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domenica 21 maggio 2017

IL FASCINO DI GISELLE





"Ti aspetto nel pomeriggio...l'indirizzo te lo ricordi?", disse Leonardo mentre si infilava il casco e metteva in moto il motorino. Tommaso annuì.
"Tranquillo...sarò puntuale", rispose con un cenno di saluto. I due ragazzi se ne andarono per strade diverse. Erano compagni d'università e frequentavano la stessa facoltà , si erano conosciuti quando erano in fila per iscriversi al primo anno d'ingegneria meccanica, avevano subito simpatizzato e, quel giorno si erano accordati per studiare insieme in vista della imminente sessione d'esami.
Alle sedici, come avevano pattuito, Tommaso suonò alla porta della casa dell'amico. Venne ad aprire una giovane donna in tuta bianca, i capelli biondi spettinati le cadevano sulle spalle dandole un'aria sbarazzina, aveva un viso dai lineamenti minuti, cosparso di qualche efelide. Si asciugò le mani sporche di colore con un panno e  alzò su di lui gli occhi celesti, chiari e trasparenti come l'acqua:
"Sei Tommaso?"; domandò gentilmente, "Io sono Giselle...entra, Leo ti aspetta". Si fece da parte e lo lasciò passare.
 Il ragazzo passandole accanto la sovrastò di parecchi centimetri con la sua alta statura, rimase qualche secondo impacciato .
"Vai in fondo al corridoio, l'ultima camera a destra", disse ancora lei, "scusa se non ti accompagno, ma sto finendo un lavoro...poi vi porto qualcosa da mettere sotto i denti".
Tommaso ringraziò e raggiunse l'amico in camera:
"Simpatica tua sorella...e anche molto carina!", disse appena entrato.
"Vorrai dire mia madre.... Ogni volta è la stessa storia...non sei il solo ad essere caduto nell'equivoco", rispose Leonardo divertito.
"Non ci posso credere...!", esclamò stupito l'altro.
"Quando sono nato aveva appena diciotto anni... adesso ne ha quarantadue e li porta bene...però, anche se sembra una ragazzina è sempre mia mamma", affermò Leo sorridendo, "ma...adesso bando alle chiacchiere e cominciamo a studiare".
"Hai ragione", rispose  Tommaso poco convinto, "buttiamoci sui libri...".
I due giovani si immersero nei calcoli matematici e si fermarono solo quando sentirono bussare alla porta:
"E' ora di fare una pausa...Volete una tazza di tè e qualche biscotto?".
 Giselle entrò portando un vassoio con le tazze e i pasticcini.  Mentre Tommaso stava sorseggiando la bevanda calda non riusciva a staccare gli occhi dalla madre dell'amico che si era seduta sul letto per prendere il tè con loro: l'affascinava come si muoveva, come parlava, con l'erre leggermente arrotata dei francesi.
"Non è italiana, vero?", chiese infine dopo aver riflettuto se chiedere o no.
"Chi...io?", rispose lei , "sono parigina...però da quando  mi sono sposata sono rimasta in Italia...ma dammi pure del tu, con gli amici di Leo sono abituata così", propose sorridendo.
"Va bene...spero di riuscirci", scherzò Tommaso.
"Grazie,  adesso la merenda è finita...dobbiamo continuare...altrimenti possiamo dare addio all'esame!", si intromise Leo: aprì la porta e accompagnò la mamma nel corridoio.
 Però Tom da quel momento seguì distrattamente l'amico che continuava imperterrito a studiare, il suo pensiero tornava agli occhi chiari e al sorriso di quella donna che avrebbe potuto essergli madre, ma che l'aveva colpito più di qualunque ragazza che aveva conosciuto fino a quel momento.
Quando si congedò, era molto impacciato:
 "Allora ciao...", disse a Giselle che lo stava salutando.
"Quando torni?"; chiese lei mostrando in un sorriso accattivante i denti piccoli e regolari.
"Presto", rispose il giovane sempre più a disagio.
Uscì in strada con sollievo: quel pomeriggio era stato pesante, non avrebbe voluto provare nessuna delle emozioni che l'avevano sorpreso, era consapevole che stava lasciandosi sopraffare da qualcosa che mai avrebbe avuto un seguito, però era incapace di sottrarsi ai pensieri che gli ritornavano in  mente... Lei incarnava la donna che aveva sempre sognato: così bionda e fragile, effervescente,... aveva quel qualcosa di speciale, una grazia particolare  che l'aveva colpito fin dal primo momento che l'aveva vista. "Che stupido sono", si disse, "devo smettere di farmi delle paranoie per questa cosa...ha vent'anni più di me...ed è la madre del mio migliore amico....devo essere impazzito!".
 Si ripromise di togliersi dalla testa  gli strani pensieri e ritornò ancora a studiare da Leonardo, chiamò a raccolta tutto il suo self- control per non lasciarsi coinvolgere dal sentimento...ma  un giorno, la porta dello studio era aperta e vide Giselle che stava dipingendo, si fermò ad ammirarla in silenzio: lei era controluce davanti alla tela , un raggio debole entrando dalla finestra e, passando fra i suoi capelli li faceva brillare come l'oro. Lei si voltò e lo vide:
"Cosa fai lì impalato?"; gli chiese.
Tommaso sussultò e non seppe rispondere, quegli occhi lucenti che lo guardavano gli rimescolarono il sangue.
"Non devo venire più", pensò, "sto facendomi solo del male...". Giselle smise di lavorare e si avvicinò:
"Vieni avanti, sto finendo questo quadro, ti piace?", gli chiese
"Non sapevo che dipingessi", rispose lui avvicinandosi. Rimase fermo davanti al dipinto raffigurante un tramonto sul mare e in cui l'esplosione dei colori contrastanti trasmetteva la vitalità dell'artista.
"Si vede che l'hai fatto tu", disse il ragazzo.
"Perché?", chiese lei curiosa.
"E' esuberante e frizzante come te...", mormorò Tom fissandola in viso.
In quel breve  momento aleggiò nell'aria qualcosa di magico, il gioco degli sguardi si fece più intenso, la vicinanza turbò i loro sensi. Anche Giselle fu catturata da un'ineluttabile attrazione verso il ragazzo che stava guardandola in modo troppo evidente per non capire che la desiderava. Aveva già notato in altre occasioni che Tom l'osservava in quella maniera particolare in cui un uomo guarda una donna che gli piace...e, da parte sua si era scoperta a pensare a lui non come all'amico di suo figlio...ma lo vedeva talvolta accanto a sé nelle sue fantasie amorose. Sentiva in lui il profumo della giovinezza: il fisico atletico, il viso ancora acerbo, i capelli neri, quasi corvini, folti ed ispidi, tutto le faceva tenerezza e l'attraeva ...Si scosse e uscì precipitosamente dalla stanza lasciando Tommaso turbato davanti al quadro: ognuno di loro stava combattendo una battaglia feroce per non lasciarsi andare a un sentimento  che li stava travolgendo. Era un amore sbagliato, senza speranza, ma l'attrazione che c'era fra di loro era più forte di qualsiasi proposito: nella breve vita di Tommaso nessuna aveva suscitato in lui tanto interesse, il fascino che emanava da Giselle l'aveva completamente conquistato, e lei, ritrovava in lui la freschezza di  un amore appena sbocciato ...si vergognava dei pensieri segreti, ma ritornavano sempre come un'ossessione...
Il ragazzo decise di non frequentare più la casa di Leonardo, con una scusa qualsiasi gli disse che non poteva continuare a studiare con lui , così non sarebbe più caduto in tentazione....ma le notti erano diventate bianche, non riusciva a prendere sonno. Cercò di distrarsi frequentando altre ragazze, purtroppo tutte gli sembravano prive di qualsiasi attrattiva, aveva negli occhi e nella mente soltanto il viso di Giselle, i suoi occhi luminosi, i suoi modi e la sua straordinaria e inconfondibile erre moscia...
Per fortuna l'esame di analisi matematica andò bene, Leonardo decise di festeggiare e invitò Tommaso nella casa al mare.
 "Saremo soli?"; s'informò subito Tommaso.
"Ho invitato anche Fabrizio e Giovanni...se fa bel tempo potremo andare in motoscafo...poi là conosco qualche ragazza e di sera ce ne possiamo andare in discoteca".
"Ma...i tuoi non ci sono, vero?", chiese ancora cautamente Tom.
"Cosa ti viene in mente....certo che non ci sono!", esclamò Leonardo guardandolo sorpreso.
I quattro amici partirono sull'auto di Leonardo, era una bella giornata autunnale, e i ragazzi erano contenti di andarsene a respirare un po' d'aria pulita dopo aver passato tante giornate sui libri.
La vettura correva veloce, fin troppo veloce, infatti uno dei tre ad un certo punto, visto che il guidatore pigiava sull'acceleratore l'invitò a moderare la velocità.
"Vai piano...attento alla curva!", urlò Fabrizio.
Non fece in tempo a finire la frase che l'auto sbandò e andò a picchiare contro il guard-rail , rimbalzò, girò su se stessa e si fracassò, con un rumore infernale, sul ferro della balaustra. Dalle lamiere contorte uscivano le grida dei ragazzi, qualcuno si fermò e chiamò l’ambulanza. Dei quattro passeggeri solo Tommaso era uscito indenne dall'incidente:  gli altri, per fortuna, se l'erano cavata con fratture varie e qualche ferita superficiale.
 Nell'ospedale dove erano stati ricoverati arrivò dopo poche ore Giselle, pallida e trafelata s'incontrò al pronto soccorso con Tommaso.
Il primo impulso di Tom fu di tenersela stretta sul suo petto. I segni scuri sotto gli occhi, il viso tirato, sul quale si leggeva la preoccupazione gli diedero una stretta al cuore:
"Leonardo sta bene...fra pochi giorni sarà a casa. Possiamo dire di essere stati miracolati...poteva succedere il peggio", si affrettò a consolarla per non vederla in quello stato.
Lei gli rivolse un debole sorriso e si buttò fra le sue braccia:
"Portami subito da lui, voglio vederlo...", mormorò distrutta.
"Tuo marito non è con te?", domandò Tommaso.
"E' all'estero per lavoro....tornerà fra una settimana", rispose Giselle guardandolo in viso, i loro sguardi s'incrociarono come se avessero pensato la stessa cosa. Però dalle loro labbra non uscì una parola...Restarono in ospedale fino alla sera al capezzale di Leonardo immobilizzato da una gamba ingessata.
"Io posso tornarmene in città", disse Tommaso mentre si stavano avviando verso l'uscita. Giselle non rispose, rimase in silenzio per qualche secondo poi, senza guardare in faccia il ragazzo, sussurrò:
"Forse è la cosa migliore". Continuarono a camminare senza rivolgersi la parola . Arrivati al parcheggio dove la donna aveva messo l'auto, lei si voltò:
"Ritorni  in treno? Andiamo a Chiavari e ti accompagno alla stazione",  propose.
Tommaso annuì ed entrò in vettura. Uno vicino all'altra, nello stretto spazio dell'abitacolo si muovevano cautamente per non avere l'occasione di toccarsi, rigidi e muti trascorsero il tempo del percorso con la paura di lasciare trasparire l'emozione che c'era dentro di loro.
Giselle si fermò davanti alla stazione ferroviaria, Tommaso scese, s'incamminò imponendosi di non voltarsi, ma fatti pochi passi tornò indietro correndo:
"Non ce la faccio...devo parlarti", aprì la portiera e si sedette di nuovo accanto a Giselle.
Stava per cominciare quando lei lo bloccò:
"Non dirmi niente....ho capito...", si fermò non sapendo come proseguire. Il ragazzo rimase in attesa, trepidante.
Lei si passò una mano sugli occhi arrossati, un lungo respiro uscì dalle labbra:
"So come ti senti dentro...anch'io sto provando la stessa cosa e...non so come fare", la sua mano si posò sui capelli neri di Tommaso in una lunga carezza, "è qualcosa che si è scatenato dentro di me e...me ne vergogno, ma la passione è più forte di qualsiasi altro sentimento. In vita mia non l'ho mai provata e ho sempre pensato che fosse il frutto della fantasia degli scrittori, ma devo ricredermi: esiste e ci sto dentro fino al collo...  L'amore per mio marito è una cosa diversa col tempo si è tramutato in affetto, quello che provo per te è un fuoco che mi brucia dentro.  Ho fatto tanti buoni propositi,  sono troppi gli anni che ci dividono....se l'amico di mio figlio!  Sono andata in crisi e avevo messo in dubbio anche la mia onestà: non era possibile che una donna si innamorasse di un ragazzo che aveva vent'anni meno di lei...Però mi tornavi sempre in mente e avrei voluto baciarti, stringerti come un'amante appassionata., ho avuto vergogna di me stessa e quando mi sono accorta che mi guardavi in un certo modo, ho cercato di dare un taglio netto a questo sentimento che mi stava sconvolgendo la vita, non vedendoti più ce l'avevo quasi fatta...ma oggi sei qui, vicino a me...". Tommaso si avvicinò ancor di più:
"Adesso taci...", le sussurrò sulla bocca, un lungo bacio mise fine a tutte le parole...Poi, nella casa a picco sul mare il rumore incessante della risacca cullò la loro notte d'amore.
Il mattino dopo Giselle si svegliò, si stirò fra le lenzuola e allungò una mano dall'altra parte del letto: il posto vicino a lei era vuoto, sul cuscino un biglietto. " Vado a prendere quel treno che non ho preso ieri sera.  E' giusto così. Addio Giselle, non potrò mai dimenticarti, questa notte l'ho passata in paradiso.  Tommaso".
Una lacrima scese lentamente sulle guance della donna, "Addio Tom", mormorò, "hai ragione tu...ci siamo incontrati negli anni sbagliati".
Non si videro più, ma nel loro cuore rimase per sempre il ricordo di quella passione vissuta soltanto una notte ma che sarebbe potuta diventare  un grande amore.
                                                                                                                                            FINE













domenica 14 maggio 2017

L'AMORE IMPOSSIBILE

 

 


Si erano appena svegliati dopo aver trascorso la notte insieme, fra le lenzuola c’era il tepore dei loro corpi abbracciati, la mano dell’uomo accarezzò il volto della sua donna e:
“Mi vuoi sposare?”; sussurrò guardandola negli occhi ancora languidi di sensualità.
Sara rimase in silenzio, si aspettava da tempo quelle parole ma un conto è sognare di ascoltarle e un altro è sentirsele dire e capire che Paolo faceva sul serio. Il “sì” sussurrato fra due baci suggellò la promessa di appartenersi per sempre.
Lui prese una piccola scatola, lei l’aprì e rimase attonita a guardare l’anello con diamante che brillava sul velluto blu : “…da oggi sei mia ...”, e un istante dopo sull’anulare di Sara splendeva il gioiello.
“E’ meraviglioso….”, riuscì a dire lei rimirandosi la mano sottile impreziosita dalla gemma.
Da quel momento cominciarono a fare progetti per il matrimonio: dalla chiesa dove celebrarlo, al ristorante per il rinfresco…fino agli invitati e alle bomboniere.
La loro storia durava da due anni, si erano conosciuti nel modo più banale: in casa di amici comuni, entrambi erano avvocati e frequentavano lo stesso ambiente. Si erano piaciuti subito e avevano cominciato a uscire insieme, in seguito l’attrazione era diventato amore, ma non avevano mai parlato di nozze. Abitavano in due appartamenti diversi ma questo non era un ostacolo alla loro felicità: anzi, quando decidevano di trascorrere qualche giorno insieme uno dei due si trasferiva nella casa dell’altro.
Per Sara iniziarono giorni frenetici di preparativi, ma era felice, non avrebbe mai pensato che Paolo, scapolo per vocazione, la chiedesse in moglie…era un tipo che amava la propria libertà fino all’ossessione.
Avevano deciso di sposarsi in primavera , il tempo che occorreva per sistemare la casa di Paolo che avevano scelto come loro nido d’amore.
Un giorno, a pranzo in casa dei futuri suoceri, Sara avvertì un momento di disagio: stavano parlando di Walter, il fratello maggiore di Paolo che lei non conosceva. Qualche volta aveva sorpreso il suo fidanzato confabulare con la madre a proposito di quel figlio che non vedeva da tempo. Sapeva che era all’estero, un mistero circondava la sua persona, nessuno ne parlava volentieri.
“Dovremo dirlo anche a tuo fratello…”, si lasciò sfuggire Sara in un momento di pausa, fra una portata e l’altra.
La ragazza si sentì puntare addosso gli occhi:
“Non ce n’è bisogno…mi ha telefonato che sarà qui per la fine del mese”, rispose pronta la signora Alda.
“Bene…così finalmente lo conoscerò”, ribatté la ragazza.
Paolo la guardò di sbieco e non disse una parola, si alzò e andò in cucina a prendere il piatto dell’arrosto, già pronto da portare in tavola:
“Deve essere squisito”, affermò con il tono di voce di chi vuole voltare pagina.
Sara capì e non insistette, però le rimase la curiosità di sapere: in fin dei conti quella doveva diventare anche la sua   famiglia e  aveva diritto di conoscerne anche i segreti, belli o brutti che fossero.
Il giorno dopo cercò di incontrare Linda, una cugina di Paolo che lavorava  in una ditta che aveva la sede a pochi passi dal suo studio:
“ E’ un po’ che non ci vediamo”, esordì serafica, “vorrei un consiglio sull’abito da sposa… prendiamo un caffè insieme?”
  Così Sara, fra una chiacchiera e l’altra, pilotò il discorso in modo da farlo cadere proprio su Walter, il misterioso fratello lontano.
“Come…non lo sai?”, chiese meravigliata Linda.
“Cosa devo sapere?”, ribatté Sara sulle spine.
“Walter è dovuto andarsene perché coinvolto in un traffico illecito di denaro…era stato indagato ed era fuggito prima che lo condannassero a quattro anni di carcere…ora può tornare, con l’indulto la sua pena è estinta, ma la famiglia non lo perdona, specialmente Paolo che con la sua professione di avvocato ha una reputazione da difendere…capisci adesso perché non ne vogliono parlare?”.
Sara rimase di stucco: Paolo le aveva  tenuto nascosto una cosa così importante riguardante la sua famiglia....non ci poteva credere!
 L’occasione per conoscere il misterioso cognato capitò quando una sera decise di andare a ritirare le bomboniere a casa dei genitori di Paolo. La porta si aprì e  sull’uscio non c’era il sorriso della signora Alda ma un tipo che la stava fissando interrogativamente.
“Sono Sara…c’è la signora?”, chiese.
Lo sguardo dell’uomo si soffermò con insistenza su di lei:
“Vieni”, le disse poi scostandosi, “entra, chiamo subito mia madre”.
Eccolo lì la pecora nera della famiglia, quello del quale non si doveva sapere l’esistenza, era un bell’uomo, più alto della media, aveva le tempie grigie e il viso abbronzato con la fronte solcata da qualche ruga: insomma uno di quei tipi che si dicono interessanti e che di solito piacciono alle donne.
“Sei Walter?”, si decise a chiedere Sara dopo averlo squadrato da capo a piedi.
“”E tu sei la ragazza di Paolo…la mia futura cognata …”, disse lui scoprendo in un leggero sorriso i denti bianchissimi, “dovrò fare i complimenti a mio fratello”, continuò  “ha fatto un’ottima scelta “, concluse osservandola con cura.
 Sara si sentì scrutare da quegli occhi chiari, quasi magnetici, era a disagio e si affrettò a  concludere la visita, uscì con la sensazione di avere incollato addosso lo sguardo di Walter.
Tornò a casa leggermente turbata da quell’incontro. “Ho conosciuto tuo fratello”, disse a Paolo quella sera stessa.
Lui  la guardò sorpreso e sembrava che la notizia non gli facesse molto piacere.
“Meglio così”, disse infine, “mi hai evitato una presentazione difficile”, concluse aggrottando le sopracciglia.
In seguito Sara ebbe modo di incontrare spesso Walter e si accorse che cercava il pretesto per vederlo, subiva il suo fascino e quando era sola non poteva fare a meno di pensarlo. Aveva anche scoperto che i preparativi per le nozze la entusiasmavano di meno e che seguiva distrattamente i lavori di ristrutturazione dell’appartamento in cui sarebbe dovuta andare ad abitare.
Quella sera uscì presto dall’ufficio, arrivata in strada si accorse che pioveva, “quattro gocce non fanno male a nessuno”, pensò e s’incamminò svelta verso la fermata dell’autobus, ma non fece tempo a fare nemmeno qualche metro che un acquazzone si rovesciò sulla strada già lucida di pioggia.
Si riparò sotto un cornicione, una vettura accostò il marciapiede e una testa si sporse dal finestrino:
“Ciao Sara…vuoi un passaggio?”, era Walter.
La pioggia era così insistente che accettò.
Lui  la guardava quasi divertito: “Sembri un gattino bagnato”, le disse sorridendo.
Lei si lisciò i capelli fradici: “In effetti ho fatto una bella doccia….devo essere un mostro”, si scusò.
L’altro scosse la testa: “Sei ancora più carina invece”, il suo sguardo aveva qualcosa di tenero…di protettivo.
Sara si sedette accanto a lui rigida, Walter guidava in silenzio, c’era molto traffico ed erano obbligati a fermarsi spesso, fra di loro si era creata una certa tensione, sembrava che ognuno dei due avesse timore dell’altro.
“Sei innamorata di mio fratello?”; chiese lui improvvisamente. Sara si sorprese della domanda:
“Certo…altrimenti non lo sposerei”, affermò decisa.
Walter, sempre con il viso rivolto verso la strada, ribatté:
“Tu non sei la donna per lui…ne sono sicuro”.
Sara sempre più stupita si emozionò:
 “Cosa te lo fa pensare?”; rispose dopo una pausa per cercare di calmare il cuore che aveva cominciato a galoppare.
Walter girò di scatto per una strada solitaria, fermò la vettura e finalmente la guardò in viso.
“Conosco Paolo, è un bravo ragazzo ma non è capace di slanci…tu hai bisogno di un amore più forte, più appassionato…”, aveva gli occhi lucidi, avvicinò il volto a quello di lei che si sentì morire e non seppe sottrarsi al bacio che li unì .
Sara si riprese, aprì la portiera e si allontanò sconvolta… corse sotto la pioggia senza curarsi dei vestiti fradici e dell’acqua che le correva a rivoli sul viso. Arrivata a casa chiuse l’uscio dietro di sé, quasi non era capace di respirare. “Cosa mi sta succedendo?…quell’uomo mi ha stregata, io amo Paolo…e lo sposerò”, si disse…
Con le mani tremanti compose il numero del fidanzato: “Vengo da te stasera?”; chiese, quasi pregando.
Ma la risposta la deluse: “Non posso, ho una cena con un cliente…ci vediamo domani”, rispose Paolo frettolosamente. Lei rimase in casa da sola, proprio quella sera aveva bisogno di avere vicino l'uomo che voleva sposare ma lui non l'aveva capito. 
. Dopo una notte in bianco, decise di vedere  Walter per chiarire definitivamente quella strana situazione che si era venuta a creare fra di loro. Ma appena lo vide riprovò il turbamento che la prendeva ogni volta che l’aveva davanti: quegli occhi azzurri e quel sorriso particolare le facevano venire un groppo alla gola, il ricordo di quel bacio così dolce ritornò prepotente. 
Però  fece violenza su se stessa e riuscì a dire tutte le parole che aveva preparato durante la notte senza pace.
.“Devi dimenticare quello che è successo ieri sera…io amo Paolo…è stato solo un attimo di debolezza”, sbottò dopo aver preso un bel respiro.
Walter la fissò con l’aria di chi sta ascoltando una bambina che non sa quello che dice:
 “Non dire sciocchezze, quel bacio era ricambiato e anche tu non puoi negare l’evidenza”.
“Non è vero!”, quasi gridò lei… “non ti amo….voglio sposare Paolo…lo capisci?”, ma nei suoi occhi erano spuntate le lacrime.
Lui l’abbracciò e la tenne stretta a sé:
 “Mi sono innamorato di te appena ti ho vista…”, le sussurrò fra i capelli.
Sara respirò il suo profumo, sentiva le sue braccia accoglierla sul suo petto, avrebbe voluto cedere alla tentazione ma ebbe la forza di reagire.
“Lasciami andare…torno da Paolo, vedo il futuro solo con lui… mi dà fiducia… invece tu”, si fermò perché si accorse di aver detto qualcosa di troppo. Walter si staccò da lei:
 “ So quello che pensi…sono un imbroglione e la mia famiglia te l’ha fatto credere…ma non è così.  Ho sbagliato volta sola, e ti assicuro che mi è bastata, all’estero mi sono rifatto una vita e una buona posizione…tornerò presto in Messico, ma voglio portarti con me”, affermò seriamente.
Sara si scosse : “ Non verrò mai…non pensi a tuo fratello?”, chiese con la voce che le tremava.
“…se ne farà presto una ragione…lo conosco…”, continuò Walter prendendole le mani, “tu non sei la donna per lui, è troppo razionale, tu hai la passione dentro…lo vedo dai tuoi occhi…”..
Lei stava male…tutto quello che diceva era vero…in quel momento avrebbe lasciato tutto per andarsene anche in capo al mondo con lui. Era questa la passione improvvisa, quella che ti fa perdere la testa e non capire più niente? Certamente sì… ma capì che se fosse rimasta ancora un attimo avrebbe ceduto:
“Mi dispiace”, sussurrò e se ne andò lasciando Walter in mezzo alla strada  sconcertato.
La tempesta di sentimenti la perseguitò per tutta la settimana anche perché Paolo, ignaro di tutto, era partito per un convegno di lavoro e lei era rimasta sola e indifesa . Per di più Walter continuava a telefonarle,  dopo aver  resistito, infine, stressata dalla sua insistenza Sara decise di incontrarlo, ma mentendo anche a se stessa, gli disse che voleva  salutarlo prima che partisse.
Si incontrarono in un piccolo locale: “Sono venuta a dirti addio…”, disse con un filo di voce.
“Dimmi che potrò sperare…non ti sposare…e raggiungimi”, propose lui accarezzandole il viso, “non ti posso dimenticare, sei la donna che ho sempre sperato di incontrare…è stato un colpo di fulmine e  il mio cuore non sbaglia…non ti sposare, vieni via con me…parto domani mattina con l’aereo delle nove…”, i suoi occhi lucidi la fissavano intensamente.
“Non posso…ti prego, non farmi del male, non insistere”, Sara gli buttò al collo le braccia e lo strinse disperatamente. “Addio”, sussurrò. Si alzò e uscì dal locale seguita dalla voce concitata  di Walter:
 “Sara…non te ne andare!”,
Si mise a letto con il capo sotto il cuscino, il cervello era in ebollizione…e anche il suo cuore…”..non devo…non posso…Paolo mi vuole sposare…”. Si alzò disperata…passeggiò per l’appartamento tutta la notte.

Walter chiuse le valige, salutò tutti e chiamò un taxi…aveva un’infinita tristezza, aveva sperato fino all’ultimo di poter convincere Sara, anche se si sentiva un verme nei confronti di suo fratello…ma era più forte di lui, era come un fuoco che gli bruciava dentro, non poteva farci niente, sognava Sara, il suo viso, i suoi occhi il suo corpo morbido che aveva soltanto abbracciato…e aveva capito che anche lei provava gli stessi sentimenti…partiva perciò con l’angoscia di non poterla più rivedere…Uscì dal portone trascinando il trolley, l’auto era già accostata al marciapiede:
“All’aeroporto”, disse salendo…ma il cuore ebbe un sussulto: Sara stava aprendo la portiera dalla parte opposta.
“Ciao…posso venire con te…”, la piccola pausa mise in agitazione Walter, “…in Messico?”.
Lui la trascinò dentro e …il bacio che seguì fu così appassionato che anche il tassista non sapeva dove guardare, mise in moto e sorrise scuotendo il capo “Ah.. l’amore… beati loro!”, sussurrò.


FINE


  



 









domenica 7 maggio 2017

BALLO AL CASTELLO

 

                                                                                          

       L'uomo    che osservava i passanti davanti all’uscita della metropolitana era vestito in una strana maniera: dalla giacca lunga, quasi una palandrana che gli arrivava fin sotto al ginocchio, spuntavano le gambe fasciate da una calzamaglia bianca, portava scarpe lucide a punta e, sotto la giacca, una camicia ornata di pizzi. La gente lo guardava incuriosita, ma lui sembrava non accorgersene, i suoi occhi erano puntati sempre in una direzione: la scala mobile. Improvvisamente si animò e si diresse verso una giovane donna bionda, molto bella, che stava salendo:

 “Buongiorno principessa”, disse con deferenza, “finalmente ti ho trovata, sono secoli che ti cerco”. La ragazza lo guardò:
“Dice a me?”, chiese stupita.
L’altro sorrise: “Sì, sei proprio tu…ho girato tutto il mondo e adesso sei qui…”, cercò di toccarla, ma lei si scostò bruscamente.
“Se ne vada!”, disse seccamente, “mi lasci stare…”, e si allontanò impaurita affrettando il passo.
Juliette Leblanc stava andando all’agenzia che l’aveva contattata per un servizio di moda, quell’incontro l’aveva turbata. “Che tipo!”, pensò, “conciato così…non deve avere tutte le rotelle a posto”. L’uomo che l’aveva fermata la seguì con lo sguardo, poi si girò e sparì dentro la galleria del metrò.
La ragazza entrò nel locale che stava ancora scuotendo la testa ripensando allo strano incontro:
“Stai parlando da sola?”, le chiese una morettina seduta dietro la scrivania.
“No…è che ho incontrato un tale che mi ha chiamato principessa e ancora non mi sono ripresa…”, rispose Juliette mentre curiosava fra le carte sparse sulla scrivania.
“Può essere un segno del destino: devi andare proprio dove ci sono tanti castelli e chissà quante principesse li avranno abitati. Domani parti con il fotografo e tutta la troupe per la Francia, precisamente nella zona dei castelli della Loira”, disse la ragazza.
“Finalmente torno in patria, dopo tanto tempo ho voglia di sentire parlare francese. Adesso che ci penso, sai che ho dei parenti da quelle parti?” rispose Juliette. Poi aggiunse prima di andarsene: “Viene anche Arianna?”.
Avuta la risposta affermativa se ne andò più allegra: Arianna era la sua migliore amica e se c’era lei tutto sarebbe stato più semplice.
 Juliette faceva la fotomodella da qualche anno, il fisico per fare la cover girl l’aveva: alta e magra, con un viso dolcissimo e una massa di capelli biondo cenere. C’era qualcosa in lei che la contraddistingueva dalle altre. Il portamento, forse, così altero e aristocratico; quando indossava i vestiti non erano soltanto oggetti, ma prendevano vita addosso a lei. Per questo gli stilisti se la contendevano.
Nella camera d’albergo cominciò a prepararsi per il viaggio:
 “Che vitaccia…sempre in giro per il mondo!”, brontolò posando con cura meticolosa le sue cose in valigia.
Il pulmino carico di attrezzature fotografiche e di vestiti marciava a velocità sostenuta lungo la strada che percorre la valle della Loira, la campagna aveva preso i colori dell’autunno: dal verde spento al giallo ocra, i vigneti ben allineati erano ancora carichi di grappoli maturi.
Arrivarono a Nantes di sera. Si sistemarono all’Hotel Admiral e, stanchissime si prepararono per scendere a cena.
Arianna aveva accusato un gran mal di gola durante il viaggio e aveva qualche linea di febbre.
 “Ti dispiace se non vengo?”, chiese all’amica. 
 “Forse è più prudente, altrimenti domani non sei in grado di lavorare, vattene sotto le coperte e prendi un’aspirina”, rispose Juliette.
 In quel momento bussarono alla porta, un fattorino aveva sulle braccia un grande scatolone:
“Mademoiselle Leblanc ?”, chiese. La ragazza  ritirò il pacco sorpresa.
 Strappò l’involucro, aprì la scatola e vide un magnifico vestito da sera, di seta antica di una particolare tonalità di rosa. La gonna molto ampia, la vita stretta, il corpino si fermava all’altezza del seno lasciando completamente scoperte le spalle. La ragazza non poté fare a meno di ammirare la sontuosa bellezza di quell’abito, lo prese delicatamente e se lo appoggiò addosso rimirandosi davanti allo specchio.
“Guarda qui”,  disse ad Arianna, “non è fantastico?  Vediamo chi lo manda”.
Aprì il biglietto che accompagnava la scatola: scritto a mano con una grafia ricercata c’era l’invito ad una festa: “La Signoria Vostra è invitata a partecipare al ballo al castello che si terrà questa sera. Un nostro incaricato verrà da lei per accompagnarla”.
Juliette rigirò inutilmente il cartoncino fra le mani poi, con stizza rimise l’abito dentro la scatola:
“Ho capito”, disse rivolta all’amica che la guardava sorpresa, “è il solito stilista locale che si vuol fare pubblicità. Sono stanchissima, figurati se stasera vado a un ballo…non ci penso proprio.” Guardò Arianna sdraiata sul letto:
 “Perché hanno invitato solo me?”, borbottò sopra pensiero.
“Avranno saputo da un folletto che ero febbricitante…sai, in questo posto di castelli incantati tutto è possibile”, scherzò Arianna, “ti consiglio di andare, forse erano d’accordo con l’agenzia…tu sei la modella su misura per questo stile”, continuò.
Juliette la guardò: “Dici?”, chiese dubbiosa, “però che seccatura! E va bene, mi spiace anche lasciarti sola”, aggiunse.
 “Vai tranquilla”,rispose l’altra, “ me ne andrò in camera e mi infilo a letto…”.
Quando Juliette si guardò prima di uscire si meravigliò lei stessa dell’immagine riflessa: qualcosa di magico sprigionava dalla sua figura, anche l’espressione del viso era cambiata, il modo altero di guardare non era il suo, sembrava che una nuova personalità fosse scaturita dalle pieghe morbide della seta che indossava.
L’autista che guidava la vettura di lusso che l’accompagnava a destinazione le suscitò dei ricordi confusi, ma non disse niente, si guardava intorno nel buio della notte. Dopo qualche chilometro dalla strada provinciale svoltarono a destra per imboccare una via in salita costeggiata da filari di viti: stavano salendo le pendici di una collina, un castello illuminato dalla luce delle torce si ergeva sulla cima di un poggio. Al principio del vialetto due enormi leoni di pietra sembravano a guardia del maniero. La macchina si fermò e Juliette scese sollevando con grazia la gonna dell’abito, un giovane in livrea l’accompagnò all’entrata: ai suoi occhi si presentò uno spettacolo mai immaginato. Dame e cavalieri, vestiti come nel Settecento si muovevano al suono dolcissimo di un minuetto. Centinaia di candele su grandi candelieri d’argento illuminavano con la loro luce tremolante il salone. 
“Che meraviglia! Sarà una festa in costume”, pensò Juliette e cercò con gli occhi qualcuno cui rivolgersi.
 Vide avanzare un giovane alto, che si dirigeva verso di lei, quando furono vicini lui le prese una mano e, senza parlare,  la condusse in mezzo alla sala, altri ballerini si affiancarono e iniziarono una danza fatta di inchini e giravolte.
 Con sua grande sorpresa Juliette eseguiva le mosse del ballo senza la minima esitazione, come se fosse una cosa abituale. Ogni volta che il giovane si avvicinava, l’azzurro dei suoi occhi le provocava un brividino lungo la schiena, e non poteva fare a meno di notare la sua bellezza. 
Era sogno o realtà?…L’atmosfera che la circondava aveva qualcosa di magico, era tutto come ovattato, le persone attorno a lei si muovevano con gesti aggraziati e rallentati, le sorridevano ma nessuno le rivolgeva la parola.
Juliette volteggiava al suono del clavicembalo e aveva la sensazione di essere in un altro mondo. La musica cessò e il suo cavaliere, guardandola sempre con quegli occhi magici dove si leggeva ammirazione e desiderio, l’accompagnò su per lo scalone, entrarono in un salotto arredato con deliziosi divanetti di velluto azzurro. Juliette sentì le mani di lui che le accarezzavano il viso:
 “Amore, quanto tempo ti ho aspettato…finalmente ti ritrovo”, disse.
 Avvicinò le sue labbra a quelle di lei e da quell’istante Juliette capì che cos’è la felicità.

Arianna si girò nel letto, aveva trascorso una notte agitata per via della febbre, poi era piombata in un sonno profondo, quando aprì gli occhi si accorse di stare meglio, la fronte era fresca, e sebbene non proprio in grande forma si sentiva in grado di posare per le foto. Guardò l’orologio: erano già le nove. Picchiò con vigore al muro della stanza accanto per svegliare Juliette, non ottenendo risposta uscì in corridoio e bussò alla porta senza risultato, provò ad entrare e l’uscio si aprì. ‘ Sempre la solita sbadata’, pensò, ‘è andata a dormire con la porta aperta’. Juliette dormiva con un vago sorriso sulle labbra.
“Forza, ritorna alla realtà…preparati, dobbiamo andare”., disse scrollandola delicatamente.
Juliette si stropicciò gli occhi, si guardò intorno e si alzò senza dire una parola.
“Che ti succede?”, le chiese Arianna, “non stai bene?”
La ragazza si voltò e si stiracchiò allungando le braccia: “Mai stata meglio…se sapessi cosa mi è successo ieri notte!”. Raccontò tutto all’amica che la guardava sbarrando gli occhi per lo stupore. Quando ebbe finito il racconto si guardò in giro:
“Dov’è il vestito?”, chiese vagando per la stanza in cerca dell’abito.
“Saranno già venuti a prenderlo senza che te ne accorgessi…hai lasciato la porta aperta!”, rispose Arianna scrollando la testa.
Sul pullmino che accompagnava la troupe sul luogo dove si dovevano scattare le foto per il servizio, Juliette non smetteva di raccontare: “Ecco, vedi quel castello sulla collina? È là che sono stata…una cosa così fantastica da non credere!”.
“Appunto”, si limitò a dire Arianna con l’espressione sempre più incredula.
Finite le foto ritornarono in albergo, nel pomeriggio Juliette era agitata: “Voglio rivederlo almeno una volta prima di partire, ti prego Arianna accompagnami…”, supplicò..
“Chi?…il tuo principe azzurro?”, rispose con un sorrisino l’amica, “sei proprio sicura di quel che dici?”.     
L’altra fu così insistente che dopo pranzo si trovò in macchina con lei lungo la strada che conduceva al castello incantato.
“Guarda Arianna…è proprio quello! sapessi dentro che meraviglia: una sfilza di saloni arredati con mobili d’epoca…e poi lui…: bellissimo e dolcissimo…dev’essere una persona importante perché tutti lo ossequiavano. Mi ha detto solo che si chiama Gerard, magari se chiedo al castello mi danno delle informazioni. Ci sarà qualcuno, sai questi vecchi manieri vengono affittati per le feste importanti e hanno sempre un custode che vive lì”.
 Juliette parlava a ruota libera quasi senza respirare, Arianna la lasciava dire: era così eccitata che non l’avrebbe fatta tacere nessuno.
Quando arrivarono davanti all’imponente costruzione fatta di torri e torrette con le guglie elevate al cielo, Juliette rimase ferma con la testa in su. “No, non è il castello della festa”, disse delusa, “questo sembra abbandonato”.
 Infatti il sentiero che portava al grande portone era pieno d’erba secca, i rovi erano arrivati fin sotto le mura impedendo quasi l’entrata. L’edera si arrampicava sulle inferriate e sulle finestre dove gli uccelli avevano fatto i nidi.
“Mi sono sbagliata”, ripeteva la ragazza guardandosi intorno, “eppure mi ricordo di aver fatto proprio questa strada”, lo sguardo smarrito di Juliette vagava all’intorno cercando qualcosa cui aggrapparsi per rinverdire la memoria, ad un tratto Arianna sentì un’esclamazione: “Ecco…i leoni all’ingresso del vialetto…sono proprio quelli!”. Juliette corse a toccare le statue:
“Guarda Arianna, non mi sto sbagliando…ti ricordi che ti ho detto di aver visto due leoni di pietra?”, nello sguardo di Juliette c’era come una supplica, quando lesse l’incredulità nel viso dell’amica si sedette sconsolata sul muretto: “Non mi credi, vero?…eppure non è stato un sogno…”, disse toccando con le dita l’anello che portava all’anulare sinistro, “questo me l’ha dato lui!”.
 Chiuse gli occhi e risentì le parole del suo misterioso cavaliere:
 “Prendi questo”, disse infilandole al dito il gioiello. “Ci rivedremo presto, te lo prometto!”.
 Arianna la guardava un po’ preoccupata…non capiva, era sempre più convinta che Jiuliette avesse scambiato un bel sogno con la realtà!
In quel momento il rombo di un motore risuonò nella valle. Poco dopo una vettura sportiva si fermò nello spiazzo davanti  al castello con una brusca frenata. Un giovanotto bruno scese dalla macchina, osservò le due ragazze: “Volete visitare il castello?”, chiese gentilmente.
Juliette ancora confusa non rispose, per lei prese l’iniziativa Arianna:
“Volentieri, lei è il custode?”
“No…”, disse lui stirando la bocca in una specie di sorriso, “potrà sembrare strano al giorno d’oggi, ma sono il conte Jacques de la Tour…e questo è il castello dei miei avi”.
 Arianna sgranò gli occhi: “Un conte?”, chiese sorpresa.
“Già”, rispose lui, “dal momento che sono qui, potrete approfittare per visitare l’interno…è un po’ malandato perché da tanti anni non è più abitato, ma conserviamo ancora gli arredi originali, se si trova qualche miliardario americano, magari potremmo anche venderlo!”.
Mentre chiacchierava si diresse verso l’enorme portone e lo aprì. Juliette non aveva ancora pronunciato parola, era talmente stupita di tutto quello che le stava accadendo che seguì i due come un automa. La ragazza riconobbe il salone, e soprattutto la grande scala di marmo che portava al piano superiore: si guardava intorno sussurrando: “Sono proprio stata qui”.
“Come dice?”, chiese il giovane rivolgendosi a lei e, mentre si voltava Juliette fu colpita dai suoi occhi azzurri. “Gerard…”, il nome le sfuggì dalle labbra senza che lo volesse.
“Vedo con piacere che è al corrente della storia della mia famiglia”, disse Jacques divertito, “infatti Gerard era il principe di questo castello, un personaggio romantico e infelice, morì in duello per salvare l’onore della sua innamorata…vede quel ritratto?…è la principessa Charlotte, la dama per la quale perse la vita…Sa che le rassomiglia?”, concluse scrutando interessato il viso di Juliette.
La ragazza si toccò le guance fredde, la donna del ritratto indossava lo stesso vestito che lei portava al ballo del castello e, al dito di Jaques vide brillare un anello uguale a quello  che Gerard le aveva donato.

 E l’atmosfera magica di quella notte di mistero ritornò quando lui, offrendole il braccio le disse: “Vieni con me!”
 Salirono lo scalone guardandosi negli occhi sotto lo sguardo stupefatto di Arianna.



  FINE