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domenica 26 marzo 2017

IL REGALO DELLO SCEICCO



Appoggiato al bancone del bar del Grand Hotel Majestic,  un giovanotto bruno stava osservando una coppia che scendeva lo scalone. La donna era di una bellezza sconvolgente: lunghi capelli biondi coprivano le spalle come un manto di seta, il viso dai lineamenti perfetti era illuminato da grandi occhi pervinca, il corpo snello fasciato in un abito nero, metteva in risalto le curve, tutte al punto giusto. La collana di diamanti, che aveva al centro una stupenda perla nera, brillava sul decolté.
L’uomo che l’accompagnava era più anziano di lei di parecchi anni: capelli brizzolati, una piccola barba bianca e grossi occhiali cerchiati di nero.
«Chi sono?», chiese il giovane al barista mentre non abbandonava con lo sguardo i due che si stavano dirigendo nella sala dove era in corso un galà di beneficenza.
«Il petroliere Adami e sua moglie», rispose il ragazzo.
«Ospiti dell’hotel?», chiese ancora il cliente curioso.
«Sì, da qualche settimana».
«Molto bella», ammise l’uomo mentre si allontanava, alludendo alla visione bionda.
Il barista si accorse con piacevole stupore che il cliente gli aveva lasciato come mancia un biglietto di grosso taglio.
«Grazie!», esclamò, ma l’altro se ne era già andato.
Poco dopo l’uomo entrò nella sala della festa e percorse con lo sguardo il locale colmo di gente, poi si diresse deciso verso il tavolo dove era seduta la bella signora con il marito. In mano teneva un bicchiere colmo di un liquido rosato e, quando arrivò nei pressi della coppia, inciampò nell’orlo  di un tappeto e, cercando di rimettersi in equilibrio rovesciò il contenuto del calice nella scollatura della donna  che si voltò infuriata:
«Cosa sta facendo!! Stia più attento, mi ha rovinato il vestito!».
Il giovane aveva la fronte imperlata di sudore.
 «Stia fermo», disse lei innervosita colpendo la mano che cercava di rimediare al danno tamponando il liquido con un fazzoletto.
«Sono costernato, la prego di perdonarmi…non volevo», farfugliò lui.
Il marito che fino allora non era intervenuto aiutò la moglie ad alzarsi :
 «Vieni cara, ti accompagno in  camera a cambiarti», la sua voce gelida e l’occhiataccia lanciata all’incauto intruso erano più che eloquenti: «Se ne vada!», sibilò.
L’uomo si allontanò imbarazzato, seguito dagli sguardi incuriositi degli ospiti seduti ai tavoli.
Il giorno seguente un fattorino recapitò nella camera 215 dei signori Adami un grosso scatolone:
«Chi lo manda ?», chiese lei meravigliata.
 Il marito consegnò  il biglietto che accompagnava l’involucro alla moglie che lesse lentamente: «La prego di accettare questo omaggio per farmi perdonare la sbadataggine di ieri sera”, tolse dalla scatola uno stupendo abito di raso nero:
 «E’ bellissimo…è di Armani», sussurrò la donna appoggiandoselo sul corpo.
«Valentina!», esclamò spazientito il marito, «Si può sapere chi te lo manda?».
«Il biglietto è firmato Alì Benhari, credo sia quello che ieri sera mi ha rovesciato addosso lo champagne rosé», rispose lei rimirando il vestito griffato..
 «Non possiamo accettarlo, non conosco questo tale», sbottò innervosito Adami mentre stava chiamando la reception: «Vorrei sapere chi ha mandato lo scatolone che mi è stato recapitato poco fa. C è un biglietto con firma Benhari. Chi è?».
«E’ un principe arabo, ospite dell’hotel », rispose l’usciere.
«Come posso incontrarlo?», chiese ancora il petroliere.
«Il principe cena tutte le sere in albergo», rispose l’altro.
  Adami interruppe la conversazione e borbottò:
 «Lo ringrazierò di persona ma…non era il caso per due gocce su un vestito…».
«Lo metterò stasera», cinguettò Valentina, «sai, questi sceicchi…meglio non contraddirli, magari si offendono».
Quella sera stessa la giovane signora Adami fece il suo ingresso in sala da pranzo fasciata nel lungo abito di seta, molti si girarono a guardarla.
Mentre raggiungeva il tavolo le venne incontro Alì Benhari che s’inchinò sfiorandole la mano con le labbra:
 «Sono felice che abbia accettato il mio piccolo dono, dovevo farmi perdonare la mia sbadataggine”, , i suoi occhi neri e brillanti si puntarono sul viso di Valentina facendola arrossire.
«Sarei molto lieto di avervi miei ospiti stasera», continuò il giovane principe rivolto al marito.
C’era tanto garbo in quella proposta che il petroliere non seppe dire di no.
La serata trascorse amabilmente anche per merito di Alì che aveva una conversazione brillante e raccontava cose interessanti, a un certo punto si fermò e, guardando il collier di Valentina:
«E’ magnifica quella perla», disse ammirato.
La donna accarezzò il gioiello:
 «E’ la “Regina nera” una delle  più belle al mondo, regalo di mio marito”, disse rivolgendo un sorriso al consorte.
«E’ rarissima», proseguì il principe Benhari, «non ne ho mai viste di così grandi, ha una luce particolare», i suoi occhi neri fissavano Valentina.
Poi si volse verso Adami :
 «La signora merita anche qualcosa di più vivace. Se permette…», trasse di tasca il cellulare, compose un numero e parlò nella sua lingua mentre Valentina e il marito lo stavano guardando stupefatti. Qualche minuto dopo un ragazzo posò sul tavolo un astuccio. Sempre più meravigliati i signori Adami stavano osservando la scenetta senza dire una parola.
«Ecco cosa ci vuole per la signora!», disse Benhari aprendo la scatola: sul velluto blu scintillava uno stupendo collièr di rubini. Gli occhi di Valentina si spalancarono per lo stupore.
«Che meraviglia!», esclamò attratta dallo splendore delle pietre.
 «Ormai siamo diventati amici e nel mio paese un amico è sacro. Per rendere più stretto il nostro legame vi prego di accettare questo modesto omaggio», disse galantemente il principe.
«No», il tono del signor Adami non ammetteva replica, «mi dispiace, non possiamo…non ne vedo il motivo, lei è stato fin troppo gentile a inviare l’abito che indossa mia moglie», concluse freddamente.
Sul viso di Alì Benhari passò un’ombra di disappunto, la sua bocca si strinse in una smorfia.
«Se non accetta vuol dire che mi è nemico!», pronunciò queste parole con un tono di voce gelido e fece l’atto di alzarsi dal tavolo. Valentina e il marito si lanciarono un’occhiata attonita, non sapevano come comportarsi davanti a quell’uomo in piedi che li guardava con occhi di sfida.
«Se la mettiamo su questo tono», farfugliò Adami, «non ci resta che accettare», disse allargando le braccia in un gesto di resa.
«Molto bene, ma non dovete sentirvi obbligati…ora possiamo continuare la serata in allegria. Brindiamo alla nostra amicizia!», concluse Alì, risiedendosi.
In camera, prima di coricarsi Valentina non resistette alla tentazione di indossare il gioiello, si mise davanti allo specchio rimirandosi compiaciuta.
«Vale una fortuna! Mi sembra di vivere una favola; ho sentito tanto parlare di questi  ricchissimi nababbi che distribuiscono denaro e gioielli come noccioline…ma non ne aveva mai conosciuto uno», sussurrò.
 Il marito la stava osservando, ma non profferì parola, si ficcò sotto le coperte:
 «Buona notte», disse voltandosi dalla parte opposta a quella di lei.
La sera dopo Valentina sfoggiava il collier di  rubini che le donava luce al viso dandole un tocco di raffinata eleganza. Mentre si recavano a cena incontrarono lo sceicco nella hall:
«Le sta molto bene», le disse ammirato alludendo al collièr, «purtroppo questa è l’ultima sera che ci vediamo, domani parto e sono felice che le resti un mio ricordo», disse fissandola negli occhi, «non mi dimenticherò mai di lei, Valentina», aggiunse a voce bassa. In quel momento Adami aveva la sensazione di essere di troppo.
«Anche per noi lei sarà indimenticabile…anzi, per ricambiare le sue gentilezze, proporrei di andare al night a terminare la serata», rispose lei turbata dai modi del giovane arabo. Il marito la guardò meravigliato, ma accettò per non contraddirla.
Nel locale notturno aleggiava un’atmosfera coinvolgente, un cantante al pianoforte  sussurrava motivi soft, si sedettero a un tavolo e ordinarono da bere. Fra un bicchiere di champagne e uno di whishy, ad una certa ora della notte erano molto allegri e continuarono così finché arrivarono all’alba quasi senza accorgersene. Ritornarono all’hotel e salirono nelle loro camere salutandosi un’ultima volta davanti all’ascensore: sul viso di Alì c’era un’ombra di malinconia.
Ma, la sorpresa che aspettava i signori Adami quando aprirono la porta della camera 215 non fu molto piacevole: la cassaforte era aperta e…vuota. Tutti i gioielli della signora erano spariti e fra questi naturalmente la rarissima “Regina nera”.
Poco dopo nella stanza regnava la confusione più totale, c’erano almeno una decina di persone che si guardavano intorno incredule : il direttore dell’hotel, i camerieri ai piani, l’addetto alla reception, e qualche cliente curioso.
Valentina seduta sul letto era in preda alla disperazione, suo marito sbraitava con il povero direttore:
«In che razza di albergo sono finito! Mi avevate assicurato che le casseforti erano impenetrabili, che non era mai successo niente, invece…ci hanno rubato tutto….tutto…compresa la “Regina nera”!
«Che cosa?», chiese spalancando gli occhi il suo interlocutore.
«Sì, una perla rarissima, di un valore inestimabile!», si diresse verso la moglie, «cara, non fare così sapessi quanto mi dispiace, vedrai che la ritroveremo, è quasi impossibile smerciare un gioiello di quel valore. E poi è assicurata», accarezzò la donna cercando di consolarla.
Il suo sguardo si diresse verso il collièr di rubini che Valentina indossava:
 «Questo forse ci ripagherà in parte del danno subìto, non sarà lontano dal valore della collana rubata».
  
 La luce dell’alba filtrava dalle persiane ancora chiuse, il commissario Alex Parisi si era addormentato da poco, da qualche giorno soffriva d’insonnia, le ragioni erano tante: il suo mestiere che lo obbligava sempre a essere al massimo e le cene solitarie in pizzeria dove cucinavano pesante. Stava sognando che il telefono squillava e lui non poteva rispondere…cercava di svegliarsi ma le palpebre erano dei macigni. Improvvisamente aprì gli occhi e si rese conto che il telefono che suonava non era un sogno ma una realtà. Guardò l’orologio sul comodino, erano le cinque e trenta : «Chi è quel rompiscatole che mi sveglia a quest’ora», brontolò .
La voce concitata dell’agente scelto Loredana Caputo uscì dal microfono:
«Commissario un furto colossale al Grand Hotel!!! Stanotte  hanno svuotato la cassaforte del petroliere Adami e hanno rubato la Regina Nera!!!».
«Quale regina? Cosa stai dicendo e…dove sei in questo momento?», ribatté Parisi ancora con le idee confuse.
«Sono al Majestic e la regina è una perla rarissima che vale una fortuna, scusi se l’ho disturbata a quest’ora, ma qui non si capisce più niente, ».
«Senti Caputo, non è morto nessuno…in fin dei conti anche se preziosissimo hanno rubato un gioiello!  Troveremo il colpevole. Adesso fai quello che devi fare, interroga, chiama la scientifica, ma lasciami dormire…ci vediamo in ufficio alle otto», rispose lui interrompendo la conversazione.
Non riuscì più a prendere sonno ma alle otto in punto era seduto dietro la scrivania al commissariato.
Loredana Caputo entrò nell’ufficio del capo con il viso stravolto, era stanchissima, il commissario Parisi si fermò un attimo a osservarla:
«Cosa hai Caputo? Sei un po’ pallida…ma adesso raccontami tutto», disse sbrigativo.
La giovane poliziotta gli spiegò come era avvenuto il furto , senza tralasciare nessun particolare: disse dello sceicco che aveva stretto amicizia con i coniugi e del collier di rubini regalato alla signora.
«Vorrei conoscere questo tale così magnanimo. Vieni con me, andiamo al Majestic a interrogarlo…».
Loredana rimase un attimo interdetta,  ma era abituata alla stravaganze del commissario, e poco dopo erano in hotel. Il direttore appena se li vide davanti si confuse:
«In che cosa posso essere utile?», chiese con la voce tremante.
«Vorrei solo parlare con il signor Alì Behari», affermò il commissario.
«Ma non posso disturbarlo, starà ancora riposando… è una persona molto importante…non so come comportarmi», balbettò il poveretto.
Ma Parisi non accettò scuse, e il direttore diede ordine a un cameriere di avvisare il signor principe che avrebbe avuto visite.
Poco dopo il ragazzo tornò: «Il signor Behari non è in camera…è partito».
Il commissario scosse la testa e rimase in silenzio per qualche secondo, poi:
 «Come mai questa fretta?», chiese.
In quel momento Adami e la moglie, si avvicinarono e si presentarono.
"Grazie di essere venuto commissario, siamo veramente sbalorditi ...hanno rubato tutti i gioielli mentre eravamo al night in compagnia del principe Benhari, a proposito vedo che è sorpreso dalla sua partenza ma  aveva affari importanti da sbrigare nel suo paese, così ci ha detto», affermò il petroliere, «e poi credo sia assurdo sospettare di lui, è ricchissimo…il gioiello che ha donato a mia moglie vale quanto tutti quelli rubati, io me ne intendo, sono rubini meravigliosi».
Parisi si avvicinò e lo toccò su una spalla:
«Dia retta a me che sono vecchio di questo mestiere…lo faccia valutare, non si sa mai!».
I due coniugi si scambiarono un’occhiata di terrore.
«Lei si sbaglia commissario! …non credo che Alì ci abbia ingannati, sono certo che quelle pietre sono autentiche», esclamò Adami con voce stridula.
ʺMi permetto di insistere, anzi, li facciamo valutare da un nostro esperto, qualunque sia il risultato è necessario per le indagini del caso», ribatté Parisi deciso.
Adami salì in camera a prendere il collièr di rubini e lo consegnò al commissario che sgranò gli occhi davanti a tanto splendore. 
«Caputo, chiama la scientifica e fai valutare questa collana», disse poi alla sua aiutante rigirando il gioiello fra le mani, «per essere sincero trovo stupende queste pietre», si volse verso Adami e aggiunse, « forse la mia professione mi porta sempre a essere troppo sospettoso».
Sentì su di sé lo sguardo cupo di Valentina:
«Mi dispiace, signora, ma questo è il mio mestiere…», affermò, «se non è come penso, le anticipo le mie scuse. Ora devo andare, ci vediamo domani alle nove in commissariato per il responso della perizia», tagliò corto, salutò e se ne andò seguito dagli sguardi preoccupati di Valentina e il marito.

Il giorno dopo il dossier della perizia sui rubini dello sceicco era in evidenza sulla scrivania di  Parisi che continuava a guardare l’orologio in attesa dei coniugi Adami, le sue dita tamburellavano ritmando il tempo nervosamente.
«Avevamo l’appuntamento alle nove…sono le dieci!», sbuffò guardando di traverso il suo braccio destro. Loredana si limitò ad alzare le spalle senza rispondere.
Poco dopo il commissario si calmò:
«Gli Adami sono arrivatiʺ, annunciò finalmente la  Caputo tirando un sospiro di sollievo, non sopportava l’impazienza del commissario e il suo nervosismo….le veniva un cerchio alla testa!
Marito e moglie entrarono, Parisi li invitò a sedersi ed entrò subito in argomento:
«Ecco il responso: il nostro esperto ha sentenziato che…», prese la cartella della scientifica e, lentamente, scandendo le parole continuò, «queste pietre sono degli stupendi…», e qui si fermò guardando in faccia i due che sorrisero:
«…fondi di bicchiere», concluse. Il sorriso si spense sulla bocca dei suoi interlocutori.
Adami si mise una mano al petto:
 «Presto, Valentina…le pillole, mi sento male…», mormorò con un filo di voce.
Il commissario era a disagio: 
«Mi dispiace, ma sono soltanto delle meravigliose imitazioni….l’avevo previsto, la verità è come pensavo», concluse restituendo la collana.
Valentina lo guardò mestamente:
 «Allora, commissario è stato il principe…cioè il falso principe, praticamente un ladro d’alto bordo», continuò, nei suoi occhi si leggeva una grande delusione.
«Purtroppo i miei sospetti erano veri, ora continueremo le ricerche di quel tale,  però non sarà facile rintracciarlo, non sappiamo nulla di lui…non ha lasciato sul posto nemmeno le impronte».
«Ma, come ha potuto rubare i gioielli se era con noi al night! …probabilmente aveva un complice», aggiunse Adami che si era faticosamente ripreso dal malore.
«Certamente….», rispose Parisi, «continueremo a cercare ma, mi creda, non si disperi, si calmi e pensi alla sua salute…non ne vale la pena per un mucchietto di gioielli, molto preziosi, ma sono soltanto degli oggetti», cercò di consolarlo ma l’altro gli lanciò un’occhiata di fuoco e  uscì  con la moglie dall’ufficio quasi senza salutare.
Il commissario non reagì:
«Si sono offesi, volevo soltanto dire che è meglio un furto di una malattia…bah!», e allungò le gambe sotto la scrivania. Loredana Caputo chiese il permesso di uscire.

Qualche mese dopo Valentina stava imbarcandosi su un aereo diretto in Brasile accompagnata da un bel giovane bruno. Sedettero vicini e lei si strinse al suo braccio:
«Sono felice James…o ti devo chiamare Alì», sussurrò, «finalmente è tutto finito…ho riscosso anche i soldi dell’assicurazione e qui dentro…», la sua mano batté sulla borsa
 di coccodrillo, «c’è la Regina Nera…e gli altri gioielli, non poteva andare meglio!!».
«Sei stata fantastica», rispose lui accarezzandole i capelli biondi ,« il direttore aveva ragione: quella cassaforte era a prova di ladro…ma conoscendo la combinazione, tutto è stato più facile. Il nostro complice non ci sarebbe mai riuscito senza il tuo aiuto».
Il grande aereo decollò, Valentina guardò fuori dal finestrino mentre la terra si allontanava:
ʺAddio signor Adami», disse alzando una mano, «poveretto, mi dispiace avergli dato questo dolore, ma in fin dei conti è pieno di soldi fino alle orecchie!...è una brava persona ma non l’ho mai amato, l’ho sposato appunto per la sua ricchezza…lo sai che amo soltanto te».
Appoggiò la testa sulla spalla di James e chiuse gli occhi: cominciava il suo viaggio verso la felicità.
Tutto questo il commissario Alex Parisi questa volta non l’aveva previsto, forse affascinato come tutti dalla bellezza di Valentina che aveva bene interpretato la parte della vittima.  
 FINE










  




domenica 19 marzo 2017

ALL'OMBRA DELLE PIRAMIDI

 


Francesco entrò nell’hotel e puntò deciso verso la reception dove un uomo in giacca amaranto 

smistava i numerosi turisti della comitiva nelle rispettive stanze…. ma il giovanotto non

 arrivò al bureaux poiché inciampò in una valigia posta nel bel mezzo della passatoia, ruzzolò per terra attirando  l'attenzione di chi era in coda.

"Chi è quel furbo che ha messo qui questo bagaglio!”, gridò rialzandosi a fatica.
Un tale si diresse di corsa verso di lui:
“Scusi…sono stato io…si è fatto male?”, chiese imbarazzato dallo spiacevole incidente.
Francesco, mentre si massaggiava un ginocchio, alzò lo sguardo e rimase come fulminato:
“Non ci posso credere!…Giacomo…Giacomo Martini!”, esclamò fissando l’uomo davanti a lui.
Questi restò un attimo interdetto, strizzò gli occhi…poi il suo viso si illuminò in un raggiante sorriso:
“Francesco…sei proprio tu…chi piacere rivederti…come stai?”, disse accavallando le parole  per l’emozione. I due si abbracciarono dandosi poderose pacche sulle spalle.
Si rivedevano dopo circa dieci anni, da quando coabitavano una stanzetta nei pressi dell’università dove frequentavano la facoltà di giurisprudenza. Quando si erano laureati ognuno era ritornato al proprio paese d’origine e non si erano più sentiti per varie circostanze. La loro amicizia però era di quelle che non si perdono nel tempo; anche se la vita li aveva allontanati conservavano un bel ricordo l’uno dell’altro…quante notti avevano passato insieme a studiare, a ballare o semplicemente a parlare di amori appena sbocciati…Ritrovarsi era per loro una grande festa…
“Cosa hai fatto?…lavori?…ti sei sposato?”, le domande si incrociavano nella frenetica voglia d’informarsi di ciò che avevano fatto da quando non si erano più frequentati.
Ma non ebbero tempo di rispondersi perché era arrivato il loro turno al bancone dove quel tale chiedeva i documenti e porgeva le chiavi delle camere.
“Mi raccomando…ci vediamo dopo”, si raccomandò Giacomo mentre sollevava la valigia incriminata e scompariva nell’ascensore.
I due giovani facevano parte di  un gruppo di turisti che avevano acquistato un viaggio last-minute a prezzi stracciati. Francesco aveva deciso di partire improvvisamente, per tante ragioni : il periodo che stava attraversando non era dei migliori. Si era accorto che il rapporto con  Roberta si stava trascinando affogato dalla noia: le giornate passate insieme erano tutte uguali,  tra di loro  l’attrazione fisica si era affievolita e  quella spirituale era proprio sparita…praticamente non avevano più nulla da dirsi. Così avevano deciso di fare vacanze separate per prendersi l’indispensabile pausa di riflessione, anticamera di una separazione già nell’aria.
La crociera sul Nilo l’aveva attirato, quella terra ricca di vestigia antiche dove misteri e culture diverse si mischiavano fin dalle origini di una storia rimasta ancora viva da quasi cinquemila anni, l’aveva sempre affascinato . Sapere che avrebbe visto le Piramidi e ritrovato i resti di una delle civiltà più antiche del mondo lo entusiasmava.
 Dopo una doccia ristoratrice si vestì con cura intenzionato a scendere, scostò le tendine della finestra e ammirò il giardino rigoglioso dell’hotel: le palme altissime ai bordi dei vialetti facevano ombra alle aiuole di fiori accuratamente accostati nei colori con un esaltante effetto coreografico, gli venne voglia di fare una passeggiata per sentirne il profumo. Si guardò intorno mentre percorreva il viale che lo portava in fondo al giardino: “avevo bisogno di tutto questo”, si disse .
Gli ultimi giorni non aveva fatto altro che litigare con Roberta, erano arrivati senza rendersene conto alla fine del loro amore…questo gli dispiaceva un po’, ma non ci poteva fare niente… Stava facendo queste amare  considerazioni quando sentì dietro di sé scricchiolare la ghiaia della stradina, poco dopo una giovane donna lo superò, non prima di avergli sorriso. Francesco ricambiò con un cenno di saluto e, seguendola, ebbe modo di ammirarne la figura snella e ben proporzionata. Indossava pantaloni bianchi attillati in modo da non nascondere nulla , la camminata agile la portò in breve lontana da lui. “Carina”, constatò con un sorriso.
Arrivato in fondo la ritrovò sulla terrazza ad ammirare il panorama, la raggiunse. Mentre stava avvicinandosi la ragazza si sporse dalla balaustra, forse un po’ troppo e Francesco, credendola a rischio di cadere, non poté fare a meno di correre verso di lei per trattenerla:
“Attenta!”, gridò prendendola per le spalle.
 La giovane si voltò stupita: “Non corro nessun pericolo…guarda giù, siamo quasi sulla sabbia”, rispose seccata, “ ma…fai sempre così per agganciare una donna oppure sei un tipo di quelli che si agitano per niente”, continuò alzando su di lui lo sguardo degli occhi verde acqua che in quel momento avevano dentro qualche pagliuzza dorata.
 Lui si sentì ridicolo :
“Scusa, non volevo…non è mia abitudine fare Superman che salva le ragazze…”, rispose impacciato. “non so cosa ho visto…da lontano sembrava dovessi cadere nel vuoto… a proposito, mi chiamo Francesco”, aggiunse.
“Alice…”,  lei allungò la mano per stringere la sua.
Lui la guardò in viso e, in quell’attimo, ebbe la sensazione di averla sempre conosciuta: nei sogni la sua donna aveva quella bocca carnosa, quei capelli biondi, tutto in lei incarnava l’ideale.
 Per qualche secondo rimase come imbambolato a fissarla, anche lei ricambiò quell’emozione restando immobile davanti a lui con un lieve sorriso che conteneva un pizzico di civetteria .
Un suono attirò la loro attenzione:
 “Deve essere il richiamo per l’aperitivo di benvenuto…vieni anche tu?”, propose lei continuando l’atteggiamento leggermente provocatorio. Francesco non riusciva toglierle gli occhi di dosso, ma si riprese subito:
“Con molto piacere”, rispose tornando a contemplarla ammirato. Durante il breve tragitto non poté fare a meno di farle la domanda che gli bruciava sulla bocca fin dal momento che si erano incontrati:
“Sei sola?”, s’informò. La ragazza tardò a rispondere:
“No..”, disse laconica. Lui non osò andare oltre…
Tutto il  gruppo stava già brindando al buon esito della vacanza, anche Giacomo era tra loro:
“Ti ho cercata…dove ti eri cacciata?”, disse rivolgendosi ad Alice.
“Ho fatto un giro in giardino…è così bello!”, rispose lei.
Nel frattempo Francesco guardava ora uno ora l’altra interrogativamente.
“Vedo che vi siete già  conosciuti, ti presento la mia fidanzata”, disse l’amico rivolgendosi a lui.
“Complimenti…”, mormorò il giovanotto, nella sua voce c’era un filo di delusione.
“Vi conoscete?”, chiese lei meravigliata.
Giacomo spiegò brevemente l’origine della loro amicizia.
“E’ stato il mio compagno di studi e d’avventure…”, disse battendo una mano sulla spalla a Francesco, “Sei qui anche tu in compagnia?”, chiese ancora.
“No…sono solo avevo bisogno di stare con me stesso a pensare”, rispose evasivo. 
 Da quel momento le giornate furono piene di emozioni per la meravigliosa terra d’Egitto, culla della civiltà dei Faraoni, dove tutto era visto attraverso occhi increduli di poter ancora ammirare qualcosa di straordinario rimasto a testimoniare i misteri di una civiltà scomparsa.
Sull’enorme battello, una specie di villaggio galleggiante sul Nilo, Francesco cercava accuratamente di evitare le occasioni per incontrarsi con Alice, aveva capito che in lei c’era qualcosa di sensuale che l’attraeva irresistibilmente, non voleva cedere  e così si teneva alla larga. Solo quando era in compagnia di Giacomo accettava di stare con loro, ma, mentre i due amici si scambiavano i ricordi di gioventù, Francesco non poteva fare a meno di osservare la giovane donna mentre altri pensieri gli frullavano per la testa….era una provocazione continua e  non ci poteva fare nulla, la sua mente fantasticava precipitandolo in uno stato d’ansia che non aveva mai provato prima. Aveva tanto desiderato visitare quei luoghi, ma ora che lo poteva fare scoprì che le visite nelle leggendarie necropoli egiziane gli servivano solo per stordirsi…Ma, nella valle dei Re dove erano sepolti più di sessanta Faraoni non poté fare a meno di lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera suggestiva che aleggiava dentro le tombe…davanti ai colossi di Memnon si sentì un piccolo uomo che non riusciva a stare in pace con se stesso.
Roberta ogni tanto telefonava, ma lui la sentiva sempre più lontana, nei suoi desideri segreti c’era soltanto Alice.
 Non gli era mai capitato di dover combattere con un sentimento così importante, una battaglia dura, che forse era già persa in partenza.
Alla sera andava sul ponte della nave per godersi lo spettacolo di quel cielo così punteggiato di stelle da sembrare finto…e una volta si incontrò con lei…
“Non è meraviglioso?”, disse la giovane donna . La brezza della notte le scompigliava leggermente i capelli biondi e leggeri, indossava un vestito nero che le disegnava le forme morbide. Per Francesco fu come un’apparizione, non si aspettava di vederla da sola .
 “Giacomo è rimasto dentro?”, chiese.
“E’ in cabina…non ha voglia di fare niente questa sera, così sono uscita a prendere una boccata d’aria…ne valeva la pena”, rispose lei accennando alla volta celeste.
Era la prima volta che l’aveva così vicina…anche lei era turbata, non sapeva cosa dire.. Si guardarono intensamente per un lungo momento, improvvisamente, mosso da un impulso irresistibile, lui le prese il viso e baciò quella bocca che lo faceva impazzire, le sue mani tremavano mentre la accarezzava. Lei gli buttò le braccia al collo e ricambiò il bacio con una passione che li travolse…
“Vieni…andiamo nella mia cabina”, disse lui con la voce soffocata.
Alice lo seguì come in trance, ma quando fu davanti alla porta ebbe un sussulto e si svegliò:
“Non posso…non sarebbe giusto…”, mormorò ricomponendosi, “dimentichiamo quello che è successo..è stato soltanto un momento di debolezza”. 
“No…io ti voglio…sono pazzo di te…ti prego entra”, ormai aveva perso ogni ritegno, avrebbe fatto di tutto pur di averla…Ma lei si allontanò lentamente scuotendo la testa: “No…no…”, ripeteva.
Volse le spalle e corse per il lungo corridoio per allontanarsi dalla tentazione. Francesco la vide andarsene e gli venne l'ansia , aprì la porta e  si buttò sul letto disperato: “Accidenti a me…sono andato a innamorarmi della donna di un amico…non doveva capitarmi…”, si disse prendendosi la testa fra le mani. Si agitò su e giù per la cabina come un leone in gabbia finché non venne l’alba. Il giorno dopo si incontrarono e non ebbero il coraggio di guardarsi negli occhi…sapevano che avrebbero dovuto battersi contro la passione che li aveva attratti, e dovevano metterci tutte le loro forze. I giorni vissuti dopo quel breve momento d’amore non ebbero più nessuna importanza.
La  crociera finì e dovettero salutarsi:
“Ti mando l’invito per il nostro matrimonio”, annunciò Giacomo abbracciando l’amico.
Francesco si sentì rimescolare e rimase di sasso.
“Quando?”; chiese infine scuotendosi.
“Alla fine di settembre”.
 Alice era impallidita e cercava di non guardarlo e lui capì che tutto era finito ancora prima di cominciare.
“Spero di essere libero…altrimenti… auguri”, concluse con un sorriso un po’ triste..
Quando Francesco rientrò a casa era un altro uomo, rivide Roberta e,….per abitudine, per pigrizia perché non lo sapeva nemmeno lui…ricucì lo strappo e ritornò con lei…
Ma la sua vita era diventata piatta, niente lo interessava più di tanto, guardava Roberta e pensava ad Alice…i giorni passavano e il ricordo di lei non si affievoliva.
Finì l’estate e un bel giorno, ai primi di settembre, il postino mise nella casella delle lettere una busta bianca, lunga ed elegante che aveva tutta l’aria di essere una partecipazione di nozze….infatti Francesco l’aprì e restò imbambolato a fissare l’invito al matrimonio di Giacomo e Alice per il 25 dello stesso mese…lentamente strappò il cartoncino e lo mise nel cestino…poi telefonò a Roberta per andare al cinema a vedere un film comico…
  In data 20 settembre alle ore ventuno il citofono dell’appartamento di Francesco gracchiò:
“Chi è a quest’ora”, brontolò lui alzando la cornetta:
“Sono Alice, aprimi”, soffiò dentro il microfono una voce femminile.
Il cuore di Francesco fece una capriola…schiacciò il pulsante poi si precipitò sul pianerottolo ad aspettare l’ascensore che stava salendo. La porta si aprì ed apparve lei, Alice, la bella bocca sensuale atteggiata ad una smorfia e gli occhi rossi pieni di pianto.
“Cosa è successo?”; chiese allarmato lui.
La ragazza si precipitò nelle sue braccia:
“Non ce l’ho fatta…sono innamorata di te e non potevo sposare Giacomo, l’avrei fatto soffrire….”, singhiozzò.
Francesco la strinse a sé, in quel momento capì cos’è la felicità..
“Andiamo dentro…adesso non mi scappi più”, disse prendendola in braccio per varcare la soglia, chiudendo poi la porta dietro di sé.
Aveva perso un amico….ma aveva trovato l’amore, quello vero!

                                                                                                                              FINE




  









domenica 12 marzo 2017

UNA STELLA PER AMICA



Periodo nero per Daniel, la sua ragazza l’aveva lasciato, si era innamorata di un altro e senza tanti preamboli gli aveva detto la fatidica frase: “non ti amo più” e, per chiudere il cerchio della sfortuna si era rotto una gamba in un incidente di moto. Così era costretto stare in casa con un vistoso gesso che gli bloccava la gamba destra.
In quei giorni anche il tempo gli era avverso, pioveva continuamente e, quando guardava dalla finestra gli passava la voglia di uscire.
 Gli pesava il pensiero di  prendere le stampelle e faticare sui marciapiedi affollati solo per andare all’edicola a comprare il giornale, o a bere un caffè al bar vicino. 
I giorni erano diventati interminabili, passava il tempo fra la televisione e il computer facendo il conto alla rovescia per arrivare al momento in cui avrebbe tolto quel maledetto gesso.
Appassionato di musica classica si era messo a chattare su un sito di musicologi alla ricerca di qualcuno con cui scambiare opinioni o informarsi sulle ultime novità discografiche. 
A un suo quesito su un determinato concerto, aveva risposto  Stella con un' interessante opinione personale.
 E da lì cominciarono a frequentarsi on -line.
Chattavano quasi tutti i giorni , per lui il tempo passava più velocemente, andava al computer sperando che lei fosse presente, gli piaceva come scriveva e la sensibilità con cui affrontava gli argomenti che lo interessavano.
 Quasi sempre si trovavano d'accordo, era bello perché li univa la passione per la musica e su questo intraprendevano interminabili discussioni  dimenticandosi del tempo.        
 Ma in David ovviamente c'era anche una curiosità diversa, dopo aver esaurito le reciproche considerazioni  sulle sinfonie di Beethoven, di Bach o di chi altro, era passato al privato.
 Aveva sentito l’esigenza di raccontare le sue disgrazie, e aveva scoperto che era facile  aprire l’ anima senza imbarazzo attraverso quello schermo che nascondeva l’ identità. Si accorse che arrivavano le risposte giuste, quelle che lui voleva sentire in quel momento difficile della sua vita. Però Stella parlava poco di sé, sembrava che non avesse niente da raccontare, anche sollecitata lasciava perdere l’argomento.
 Per un po’ si  frenò, ma poi la curiosità fu più forte di lui:
 “ Come sei? Mandami una tua foto, mi piacerebbe conoscerti”, chiese.
“O.K. domani ci scambieremo le nostre immagini”, rispose lei inaspettatamente..
Quando il giorno seguente aprì il sito ,  era un po’ emozionato, “ vediamo”, si disse cliccando.
 Sullo schermo apparve un viso di donna, giovane, con lo sguardo intenso, il sorriso dolce. Si fermò a osservarlo per qualche secondo piacevolmente impressionato, non si era sbagliato, l’aveva immaginata così: una ragazza semplice con un’aria intelligente.
Anche da parte di Stella ci fu un riscontro positivo:
“Piacere di conoscerti, sei come pensavo”, gli fece sapere.
 Da quel giorno continuarono a parlarsi attraverso il computer, era diventata una piacevole abitudine sentirsi a un’ora pattuita: ormai per David era un appuntamento che gli alleggeriva la giornata. Un pomeriggio,  non ricevette nulla e cambiò improvvisamente umore; ebbe paura che lei non gli rispondesse più e quando il giorno dopo rivide il suo nome nella chat tirò un sospiro di sollievo.
 Da quando si scriveva con Stella i giorni di forzata immobilità passavano veloci, finché venne il momento tanto atteso: una  bella mattina tolse il gesso e si sentì libero.
 La gamba era ancora debole, ma, dopo un periodo di riabilitazione tornò a essere quello di sempre. In quei giorni il lavoro trascurato durante la forzata immobilità non gli lasciava molto tempo libero perciò con Stella, chattava solo di sera, però la pensava spesso anche durante la giornata, anzi il desiderio di vederla si faceva più insistente, voleva guardarla negli occhi per ritrovarvi quella dolcezza che traspariva dalle sue risposte. 
“Perché non ci incontriamo?”, domandò.
“Rimaniamo così, è troppo bello sapere di avere un amico a cui scrivere, in questo momento l’intesa fra noi è così perfetta che avrei paura di rovinare tutto”, rispose Stella, deludendolo.
 Non ebbe il coraggio di replicare, forse aveva ragione lei, si ripromise di ritentare più avanti, non voleva forzare i tempi e non voleva perdere il contatto: era difficile trovare una persona con tanta sensibilità e intelligenza.
 Ormai non passava giorno che non la sentisse, le raccontava la sua giornata, i progetti e le speranze, era uno sfogo poterle dire ciò che aveva dentro specialmente da quando era rimasto solo.
 Lei l’aiutava a non mollare, e lui aveva bisogno di quelle parole, non avrebbe più potuto chiudere la giornata senza sentirla, aveva il potere di rasserenarlo. 
Ma poi non riuscì più a trattenere il desiderio di incontrarla, gli sembrava così stupido parlare con un monitor!
“Ti prego, voglio conoscerti di persona, ormai …non possiamo continuare così ”.
 A questo accorato appello Stella rispose:  “Mi hai convinta, vediamoci”.
Si diedero appuntamento in un locale del centro,  David quel giorno era emozionato e, nello stesso tempo in un angolino c’era un vago timore: “ e se fosse una delusione? Se lei non fosse quella della foto?”.
“Sarò seduta  e avrò un vestito rosso: mi raccomando alle diciassette in punto”, aveva scritto Stella.
David entrò e si guardò intorno, sulle prime non notò nulla, ma poi osservando meglio vide, seduta a un tavolino,  una ragazza bruna vestita di rosso,  che stava fissando la porta d’ingresso: era lei.
 La stessa dell’immagine del computer; il suo cuore si allargò: era tutto vero, non c’erano misteri.“Ciao”, si avvicinò leggermente imbarazzato.
“Finalmente ci vediamo”, rispose lei, “ sono felice di conoscerti”, un sorriso le illuminò il viso.
“Ti chiami proprio Stella?”, chiese ancora lui.
“Certo…e tu sei David? Non abbiamo avuto tanta fantasia”, scherzò la ragazza.
In un primo momento erano a disagio, cercavano le parole per iniziare una conversazione, non erano dietro uno schermo, perciò c’era una certa difficoltà a sciogliersi.
“Deluso?”, domandò ancora lei .
“Assolutamente no, anzi, la foto non ti rende giustizia, sei molto meglio!”, esclamò David.
“Sono banale, ma posso dire che per te è la stessa cosa?”.
  Da quel  momento l’atmosfera si fece più calda, ogni tanto si scoprivano a scrutarsi, ognuno dei due aveva avuto dubbi sulla vera identità dell’altro e si accorgevano con piacere che la verità era quella che stavano vivendo.
Dopo aver trascorso quasi due ore seduti a parlare, Stella diede un’occhiata all’orologio:
 “Si è fatto tardi, devo  tornare”, disse a malincuore.
“E’ passato  il tempo troppo in fretta, ma questo è stato un primo incontro, ci rivedremo presto”, ribatté David. Nel volto di Stella passò un’ombra:
“Aspetta a dirlo”, mormorò alzandosi, si scostò, prese una stampella sul pavimento, la  mise sotto l’ascella e a fatica fece qualche passo.
“Ecco, io sono così, adesso cosa ne dici?”, chiese guardandolo fisso per vedere la reazione.
David non mosse un muscolo del viso, rimase come impietrito davanti a lei che si appoggiava per  muoversi. Un groppo gli salì alla gola, osservò quella giovane donna dallo sguardo fiero che non voleva la sua pietà e pensò che era meravigliosa.
“Tu  pensi che questo mi trattenga dall’incontrarci ancora? Il problema per me non esiste, tu sei Stella, e ormai sai tutto di me, a chi potrei raccontare la mia vita?”, esclamò lui.
Lei s’irrigidì:  “Ti ringrazio”, sussurrò, rimase un attimo in silenzio: “Se non faremo delle lunghe passeggiate, potremmo continuare la nostra amicizia”, disse timidamente.
David la prese sottobraccio:
 “Smetti di dire sciocchezze, andiamo”, uscirono insieme chiacchierando.
Dopo quell’appuntamento ce ne furono altri, Stella era una piacevole compagnia, il suo carattere allegro e positivo equilibrava quello di lui che era propenso a vedere tutto nero. David si stava accorgendo che, senza la sua  presenza tutte le cose avevano un sapore diverso,  il suo handicap  non le impediva di andare ovunque, era talmente organizzata che niente la spaventava, si spostava con l’auto senza problemi.
 C’era un lungo ponte quel mese:
 “Perché non ce ne andiamo al caldo?”, propose Stella “se ti va potremmo fare una vacanza sul Mar Rosso, potrei chiederlo anche a Teresa, una mia amica carissima….è carina, vedrai che ti piacerà”. David rimase un attimo pensieroso, poi acconsentì, aveva bisogno di rilassarsi dopo i brutti momenti trascorsi. Partirono in tre, Stella voleva che non ci fosse  nessun equivoco, la loro doveva rimanere una bella e semplice amicizia. Ma da subito, durante il viaggio in aereo,  si accorse che forse aveva fatto un errore a  invitare Teresa, le moine della sua amica verso David la infastidivano, sentiva una morsa allo stomaco ogni volta che li vedeva scherzare e ridere insieme, faceva finta di niente, ma girava la testa da un’altra parte per distrarsi.
Nel lussuoso albergo di Sharm-el-Scheik le due ragazze avevano la camera in comune, Stella cominciò a guardare l’amica con altri occhi, le stava diventando antipatica, la infastidiva quella sua aria esuberante . 
 “Cosa ci mettiamo stasera?”, disse subito Teresa rovistando nella valigia aperta sul letto, “c’è anche l’orchestra, si balla!”.
Stella volse il viso da un’altra parte: “Vestiti come ti pare, tanto io non posso venire”, rispose sgarbata. L’altra la guardò con gli occhi sbarrati:
”Cosa ti prende? Non sei mai stata così scostante. E poi, perché non puoi venire? Hai un sacco di abiti eleganti, mi sembra che tu stia facendo degli inutili capricci”, esclamò..
  Stella si calmò: “Scusami, hai ragione, sono un po’ nervosa”, disse a bassa voce.
Fra le due si stabilì una certa tensione, si vestirono in silenzio e quando furono pronte Teresa l’osservò : “Sei bellissima, però devi cambiare quella faccia, sorridi!”.
David le aspettava nella hall, Teresa gli si avvicinò guardandolo con civetteria e lo prese sottobraccio:
”Vogliamo andare?”, chiese insinuante.
Stella si fermò all’ascensore, appoggiata a un elegante bastone aveva difficoltà a proseguire, per la prima volta David lesse nei suoi occhi  il rammarico di non essere come gli altri,  si scostò da Teresa e la raggiunse:
 “Vieni”, disse offrendole il  braccio, “sei fantastica”.
 In effetti quella sera il vestito che indossava Stella le donava molto, lungo fino alle caviglie nascondeva perfettamente la sua menomazione, la scollatura pronunciata metteva in risalto il seno, un collier dava luce al viso illuminato dai grandi occhi castani. Per tutta la sera David non le staccò gli occhi di dosso ignorando i tentativi di abbordaggio dell’amica invadente.
 La invitò anche sulla pista da ballo, la sorresse, turbato di poterla stringere a sé, e la guidò in un angolo dove si mossero lentamente al ritmo della musica. Stava provando un sentimento che covava in lui da tempo, non voleva confessarlo nemmeno a se stesso: non era amicizia ciò che lo legava a lei, ma amore.
  Se ne rese conto nel momento in cui provò anche una forte attrazione fisica: con il viso fra i suoi capelli mormorò: “Sono innamorato di te, ti prego, non mi dire di no”.
Stella si irrigidì, alzò il viso verso di lui:
 “ David, non è possibile, io non ti amo, sei soltanto un amico”, pronunciò le parole a fatica, stava dicendo una grossa bugia, ma non poteva fare altrimenti.
“Sapevo che mi avresti risposto così, però guarda dentro te stessa, anche tu mi ami, lo sento, c’è un’intesa troppo bella fra di noi, pensaci”, supplicò il giovane.
“Hai preso un granchio, ti voglio bene, ma non è amore, restiamo come siamo, non complichiamoci la vita”, rispose Stella staccandosi da lui.
Ritornarono al tavolo in silenzio, lui deluso, Stella molto triste, stava allontanando da sé l’uomo che poteva renderla finalmente felice, ma sentiva che non poteva accettare un amore che forse era ispirato dalla pietà.
La vacanza terminò bruscamente, Stella volle tornare, non se la sentiva di continuare a giocare con i sentimenti, da quando David le aveva detto che l’amava si sentiva a disagio.
Dopo, tornata a casa,  fece in modo di diradare gli incontri, e David ne soffriva, si rifiutava di capire, i giorni in cui non riusciva a parlarle gli mancava qualcosa di essenziale, ormai era abituato alla sua serenità, al suo carattere solare che gli rendeva piacevole la vita.
 Non era soltanto egoismo, era amore, la pensava continuamente, e la desiderava. Non la vedeva da una settimana e gli sembrava un secolo, finalmente prese coraggio e le telefonò per incontrarsi. Quando si videro, negli occhi di ciascuno spuntò una luce, e David capì che anche lei provava lo stesso turbamento:
 “Non sai quanto sono felice di vederti e vedo che anche tu lo sei”, le sussurrò tenendole  le mani.
Lei sentì un calore attraversarle il corpo e rimase immobile.
 Poi si scosse e lentamente si avvicinò:
 “Mi arrendo, mi sono innamorata di te  e non volevo che succedesse, ho paura di rovinarti la vita”, disse allacciandosi a lui.  David la tenne stretta, c’era un dolce senso di protezione in quell’abbraccio, era sua e l’avrebbe difesa ad ogni costo se era necessario.
“La mia vita sarebbe rovinata senza di te”, rispose cercando la sua bocca..
Da quel bacio cominciò la loro felicità.

FINE








domenica 5 marzo 2017

LE SORPRESE DELL'AMORE





Giada uscì dalla doccia con l’asciugamano avvolto attorno a corpo, fece qualche passo e sorrise al suo uomo che l’aspettava tra le lenzuola. 
Michele l’ammirò ancora una volta. Era bella, le gambe tornite e perfette, i capelli biondi e lunghi accarezzavano le spalle bianche, il viso dolce illuminato dai grandi occhi verdi era incantevole: sembrava Venere uscita dalla spuma del mare. Mai come il quel momento  provò il desiderio di averla sempre tutta per sé. 
Si frequentavano da due anni, lui, scapolo super convinto e lei reduce da un matrimonio fallito non avevano avuto ancora il coraggio di mettersi insieme definitivamente, temevano che la convivenza offuscasse l’amore che li univa.
 Specialmente Michele, ancorato alle sue abitudini radicate nel tempo, aveva paura  che una persona in casa avrebbe condizionato la vita così ordinata su binari prestabiliti.
 Era un tipo particolare, tutti gli anni trascorsi da single l’avevano fatto diventare un po’ orso, poco comunicativo e pieno di manie.. Una delle sue innumerevoli ossessioni era l’ordine, ogni cosa doveva essere al suo posto, gli dava un fastidio fisico e lo faceva star male vedere un letto sfatto o il lavandino colmo di piatti da lavare… aveva l’abitudine di mettere a posto ogni cosa prima di andare al lavoro oppure prima di chiudere la porta di casa per qualsiasi evenienza. Lo ammetteva: era un suo grande difetto, e gli amici lo prendevano in giro, ma era più forte di lui…forse per questo alla bella età di trentotto anni non si era ancora sposato…
Da qualche tempo però si era accorto che i suoi ferrei principi stavano capitolando, si stava innamorando sempre più di Giada…Per esempio, quella sera avrebbe voluto che il loro incontro non finisse mai,   passavano i giorni ed era sempre più preso da lei, si accorgeva che non ne poteva fare più a meno… era costantemente nei suoi pensieri.
 La loro relazione, cominciata casualmente con un incontro in casa di amici  stava trasformandosi in qualcosa di più importante… Pensò che sarebbe stato bello passare tutte le notti insieme, tornare a casa e sapere che c’era lei ad aspettarlo…forse era venuto il momento di lasciare da parte le sue stupide fissazioni e fare entrare in casa la donna della sua vita. 
Quella sera non le permise di andarsene come faceva di solito dopo aver fatto l’amore…si svegliò il mattino dopo e la guardò dormire aveva il viso sereno e un piccolo sorriso sulle labbra…Michele decise di proporle di vivere insieme per ritrovare ogni giorno quel piacere infinito di averla vicino .
Giada aprì gli occhi…”Buon giorno amore”; sussurrò.
Lui si chinò a baciarla poi :
“Devo parlarti”, le disse accarezzandole il viso.
“Come sei serio!…è successo qualcosa?”, rispose lei meravigliata dal tono.
“Sì…non ce la faccio più a vederti andare via …e vorrei che finalmente tu venissi a stare con me…”.
Giada non rispose subito, l’attimo di silenzio fece tremare Michele che si aspettava più entusiasmo.
Ma fu soltanto la sorpresa che aveva ritardato per qualche secondo l’abbraccio di lei.
“Sei sicuro di quello che dici?”; chiese poi preoccupata, conoscendo il suo uomo.
“Vai tranquilla…l’amore mi farà cambiare, te lo prometto”, scherzò lui.
“Facciamo una prova…se non va me ne ritorno  a casa mia ,  non voglio perderti per questo…ti amo troppo… ma sono certa che saremo felici insieme”, affermò Giada con gli occhi che brillavano.
“Quando?”; insistette Michele.
“Domani”, ribatté subito lei.
Infatti il giorno dopo Giada arrivò con tre valige e un borsone:
“Dove li metto?”. Michele, ebbe un attimo di smarrimento, vedere l’anticamera invasa dai bagagli gli diede quasi una leggera nausea e un po’di  nervosismo, ma si calmò immediatamente, aveva promesso di dominarsi e doveva mantenere.
Aprì le ante dell’armadio e fece del suo meglio per far posto ai vestiti di Giada, purtroppo il contenuto di una delle tre valige non trovò collocamento…
“La riporterò a casa, poi si vedrà”, disse conciliante lei leggendo negli occhi di Michele un certo disagio.
“ OK però  non facciamoci prendere dal panico, per adesso sistemiamoci alla meglio, poi potremo anche comprare un altro armadio”, disse Michele per mistificare l’agitazione che lo stava prendendo.
 Dopo il primo impatto, tutto si risolse e proseguirono la serata con una cenetta a due, preparata da Michele che si reputava un ottimo cuoco. Finito di mangiare, Giada andò in salotto a bere il caffè lasciando la tavola apparecchiata, lui non sapeva come dirglielo… di solito non faceva a tempo nemmeno a terminare il pasto che piatti, bicchieri, posate erano finiti rapidamente in lavastoviglie, e il resto nell’ordine in cui erano in precedenza.
“Amore, il caffè si raffredda”.
“Vengo subito”, rispose lui mentre si affrettava a riporre tutto per avere la tavola pulita.
Giada non si accorse del traffico e se ne stava beata a guardare un programma sul televisore.
 Michele placò la sua ansia abbracciando stretta la sua donna: aveva voluto averla con sé ed ora doveva dominarsi e cercare di vincersi se voleva vivere felice con lei.
Cominciò così la convivenza , lui cercando una via d’uscita in nome dell’amore e lei, dopo la delusione del suo matrimonio finito male sperava di rifarsi una vita felice. .
Però, nonostante l’amore, la passione e la certezza di aver fatto la cosa giusta,  per Michele ogni giorno aveva la sua dose di piccolo tormento: il tappo del dentifricio vagante nel lavandino, le calze stese ad asciugare, le tazze della colazione dimenticate nel lavello della cucina…la comparsa di un cestino pieno di ombretti, rossetti, matite, creme per le mani, per il viso, da giorno e da notte sulla mensola del bagno…senza contare lo stravolgimento delle sue abitudini, per esempio quella di leggere prima di addormentarsi, mentre Giada piombava immediatamente nel sonno del giusto…oppure fare la doccia in santa pace nell’unica stanza da bagno dell’appartamento senza avere l’angoscia di sentire muovere vigorosamente la maniglia della porta e sentire la voce di Giada:
“Ti prego, Michele, sono in ritardo…aprimi…!”.
Conoscendosi, chiamava a raccolta tutta la sua pazienza, e per amor suo usciva scalzo inondando il pavimento e andandosi ad asciugare in camera.
Quando usciva di casa era nervoso ed arrivava in ufficio intrattabile.
Giancarlo, uno dei colleghi che considerava anche un amico, ascoltava le sue lamentele.
“Se le vuoi bene devi superare…sono sciocchezze, ci sono cose ben più importanti nella vita…”, gli ripeteva.
“Hai ragione…i problemi sono soltanto miei, sono un nevrotico…ma tante volte vorrei tornare indietro, e riprendere la mia vita…però cosa me ne faccio di un’esistenza senza Giada?”, rispondeva lui.
Con tanta buona volontà stava abituandosi alla nuova situazione, era contento di avercela fatta…
Una sera arrivò a casa in ritardo, si accinse ad aprire la porta e sentì al di là un tramestìo insolito. Entrò e si sentì avvinghiare i pantaloni dai denti di un cagnolino bianco, graziosissimo: un batuffolo di pelo in movimento…
“ Si chiama Ricciolo, non è delizioso?”, chiese Giada.
Prese in braccio la bestiola per mostrarla a Michele rimasto senza fiato.  Non è che non gli piacessero gli animali…ma in quel momento non era proprio il caso di complicare le cose…
“Me l’ha regalato una mia amica…so che tu non sei d’accordo, ma appena l’ho visto non ho resistito…è troppo carino! Sembra un peluche...Dai amore, non fare quella faccia, vedrai che non ci darà nessun fastidio….ci penso io, lo porto fuori, gli insegno come deve comportarsi…ti prego, teniamolo…”, pregò Giada sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Michele si lasciò incantare e non ebbe la forza di dire di no…e cominciò subito quella stessa sera l’insediamento di Ricciolo in casa sua.
Il cucciolo era molto carino e anche Michele si lasciò scappare una carezza, il pelo morbidissimo lo fece sorridere: “Dove lo mettiamo stanotte?”, chiese apprensivo , “non nella nostra camera….non voglio peli dappertutto”.
Giada gli lanciò uno sguardo supplichevole:
“Poverino….è la prima notte che dorme senza la sua mamma”; disse cercando di commuoverlo.
Ma Michele resistette:
“Domani gli compri una cuccia e lo abitui a dormire in fondo all’anticamera per stasera lo chiuderemo in bagno”, affermò lui .
Quella notte però nessuno dormì, nel preciso istante in cui si diedero la buonanotte, il silenzio fu interrotto dal guaito di Ricciolo. Giada si alzò e cercò di calmarlo: “Buono Ricciolo…dormi”, supplicò dietro la porta chiusa. Ma dall’altra parte si scatenò l’inferno:  il cucciolo abbaiava e graffiava l’uscio, non si calmò finché la ragazza non aprì e lo coccolò fra le sue braccia, si presentò così da Michele che in quel momento scoprì di avere un altro tic: stava strizzando gli occhi in modo incontrollabile…. si alzò, andò in cucina dove inghiottì un bicchiere d’acqua con venti gocce di tranquillante.
“Calma, Michele”, si disse, “ non è successo niente…in fin dei conti è solo un cagnolino…”.
 Ma si chiedeva perché, dopo aver superato il primo impatto, doveva affrontare ancora una seconda prova…
Tornò in camera disposto ad essere conciliante…Giada era sotto le coperte e accucciato ai suoi piedi Ricciolo, dormiva finalmente tranquillo.
“Sia ben chiaro”, affermò Michele guardando Giada con la faccia scura, “questa è la prima e l’ultima volta che il cane dorme con noi…”
“Stai tranquillo, domani lo sistemerò nella cuccia…dai, amore, vieni a letto, e non essere in collera”, disse lei andandogli vicino con l’intenzione di farsi perdonare a modo suo…infatti Michele cascò nella trappola degli occhi verdi e, per quella sera fecero pace.
Ma non andò sempre così, dopo diverse immersioni a piedi nudi nel laghetto di pipì di Ricciolo e qualche paio di ciabatte rosicchiate, Michele era ritornato a non sopportare più lo stravolgimento della sua vita.
Era diventato nervoso, aveva perso la concentrazione anche sul lavoro:
“Non ce la faccio più”, si sfogò con Giancarlo, “Amo alla follia Giada ma non riesco più a rientrare nei binari, la mia casa non è più la stessa…devo chiederle di lasciarmi riprendere, solo per qualche tempo…forse ho fatto male a proporle di vivere insieme…non ero ancora pronto…”.
L’amico scosse la testa : “Devi darti una calmata…se vuoi bene alla tua donna accettala così com’è…anche con un cucciolo di barboncino…”.
“No…sto passando un brutto periodo, mi conosco, la cosa migliore da fare in questo momento è di allontanarci per un breve periodo…sono certo che presto mi passerà…spero soltanto che mi capisca”.
“Fai come credi”, rispose Giancarlo,  “ricordati però che stai rischiando, per un amore come il vostro vale la pena di sopportare un po’ di confusione…non credi? In fin dei conti questa è la vita…più è movimentata meglio è”.
Michele scosse il capo in segno negativo, ormai nella sua mente si era già fissata l’idea di chiedere una tregua e così quella sera rientrò prima con l’intenzione di parlare chiaro.
Anche Giada era già a casa, l’abbracciò più stretto del solito. Lui la tenne vicina, il profumo dei suoi capelli gli fece perdere per un istante la determinazione, poi si scosse e la guardò:
“Ti devo parlare”, affermò cercando di dare alla voce un tono meno perentorio.
“Anch’io”, rispose la ragazza.
Michele la guardò sorpreso: “Qualcosa non va?”, le chiese scrutandole il viso per cogliere qualche segno di ciò che stava per dirgli….forse, anche lei si era accorta che fra di loro c’era un certo disagio e, magari aveva preso la stessa sua decisione.
“Ti devo dire un a cosa molto importante…andiamo di là”, disse trascinandolo in salotto e obbligandolo a sedersi sul divano accanto a lei mentre Ricciolo faceva andare la coda in segno di festa.
“E’ un po’ di tempo che ti vedo nervoso, “, cominciò Giada.
 Michele sentì un colpo allo stomaco….aveva previsto giusto e non sapeva se esserne contento…
“So che sopporti a mala pena che la casa sia in disordine ma…un conto è abitare da soli e un altro è una coppia...anzi una famiglia”, continuò lei mentre una luce brillava nei suoi occhi.
Michele era disorientato e non sapeva ancora cosa rispondere: “Continua…”, disse infine.
Giada gli strinse le mani: “Tieniti forte…ne hai bisogno…”, attimi di suspence poi… “aspettiamo un bambino…”, sussurrò guardando il suo uomo intensamente.
Lui sentì qualcosa che gli serrò lo stomaco…era rimasto talmente colpito dalla notizia che non aveva più reazioni…la sua mente si era come offuscata.
“Non sei contento?”, chiese lei leggermente delusa.
Michele si scosse : “Sono talmente felice che non ho più parole per dirtelo!”. Era la pura verità!
Le  prese il viso fra le mani , la  guardò negli occhi e si accorse che avevano una luce languida che non le aveva mai visto…
“Ti rendi conto che sarai sommerso dai pannolini, dalle pappe, dai seggioloni e poi…da lui, o lei…che porterà in casa la confusione più totale?”, chiese Giada.
“E chi se ne importa….ben venga la rivoluzione, la casa deve essere viva…non un museo”, improvvisamente scoprì che quello che diceva era ciò che aveva inconsciamente sempre desiderato, ci voleva l’amore per quella ragazza dagli occhi verdi e l’arrivo di un figlio per farlo tornare a galla.
“Cosa mi dovevi dire ?”, chiese poi Giada.
Michele ormai era entrato in un’altra dimensione e gli sembrò così meschino ciò che aveva pensato di proporle che si vergognò di se stesso. Rimase in silenzio per qualche secondo:
“Volevo chiederti una cosa”.
“Dimmi”, rispose lei.
“Mi vuoi sposare?”, aspettò con gli occhi chiusi che lei sussurrasse “Sì”…e anche Ricciolo abbaiò contento…

 
FINE