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domenica 26 febbraio 2017

UNA NOTTE MAGICA




La pioggia stava scendendo a dirotto, i tergicristalli con un ritmo frenetico schizzavano l’acqua dai vetri, la luce dei fari fendeva a malapena la cortina nebbiosa che oscurava la strada . Adriano stava tornando dall’Austria, dove era andato a un congresso di medicina, procedeva con prudenza sulla strada viscida dove, a ogni curva c’era pericolo di sbandare. Improvvisamente in mezzo alla carreggiata si materializzò un grosso tronco, caduto dagli alberi vicini, Adriano frenò di botto, la macchina sbandò e andò a sbattere contro il muretto che delimitava la strada. Rimase un secondo di più attaccato al volante per sincerarsi di non essere ferito, poi scese e allargò le braccia in un gesto di sconforto: la berlina aveva il davanti distrutto. Guardò giù dal muretto e gli vennero i brividi: sotto di lui si apriva un pauroso precipizio . “L’ho scampata bella”, pensò con terrore. Chiamò il carro attrezzi che poco dopo lo condusse in un piccolo borgo alpino con poche case. Stava venendo sera e, dopo aver lasciato la vettura nell’unica officina , chiese che gli indicassero un posto dove passare la notte.
«Provi alla “Locanda del Lupo”, gli consigliò il meccanico.
Adriano si avviò per la via indicata, le porte delle case erano sbarrate e con fatica scorse     
l’insegna della locanda. Entrò, i tavoli erano tutti occupati, gli occhi dei presenti si volsero verso di lui, una donna bionda e robusta si avvicinò.
«Avete una camera per questa notte?», chiese Adriano guardandosi intorno.
«Se vuole mangiare…ma per dormire non ho più posto», rispose lei allargando le braccia dispiaciuta..
Confortato dal calore che emanava da una grande stufa di ceramica, Adriano si sedette a un tavolo e ordinò il menù del giorno. La rubiconda ostessa arrivò con un piatto fumante e, dopo averlo posato sul tavolo, si fermò un attimo per vedere se era gradito. Il profumo del capriolo in salmì con la polenta stuzzicò le narici di Adriano che approvò con un gesto di soddisfazione l’ottima scelta.
Timidamente, con una voce sottile che contrastava con la sua corporatura la donna disse:
«Se vuole posso darle l’indirizzo di un albergo poco lontano da qui, è l’Hotel del Bosco, sicuramente hanno posto, è un vecchio castello ristrutturato e ci sono tante camere».
«La ringrazio, lei è molto gentile. Quando ho finito questo magnifico piatto ne parliamo», rispose Adriano accingendosi ad affrontare l’invitante cena.
«Se vuole telefono subito», propose la donna.
«Oh…sì, grazie», farfugliò lui con la bocca piena.
 «Signore, può andare…nell’albergo c’è posto.", disse lei con un largo sorriso, " la faccio accompagnare da mio figlio».
Più tardi il dottor Adriano Rinaldi, si presentò nell’Hotel del Bosco: un vecchio maniero che manteneva la sua aria severa anche se le luci al neon dell’insegna cercavano di dargli un aspetto più moderno. Nella hall arredata con poltrone in velluto rosso, faceva spicco un enorme tappeto persiano, l’uomo della reception gli diede le chiavi della camera:
«Non ha bagagli, signore?», chiese
Adriano con poche parole spiegò la sua presenza in quell’albergo:
«Rimango solo stanotte, domani cercherò di raggiungere una stazione ferroviaria. Ho avuto un incidente e ho la macchina in riparazione», disse conciso.
Stava avviandosi all’ascensore quando fu avvicinato da una giovane donna bruna:
«Ho sentito che è in difficoltà», disse la sconosciuta puntandogli addosso gli occhi neri nei quali brillava una strana luce.
Adriano notò che era una bella donna , con il viso dai lineamenti forti che le davano un aspetto interessante, l’abito nero le fasciava il corpo snello e ben  fatto.
«Ho quasi distrutto la mia macchina, ho trovato un ostacolo sulla strada, ho frenato e ho sbandato contro un muretto», rispose lui osservandola con interesse.
La sconosciuta gli allungò una mano lunga e sottile:
«Sono la contessa Brandi, anch’io mi fermo solo per stanotte, domani mattina ritorno in città, se vuole posso darle un passaggio…odio viaggiare da sola», disse con un sorriso accattivante.
 Adriano rimase un attimo perplesso, l’invito arrivava a proposito e non seppe rifiutare, tanto più che lei lo stava guardando in un certo modo.
«E’ stata un’insperata fortuna  conoscerla…posso offrirle qualcosa?».
«Con piacere, andare in  camera mi rattrista, se vuole facciamo quattro chiacchiere».
Adriano non se lo fece ripetere due volte, non avrebbe mai pensato di concludere la serata in compagnia di una bella donna!
 Il cameriere servì il whisky e appoggiò i bicchieri sul tavolino di cristallo, la bevanda forte contribuì a dare a entrambi l’euforia necessaria per cominciare una piacevole conversazione che durò a lungo. Non si accorsero che era passata mezzanotte quando lei disse:
«Si è fatto tardi, andiamo?», nel suo sguardo c’era un palese invito che Adriano colse, del resto era scapolo e libero, un’avventura poteva permettersela, quella donna lo intrigava, gli piaceva non solo per l’aspetto ma per il suo modo di fare  singolare, era diversa da tutte le donne che aveva conosciuto.
Salirono lo scalone che portava alle camere, guardando fuori, con sorpresa videro che la neve stava scendendo copiosa.
«E’ bellissimo», sussurrò lei ,« è una notte magica…», nel suo sguardo perduto nel buio c’era un’ombra di tristezza.
Adriano si fermò a osservarla:
«Qualcosa non va?», chiese.
«Non ci faccia caso, è solo un momento di debolezza», rispose la contessa.
Le loro camere erano vicine: «Non ho sonno», disse la donna.
Adriano si fece coraggio : «Possiamo continuare a parlare in camera mia», azzardò.
Lei lo guardò: «Perché no… ma preferirei stare da me, se ti fa piacere, naturalmente», era passata al tu senza tanti preamboli e lui non aspettava che questo.
Entrarono nella stanza arredata con mobili antichi, una grande pacco avvolto in una carta dorata e legato con un fiocco rosso era posato sul letto. La contessa lo prese con delicatezza e lo posò su una sedia. «E’ un regalo che mi sono fatta…», disse. Poi si volse verso Adriano: « sei sposato, hai bambini?», chiese fissandolo.
«No…sono single convinto», rispose lui.
«Meglio così», sussurrò la donna facendogli una lieve carezza sui capelli. 
«Non mi hai detto ancora il tuo nome», disse lui abbracciandola.
«Mi chiamo Azzurra…come un cielo sereno che non mi assomiglia...e adesso stringimi…», bisbigliò buttandogli le braccia al collo.
Da quel momento il tempo non ebbe più dimensione, le ore sembravano minuti, l’alba li colse abbracciati nel grande letto con baldacchino. Si addormentarono e quando si svegliarono c’era il sole.
«Meno male che non nevica più», disse Azzurra guardando dalla finestra che Adriano aveva spalancato. «dobbiamo partire», sussurrò con la voce impastata di sonno, aveva il viso un po’ gonfio e gli occhi avevano perso la brillantezza della sera prima.
«Forza… alzati, devi farmi da autista», scherzò lui, «te la senti?».
«Sono in gran forma…ho sempre sognato una notte così prima di…», si interruppe bruscamente.
«Prima di che cosa?», domandò lui sorpreso.
«Niente, sono cose che non puoi capire», rispose lei a bassa voce.
L’enigmatica risposta stupì Adriano che voleva sapere di più, ma fu interrotto dal suono del telefono, l’uomo della reception chiedeva alla contessa se doveva mettere le catene alla sua vettura.
Poco dopo Adriano e Azzurra scesero tenendosi per mano, e si presentarono al bureau per pagare il conto sotto gli occhi attoniti del segretario.
La lussuosa berlina nera era pronta davanti alla porta dell’hotel, misero le valigie nel bagagliaio e la donna appoggiò con cura il grande pacco con la carta dorata, sul sedile posteriore.
La contessa si mise al volante e partirono. Da quando erano entrati nell’abitacolo, Azzurra era ammutolita, tanto che Adriano era a disagio, cercava argomenti banali per far passare il tempo, ma otteneva soltanto risposte a monosillabi. Lei era diversa dalla donna frizzante e disinvolta della sera prima, ora gli sembrava un’altra, anche l’espressione del viso si era indurita, più cupa, una riga le attraversava la fronte aggrottata. “Forse la strada la preoccupa, con questa neve c’è poco da scherzare”, pensò. Arrivarono giù, nella valle dove la strada era sgombra, Azzurra riprese velocità ma non cambiò atteggiamento:
«Ho fatto qualcosa che non va?», chiese infine lui, stanco di sopportare quel silenzio che lo innervosiva.
Passò ancora qualche secondo e poi Azzurra si decise a rispondere:
«Tu non mi hai fatto niente…anzi, mi hai dato tanto, ti chiedo solo di sopportarmi, ne avrò ancora per poco…poi passerà», distolse per un attimo gli occhi dalla strada e lo guardò, «somigli molto a qualcuno che dovrebbe essere al tuo posto», concluse amaramente.
Diede un rapido sguardo all’orologio, continuò a guidare fino ad arrivare al casello dell’autostrada.
La vettura nera s’infilò nella corsia di sorpasso e si sparò come un proiettile in mezzo al traffico. Adriano si aggrappò al sedile, e lanciò uno sguardo al tachimetro che segnava duecento.
«Vai più piano, vorrei arrivare a casa tutto intero», quasi gridò.
«Non ti preoccupare…questa è la mia velocità abituale», rispose lei tranquilla.
Adriano era teso, il rumore ritmico che sentiva nell’abitacolo da quando erano partiti aumentava il suo disagio:
«Senti anche tu questo ticchettio?», chiese infine .
Azzurra rispose senza staccare gli occhi dalla strada:
"Si, ma non credo che sia niente di importante....rilassati ti vedo troppo nervoso."
 Adriano non si si accontentò della risposta: pensava a un guasto della macchina, a quella velocità se si fosse rotto qualcosa, sarebbe stato pericoloso.
«Fermati al primo autogrill, voglio dare un’occhiata al motore».
«Non abbiamo tempo, ho i minuti contati», rispose seccata la donna.
«Guarda l’insegna, fra un chilometro ce n’è uno, ti prego, facciamo una sosta, è più prudente».
Azzurra si fermò di malavoglia, Adriano scese a controllare il motore e la carrozzeria, ma non trovò niente che potesse far pensare a un guasto.
«Andiamo a prendere un caffè?», propose, voleva alleggerire la tensione che si era creata tra loro.
Lei lo guardò freddamente: «Va bene, ma poi ce ne andiamo subito», sibilò.
Il bar era affollatissimo, Adriano si mise in coda alla cassa, fra i banchi, in esposizione, c’era un orsetto molto carino con un buffo berretto rosso e gli venne voglia di prenderlo, ma non ne ebbe il tempo, il suo turno era già arrivato.
Al banco sorseggiarono la bevanda calda in silenzio, poi Azzurra si avviò all’uscita.
 Lui la seguì, ma appena fuori fu preso dall’irresistibile desiderio di acquistare quel peluche, voleva darlo a Federico, il nipotino che adorava e al quale aveva promesso un regalo.
«Scusa, vengo subito», e tornò sui suoi passi.
Azzurra si voltò inviperita. «Sbrigati, ti aspetto in macchina», urlò, negli occhi aveva un’espressione di follia.
Adriano stava uscendo dall’autogrill con il pacchetto in mano, quando un enorme boato scosse l’aria: pezzi di lamiera stavano volando dappertutto, la vettura di Azzurra era esplosa disintegrandosi e…dentro quella macchina c’era lei!
Impietrito lui restò sul piazzale stringendo fra le mani il giocattolo che gli aveva salvato la vita.

Gli dissero poi che la contessa Brandi, disperata per un amore sbagliato, si era suicidata portando nella vettura una bomba a orologeria: quel regalo avvolto in carta dorata, con il nastro rosso, che aveva posato delicatamente sul sedile posteriore.

Adriano si chiese perché quella bella donna avesse scelto lui come suo partner in quel viaggio verso la morte… forse, come aveva detto lei, assomigliava a qualcuno che l’aveva fatta soffrire.

FINE






     

sabato 18 febbraio 2017

UN VIAGGIO FUORI DAL MONDO

 

La zingara che lo seguiva da qualche minuto gli si avvicinò, Tommaso si fermò sorpreso e la guardò: era una ragazza molto bella con gli occhi neri e profondi, vestita con una lunga gonna variopinta e un corpetto viola. “Lascia che ti legga la mano”, gli disse invitante. Preso alla sprovvista lui non ebbe il tempo di replicare. La donna prese la sua mano sinistra e sul suo viso passò un’ombra: “Devi fare un lungo viaggio”, sussurrò con la testa china. Tommaso non si scompose: “Sono abituato, è il mio lavoro…ormai ho girato tutto il mondo, mi manca solo di andare sulla luna…”, rispose scherzosamente. La zingara alzò lo sguardo su di lui: “Questo sarà un viaggio diverso….molto diverso”, s’interruppe come chi cerca le parole per continuare, “scoprirai cose che non sai e che ti faranno soffrire…”, concluse a bassa voce.. Tommaso ritrasse la mano con un gesto brusco, non credeva nelle profezie delle zingare, ma un brivido gli percorse la schiena. La donna lo fissò con gli occhi lucidi che racchiudevano verità che non poteva rivelare, Tommaso se ne accorse e non volle sapere; prese dalla tasca dieci euro e li diede alla gitana: “Tieni, adesso lasciami in pace!”, si voltò e quasi correndo si allontanò da lei.
Una strana sensazione di angoscia si era impadronita di lui, arrivò nello studio e con sollievo trovò le cose che gli erano famigliari: il suo mondo rassicurante dove esisteva solo la concreta realtà dei calcoli e dei progetti di un ingegnere. Isabella, la sua segretaria era, come sempre, davanti al computer e lo accolse con un allegro “Buongiorno e bentornato!” che gli fece svanire immediatamente il malessere di poco prima. La ragazza alzò il viso dalla tastiera e Tommaso si accorse, forse per la prima volta, che aveva gli occhi blu, dolci e limpidi e una faccia  pulita, acqua e sapone.
“Novità?”, chiese come tutte le mattine.
“Dovrebbe andare domani per un collaudo a Trieste”, rispose lei.
 Tommaso si passò una mano sulla fronte:
“Va bene, prepari il dossier, partirò stanotte, altrimenti non ce la faccio ad arrivare in tempo”, disse con un sospiro. Era appena tornato da un lungo viaggio e non se la sentiva di ripartire, ma  non poteva tirarsi indietro.
Giuseppe, entrò nell’ufficio: “Lieto di rivederti”, esclamò dandogli una pacca sulla spalla “allora, hai firmato il contratto con i giapponesi?”
“Certo…”, rispose subito Tommaso “cosa credi di avere a che fare con un principiante? Se i capi ci riconoscono una percentuale questo affare sarà una miniera d’oro!”, il suo entusiasmo contagiò l’amico.
“Ottimo…allora dobbiamo festeggiare, questa sera ti invito a cena con  Laura… ti va di andare  nel ristorante nuovo qua vicino a mangiare il pesce?”, propose Giuseppe.
“Sarebbe bello, ma non posso…devo ripartire per Trieste, sai quel collaudo è molto importante per il buon nome del nostro studio, quella macchina deve funzionare alla perfezione.”
Una lieve contrazione del viso di Giuseppe anticipò la risposta:
“Ci vado io…se vuoi”.
“Ti ringrazio, ma…vogliono me,  era nel contratto.  Ne farei volentieri a meno, credimi”, rispose Tommaso stringendosi nelle spalle.  
L’amico lo guardò di sottecchi, e brontolò: “Fa come ti pare…”
+++
 La pioggia batteva sul parabrezza creando strani disegni in movimento, i tergicristalli si muovevano a ritmo frenetico, la strada lucida rifletteva la luce dei fari delle auto che venivano dalla corsia opposta dilatando e sfocando le immagini confuse dalla cortina dell’acqua che scendeva a dirotto e che riduceva la visibilità a qualche metro. Anche il terreno era viscido per la pioggia,  ma Tommaso guidava sereno ascoltando un brano di musica ritmo- sinfonica, ogni tanto ripensava alla giornata trascorsa e rivedeva sua moglie Laura che lo salutava di fretta, mentre stava uscendo: “Ciao, ciao…ci vediamo domani sera, mi raccomando torna presto, abbiamo la cena dai Degiorgi!” Gli aveva dato un piccolo bacio sulla guancia ed era salita a bordo della sua utilitaria rossa scomparendo poco dopo dietro una curva. “Mah!”, pensava Tommaso, “lei è fatta così …ormai sono cinque anni che siamo sposati e non posso pretendere che sia tutto come il primo giorno, e poi… la lascio molto sola ,”sorrise fra sé, “prometto che d’ora in poi manderò Beppe al posto mio”.
 Fra i tanti flash di quel pomeriggio aveva rivisto anche il viso preoccupato di Isabella,  i suoi occhi chiari si erano fatti più cupi mentre diceva: “Non vada stasera, ingegnere, il tempo è pessimo! Potrebbe partire presto domani mattina… sarebbe più prudente!”,  risentiva la sua voce che lo inseguiva in corridoio mentre stava chiudendo la porta dello studio.
Improvvisamente comparvero nella foschia quattro punti luminosi, come occhi infuocati di belve in agguato, il piede andò al freno, disperatamente schiacciò sperando di evitare l’urto, ma la vettura impazzita continuò la sua corsa….
+++
Tommaso era lontano, molto lontano…in un’altra dimensione, alla fine di un lungo tunnel c’era una luce  bianca, in quell’alone vedeva se stesso disteso su un lettino d’ospedale mentre tutta la sua vita gli scorreva davanti come in un film: da quando era bambino fino al matrimonio con Laura e allo schianto in autostrada. Sentiva anche tutto ciò che accadeva in quella stanza, in quel momento sua moglie e Giuseppe erano accanto al suo corpo immobile.
“Povero Tommy”, stava dicendo Laura “non se lo meritava…in fin dei conti era un buon marito”.
“Gran lavoratore”, la voce era di Beppe “ forse un po’ troppo assente…” .
 Il braccio dell’amico circondava le spalle di Laura.
“Ma al suo posto c’eri tu!”, rispondeva lei . 
Tommaso ascoltava senza poter intervenire, tutto ciò che vedeva era distante, irraggiungibile …
sentiva la sua anima in preda a qualcosa che assomigliava al dolore, ma era soltanto stupore per quella verità che non si aspettava di conoscere. Si accorse anche di poter leggere i pensieri e quello che captò dalla mente di Giuseppe gli svelò dei lati così perfidi della vita che avrebbe preferito non sapere. L’amico stava già facendo i programmi per soffiargli l’affare con i giapponesi e presentarlo come una sua iniziativa…. “metterò in banca un bel po’ di quattrini…in assenza di Tommaso il guadagno sarà tutto mio…finalmente potrò farmi il fuoristrada…”
Che delusione! E pensare che si era sempre fidato ciecamente di lui, l’aveva sempre considerato un onesto invece era un bel mascalzone…. non si accontentava di avergli rubato la moglie!
Purtroppo anche il cervello di Laura sembrava una calcolatrice: conti su conti per cercare di capire di quanto avrebbe potuto disporre: “domani devo andare subito in banca per vedere la situazione…naturalmente rimane tutto a me …anche l’appartamento in montagna…non si azzardino a portarmelo via…”
Un dottore era entrato nella camera, aveva osservato il suo corpo e se ne era andato senza dire una parola. Nella mente del medico c’erano pensieri di speranza…forse non era ancora morto…forse dipendeva da lui se tornare o no, ma dopo quello che aveva visto preferiva starsene nel limbo dei sentimenti dove non soffriva, sentiva che questa volta non sarebbe più tornato dal viaggio; gli avevano distrutto tutto quello per cui valeva la pena di vivere: l’amore, l’amicizia, il lavoro. Il tempo stava sfuggendo e non gliene rimaneva ancora molto…quella figura immobile sul lettino stava allontanandosi sempre di più, la stanza stava perdendo i contorni e tutto si sfumava…le voci erano sempre più deboli.
Improvvisamente quella porta si era aperta di nuovo: una testa di capelli ricci, bruni, e un visino addolorato si era affacciato dallo spiraglio..
“Posso entrare?”, la voce era esile e sommessa.
Isabella andava verso il letto, guardava il suo viso immobile e piangeva, le lacrime cadevano silenziose dagli occhi blu senza ritegno, non si curava nemmeno di asciugarle. “Perché…perché è successo questo?…ti volevo bene e non ho mai potuto dirtelo, aspettavo solo di vederti e quando tornavi dai tuoi viaggi uello che pensava        qqq  qqqq
q per me era una giornata di sole anche se pioveva…Tommaso la mia vita non sarà più quella di prima senza di te, mi accontentavo di stare nell’ombra, mi bastava sapere che c’eri..…”.
 Lei non lo sapeva ma lui stava ascoltando i suoi pensieri, c’era qualcuno che lo amava così tanto e lui non se n’era mai accorto, si era sempre accontentato di quello che gli dava Laura: un amore tiepido senza slanci, ora sapeva che anche quel poco era un inganno.
Isabella se ne stava in disparte in silenzio, Laura stava parlandole:
“E’ una grande disgrazia… non so se riuscirò a superare questo dolore…”, ma i suoi occhi erano freddi e asciutti.
 La ragazza aveva girato il viso verso di lei, l’aveva fissata senza rispondere, ma Tommaso sapeva quello che pensava: “è inutile fare la commedia, tanto so che lo tradivi…se ne erano accorti tutti, meno lui … se potessi parlargli ancora una volta gli direi che la vita può ancora essere bella …gli starei vicina per dargli la felicità che non aveva mai avuto”.
 Laura si era allontanata: “Devo andare, si è fatto tardi”, aveva detto ed era uscita dalla camera con Giuseppe.
 Isabella, rimasta sola si era avvicinata al letto e aveva allungato una mano per fare una carezza sul viso immobile: “Non mi lasciare…”, aveva sussurrato. La disperazione che Tommaso leggeva nel cuore di quella ragazza poteva essere l’ancora di salvezza per tornare alla vita…ma doveva mettercela tutta per riappropriarsi del suo corpo.
+++
La prima cosa che gli fece capire di essere ancora vivo fu il dolore che provò quando cercò di muovere le gambe, con uno sforzo immenso aprì le palpebre e si trovò davanti il viso di Laura, le richiuse subito: non era quello che voleva vedere: “Vattene…”, disse con un filo di voce. Lei, stupita si voltò verso Beppe :
“Guarda…ha aperto gli occhi…è vivo!…ha detto qualcosa, ma non ho capito bene…”
“Certo che è un vero miracolo…sì, ho sentito anch’io, ha pronunciato una parola…forse è ancora confuso”, rispose lui. Laura suonò il campanello per chiamare l’infermiere, che poco dopo arrivò: “Signora”, disse, avvicinandosi al paziente, “suo marito ce l’ha fatta…è uscito dal coma”.
Tommaso riaprì gli occhi e con un cenno chiamò l’uomo presso il letto, sussurrò qualche parola. L’infermiere si volse alla donna che guardava attonita la scena: “Mi ha detto che…”, fece una pausa, “…che non vuole vederla, la prega di allontanarsi”, concluse imbarazzato.
Laura guardò Giuseppe: “Cosa vuol dire?”
“Forse vuol essere lasciato tranquillo”, rispose lui, “cerchiamo di non stancarlo, andiamo fuori, torneremo più tardi”
. Ma quando tornarono per loro la porta rimase chiusa.
Da quel momento Tommaso non volle più incontrare Laura, le fece sapere che era tutto finito e che avrebbe chiesto il divorzio non appena si fosse ristabilito. Sua moglie non riuscì mai a capire come avesse fatto a scoprire la sua tresca con Giuseppe.
Per Tommaso la vita riprendeva lentamente, solo le visite di Isabella riuscivano a ridargli il sorriso che aveva perduto. Lei arrivava tutti i giorni e rimaneva a fargli compagnia per lunghe ore dopo l’orario di lavoro, cercava di tirarlo su di morale raccontandogli un sacco di cose, cercava di alleggerire con le sue chiacchiere l’atmosfera pesante di quella stanza d’ospedale, ma ogni volta che lo guardava, nel suo sguardo c’era un messaggio per lui, qualcosa che non riusciva a dire, trattenuta dalla timidezza e dalla paura di ottenere un rifiuto.  Una sera, d’improvviso lui le prese la mano:                                          
“Cosa mi devi dire?”, le chiese incoraggiante.
“Nulla”, rispose lei voltando il viso.
“Io ho letto i tuoi pensieri quando credevi di non rivedermi mai più.”, disse Tommaso alzandosi seduto sul letto, “non sfuggire…so tutto ”, Isabella abbassò gli occhi turbata ed arrossì.
“Hai capito?”, disse a bassa voce, “è tanto tempo che volevo dirtelo, ma allora per me non c’era posto, adesso non so…”
“Zitta…non continuare”, la interruppe lui, “ti devo la vita, lo sai? …stavo facendo un lungo viaggio e proprio quando stavo oltrepassando il punto di non ritorno sei comparsa tu, sono tornato solo per te!”,  nella voce di Tommaso c’era tanta tenerezza…Isabella lo guardò senza capire, quelle parole misteriose non avevano senso…  ma le bastava sapere che lui era lì, vicino a lei, forse per sempre.                         

FINE






domenica 12 febbraio 2017

L'AMORE E' PASSIONE




Rita si guardò allo specchio con occhio critico e convenne che il tempo era stato clemente con lei: a quarantacinque anni era ancora una bella donna. Il corpo si era conservato sodo e con le curve al posto giusto, i capelli corvini folti e ricci non avevano ancora nessun filo d’argento, anche lo sguardo degli occhi scuri e vellutati era rimasto quello di una volta…soltanto alcune rughe ai lati della bocca e sulla fronte rivelavano che era trascorsa qualche primavera.
Era sposata con Matteo da dieci anni, il matrimonio funzionava soltanto perché lei sopportava le frequenti scappatelle del marito. Nel piccolo paese sul mare dove abitava, le donne erano abituate a non lamentarsi e a chiudere gli occhi per non vedere: così faceva lei, ma non era felice, era soltanto rassegnata. La sua vita era piatta e incolore anche perché non aveva avuto figli. Matteo faceva il rappresentante di biancheria intima femminile e stava fuori casa tutta la settimana, perciò lei era spesso sola e, quando lui rientrava era stanco morto. Il sabato e la domenica li passava per la maggior parte a dormire e a guardare la televisione. Se uscivano era solo per andare sulla passeggiata a mare vestiti con gli abiti della festa oppure a farsi vedere al bar Medusa per fare quattro chiacchiere con gli amici. Le giornate erano lunghe e noiose in quel posto dove non succedeva mai niente; il tempo sembrava non passasse mai…così, aveva accettato di aiutare una zia nel suo negozio di parrucchiere. Meglio lavare teste e mettere bigodini che intristirsi nella casa vuota.
Quella mattina era in ritardo, si truccò in fretta e si accinse a uscire. Aveva appena varcato la soglia che il telefono squillò, tornò indietro e sollevò il ricevitore, una voce maschile sconosciuta chiese:
“Signorina, sono il tecnico per riparare il computer… c’è il dottor Bellotti?”.
Rita rimase un attimo interdetta:
“Probabilmente lei ha sbagliato numero…questa è una casa privata…”, rispose titubante.
L’altro si scusò e interruppe la comunicazione. Dopo qualche secondo, quando lei stava chiudendo l’uscio, il telefono si fece sentire di nuovo. Rita corse all’apparecchio: la stessa voce di qualche attimo prima le rifece la stessa domanda.
“Insomma, le ho già detto che ha sbagliato…il mio numero é…”, e sciorinò nervosamente uno dopo l’altro le cifre.
“Probabilmente c’è un contatto, mi perdoni…però”, dopo una piccola pausa riprese, “lei ha una bella voce…io mi chiamo Fabio e lei?”.
La donna rispose seccata: “Lasci perdere…”, e troncò la conversazione. “Ce ne sono di tipi strani al mondo…”, borbottò quando finalmente riuscì a chiudere la porta di casa.
Quella sera Rita trascorse la serata davanti alla TV , con l’uncinetto tra le dita per terminare l’ennesimo centrino, come faceva sempre durante i giorni di solitudine. Ma non sapeva che, se fino  allora la sua vita era stata senza slanci, da quel giorno si sarebbe movimentata alla grande.
La sorpresa del mattino dopo la lasciò di stucco:  un fattorino le portò un grande fascio di rose rosse accompagnate da un lungo biglietto: “Questi fiori la sorprenderanno, ma è stato un impulso al quale non ho saputo sottrarmi. Si chiederà come ho scoperto il suo indirizzo: è stato facile, dal suo numero di telefono. Non so niente di lei, ma il timbro della sua voce mi ha colpito, perciò mi piacerebbe tanto conoscerla…so di essere sfacciato, ma è quello che mi sento di fare in questo momento. Forse le chiedo l’impossibile ma, se non fosse così, si affacci alla finestra, io sono in strada, accanto ad una vettura rossa…non può sbagliare. Fabio”
Rita finì di leggere l’incredibile biglietto e rimase senza fiato. Sembrava l’episodio di una soap opera!. Si avvicinò cautamente ai vetri e scostò le tende:  in effetti al di là della strada c’era un uomo davanti a una macchina rossa che stava osservando attentamente le finestre del palazzo. Era alto, ben vestito, non giovanissimo…
“Se andassi a raccontarlo non ci crederebbe nessuno”, si disse emozionata. Cominciò a girare per la casa nervosa, era quasi attratta da quella situazione assurda, però aveva paura di mettersi nei guai: chi era quell’uomo? Per essersi comportato in quel modo doveva essere un tipo stravagante. Decise di non farsi vedere e, quando uscì di casa sentendo gli occhi dello sconosciuto che la seguivano curiosi, affrettò il passo e scomparve in breve dietro l’angolo.
Non riuscì a lavorare bene quel giorno.
 “Cos’hai oggi Rita, stai annaffiando la signora Rossi…”, la rimproverò la zia mentre tamponava il collo bagnato della malcapitata con un asciugamano asciutto.
Tornò a casa agitata, guardava l’apparecchio telefonico temendo che quel tale telefonasse, si sentiva presa di mira e aveva paura: cosa voleva da lei?. Fece un balzo sulla poltrona quando il silenzio della casa fu interrotto da uno squillo:
“Perché non hai voluto incontrarmi?”, chiese la voce misteriosa, “ho sperato che tu scendessi…ma non l’hai fatto”.
Rita tremava per la collera:
 “Mi lasci in pace”, gridò, “lei è pazzo”,
L’altro rimase zitto, poi ricominciò:
“Va bene… ma ti prego non riattaccare…dimmi almeno come ti chiami” disse.
“Rita “, rispose meccanicamente lei senza aggiungere altro.
“E’ un bellissimo nome…parla un po’ con me, Rita,  stasera sono giù di morale…mi sento abbandonato dal mondo”, quasi implorò lui.
La donna non ebbe il coraggio di riattaccare e rimase ad ascoltarlo, il misterioso interlocutore iniziò a parlare di tante cose, le disse della sua vita di uomo solo, senza affetti dopo che la moglie l’aveva lasciato, volle sapere di lei…se era sposata e…se era felice. Chiacchierarono, il tempo passava ma non se ne accorsero tanto erano coinvolti in quella singolare conversazione fra due persone che non si erano mai viste.
“Allora buonanotte Rita”, disse infine lui, “ti chiamerò ancora domani…non so perché, ma ho bisogno di sentire la tua voce così calda e sensuale, vorrei conoscerti ma se non vuoi non importa, aspetterò….mi dirai tu quando”.
Rita posò il ricevitore turbata: si stava rendendo conto che nessuno le aveva mai parlato così e nessuno era stato ad ascoltarla con pazienza , con lui era riuscita ad aprirsi e a raccontare le sue emozioni. Quello sconosciuto aveva trovato la porta per entrare nella sua anima. Quando poco dopo il marito telefonò lo sentì lontano, non solo fisicamente e non andò oltre alle solite parole che si scambiavano ogni sera: “Come stai…cosa hai fatto oggi…”. Erano anni che il loro amore si era spento, ma il matrimonio continuava per abitudine e per rassegnazione da parte di lei.
Ogni sera Fabio telefonava sempre alla stessa ora, Rita aspettava quel momento con trepidazione; la loro intesa era perfetta, stavano ore a parlare e Rita era divisa fra il desiderio di conoscerlo e la sua onestà interiore che le impediva di lasciarsi andare a nuovi sentimenti.
Però una sera, quando Fabio le disse: “Ti voglio vedere…vieni adesso…non posso più aspettare”, lei non riuscì a dire di no: era arrivato il momento che anche lei desiderava da quando era cominciata la loro storia  strana.
L’appuntamento  era sul lungomare, la serata era calda e l’aria tiepida, Rita incontrò Fabio come se fosse il principe di una favola: lui le prese le mani e le scrutò il viso:
“Sei come ti pensavo….con quegli occhi, quella bocca…non mi sono sbagliato, sei bella dentro e fuori…”, mormorò turbato senza staccarle lo sguardo di dosso.
“Tu non potevi essere diverso…ti immaginavo così”, rispose lei con un filo di voce. In quel momento si accese fra loro la scintilla magica dell’amore, si guardarono negli occhi e capirono che erano fatti l’uno per l’altra.
Passeggiarono vicini incuranti delle persone che, incontrandoli, bisbigliavano alle loro spalle, quando si lasciarono le loro bocche si baciarono nel buio di un angolino discreto.
Da quel giorno si videro spesso, si incontravano in un paese vicino, lontani da sguardi pettegoli e la passione li travolse una notte, sulla sabbia ancora calda dai raggi del sole, complici la luna, le stelle e lo sciabordìo delle onde del mare.
 I loro corpi si unirono e si intesero, come si erano intese le loro anime. Provarono momenti di intensa emozione liberando il desiderio che li aveva attratti dal momento in cui si erano conosciuti.
Rita tornò a casa quella notte felice di aver vissuto finalmente un amore completo, quello che aveva provato con Fabio era ciò che aveva sempre sognato. Si rese conto che fino ad allora aveva sacrificato la sua vita passando sopra ai tradimenti di Matteo per non creare scandali in quel paese bigotto; era stata obbligata a convincersi che una buona moglie doveva accettare il marito con tutti i suoi difetti…Non aveva mai conosciuto l’ardore dei sensi alimentato dalla passione
Da quel momento magico, nel quale i due amanti si erano dati uno all’altra senza falsi pudori, si incontrarono ancora in un paese vicino, lontani dagli sguardi pettegoli: la camera di una pensioncina nascosta nella pineta ospitò il loro amore appassionato:.
 “Vieni con me, non possiamo più nasconderci, tu mi ami, e io non posso più fare a meno di te”, sussurrava Fabio fra i capelli profumati di Rita, dopo aver fatto l’amore. Ogni volta che lei ritornava a casa era sempre più combattuta, era decisa a vivere la sua felicità ma non aveva il coraggio di affrontare il marito, i parenti, tutti quelli che la conoscevano…si faceva tanti scrupoli e si sentiva in colpa. Però non poteva rinunciare a Fabio, la sua passione per lui era così forte che tremava quando gli era vicina e il suo cuore aveva già fatto la scelta, le mancava soltanto la forza per andare fino in fondo. L’occasione arrivò insperata quando Matteo tornò dai suoi viaggi con una sorpresa:
“Ti presento Nadia”, le disse accennando a una giovane donna rossa vistosamente truccata, “dovresti essere così gentile da preparare un letto in più perché rimane da noi a dormire”. Rita rimase senza parole:
“Come mai deve restare qui?”; chiese poi guardando l’altra interrogativamente.
“Deve andare dai suoi in Toscana….e io l’accompagno…niente di più”, le rispose il marito voltandole le spalle e uscendo dalla stanza.
Rita non ci vide più: gli andò dietro e l’affrontò:
“ Hai passato il limite…cos’è questa novità? Adesso devo anche ospitare le tue amanti?  Se pensi che accetti ancora i tuoi tradimenti, questa volta hai capito male…io me ne vado”, esclamò piena di rabbia. Matteo, sorpreso della reazione della moglie cercò di calmarla:
“Non fare così tesoro…quella donna non è niente per me, l’accompagno solo a casa dato che lunedì dovrò lavorare da quelle parti”, le prese il viso fra le mani e tentò di baciarla. Lei si ritrasse disgustata:
“Ascoltami bene, ti assicuro che non scherzavo…rimani tu in casa con lei. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo, ma ho trovato qualcuno che mi ama veramente…e che io amo da morire…”, disse tutto d’un fiato Rita irrigidendosi.
Matteo la guardò e sorrise sarcastico:
 “Ho capito…sei molto arrabbiata, non credo a quello che mi hai detto…non è da te”.
“Lo so…anch’io non ci credevo, ma è successo e non posso farci nulla. Non mi trattenere,  qui non ci resto più, ho sofferto troppo in questi lunghi anni”.
Dall’amarezza con cui la moglie aveva pronunciato queste parole, Matteo capì che stava dicendo la verità: la fissò stringendo i pugni: “Sei una sgualdrina!”, sibilò.
“Va bene…accetto anche questo, non m’ importa più di niente, né di te, né di questo paese ipocrita…ti lascio per sempre”, l’affrontò Rita senza paura, “se ti fa piacere puoi anche picchiarmi…sono qui”, lo sfidò con occhi ardenti.
Matteo le andò vicino sconvolto dall’ira, ma in quel momento entrò la sua rossa:
“Cosa succede? C’è qualcosa che non va?”, chiese guardandoli.
“Ti lascio il posto, Nadia…ti regalo mio marito, spero che tu non te ne debba pentire”, esclamò Rita uscendo e sbattendo la porta.
Afferrò la borsa e corse fuori, così, senza prendere niente di suo, chiudeva con il passato e voleva ricominciare la vita da quel momento. Quando incontrò Fabio l’abbracciò con passione: “Stringimi forte, voglio stare con te, per sempre”.
Le braccia di lui l’accolsero come un porto sicuro:
 “Sarai la mia donna e non ci lasceremo più”, le sussurrò commosso. Dagli occhi di Rita scese una lacrima di felicità.
                                                                                                                                        FINE



   
    
  


domenica 5 febbraio 2017

L'ULTIMA ORA



 
  
Alle nove di mattina Marcello stava alzando la saracinesca del suo negozio di orefice. Nonostante una fitta alla schiena riuscì a sollevare la pesante serranda; quel giorno non era un giorno come gli altri: lo aspettavano i festeggiamenti per le nozze d’argento. Venticinque anni trascorsi con la sua Laura che amava ancora come il primo giorno di nozze. Aveva aperto l’esercizio solo per prendere l’anello con diamanti che aveva fatto fare esclusivamente per sua moglie: dopo la cerimonia in chiesa, con figli nipoti e parenti se ne sarebbero andati in un ristorantino fuori porta per il rinfresco. Era contento, lo commuoveva il pensiero di tutta la famiglia stretta attorno ai genitori in festa.
 Andò alla cassaforte per prendere  il gioiello, estrasse dal taschino l’orologio a cipolla di suo padre, dal quale non si separava mai, per vedere l’ora. Era un classico orologio con la cassa d’acciaio finemente intarsiata e le ore in numeri romani. Muovendo il perno per caricarlo scattava un congegno e si apriva, all’interno della cassa era inciso un nome: Pietro, quello di papà..
Marcello era molto affezionato a quel ricordo: quell’orologio si era fermato proprio nell’istante in cui suo padre moriva. Aveva amato molto suo padre e non poteva dimenticare quella notte in cui, straziato dal dolore, aveva preso dal comodino il vecchio cronometro e aveva notato che era fermo: aveva cessato di battere nel medesimo istante in cui il cuore di Pietro si fermava, l’aveva messo in tasca e non se ne era più separato. Considerava quell’oggetto più prezioso di tutti gli ori e i diamanti che aveva nell’oreficeria. Posò l’orologio sul banco e aprì la cassaforte. Mentre cercava l’anello il  campanello della porta suonò, dietro la porta a vetri c’era un uomo di mezz’età, ben vestito, che aspettava di entrare. Marcello gli fece un cenno per dirgli che il negozio era chiuso. L’altro lo invitò ad avvicinarsi. L’orefice si accostò e aprì uno spiraglio:
“Oggi non lavoro…torni domani per favore”, disse gentilmente.
“La prego…è solo questione di un momento: devo acquistare qualcosa per mia moglie…mi sono ricordato solo stamattina che oggi è il nostro anniversario di matrimonio”, supplicò l’uomo, “sa come sono fatte le donne…se mi presento senza un regalo, non me lo perdonerebbe mai”, concluse con un sorriso accattivante.
Marcello rimase interdetto: pensò alla strana coincidenza e decise che in fin dei conti poteva fare un favore a quel distinto signore in difficoltà.
“Va bene, entri…ma ho solo qualche minuto di tempo…sa anch’io festeggio, sono venticinque anni oggi che mi sono sposato”, disse aprendo la porta
 “Auguri!”, rispose l’altro.
“Ha già qualche idea ?”, chiese Marcello..
L’uomo lo guardò titubante:
“Sa…ma moglie è molto esigente in fatto di gioielli, vorrei…un anello con brillanti… oppure un collier…non so…mi faccia vedere qualcosa”, borbottò indeciso.
Marcello estrasse dalla cassaforte dei rotoli di velluto rosso e li svolse sul banco: il luccichio delle gemme sprigionò dai gioielli esposti in bell’ordine sul contenitore. L’uomo ne osservò qualcuno, prese un bracciale con smeraldi e brillanti e se lo rigirò fra le mani:
“Un' ottima scelta”, disse Marcello, “è un esemplare unico, fatto a mano…”.     
“E’ molto bello…ma pensavo a qualcosa di meno impegnativo, che si possa portare senza problemi”, disse l’altro.
L’orefice ritornò alla cassaforte voltando le spalle per qualche secondo, quando si girò l’uomo aveva una pistola in mano:
“Stai buono…è una rapina”, minacciò arraffando tutto quello che c’era sul banco.
 In quell’attimo squillò il telefono, Marcello guardò l’apparecchio e istintivamente fece un gesto… il colpo di pistola con il silenziatore lo fece stramazzare a terra, dietro il banco…Il rapinatore schiacciò il pulsante per aprire e corse fuori. Nessuno si accorse di niente, l’orefice rimase così, ferito a morte, finché il suo corpo non fu ritrovato da Laura che si chiedeva come mai il marito non tornasse ancora per aiutarla a sistemare le ultime cose, per esempio i fiori…ne erano arrivati talmente tanti!

Raoul Giuliani saltò in auto e si dileguò in un baleno, nella borsa aveva il malloppo: “E’ un bel colpo, nessuno mi ha visto e posso stare tranquillo”, pensava, “mi dispiace per quel tale, ma…non potevo fare altrimenti, magari era armato…”, si giustificò. Alzò le spalle e continuò a guidare. Era un uomo con il freddo dentro l’anima: senza cuore e con pochi sentimenti; cresciuto in un orfanotrofio, senza famiglia e ai margini della società, molto presto si era trovato a fare i conti con la giustizia. Era finito in galera per furti e scippi fin da giovane, scontate le pene aveva ricominciato : non sapeva fare altro, poi si era specializzato in rapine ; progettate e studiate con cura.
Fino ad allora gli era andata bene…anche se questa volta era finita male: gli era scappato il dito sul grilletto e aveva sparato…non avrebbe voluto ammazzarlo, in fondo era simpatico…ma le cose erano andate diversamente…peccato!.
A casa srotolò i velluti con le gioie: “Qui ci posso fare un bel gruzzolo…è tutta roba che costa…”, mormorò soddisfatto. In fondo alla borsa sentì qualcosa di duro: “E questo cos’è?”, si chiese rigirando l’orologio di papà Pietro fra le dita. “Non è male…è un po’ vecchio, ma adesso va di moda l’antiquariato, quasi me lo tengo”.
Se lo mise in tasca e sentì un brivido corrergli lungo le ossa. “Fa freddo qua dentro”, borbottò infilandosi un pullover.
Nei giorni che seguirono andò dal solito ricettatore e riuscì a mettere insieme una bella somma; quella che gli serviva per realizzare il suo sogno: andarsene via, all’estero…in Brasile, per esempio, a Rio per godersi il sole sulla spiaggia di Copacabana. In tasca aveva sempre l’orologio a cipolla: “Caro Pietro…adesso non ti serve più”, mormorò cinicamente quando scoprì il nome inciso all’interno.
Cominciò a fare i preparativi per andarsene ma, in quei giorni non si sentiva bene: aveva strani malesseri e il mal di testa lo tormentava, sentiva come un ticchettio continuo…tic  tac…tic tac.. “Sono esaurito…devo proprio cambiare aria”, si diceva. C’era anche un altro fatto strano: ogni volta che toccava il vecchio cronometro il brivido che aveva già sentito gli percorreva il corpo, come una scossa elettrica. Un giorno, innervosito lo gettò nel primo cestino dei rifiuti trovato per strada…”Mi porti rogna!”, esclamò e si allontanò più disteso.
Forse era solo un caso, ma da quel momento si sentì meglio. Con Daria, la sua donna, si era messo a fare progetti per l’avvenire: “Ce ne andiamo lontano…io e te, a Rio de Janeiro conosco qualcuno che ci potrà aiutare, un vecchio amico che ha aperto là un ristorante…anche noi potremo ricominciare una nuova vita, vedrai saremo felici”, le diceva nei momenti di tenerezza.
 Lei era innamorata di quell’uomo che le sembrava forte, deciso, e molto generoso… non le importava sapere da dove provenisse il denaro che spendeva senza problemi: anche la proposta di andare a vivere insieme dall’altra parte del mondo l’aveva accettata subito. Dovunque pur di stare con lui.
 Era ormai tutto pronto, i biglietti aerei, le valige… se ne stavano andando senza nessun rimpianto, nessun rimorso e senza voltarsi indietro: la nuova vita li aspettava..
L’aereo atterrò all’aeroporto di Rio de Janeiro, Raoul e Daria si fecero portare al Plaza Copacabana Hotel dove avevano già prenotato una camera. L’albergo lussuoso era una grande costruzione a pochi minuti dalla spiaggia, la camera arredata con i colori brasiliani, blu e giallo era straordinaria. Lui si buttò sul letto allargando le braccia: “Questa è la vita che preferisco…dai, facciamo una doccia e andiamo fuori a vedere il mare”.
Catapultati in quel paradiso passeggiavano fra la gente sul lungomare soddisfatti di essere arrivati fin lì come una coppia qualsiasi in viaggio di piacere, chi li incontrava non poteva immaginare di avere di fronte un assassino e la sua amante.
 Una donna li fermò: era vecchia e stracciata, nel viso pieno di rughe spiccavano gli occhi nerissimi, vivaci:
“Fatti leggere la mano”, lo supplicò con voce tremolante.
“Vattene via”, sbottò lui spintonandola.
Lei  gli afferrò una manica e Raoul si innervosì:
 “Vuoi dei soldi?”, disse allungandole qualche moneta, “adesso lasciami in pace”.
 Riprese a camminare trascinando con sé Daria rimasta  indietro a guardare.
“Fermati …non andrai lontano…sei scappato ma ti troverà anche qui…stai molto attento, la tua ora sta per arrivare…”, minacciò la sconosciuta con la voce rauca.
Raoul tornò indietro: “Cosa hai detto, vecchia? Chi mi troverà?”.
La donna puntò gli occhi sul viso sconvolto di lui, la sua bocca si stirò in una smorfia:
“Quello che hai ucciso”, sibilò cattiva, “ricordati…sta per scoccare per te l’ultima ora”, scappò via dileguandosi fra la folla. Lui non reagì, rimase impietrito a osservare la megera che si allontanava, sentì le gambe diventare molli, impallidì senza più avere la forza di reagire.
Daria si avvicinò: “Ti senti male?”, chiese preoccupata.
Raoul si scosse, “Non è niente…quella maledetta mi ha scombussolato. Sono tutte balle”, esclamò furioso.
“E’  strano , siamo in Brasile ma lei si è rivolta a noi nella nostra lingua…” , mormorò assorta lei.
“Basta…non ne voglio parlare più…smettila”, sbottò Raoul allungando il passo.
Ma quell’incontro inquietante l’aveva segnato, quella profezia gli ronzava nella testa, le parole della zingara gli pungevano dentro come una spada. Nei giorni seguenti cercò di cacciare dal cervello quel tarlo che lo rodeva, cercava di  stordirsi frequentando discoteche, ristoranti, andando a visitare la grande metropoli di Rio. Salì con la teleferica sulla grande montagna il Pan di Zucchero da dove si ammirava uno dei più bei panorami del mondo…andò perfino sul Corcovado dove il grande Cristo con le braccia aperte sembrava voler abbracciare tutta la città ai suoi piedi. Ma non bastava, non riusciva ad apprezzare nulla perché dentro di lui c’era la minaccia della strega incontrata sul mare. Un mattino si alzò con la bocca amara e gli occhi pesti, si guardò allo specchio e si passò una mano sul viso: “Come ti sei conciato!”, riscontrò amaramente. Tornò in camera e svegliò Daria:
“Smettila di dormire, alzati…”, le disse brusco. Lei aprì gli occhi meravigliata.
“Cosa succede?”; chiese con la voce impastata di sonno.
“Andiamo a trovare quel mio amico…la vacanza è finita, ora bisogna pensare a fare altri soldi”.
Carmelo Locascio, ex  galeotto, compagno di cella di Raoul aveva il ristorante sulla spiaggia di Ipanema: un bel locale dove si mangiavano le aragoste e i gamberi appena pescati..
“Ti sei deciso a venire…sono molto contento di vederti”, l'amico lo abbracciò, poi lo guardò meglio: “Cosa hai combinato? Non hai una buona cera…rimani qui e ti rimetterai in forma”, concluse mollandogli una pacca sulla spalla.. Raoul non gradì molto…ma superò il leggero nervosismo: doveva parlare d’affari e voleva che l’atmosfera fosse tranquilla. Dopo una buona cena a base di pesce fresco si misero d’accordo per vedersi al più presto con un boss della zona, …anche lì, se non c’erano certi appoggi non si combinava nulla…
Era già diventato buio, la notte era calda ma  Raoul sentiva freddo: nella testa ricominciò a battere il tic tac ...
“Andiamo Daria, si è fatto tardi”, disse sgarbato alla  compagna. Carmelo lo guardò di traverso, intuì che l’amico non era di buon umore e si offrì di accompagnarli all’albergo:
“Non ti vedo molto in gamba…andiamo con la Ferrari, così ti sembrerà di essere a casa”, scherzò.
Rombando per le strade raggiunsero in un baleno l’Hotel Plaza a Copacabana. La coppia scese ringraziando, stavano per entrare nella grande vetrata quando Carmelo li richiamò:
“Mi dimenticavo di darti un piccolo regalo, me l’hanno portato dall’Italia e penso ti faccia piacere”, disse porgendo a Raoul una scatoletta fiorata. L’uomo la prese e la osservò a lungo:
“Cos’è?”, domandò.
“…E’ una sorpresa, aprila dopo…buonanotte…”, Carmelo se ne andò sulla sua potente vettura scomparendo in pochi secondi.
Arrivato in camera, Raoul  si accinse ad aprire la scatola, ma Daria gliela prese:
 “Fammi vedere…mi piacciono le sorprese…vediamo cosa c’è dentro”, mormorò curiosa.
 “Che bello…è un orologio antico”, esclamò porgendolo al compagno.
L’uomo impallidì:
“Non è possibile…come ha fatto ad arrivare fin qui?…buttalo via…”, balbettò con gli occhi sbarrati. Un tremore intenso lo assalì. Daria era così intenta a rimirare il regalo che non si era accorta della sua agitazione.
“Perché?…funziona…sono esattamente le due del mattino.”, rigirò l’oggetto fra le mani e fece scattare una molla:
“Si apre!…c’è scritto un nome…”, si avvicinò alla cassa dell’orologio, “Pietro…”., disse alzando il viso.
Raoul sentì una morsa stringergli la gola e il respiro diventare sempre più corto…ansimando si sdraiò sulla poltrona: “Aiutami…sto male!”, rantolò.
Daria, in preda al panico, non sapeva cosa fare…gli fece bere qualcosa di forte, aprì la finestra per far entrare l’aria fresca della notte…ma l’uomo stava soffocando, il suo petto si alzava e abbassava affannosamente …. finché non cessò di respirare: era arrivata per lui l’ultima ora.
 Per terra l’orologio di Pietro si fermò  in quel momento: Marcello era stato vendicato.
 
Fine                                                                                                                                       
 
 
 
 
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