La pioggia stava scendendo a dirotto, i tergicristalli con un
ritmo frenetico schizzavano l’acqua dai vetri, la luce dei fari fendeva a
malapena la cortina nebbiosa che oscurava la strada . Adriano stava tornando
dall’Austria, dove era andato a un congresso di medicina, procedeva con
prudenza sulla strada viscida dove, a ogni curva c’era pericolo di sbandare. Improvvisamente
in mezzo alla carreggiata si materializzò un grosso tronco, caduto dagli alberi
vicini, Adriano frenò di botto, la macchina sbandò e andò a sbattere contro il
muretto che delimitava la strada. Rimase un secondo di più attaccato al volante
per sincerarsi di non essere ferito, poi scese e allargò le braccia in un gesto
di sconforto: la berlina aveva il davanti distrutto. Guardò giù dal muretto e
gli vennero i brividi: sotto di lui si apriva un pauroso precipizio . “L’ho
scampata bella”, pensò con terrore. Chiamò il carro attrezzi che poco dopo lo
condusse in un piccolo borgo alpino con poche case. Stava venendo sera e, dopo
aver lasciato la vettura nell’unica officina , chiese che gli
indicassero un posto dove passare la notte.
«Provi alla “Locanda del Lupo”, gli consigliò il meccanico.
Adriano si avviò per la via indicata, le porte delle case
erano sbarrate e con fatica scorse
l’insegna della locanda. Entrò, i tavoli erano tutti
occupati, gli occhi dei presenti si volsero verso di lui, una donna bionda e
robusta si avvicinò.
«Avete una camera per questa notte?», chiese Adriano
guardandosi intorno.
«Se vuole mangiare…ma per dormire non ho più posto», rispose
lei allargando le braccia dispiaciuta..
Confortato dal calore che emanava da una grande stufa di
ceramica, Adriano si sedette a un tavolo e ordinò il menù del giorno. La
rubiconda ostessa arrivò con un piatto fumante e, dopo averlo posato sul
tavolo, si fermò un attimo per vedere se era gradito. Il profumo del capriolo
in salmì con la polenta stuzzicò le narici di Adriano che approvò con un gesto
di soddisfazione l’ottima scelta.
Timidamente, con una voce sottile che contrastava con la sua
corporatura la donna disse:
«Se vuole posso darle l’indirizzo di un albergo poco lontano
da qui, è l’Hotel del Bosco, sicuramente hanno posto, è un vecchio castello
ristrutturato e ci sono tante camere».
«La ringrazio, lei è molto gentile. Quando ho finito questo
magnifico piatto ne parliamo», rispose Adriano accingendosi ad affrontare
l’invitante cena.
«Se vuole telefono subito», propose la donna.
«Oh…sì, grazie», farfugliò lui con la bocca piena.
«Signore, può andare…nell’albergo c’è
posto.", disse lei con un largo sorriso, " la faccio accompagnare da mio figlio».
Più tardi il dottor Adriano Rinaldi, si presentò nell’Hotel
del Bosco: un vecchio maniero che manteneva la sua aria severa anche se le luci
al neon dell’insegna cercavano di dargli un aspetto più moderno. Nella hall arredata
con poltrone in velluto rosso, faceva spicco un enorme tappeto persiano, l’uomo
della reception gli diede le chiavi della camera:
«Non ha bagagli, signore?», chiese
Adriano con poche parole spiegò la sua presenza in
quell’albergo:
«Rimango solo stanotte, domani cercherò di raggiungere una
stazione ferroviaria. Ho avuto un incidente e ho la macchina in riparazione»,
disse conciso.
Stava avviandosi all’ascensore quando fu avvicinato da una
giovane donna bruna:
«Ho sentito che è in difficoltà», disse la sconosciuta
puntandogli addosso gli occhi neri nei quali brillava una strana luce.
Adriano notò che era una bella donna , con il viso dai
lineamenti forti che le davano un aspetto interessante, l’abito nero le
fasciava il corpo snello e ben fatto.
«Ho quasi distrutto la mia macchina, ho trovato un ostacolo
sulla strada, ho frenato e ho sbandato contro un muretto», rispose lui
osservandola con interesse.
La sconosciuta gli allungò una mano lunga e sottile:
«Sono la contessa Brandi, anch’io mi fermo solo per stanotte,
domani mattina ritorno in città, se vuole posso darle un passaggio…odio
viaggiare da sola», disse con un sorriso accattivante.
Adriano rimase un
attimo perplesso, l’invito arrivava a proposito e non seppe rifiutare, tanto
più che lei lo stava guardando in un certo modo.
«E’ stata un’insperata fortuna conoscerla…posso offrirle qualcosa?».
«Con piacere, andare in
camera mi rattrista, se vuole facciamo quattro chiacchiere».
Adriano non se lo fece ripetere due volte, non avrebbe mai
pensato di concludere la serata in compagnia di una bella donna!
Il cameriere servì il
whisky e appoggiò i bicchieri sul tavolino di cristallo, la bevanda forte
contribuì a dare a entrambi l’euforia necessaria per cominciare una piacevole
conversazione che durò a lungo. Non si accorsero che era passata mezzanotte
quando lei disse:
«Si è fatto tardi, andiamo?», nel suo sguardo c’era un palese
invito che Adriano colse, del resto era scapolo e libero, un’avventura poteva
permettersela, quella donna lo intrigava, gli piaceva non solo per l’aspetto ma
per il suo modo di fare singolare, era diversa
da tutte le donne che aveva conosciuto.
Salirono lo scalone che portava alle camere, guardando fuori,
con sorpresa videro che la neve stava scendendo copiosa.
«E’ bellissimo», sussurrò lei ,« è una notte magica…», nel
suo sguardo perduto nel buio c’era un’ombra di tristezza.
Adriano si fermò a osservarla:
«Qualcosa non va?», chiese.
«Non ci faccia caso, è solo un momento di debolezza», rispose
la contessa.
Le loro camere erano vicine: «Non ho sonno», disse la donna.
Adriano si fece coraggio : «Possiamo continuare a parlare in
camera mia», azzardò.
Lei lo guardò: «Perché no… ma preferirei stare da me, se ti
fa piacere, naturalmente», era passata al tu senza tanti preamboli e lui non
aspettava che questo.
Entrarono nella stanza arredata con mobili antichi, una
grande pacco avvolto in una carta dorata e legato con un fiocco rosso era
posato sul letto. La contessa lo prese con delicatezza e lo posò su una sedia. «E’
un regalo che mi sono fatta…», disse. Poi si volse verso Adriano: « sei
sposato, hai bambini?», chiese fissandolo.
«No…sono single convinto», rispose lui.
«Meglio così», sussurrò la donna facendogli una lieve carezza
sui capelli.
«Non mi hai detto ancora il tuo nome», disse lui
abbracciandola.
«Mi chiamo Azzurra…come un cielo sereno che non mi
assomiglia...e adesso stringimi…», bisbigliò buttandogli le braccia al collo.
Da quel momento il tempo non ebbe più dimensione, le ore
sembravano minuti, l’alba li colse abbracciati nel grande letto con
baldacchino. Si addormentarono e quando si svegliarono c’era il sole.
«Meno male che non nevica più», disse Azzurra guardando dalla
finestra che Adriano aveva spalancato. «dobbiamo partire», sussurrò con la voce
impastata di sonno, aveva il viso un po’ gonfio e gli occhi avevano perso la
brillantezza della sera prima.
«Forza… alzati, devi farmi da autista», scherzò lui, «te la
senti?».
«Sono in gran forma…ho sempre sognato una notte così prima
di…», si interruppe bruscamente.
«Prima di che cosa?», domandò lui sorpreso.
«Niente, sono cose che non puoi capire», rispose lei a bassa
voce.
L’enigmatica risposta stupì Adriano che voleva sapere di più,
ma fu interrotto dal suono del telefono, l’uomo della reception chiedeva alla
contessa se doveva mettere le catene alla sua vettura.
Poco dopo Adriano e Azzurra scesero tenendosi per mano, e si
presentarono al bureau per pagare il conto sotto gli occhi attoniti del
segretario.
La lussuosa berlina nera era pronta davanti alla porta
dell’hotel, misero le valigie nel bagagliaio e la donna appoggiò con cura il
grande pacco con la carta dorata, sul sedile posteriore.
La contessa si mise al volante e partirono. Da quando erano
entrati nell’abitacolo, Azzurra era ammutolita, tanto che Adriano era a
disagio, cercava argomenti banali per far passare il tempo, ma otteneva
soltanto risposte a monosillabi. Lei era diversa dalla donna frizzante e
disinvolta della sera prima, ora gli sembrava un’altra, anche l’espressione del
viso si era indurita, più cupa, una riga le attraversava la fronte aggrottata.
“Forse la strada la preoccupa, con questa neve c’è poco da scherzare”, pensò. Arrivarono
giù, nella valle dove la strada era sgombra, Azzurra riprese velocità ma non
cambiò atteggiamento:
«Ho fatto qualcosa che non va?», chiese infine lui, stanco di
sopportare quel silenzio che lo innervosiva.
Passò ancora qualche secondo e poi Azzurra si decise a rispondere:
«Tu non mi hai fatto niente…anzi, mi hai dato tanto, ti
chiedo solo di sopportarmi, ne avrò ancora per poco…poi passerà», distolse per
un attimo gli occhi dalla strada e lo guardò, «somigli molto a qualcuno che
dovrebbe essere al tuo posto», concluse amaramente.
Diede un rapido sguardo all’orologio, continuò a guidare fino
ad arrivare al casello dell’autostrada.
La vettura nera s’infilò nella corsia di sorpasso e si sparò
come un proiettile in mezzo al traffico. Adriano si aggrappò al sedile, e
lanciò uno sguardo al tachimetro che segnava duecento.
«Vai più piano, vorrei arrivare a casa tutto intero», quasi
gridò.
«Non ti preoccupare…questa è la mia velocità abituale»,
rispose lei tranquilla.
Adriano era teso, il rumore ritmico che sentiva
nell’abitacolo da quando erano partiti aumentava il suo disagio:
«Senti anche tu questo ticchettio?», chiese infine .
Azzurra rispose senza staccare gli occhi dalla strada:
"Si, ma non credo che sia niente di importante....rilassati ti vedo troppo nervoso."
Adriano non si si accontentò della risposta: pensava a un guasto della macchina, a quella velocità se si fosse
rotto qualcosa, sarebbe stato pericoloso.
«Fermati al primo autogrill, voglio dare un’occhiata al
motore».
«Non abbiamo tempo, ho i minuti contati», rispose seccata la
donna.
«Guarda l’insegna, fra un chilometro ce n’è uno, ti prego,
facciamo una sosta, è più prudente».
Azzurra si fermò di malavoglia, Adriano scese a controllare
il motore e la carrozzeria, ma non trovò niente che potesse far pensare a un
guasto.
«Andiamo a prendere un caffè?», propose, voleva alleggerire
la tensione che si era creata tra loro.
Lei lo guardò freddamente: «Va bene, ma poi ce ne andiamo
subito», sibilò.
Il bar era affollatissimo, Adriano si mise in coda alla
cassa, fra i banchi, in esposizione, c’era un orsetto molto carino con un buffo
berretto rosso e gli venne voglia di prenderlo, ma non ne ebbe il tempo, il suo
turno era già arrivato.
Al banco sorseggiarono la bevanda calda in silenzio, poi
Azzurra si avviò all’uscita.
Lui la seguì, ma
appena fuori fu preso dall’irresistibile desiderio di acquistare quel peluche,
voleva darlo a Federico, il nipotino che adorava e al quale aveva promesso un
regalo.
«Scusa, vengo subito», e tornò sui suoi passi.
Azzurra si voltò inviperita. «Sbrigati, ti aspetto in macchina»,
urlò, negli occhi aveva un’espressione di follia.
Adriano stava uscendo dall’autogrill con il pacchetto in
mano, quando un enorme boato scosse l’aria: pezzi di lamiera stavano volando
dappertutto, la vettura di Azzurra era esplosa disintegrandosi e…dentro quella
macchina c’era lei!
Impietrito lui restò sul piazzale stringendo fra le mani il
giocattolo che gli aveva salvato la vita.
Gli dissero poi che la contessa Brandi, disperata per un amore
sbagliato, si era suicidata portando nella vettura una bomba a orologeria: quel
regalo avvolto in carta dorata, con il nastro rosso, che aveva posato
delicatamente sul sedile posteriore.
Adriano si chiese perché quella bella donna avesse scelto lui
come suo partner in quel viaggio verso la morte… forse, come aveva detto lei,
assomigliava a qualcuno che l’aveva fatta soffrire.
FINE