station.
“Ecco, senti? Ormai il nostro appartamento è piccolo, pensa se avessimo tutte quelle camere come staremmo tranquilli, non li sentiremmo nemmeno”, rispose lui tappandosi le orecchie.
“Sì, ho capito, ma è soltanto un sogno”, disse Loredana.
“Io ci voglio provare”, replicò Roberto determinato a non mollare.
 Prese il telefono e compose il numero.
Gli rispose una voce di donna dal timbro leggermene rauco, sicuramente una persona anziana che, alla sua richiesta rispose gentilmente:
“Non sono solita dare informazioni per telefono, se vuole, può venire da me, e le darò tutte le notizie che le interessano”.
“Dove posso trovarla?”, chiese lui .
“Naturalmente in villa, allora ci vediamo domani nel pomeriggio?”, propose la sua interlocutrice.
L’architetto fissò l’appuntamento e lanciò un’occhiata alla moglie:
“Non prendermi per pazzo, magari non chiede molto, la casa è talmente in cattivo stato che solo per restaurarla ci vorrebbero un mucchio di soldi”, borbottò aspettandosi la reazione che non tardò a venire.
“Appunto”, rimbeccò Loredana, “proprio quelli che non abbiamo”.
“Non dimenticare che sono un architetto e so come ci si muove nel mio mestiere, un po’ per volta ce la farei, e poi, ormai voglio andare in fondo, domani vado da quella signora e vedremo”, rispose Roberto cocciuto.
Puntuale si presentò alla villa, donna Clara  lo stava aspettando, era una signora alta, magra con i capelli candidi e il viso segnato dalle rughe, aveva lo sguardo dolce e il sorriso simpatico.
Si accomodarono in salotto e, dopo i convenevoli e le presentazioni la signora lo invitò a visitare la villa. Roberto osservava tutto con occhi esperti e pensava che quella sarebbe stata la casa ideale: quei soffitti alti nelle stanze ampie lo entusiasmavano.
Terminato il giro si rimisero a sedere:
“Ed ora vorrei sapere il prezzo”, disse pronto a ricevere la mazzata.
L’anziana signora lo guardò per qualche secondo senza parlare aumentando così la tensione dell’attesa..
“Vede, architetto, io non ho eredi, sono vecchia e sola, e lei mi piace”, si fermò, poi riprese, “ha bambini?”, chiese improvvisamente.
“Sì, due maschietti di sette e dodici anni”, rispose Roberto sempre in attesa di conoscere il verdetto.
 “Bene, sarei felice di concludere con lei, finalmente questa casa ritornerebbe viva”, disse con un triste sorriso. Quando finalmente la signora si decise a dire la cifra, Roberto rimase di stucco, non avrebbe mai creduto che la nobildonna chiedesse così poco: praticamente con qualche sacrificio e un mutuo avrebbe potuto permettersi di realizzare il suo desiderio. Non ci pensò due volte e accettò ,corse a casa per dire a Loredana la grande notizia.
“Sei sicuro di quello che dici?”, chiese lei incredula.
“Stai tranquilla, ho capito bene, è un grande affare, sarebbe sciocco lasciarselo scappare”, rispose lui  euforico.
Sempre più entusiasta e sempre più incredulo di aver fatto un affare , a operazione conclusa  Roberto 
cominciò subito i lavori di ristrutturazione… dopo pochi mesi la villa era pronta per ospitare la famiglia dell’architetto Tommasi. 
I ragazzi erano felicissimi, avevano tutto lo spazio per giocare e per ricevere gli amici, Loredana e Roberto stavano finalmente apprezzando la gioia di avere una bella casa.
Decisero, dopo qualche tempo di dare una festa per l’inaugurazione e invitarono amici, parenti e anche clienti dell’architetto, dopotutto, per incrementare il suo lavoro, erano necessarie anche alle pubbliche relazioni.
 La sera del ricevimento la villa era nel suo massimo splendore, tutti i lampadari di cristallo brillavano illuminando il salone preparato per l’occasione.
Marco, un vecchio amico di Roberto lo prese in disparte:
 “Come mai hai comperato questa villa?”; gli chiese con un’aria enigmatica.
“E’ stato un affare! Perché me lo chiedi?”.
“Non è molto che ti sei stabilito qui e sicuramente non sai la storia di questa casa”, incalzò l’amico.
Sollecitato da Roberto, Marco si lasciò convincere a raccontare:
“Nessuno del posto l’avrebbe acquistata, donna Clara ha cercato di venderla diverse volte ma non ci è mai riuscita. Questa casa ha una cattiva nomea “, l’uomo non sapeva se continuare e Roberto l’incalzò: “Vai avanti, se c’è qualcosa di spiacevole lo devo sapere”.
“Va bene, te lo devo dire.  Sembra che nelle notti di luna nuova si sentano delle voci e dei suoni in tutte le stanze e ci siano fenomeni paranormali, non vorrei essere in casa in quel momento”, confessò Marco rabbrividendo.
Roberto lo guardò un attimo esterrefatto poi scoppiò in una risata:
“Dovrei credere a queste fandonie, scordatelo, i fantasmi non esistono”, asserì sicuro di sé, “piuttosto, andiamo a bere un bicchiere di spumante, mi è venuta la gola secca”.
Roberto non disse nulla a Loredana né ai ragazzi, non aveva mai creduto nell’arcano mondo dell’al di là e nemmeno voleva pensare che potesse succedere proprio in casa sua, così continuò soddisfatto a vivere con la famiglia nella casa nuova.
“Sai papà”, gli disse una sera Nicolò, il figlio più piccolo di sei anni, “in questa casa ho trovato un amico”.
“Ah sì?”, rispose Roberto, “e chi è?”.
“Si chiama Samuel e viene a trovarmi tutte le sere prima di addormentarmi”.
“Vorrai dire prima di tornare a casa, l’avrai conosciuto ai giardinetti”.
“No, viene proprio vicino al mio letto e mi parla di tante cose”, disse il ragazzino.
“Ti senti bene?”, chiese Roberto toccando la fronte del bambino
“Sto benissimo, non credi a quello che dico?”; continuò il ragazzino
“Certo e, di che cosa parlate?”, chiese ancora il papà che non lo voleva contraddire .
“Lui mi racconta una strana storia, dice che la sua casa è stretta, che non si può muovere e aspetta qualcuno che lo venga a salvare. Da che cosa non l’ho capito”, affermò Nicolò alzando le spalle.
“Adesso vai a dormire e stai tranquillo, vengo io a raccontarti una favola”, lo rassicurò Roberto preoccupato.
Le parole del figlio l’avevano impressionato, ne parlò a Loredana che lo tranquillizzò:
“Molti bambini si fanno un amico immaginario, non ti preoccupare, vedrai che fra non molto gli passerà”.
Nei giorni seguenti osservò meglio Nicolò, però gli sembrava del tutto normale, anche Pietro, il fratello più grande non dava peso a ciò che raccontava, anzi si divertiva a punzecchiarlo sull’amico virtuale.
“Domani c’è la luna nuova”, disse improvvisamente a tavola Loredana mentre serviva l’arrosto.
Roberto risentì la voce del suo amico “sembra che nelle notti di luna piena avvengano fenomeni paranormali” e gli si chiuse lo stomaco. “No, grazie, per me nulla, mi è passata la fame”..
Quella notte prima di ficcarsi sotto le coperte Roberto scostò le tendine della finestra e guardò il cielo: una grande luna illuminava il buio. “Luna nuova”, sussurrò.
Poi si coricò e tentò di addormentarsi, la casa era silenziosa, tutto il resto della famiglia dormiva, era già passata la mezzanotte quando un rumore sordo lo fece sobbalzare. Proveniva dal soggiorno, rimase in ascolto, il rumore continuava, anzi era un susseguirsi di tonfi, come se un bambino corresse per la stanza. Si alzò e scese le scale, improvvisamente una ventata spalancò le vetrate, le grandi tende bianche svolazzarono creando un’atmosfera spettrale che faceva venire i brividi. Un lampo squarciò il buio, Loredana si svegliò di soprassalto: “Sta arrivando il temporale, chiudi le finestre”, raccomandò al marito con la voce impastata dal sonno, si rigirò dal lato opposto e si riaddormentò.
 “Altro che temporale, il cielo non è mai stato così sereno”, pensò lui impaurito da ciò che stava accadendo; risalì con le gambe molli e si tappò le orecchie per non sentire il tramestio nel locale sottostante. Della famiglia fu l’unico che non dormì, con gli occhi sbarrati e i sensi vigili si rigirò nelle lenzuola finché non sentì la sveglia che l’avvertiva che era l’ora di alzarsi. Scese in cucina come uno zombi e si preparò un caffè, ne aveva bisogno, mentre sorseggiava il liquido bollente lo sguardo cadde su una foto in bella vista sulla credenza, incuriosito la prese, erano persone sconosciute, e nemmeno si era mai accorto che il ritratto fosse su quel mobile.
Osservò meglio, era una famiglia, i genitori con i figli: due ragazzini fra i sette e i dieci anni, vestiti bene, ma con abiti passati di moda, forse anni quaranta, il più piccolo indossava un berretto con la visiera e sul bavero della giacca aveva un distintivo, un piccolo aereo dorato.
Quando sua moglie lo raggiunse le mostrò la foto: Loredana scosse il capo: “Non so chi sia questa gente”, rispose attonita. I ragazzi arrivarono correndo a fare colazione, Nicolò appena vide il ritratto esclamò:
“Ecco il mio amico…è questo!”, disse indicando il ragazzino col cappellino.
Suo padre gli si avvicinò: “Sei proprio sicuro?”, chiese cauto
“Ha lo stesso berretto, e il distintivo…è proprio lui, è venuto anche stanotte e mi ha detto che presto andrà via, perché lo faranno uscire dalla camera stretta e mi verrà a salutare”, disse il bambino tutto d’un fiato.
Gli altri si guardarono in viso, suo fratello sbottò:
“Smettila di dire sciocchezze, ti stai inventando tutto!”.
“Sto dicendo la verità, credetemi!”, gridò Nicolò . “Lui ha detto che parla solo con me perché sono un bambino, i grandi non possono sentirlo”, poi offeso perché nessuno gli credeva, corse via singhiozzando.
 L’architetto Tommasi impressionato decise di fare visita a donna Clara portando con sé la foto misteriosa. L’anziana signora, non appena ebbe fra le mani quel ritratto cambiò espressione, il suo viso si fece triste e gli occhi si inumidirono:
“Poveretti”, mormorò. Poi si riprese:
 “E’ la famiglia di mio zio, erano ebrei, furono deportati a Mathausen ; la loro villa, quella che lei ha acquistato  fu occupata dai tedeschi; morirono tutti, eccetto Samuel, questo ragazzino”, disse indicando il bambino con il berretto, “è sfuggito all’arresto, ma di lui non si è saputo più nulla”.
 Roberto sentì un brivido corrergli lungo la schiena, tutto coincideva con ciò che gli aveva detto Nicolò.
Quella notte si fermò accanto al letto del figlio, ma non accadde nulla, il bambino dormì tranquillo fino alla mattina, ma quando aprì gli occhi e lo vide sorrise:
“Sai papà che Samuel mi ha detto dov’è la sua casa? Anzi mi ha pregato di dirti di andare da lui, subito. “Vieni”, si alzò dal letto e prese per mano il padre.
Roberto lo seguì stordito fino alla porta sulle scale della cantina:
 “Dove stai andando?”; chiese angosciato .
 “Dai, facciamo presto!”, rispose Nicolò .
Entrarono nel locale zeppo di cianfrusaglie e si fermarono davanti ad un grande baule: “Ecco, siamo arrivati”, disse il ragazzino, “…apri”.
Con il cuore che gli usciva dal petto e le mani tremanti, Roberto alzò il coperchio con fatica, ciò che vide quasi gli fece perdere i sensi, si appoggiò a un vecchio mobile, chiuse di scatto il baule e sussurrò a suo figlio: “Vai su, ti chiama la mamma”.
“Fammi vedere cosa c’è”, insistette il bambino.
“No! ritorna in camera, te lo dico dopo”, ordinò. Nicolò andò via imbronciato.
   L’uomo non poteva mostrare a suo figlio ciò che era rimasto del corpo di Samuel, poiché si trattava proprio di lui, c’era un berretto consunto e un distintivo dorato sul bavero di quella che era stata una giacca.
Donna Clara riconobbe i resti del bimbo sfuggito ai nazisti: quando arrestarono la sua famigli era scappato in cantina, si era nascosto nel baule e non era stato più capace di aprirlo…
Qualche giorno dopo Nicolò disse serafico:
“Il mio amico vi ringrazia, è venuto a salutarmi perché non verrà più, finalmente ha trovato una casa più bella”.
“E tutti abbiamo ritrovato la pace”, sussurrò Roberto.
                                                                                                                                                            FINE








  

 


domenica 4 giugno 2017

LA SCELTA

 



Lorenzo si stropicciò gli occhi stanchi: era al computer per scrivere un articolo, aveva quasi finito, ma non gli veniva la frase finale. Cancellava e riscriveva, scuoteva la testa, e ricancellava. Ormai le idee erano esaurite, capì che era arrivato il momento di andare a prendere un caffè. Si alzò e incontrò lo sguardo di Benedetta: i suoi occhi verdi lo stavano fissando con intenzione.

“Se mi aspetti vengo anch’io”, propose la ragazza raggiungendolo in fretta.
 Lorenzo, quando aveva cominciato a lavorare in quella redazione l’aveva subito notata per la cascata di capelli neri che contrastavano con la pelle bianca del viso e la bocca carnosa, ravvivata dal rossetto acceso.
“Allora…come ti trovi?”; gli chiese lei.
 Lorenzo era stato assunto da poco al giornale, aveva aspettato a lungo quel posto e finalmente era riuscito a coronare il sogno di diventare redattore in un mensile di prestigio..
 “Molto bene”, rispose pronto, “…e tu? Da quanto tempo sei qui?”.
“Sono già due anni…il lavoro mi piace ma vorrei fare un salto di qualità…non mi tiro mai indietro,insomma mi do’ da fare ma rimango sempre lì.”
“Ti vedo un po’ troppo ansiosa …dove vorresti arrivare?”, chiese Lorenzo.
 “Capo servizio…per esempio”, confessò lei.
Lui sorrise: “Voi donne volete tutto e subito”, disse scherzoso, “ma…ti spiacerebbe cambiare discorso?. Non parliamo di lavoro, facciamo una pausa, e gustiamoci questo caffè”, disse porgendole il bicchierino fumante.
Lei lo portò alla bocca e bevve alzando gli occhi su di lui che la sovrastava con la sua alta statura.
“Messaggio ricevuto… di cosa vogliamo parlare?”, disse poi.
" Per esempio, cosa fai stasera?", continuò Lorenzo. 
Benedetta gli lanciò uno sguardo stupito: “Che fai? …ci provi?”, replicò.
“Non mi permetterei mai, forse sei già impegnata e ho fatto una gaffe…?”.
Lei rimase silenziosa per qualche istante: “No…ora non più”, rispose amara.
“Lo sapevo…come al solito ho parlato a sproposito…ti chiedo scusa”, disse Lorenzo imbarazzato.
Benedetta alzò le spalle :
“Però…ripensandoci, stasera non ho niente in programma, non sarebbe una cattiva idea uscire insieme”, riprese.
“Benissimo”, rispose lui , “dimmi dove e quando devo venire a prenderti”.

 Scovarono un piccolo locale con un’atmosfera intima; nell’aria c’era  una musica soft.
 Si sedettero e ordinarono un drink: 
“Si sta bene qui”, disse lei guardandosi intorno.
 Dopo qualche momento di imbarazzo  Benedetta cominciò a parlare di sé.
Lorenzo seppe che aveva ventotto anni, che viveva sola, e che era reduce da una relazione con un uomo più grande di lei, con moglie e figli, che l’aveva profondamente delusa.
“Sai…la solita vecchia storia: divorzierò da mia moglie….ti prego di pazientare…poi vieni a sapere che aspetta un altro figlio dalla legittima consorte”, confessò con tristezza.
Lui ascoltava in silenzio, ma quello che diceva Benedetta lo interessava poco, era attratto dalla sua bocca , dai grandi occhi espressivi di un verde intenso…e poi dal suo modo di muoversi, di accompagnare con i gesti delle mani, lunghe e sottili, ciò che diceva. Lei si accorse che era distratto:
“Mi stai ascoltando?”, chiese infastidita. Lorenzo si riprese:
“Certo…se ti fa piacere ti offro la mia spalla per piangere sulle tue disgrazie, ma…”, si interruppe un istante,"tu mi piaci molto Benedetta, e vorrei che questa sera fosse tutta per noi".
" Hai ragione, ti chiedo scusa…la cosa è recente e non mi sono ancora ripresa…”.
“Vogliamo ballare?”, propose lui prendendola per una mano.
 Abbracciati si lasciarono portare dalla musica fra le poche coppie che occupavano la pista. Lorenzo turbato dal profumo dei capelli neri capì che stava scivolando nella fase dell’innamoramento, nessuna, prima di Benedetta gli aveva dato quelle sensazioni. Quando l’accompagnò a casa fece uno sforzo su se stesso per non chiederle di salire, si limitò a baciarla  e si accorse che anche per lei non era un semplice bacio ma  era un bacio sentito.
Il giorno dopo, in redazione, si scambiarono quegli sguardi particolari di chi comincia un amore.
Quella mattina, come al solito c’era la riunione di redazione nell'ufficio del direttore Marta Ferrini ,  una bella donna sulla quarantina, molto curata nel vestire, bionda e snella, con il piglio deciso; i suoi occhi chiari e freddi davano una certa soggezione. I redattori presero posto davanti alla sua  scrivania, Benedetta e Lorenzo sedevano vicini e a volte si guardavano negli occhi. Marta notò quegli sguardi e la sua espressione si indurì.  
“Devo farti i complimenti, Lorenzo”, esordì rivolta al giovane, “stai facendo un ottimo lavoro, scrivi bene e hai l'occhio clinico, c’è la stoffa del giornalista…bravo”.
 Lui diventò leggermente rosso, Benedetta si volse a guardarlo stupita. Quando la riunione volse al termine il direttore li congedò: “Abbiamo finito e…adesso, al lavoro”.
 Tutti si alzarono. “Lorenzo…rimani per favore”, disse a sorpresa Marta Ferrini.
  Il giovanotto riprese il posto sulla sedia.
“Vuoi bere qualcosa?”, domandò la donna porgendogli un bicchiere con un liquido rosato. Il giovanotto non seppe rifiutare e si trovò in mano qualcosa che, in quel momento non desiderava ingurgitare. Si stava chiedendo il perché…il periodo di prova stava per finire e forse voleva dirgli che non l’aveva superato….eppure gli aveva fatto i complimenti davanti a tutti… Forse per addolcire la pillola amara…
“ Vedo che sei perplesso…c’è qualcosa che non va?”, domandò Marta e senza aspettare risposta alzò il calice, “alla tua carriera!”, esclamò..
 Lorenzo non capiva, ma bevve d’un fiato l’aperitivo alcolico.
“Senti…stasera devo andare al vernissage di una mostra, che ne diresti di accompagnarmi?”, continuò lei  “così potresti fare un bel pezzo per la rubrica Arte”.
Il giovanotto ebbe la visione della serata che voleva trascorrere con Benedetta: una cenetta a due in casa, poi un cinema e dopo....concludere in bellezza!  perciò rimase muto… non avrebbe rinunciato al suo programma per niente al mondo.
“Stasera non posso…mi dispiace direttore…”, ebbe il coraggio di rispondere.
 Gli occhi freddi di Marta si chiusero come una fessura: “Non fa niente”, disse, “sarà per la prossima volta….vorrà dire che ti avvertirò in tempo. Ora puoi andare”, posò il bicchiere sulla scrivania e si immerse nella lettura della posta mentre Lorenzo si allontanava in silenzio. Uscì scuotendo la testa, forse aveva fatto male a rifiutare, forse aveva compromesso l’assunzione…Con questi pensieri tornò alla scrivania per riprendere il lavoro interrotto, ma era distratto da pensieri neri.
 Benedetta, dal suo posto gli lanciò un’occhiata e gli fece un cenno come per dire: allora? cosa voleva da te?. Lorenzo le fece intendere che ne avrebbero parlato dopo. Più tardi, il grafico più anziano si avvicinò:
“Ti vedo pensieroso, qualcosa è andato storto?”. 
Lorenzo non sapeva se confidarsi oppure tenere tutto per sé, poi si lasciò andare considerando che il collega era in quel giornale da tanti anni e sapeva come andavano le cose.
“C’era da aspettarselo…sei un bel ragazzo e il nostro direttore è molto sensibile al fascino maschile. Molti hanno fatto carriera in questo modo”, confessò il suo interlocutore. “Auguri giovanotto”, concluse l’uomo battendogli una mano sulla spalla.
La notizia sconvolse Lorenzo… come si doveva comportare? Decise di non dire nulla a Benedetta, se la sarebbe cavata da solo…
Qualche giorno dopo scadeva il periodo di prova e venne chiamato in direzione.
Marta Ferrini lo accolse con un largo sorriso: “meno male”, pensò lui, “non si è offesa”.
“Il tuo periodo di prova è stato superato brillantemente”, disse la donna, “sei un elemento valido e perciò ho deciso di confermarti”, si interruppe un attimo…poi,  " cose ne diresti come caposervizio attualità?”
Il cuore di Lorenzo fece un balzo, non avrebbe mai immaginato di fare un salto di quel genere. Veniva da un giornale di provincia dove aveva imparato il mestiere, quando gli avevano proposto di fare parte della prestigiosa testata diretta dalla Ferrini  aveva accettato al volo, ora era andato oltre il sogno…ma…cosa c’era dietro tutto questo? Cosa si doveva aspettare? Tornò in redazione rosso come un papavero, Benedetta si avvicinò:
 “Allora?…com’è andata?”, gli chiese ansiosa.
Lorenzo era così felice che le rispose di botto: “Sono stato assunto come… caposervizio”.
 Negli occhi di lei passò un’ombra, il sorriso le si spense sulle labbra, diventò pallida e disse con un filo di voce: “Congratulazioni…”
 Ritornò alla scrivania e si mise al computer senza alzare la testa e Lorenzo restò impalato senza avere la forza di reagire. Sommerso dalle congratulazioni fu costretto ad ordinare da bere per tutti, mentre alzava il bicchiere guardò negli occhi Benedetta in cerca di comprensione ma lei si voltò dall’altra parte, non gli perdonava di averla scavalcata.
Quando Lorenzo riuscì a parlarle, cercò di farla ragionare, ma per lei la delusione  era stata troppo grande, aspettava quel posto da tempo e…vederselo soffiare dall’ultimo arrivato, anche se si chiamava Lorenzo ed era innamorata di lui, non riusciva a mandarlo giù.
Cominciarono giorni difficili, Lorenzo soffriva per l’assurda situazione che si era creata, ma non si sentiva in colpa…non era arrivato a nessun compromesso  per guadagnarsi la promozione, aveva la coscienza tranquilla.
 Da parte sua Benedetta, rigida sulle sue posizioni, stava mettendo in crisi il loro rapporto: nonostante si amassero c'era  fra di loro una barriera. Anche  sul lavoro c’era qualche tensione perché lei non sopportava di essere sottoposta al fidanzato… non sapeva però che il poveretto faceva salti mortali per sottrarsi alle avances del direttore: declinava spesso gli inviti per gli  avvenimenti mondani, ma qualche volta era costretto ad accettare.
 Durante quelle serate si sentiva esibito come un oggetto dalla Ferrini che lo presentava come il “migliore” giornalista della sua redazione. Si vergognava di se stesso ma… gli piaceva troppo il suo lavoro e sperava che la donna si stancasse e capisse che con lui non c’era nulla da fare.
Purtroppo non sapeva che a lei non piacevano le sconfitte. Se ne accorse durante una riunione di redazione: Marta Ferrini,  gli chiese, anzi gli ordinò di accompagnarla a Parigi per le sfilate di moda.
 In quell’istante dagli occhi di Benedetta partì uno sguardo che lo incenerì .
“Ormai hanno capito tutti come hai fatto carriera….”, sibilò lei appena furono soli.
“Se credi questo, fra noi è finita….sono stanco delle tue insinuazioni”, replicò Lorenzo offeso tornando alla scrivania accompagnato dallo sguardo stupito di Benedetta che non si aspettava quella reazione.
 Quel giorno Lorenzo uscì dal giornale, per la prima volta dopo tanto tempo, da solo …e  Benedetta se ne andò per un’altra strada.

 Dopo una notte insonne ciascuno prese la propria decisione: Benedetta, dopo essersi fatta un esame di coscienza capì di aver  esagerato e capì anche che non voleva perdere Lorenzo, aveva trovato l’uomo della sua vita e non poteva lasciarlo, la carriera poteva aspettare…il suo amore no!
Non ne poteva più che venisse giorno per andare da lui e  chiedergli perdono , ma si sentiva morire perché aveva paura che lui non accettasse .

Per Lorenzo, invece, la battaglia era un po’ più ardua: doveva ribellarsi al ricatto della Ferrini,   aveva deciso di andare da lei e chiarire una volta per tutte la sua posizione. Se per salire in alto doveva piegarsi ai capricci di quella donna e chiudere con Benedetta, non era  quello che voleva.
  Bussò e, senza aspettare, entrò nell’ufficio con passo sicuro:
“Cosa c’è …?”, chiese Marta seccata.
“Direttore”, cominciò lui, “la prego di accettare le mie dimissioni”.
 Lo stupore che apparve sul viso di lei lasciò interdetto anche Lorenzo.
“Perché?”, chiese guardandolo stupefatta.
“Vorrei chiarire, una volta per tutte, che sono un giornalista d’attualità…lontano dagli avvenimenti mondani. In questi ultimi tempi sono stato costretto a frequentare salotti e ambienti che non m’ interessano. Cercherò un altro posto adatto alle mie attitudini “, concluse in fretta, appoggiandosi spossato allo schienale della sedia….  finalmente liberato da quell'incubo!
Marta Ferrini rimase in silenzio, lo guardò per qualche secondo mentre un sorrisetto le increspava le labbra:
“Ho capito…non vuoi venire a Parigi perché c’è di mezzo la tua ragazza …peccato, mi sarebbe piaciuto andarci con te…”.
 Si alzò, passeggiò per la stanza, andò alla finestra e guardò fuori. Si girò e disse:
“Verrà con me Benedetta…una donna se ne intende di moda, mentre tu…saresti stato in difficoltà”, in quel momento nessun risentimento traspariva dal suo viso.
Lorenzo l’ascoltava annichilito, Marta aveva capito tutto e stava ritirandosi con dignità.
“Ovviamente di dimissioni non se ne parla…riprenderai il tuo lavoro senza far storie”, concluse  bonariamente.
“Grazie”, balbettò Lorenzo e uscì di corsa in cerca di Benedetta.
Lei lo vide arrivare e gli saltò al collo:
“Ti prego, scusami, non ti voglio perdere…”, sussurrò stringendolo, “portami un souvenir dalla Francia”. 
 Lui la scostò per guardarla negli occhi:
 “Sai la novità ? me lo porterai tu!”.
 “Vuoi dire che…andrò a Parigi al tuo posto?”, domandò stupita la ragazza.
“Non te lo meriti, ma… penso proprio di sì, me l’ha detto adesso il direttore”.
“Ti amo…ti amo…”, continuava a ripetere Benedetta abbracciandolo .
 Qualche collega osò un leggero battimani, come spesso  succede nei film con  lieto fine.   
                                                                                                                                                      FINE