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domenica 25 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - fine


 

Elisa, seduta accanto a Fabio in attesa della chiamata del volo, era tesa e nervosa, stava aspettando il momento di mettere in azione quel piano che stava preparando da giorni. Non si era mai perdonata di aver messo il suo talento al servizio di quella mafia che commerciava in quadri falsi e che non aveva scrupoli. Era tutta colpa dell’amore cieco che aveva per Fabio: uno col fascino misterioso e l’aria da duro, di quelli  che fanno perdere la testa; per lui si era lasciata andare alla passione che travolge i sensi e cancella ogni morale. Per non perderlo avrebbe fatto qualsiasi cosa. Infatti, quando le chiese di copiare il famoso dipinto del pittore aretino in mostra alla galleria d’arte, non ebbe esitazioni.

“Tesoro”, le aveva detto lui, “ ho bisogno di te”.

“ Dimmi”, aveva risposto non immaginando quello che le proponeva.

“ So che sei brava….”, continuò Fabio insinuante, “ hai presente il quadro di Pier della Francesca che è in mostra in questi giorni?”

Elisa era rimasta un attimo perplessa: “ Sì”

“Dovresti copiare quel quadro”.

La proposta l’aveva sconcertata:

“Perché” aveva chiesto allibita.

“E’ di un privato che l’ha già venduto a casa d’arte americana e …se ne fai una copia gli rifiliamo quella e ci teniamo l’originale! Sei così brava che nessuno se ne accorgerà… amore, ce ne andiamo via , io e te, lontano da qui…saremo ricchi , voglio farti felice e stare con te tutta la vita…”

Elisa, catturata dal suo fascino perverso non aveva saputo dirgli di no.

E così, si  era prestata anche a farsi corteggiare dall’americano che aveva acquistato il quadro, per avere il motivo di andarlo a salutare alla partenza in modo che Fabio potesse scambiare le valigie all’aeroporto.

Si era accorta però che frequentare  Fred l’aveva cambiata, aveva svegliato dentro di lei i sensi di colpa: aver imbrogliato quell’uomo così corretto, con gli occhi trasparenti dove si poteva leggere quello che pensava, l’aveva messa in una crisi profonda. Si era come svegliata dal torpore in cui era sprofondata, annebbiata da quell’amore che l’aveva resa un automa al servizio di Fabio: aveva cominciato a vederlo con altri occhi, specialmente quando aveva capito che per lui contava solo il denaro…

Quando era entrata in quella cerchia di malavitosi si era resa conto che non poteva più continuare con lui, per liberarsi della sua influenza negativa che l’aveva resa quasi sua schiava, lo doveva lasciare.

L’aveva seguito fino a quel momento ma, quando aveva visto che stava cadendo in un baratro da dove era difficile risalire, aveva preso la decisione di andarsene.
Aveva fatto un piano un piano e aspettava l’occasione per metterlo in atto   senza provocare reazioni... la visione del povero Fred, per terra con la testa sanguinante, la spingeva a far presto…sapeva che quella specie di boss che aveva architettato tutto sarebbe ritornato e il professore ne avrebbe subito le conseguenze, quello era anche capace di farlo fuori.

 

Approfittando di un momento di distrazione di Fabio, Elisa si alzò:

“Vado a comperare un giornale”, disse cercando di dare alla voce un tono tranquillo.

Sospettoso lui si mosse dalla poltrona: “Vado io…tu rimani qui”.

In quel momento la voce della speaker annunciò il loro volo:
“Non c’è più tempo…vieni”, disse lui trascinandola per un braccio. Si avviarono lungo il corridoio, ma , prima di varcare il cancello lei si voltò:
“Io non parto”, disse decisa. Fabio sbarrò gli occhi e tentò di replicare, ma lei lo bloccò:
“Tieni tutto…il quadro e i soldi…addio!”, si voltò e corse via, inseguita dallo sguardo dell’uomo che era rimasto pietrificato.

 

Elisa correva facendosi largo fra la gente, arrivò fuori con il cuore in gola. Si infilò in una vettura pubblica e diede l’indirizzo del capannone, a Perugia, con la poca voce che le era rimasta. Le speranze di arrivare in tempo a liberare Fred erano poche, ma ci doveva provare…i minuti non passavano mai, avrebbe voluto che quella macchina avesse le ali…

Quando arrivò, quello che vide la sconvolse: una vettura della polizia era ferma davanti al cancello e due poliziotti stavano trascinando un uomo in manette. Sebbene fosse lontana riconobbe il capo della banda, non riusciva a capire cosa fosse successo e come erano arrivati ad arrestarlo. E Fred?…era vivo? …in quell’istante il suono persistente e lacerante dell’ambulanza che si fermò frenando di colpo, la fece sussultare. Due infermieri balzarono fuori con una barella e, dopo qualche minuto tornarono, un corpo era steso sulla lettiga, dopo averla infilata  nell’abitacolo partirono a sirena spiegata. Poco dopo, sul luogo, non c’era più nessuno…i protagonisti della drammatica sequenza avevano lasciato la scena.

Elisa, sempre più stupefatta, si guardò intorno per rassicurarsi di essere sola, licenziò l’autista e si introdusse cautamente nel capannone rimasto aperto; si diresse sicura in fondo, e poco dopo uscì di nuovo…

 

A  Los Angeles Margaret non aveva più notizie di Fred da due giorni, in albergo non era reperibile e il cellulare non dava segni di vita… la donna era preoccupata, poteva essergli successo qualunque cosa e poi voleva sapere come era finita la storia del  quadro.

Ad ogni squillo del telefono sobbalzava: forse era lui…ma ripiombava nell’ansia subito dopo. Decise di aspettare ancora un giorno…, dopo di che decise che sarebbe partita per l’Italia.

Nel momento in cui Margaret arrivò all’hotel e chiese del professor Adams l’espressione dell’impiegato alla reception cambiò, da sorridente divenne improvvisamente seria:

“Il professore è in ospedale”, disse. La donna lo guardò sorpresa:
“E’ sicuro di quello che dice?”, affermò.

“Certo…”; rispose titubante il giovanotto intimidito, “ le chiamo il direttore? Può parlare con lui”. 

Poco dopo il direttore spiegò a Margaret, come erano andate le cose:

 “Lo sapevo che si sarebbe messo nei pasticci…”, borbottò lei.

 

Quando Fred fu ricoverato era molto grave: la pallottola aveva attraversato il torace, causando lesioni interne; i medici l’avevano trasportato con urgenza in sala operatoria ed era stato sotto i ferri per molte ore.

Maria, chiamata dal commissario Loiacono, aveva trascorso la notte accanto al letto, in attesa che Fred aprisse gli occhi. Vederlo addormentato, pieno di tubi e tubicini, la addolorava…l’aveva ritrovato ma ora rischiava di perderlo ancora e…forse per sempre. Si rendeva conto in quel momento di averlo sempre amato, quello che la vita le aveva riservato dopo di lui era poca cosa…solo la figlia avuta dal marito, sposato senza passione, era stata una delle gioie, ma…anche lei l’aveva delusa, non sapeva dove era finita…forse se n’era andata e non l’avrebbe rivista mai più.

 Questi pensieri neri le frullavano in mente quando si accorse che Fred si stava svegliando.

“Amore mio…”, sussurrò.

Lui aprì lentamente le palpebre:

“Maria…”, disse a stento, “sei proprio tu…speravo di vederti…sei l’unica persona che in questo momento desidero vicina”, richiuse gli occhi, ma sulle sue labbra rimase l’ombra di un sorriso.

“Zitto…non ti affaticare”, mormorò lei. Un medico entrò:

“E’ andato tutto bene, signora”, la rassicurò, “se la caverà presto…e potrà tornare a casa”.

Quale casa? Si disse la donna, sarebbe stato troppo bello prendersi cura di lui…ma non era possibile, Fred doveva tornare in California, alla sua vita di sempre… Si avvicinò e lo baciò delicatamente sulla fronte. In quell’istante la porta si aprì e Margaret entrò nella stanza.

“E’ qui il professor Adams?”, disse lanciando uno sguardo sorpreso a Maria che la guardò a sua volta con aria interrogativa.

Fred, al suono di quella voce, aprì gli occhi: “Margaret…”, disse.

L’americana si avvicinò al letto: “Come stai?”, gli chiese, e poi, voltandosi verso Maria: “Chi è questa donna?”, domandò.

Il professore rimase un attimo perplesso, Maria si alzò dalla sedia sulla quale aveva passato la notte e si avvicinò alla nuova venuta.

“Vorrei pregarla di lasciarlo in pace…ha subìto una lunga operazione e si è appena svegliato, non può ancora parlare…”, disse guardandola decisamente negli occhi.

Margaret la squadrò da capo a piedi meravigliata dal fatto che parlasse inglese:
“Allora mi dica lei chi è e cosa ci fa qui…, io sono la donna di Fred e sono venuta apposta da Los Angeles per lui…”, rispose freddamente, scostandosi.

“Andiamo in corridoio, potremo spiegarci meglio”, Maria aprì la porta della camera e invitò l’altra a uscire, chiuse l’uscio con delicatezza e cominciò subito :

 “Ho rivisto Fred dopo quasi trent’anni, le circostanze della vita hanno fatto in modo che ci incontrassimo per caso…”, si interruppe per cercare le parole, “per una serie di fatti che le racconterò in seguito, i nostri destini si sono incrociati, lui non aveva nessuno ed ha avuto bisogno di me….sono qui per questo, per non lasciarlo solo”, concluse.

Margaret l’ascoltava in silenzio, quella donna bruna, così diversa da lei non doveva essere certo solo un’amica:

“Sono disorientata, per il momento non sono in grado di capire…aspetterò che qualcuno mi spieghi questa storia così complicata”, disse infine seccata, rientrando nella stanza. Poi volle parlare con i medici per sapere se il professore poteva considerarsi fuori pericolo, e si accinse ad andarsene:

“Torno domani…quando Fred potrà parlare mi spiegherà quello che è successo. Ora vado in albergo…sono molto stanca”, posò le labbra sulla fronte dell’uomo che dormiva, raccolse la borsetta che aveva appoggiata su una sedia, fece un cenno del capo e uscì.

 Maria rimase a guardare la porta dietro la quale era sparita, un nodo le serrava la gola ed era sul punto di piangere…sapeva che lui aveva un legame, ma incontrare quella donna faccia a faccia era la prova tangibile che, appena guarito, non l’avrebbe rivisto mai più. Frugò in tasca per cercare un fazzoletto di carta per asciugarsi gli occhi che stavano riempendosi di lacrime, quando la musichetta del cellulare spezzò il silenzio.

“Pronto…mamma…sono io”, la voce di Elisa le diede un tuffo al cuore.

“Dove sei?…”, chiese subito ansiosa.

“Sono qui, a casa, ma non ti ho trovato…”, proseguì sua figlia.

Maria non rispose subito:

“Raggiungimi all’ospedale…ti racconterò tutto”, disse mestamente.

Alla parola “ospedale” Elisa si allarmò:

 “Stai bene? “, esclamò ansiosa.

“Non ti preoccupare per me, non mi è successo nulla, però vieni”, pregò la donna.

“Dimmi almeno perché sei lì”.

Maria non sapeva rispondere, rimase zitta per qualche secondo poi si decise:

“ Sono qui per Fred Adams, è stato operato e sono al suo capezzale”.

Elisa sempre più sconcertata non riusciva a capire:

“Perché? Perchè tu…cosa c’entri in tutta questa storia!!”, quasi gridò.

“ Sbrigati, vieni qui se vuoi sapere”, tagliò corto Maria.

 Quando Elisa entrò in camera e vide sua madre al capezzale di Fred restò di stucco:
“Cosa ci fai tu qui?”; domandò stupita.

Maria raccontò alla figlia l’amore per quel ragazzo che frequentava il suo stesso corso, la passione che li aveva travolti, il doloroso distacco e…dopo ventisette anni, l’incontro. Elisa seguiva il racconto attentamente: “singolare e romantico intreccio”, pensava e si sentiva colpevole di aver portato in quella bella storia d’amore la nota negativa. Capiva in quel momento il trasporto che Fred aveva provato per lei quando l’aveva conosciuta: gli ricordava la mamma che aveva amato in passato. A maggior ragione si sentiva colpevole per aver trascinato in quella oscura vicenda l’uomo del quale aveva sentito parlare fin da quando era bambina, ma che non aveva mai conosciuto.

Elisa, commossa, si avvicinò al letto di Fred, questi si era appena ripreso dal torpore degli anestetici:

“Ti ho tanto cercato”, mormorò.

“Eccomi…riuscirai a perdonarmi?”, disse sottovoce Elisa, “per questo ti ho portato un regalo…”

Mostrò all’uomo steso sul letto un tubo, come quelli che contengono i disegni.

Fred cercò di alzare la testa, ma le forze non lo sostennero, ricadde sul cuscino stremato.

“Non ti sforzare adesso, quando starai meglio vedrai la mia sorpresa”, mentre diceva queste parole gli occhi avevano una luce particolare, come di chi si è liberato di un peso ed è in pace con se stesso, “ora devo andare, addio Fred,…”, fece un cenno con la mano, abbracciò la madre e corse via.

 Maria la vide allontanarsi per il corridoio a passo svelto, quasi correndo, la chiamò ma Elisa non rispose.

 

Margaret si svegliò riposata, si guardò allo specchio e scoprì che aveva un ottimo aspetto, rinfrancata si accinse a vestirsi, scelse con cura gli abiti. Voleva essere a posto, come sempre, per presentarsi a Fred e discutere con la donna che gli stava accanto. Arrivò e si diresse subito dal medico di turno, voleva sapere se il malato della stanza 417 si era rimesso tanto da poter sostenere una conversazione.

Quando la vide Fred  le sorrise, era seduto sul letto e aveva il viso sereno:
“Entra Margaret…sono felice di vederti”, disse con voce chiara e sicura.

 Maria era ancora lì, aveva passato un’altra notte su una sedia a vegliarlo. L’americana l’ignorò e si diresse diritta verso il professore.

“Vedo che oggi stai molto meglio…e che hai superatola crisi”, osservò compiaciuta. Poi si volse verso l’altra donna che se ne stava  in un angolo:

 “Se non le dispiace dovremmo parlare”, affermò con tono autoritario.

Maria uscì in silenzio, senza replicare. Rimasti soli Margaret stava per dire qualcosa quando Fred l’anticipò:

“Sono contento che tu sia qui solo per un fatto: posso restituirti il quadro”, si allungò fuori dal letto e prese il rotolo dalla sedia vicina: “eccolo!”, aprì l’involucro e stese la tela: “questa è quella vera…puoi fare qualsiasi perizia, non ci sono dubbi…”.

Agli occhi esterrefatti della donna apparve la Madonna con bambino.

 “E’ una storia lunga che non voglio raccontarti…ma quello che conta è che si è conclusa nel migliore dei modi”.

Dal petto di Margaret uscì un sospiro di sollievo:

 “Grazie, Fred, non avevo mai messo in dubbio che tu l’avresti recuperata…sei straordinario…”, fece per avvicinarsi e baciarlo ma l’uomo si scostò.

“La cosa più importante che devo dirti però è che….quando sarò ristabilito non tornerò in California, rimarrò qui…”, affermò serio.

 Lei lo guardò stupita, rimase zitta per qualche secondo:

 “Con lei?”, chiese poi con un filo di voce.

“Sì, con Maria…non volermene, il passato è tornato facendomi sentire quello di allora. Mi sono accorto di non aver mai smesso di amarla”, rispose Fred.

 

Maria, per ingannare il tempo stava guardando oltre la vetrata del corridoio, da dietro la porta chiusa della camera 417 le voci che provenivano erano talvolta concitate, talvolta sommesse, dopo molti minuti l’uscio si aprì e, la signora impeccabile che era entrata uscì, aveva gli occhi arrossati e il viso contratto, ma stringeva in pugno come un trofeo un tubo di cartone. Maria rientrò preoccupata, però l’espressione che vide sul viso di Fred la rassicurò.

“Vieni”, mormorò lui “stai qui, accanto a me…per sempre. Non posso perderti ancora”. Lei capì, gli prese la mano e la strinse forte.

 

Sulla veranda della casa di Maria, Fred stava prendendo il caffè, con loro c’era Elisa.

“Raccontami di nuovo questo giallo”, disse lui rivolgendosi alla ragazza, “forse sarà stato il colpo in testa ma…non riesco a seguirti”, affermò sorridendo.

“Come ho già detto avevo in mente un piano: quando mi sono accorta di essere invischiata in un brutto imbroglio mi sono detta “Elisa, devi venirne fuori”. Allora ho fatto di nascosto un’altra copia del dipinto, era piccolo e non ci ho messo molto, e l’ho sostituita all’originale che sapevo essere nascosto nel capannone. Così, il boss senza saperlo, ha messo nella valigia di Fabio il falso; quando sono tornata dall’aeroporto sono andata a recuperare la Madonna con bambino e te l’ho portata…è chiaro?”, dichiarò Elisa raggiante.

“Con questa tua attitudine a copiare capolavori stai diventando pericolosa…”, scherzò il professore, “…e mi hai fatto passare parecchi guai”, aggiunse. “Però ti perdono…tutto ciò è servito a ritrovare Maria”, concluse Fred  mettendo un braccio attorno alle spalle della sua donna e stringendola a sé. “Staremo bene insieme”, disse ancora, “e, se metterai il tuo talento soltanto a servizio dell’arte, diventerai una grande pittrice…parola del professor Adams”.     

 FINE
 

domenica 18 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - terza puntata




“Sei tu Fred?”, rispose una voce femminile.
Era proprio lei, riconobbe dopo tanti anni il modo in cui pronunciava il suo nome.
In quell’attimo ritornò al passato: aveva dimenticato la brutta storia che l’aveva portato lì, voleva solo rivedere Maria.
Balzò dal letto e si ficcò sotto la doccia per svegliarsi definitivamente.  Mentre si faceva  la barba davanti allo specchio si passò una mano sul viso: molte rughe attraversavano la fronte, gli angoli della bocca erano segnati, le tempie stavano diventando grigie, ma lo sguardo era quello di allora… cosa avrebbe detto Maria? L’avrebbe trovato senz’altro invecchiato, ma non gli importava…non vedeva il momento d’incontrarla. Percorse la strada quasi correndo, non aspettò l’ascensore, salì i gradini due alla volta e bussò alla porta col cuore in gola. Lei aprì. Si trovarono di fronte e rimasero in silenzio, ognuno di loro era sopraffatto dalla commozione, poi si buttarono l’uno nelle braccia dell’altra. Restarono stretti senza parlare, felici di vivere quel meraviglioso momento. Infine Maria lo condusse in casa: “Vieni”, gli disse prendendolo per mano. “Non sei cambiato molto”, sussurrò osservandolo attentamente, “qualche ruga qua e là ma, per me, sei rimasto quello di un tempo”.
Anche Fred non riusciva a staccare gli occhi da lei: ritrovava lo sguardo, il sorriso che l’aveva conquistato, aveva la pelle ancora liscia come se il tempo si fosse dimenticato di lei…anzi, ora aveva raggiunto il fascino della maturità. Indossava una semplice camicetta di seta bianca sopra pantaloni di lino beige, al collo portava una collana d’ambra che le illuminava il viso. Fra i capelli neri spuntava qualche filo grigio, ma gli occhi erano ancora brillanti come allora. Anche la figura era rimasta snella, assomigliava in modo sorprendente a Elisa, tanto è vero che rimase attonito a guardarla.
“Sei ancora più bella”, bisbigliò emozionato mentre lo sguardo smarrito e incredulo vagava su di lei. Si sedettero vicini, tenendosi le mani come avessero paura di perdersi ancora.
“Come mi hai ritrovato?”; chiese Fred incuriosito.
“Ti ho visto mentre rientravi in albergo”.
“Anch’io ti sono corso dietro per strada…ma non ero sicuro che fossi tu e allora ho lasciato perdere…ma devo confessarti che, da quando sono a Perugia, non ho mai perso la speranza di incontrarti”, disse lui accarezzandole una guancia. “ Raccontami di te.. sei sposata? Hai figli?…”, proseguì concitato: voleva sapere tutto di lei.
Maria cominciò il racconto della sua vita, si era sposata, aveva una figlia ma ora era completamente sola: il marito l’aveva lasciata per un’altra e la figlia se ne era andata a vivere da sola. Disse tutto questo con un po’ di malinconia, gli occhi erano diventati tristi. Fred l’abbracciò ancora una volta:
“Adesso ci sono io”, affermò, “anche per me non è andata troppo diversamente….sono separato ma, fortunatamente non ho prole, ora convivo con una donna”, si fermò.
“Sei felice?”, chiese lei.
Fred chinò il capo e non rispose, rimase in silenzio per qualche secondo, infine si decise a parlare:
“Mi devi ascoltare attentamente”, iniziò. Il tono della voce era diventato improvvisamente troppo serio. Maria, meravigliata, lo guardò:
“Qualcosa non va?”, chiese  preoccupata,  aveva notato il cambiamento d’espressione: c’era qualcosa in lui che l’opprimeva, ne era certa.
Mentre Fred le stava raccontando quello che gli era capitato, senza tralasciare nulla, anche l’incontro con la pittrice dalla quale era stato attratto perché le assomigliava, Maria lo seguiva con attenzione; a un tratto l’interruppe:
“Come hai detto che si chiama la ragazza?”, chiese.
“Elisa”, rispose Fred, “perché me lo chiedi?”.
Maria si alzò dal divano, fece qualche passo, poi tornò a sedersi:
“Sono quasi certa che sia mia figlia”, bisbigliò abbassando lo sguardo.
Fred rimase attonito: “Credi che sia possibile?”
“Penso proprio di sì, troppe coincidenze in questo racconto…il nome, la professione, il luogo dove l’hai incontrata”.
Fred la stava ad ascoltare stupito, nella sua mente si faceva strada un pensiero: se fosse stata veramente lei avrebbe smesso di cercare, e forse, avrebbe saputo qualcosa che l’avrebbe aiutato nella risoluzione del caso di cui era la vittima.
“Come possiamo esserne certi?”, domandò ansioso.
“Sono molti giorni che non la vedo, di solito mi telefona verso sera,  se vuoi… ho il numero di cellulare”.
“ Fantastico! Ti prego, chiamala....”, esclamò Fred.
Maria fece il numero, ma aspettò invano la risposta.
“ Suona a vuoto…probabilmente  ha staccato il telefono”, disse.
 Ma nel suo viso qualcosa era cambiato:
 “Mia figlia si è messa in un brutto giro”, confessò tristemente, “da quello che mi hai detto non ho molti dubbi…Elisa ha un grande talento come pittrice, ultimamente esegue copie d’autore con molta maestria, ma…questa sarebbe anche una bella cosa se non si fosse lasciata convincere a lavorare per gente che non mi piace …devo pensare purtroppo che la ragazza che hai conosciuto sia proprio lei”, concluse sospirando.
Il professore la stava ascoltando e stava tirando le fila di quell’intrigo: Maria aveva ragione, ripensandoci molte circostanze combaciavano ed Elisa poteva essere l’autrice del falso.
Che bello scherzo gli aveva giocato la vita!…ritrovare l’amore di un tempo era stato meraviglioso, però non avrebbe mai pensato che i loro destini fossero intrecciati in modo così singolare. Si rendeva conto ora che l’attrazione che aveva provato per Elisa era qualcosa di innato: era la figlia di Maria e i suoi sensi l’avevano subito percepito. Si rivolse alla donna che era rimasta in silenzio aspettando una risposta.
 “Mi dispiace, Maria…non ho intenzione di denunciare Elisa, se ha fatto questo è necessario ritrovarla e farla ragionare, forse si può ancora fare qualcosa, deve rendersi conto di aver commesso un reato se lei mi aiuta potrò recuperare quello che mi è stato sottratto…a me basta così”.
La donna lo abbracciò:
“Grazie…ti aiuterò anch’io, vedrai che tutto andrà bene…riusciremo a ritrovare Elisa e il tuo quadro. Mia figlia non è una delinquente, se ha fatto questo sicuramente è stata costretta.”, disse Maria.
“Non sai proprio dove sia ora?”, domandò ancora lui.
“No…ma credo sia col suo ragazzo, un tale che non mi è mai piaciuto…sicuramente è stato lui a convincerla”.
“E’ un con una cicatrice su una guancia?”, disse Fred rammentandosi di aver visto quel tipo anche all’aeroporto. Maria sobbalzò:
“Sì… è Fabio, come fai a conoscerlo?”, ribatté stupita.
Fred le raccontò di averlo incontrato quella stessa mattina al castello e, forse, di averlo visto all’aeroporto, quando stava per partire per gli Stati Uniti.
“Allora Elisa si è lasciata coinvolgere nei loro loschi affari, quel ragazzo ha un’influenza negativa su di lei…”, disse la donna parlando a bassa voce, quasi con se stessa. “a questo punto non so nemmeno se mi chiamerà più”, continuò cambiando tono, “ dobbiamo trovarla prima che sia troppo tardi…”.
“Devo tornare lassù…forse quel Fabio sarà ancora lì e lo farò parlare”, affermò Fred in preda ad uno scatto di rabbia.
 Non aveva tempo da perdere, abbracciò ancora una volta Maria e si precipitò in cerca di un taxi. Quell’interminabile giornata, così densa di avvenimenti, l’aveva distrutto, si abbandonò sui sedili dell’auto, mille pensieri si accavallavano nella mente: l’emozione di aver ritrovato Maria, ma ancor più il fatto che Elisa fosse sua figlia, l’aveva sconvolto. La realtà si stava dimostrando molto più complessa della fantasia, mai avrebbe pensato di vivere quell’avventura nella quale s’intrecciavano le vicende della sua vita.
Era quasi a metà del percorso quando vide venire in senso opposto una macchina nera, quando le due vetture s’incrociarono Fred sgranò gli occhi: aveva riconosciuto Elisa e quello che doveva essere il suo ragazzo.
“Inverta la marcia!”, comandò all’autista. Questi credeva di aver sentito male:
“Come dice?”, chiese.
“Ho detto di tornare indietro e di seguire quella macchina “; esclamò spazientito il professore. L’uomo al volante fermò la vettura ai bordi della strada e si voltò verso quel passeggero che considerava un po’ suonato.
“E’ pericoloso…non me la sento di fare la manovra, non si vede chi può esserci dietro la curva”.
Fred non lo lasciò continuare:
“Mi chieda quello che vuole, sono disposto a pagare qualsiasi cifra”, affermò Fred spazientito, “però si decida e faccia presto, altrimenti li perdiamo”:
L’autista convinto da un argomento così interessante, invertì velocemente il senso di marcia.
A ogni curva le gomme stridevano, andavano giù a rotta di collo rischiando un incidente ogni secondo, ma Fred era determinato a raggiungere la vettura nera. Finalmente l’avvistarono.
“Adesso si metta dietro, voglio vedere dove vanno….”, disse all’uomo ancora carico di tensione per la corsa fatta. Attraversarono la città e si diressero verso la periferia, sempre all’inseguimento della preda.
Si fermarono davanti ad un capannone, i due giovani entrarono e Fred ordinò all’autista di appostarsi nei pressi senza farsi vedere. Il professor Adams pagò la notevole cifra che gli chiese l’uomo:
“Se non torno entro mezz’ora può andare, avverta però questa persona”, disse, e gli diede il nome e l’indirizzo di Maria.
Si fermò davanti al portone di ferro grigio, provò la maniglia e si accorse che cedeva. Non ci pensò un attimo ed entrò. L’interno era un grande vano zeppo di macchinari in disuso, i finestroni di vetro incrostato di polvere, lasciavano passare poca luce; Fred proseguiva cauto per paura d’inciampare. Dietro una porta aperta di uno sgabuzzino sentì provenire delle voci. Si fermò, un uomo stava parlando:
“Questi sono i biglietti…mi raccomando, sparite subito, l’americano è tornato… evidentemente se n’è accorto”. Un’altra voce maschile rispose:
“Va bene…e i soldi?”, dal tono si capiva che era in ansia.
“Sono qui…questa è una prima parte, se la cosa va in porto ritornerete a prendere il saldo quando non ci saranno più sospetti”, rispose l’uomo che aveva parlato per primo.
“Il quadro dov’è?”, chiese ancora una donna che Fred riconobbe per Elisa.
“Nel doppio fondo della valigia, dovete portarlo a Berlino, poi da lì tagliate definitivamente la corda per il Venezuela…Se starete attenti agli ordini fra qualche giorno sarà tutto finito e…sarete ricchi”, quella voce aveva un tono di comando, “probabilmente sarà il capo della banda”, pensò Fred.
 Qualcuno parlò a voce bassa e lui cercò di avvicinarsi per sentire meglio, ma fece un passo falso e inciampò in qualcosa che non aveva visto. Il rumore, nel silenzio del capannone vuoto s’ingigantì, Fred s’immobilizzò attendendo gli eventi, mettendosi sulla difensiva. Le voci si spensero, un uomo con la barba incolta apparve sull’uscio:
“Tu chi sei?”, chiese aggressivo. Nel medesimo istante uscirono anche gli altri due, dalla bocca della ragazza uscì un grido: “Professore….cosa ci fai qui”.
“Ah, l’americano è venuto a curiosare”, esclamò il primo e, prima che Fred se ne potesse rendere conto sentì un dolore lancinante al capo… stramazzò per terra senza sensi.
Elisa lo vide per terra e cercò di portagli soccorso, ma uno strattone l’allontanò:
“Mettiamolo qui dentro e andiamo via, dobbiamo sparire prima che si riprenda”, disse il ragazzo con la cicatrice. Trascinarono il corpo nello stanzino, poi uscirono di corsa. “Presto, squagliamocela, l’aereo parte fra tre ore”.
 Elisa salì in macchina con gli altri due, ma non era più la stessa. Si accucciò in un angolo del sedile senza dire una parola; non riusciva a togliersi dalla mente il corpo di Fred per terra. “Cosa gli succederà?”, si chiedeva angosciata, “se nessuno sa dov’è come possono salvarlo…quel capannone è abbandonato ed è difficile che qualcuno vada in quella zona”. Questi pensieri la tormentavano mentre la macchina correva veloce nella campagna in direzione dell’aeroporto di Fiumicino…

Intanto Maria, nel suo appartamento, non riusciva a stare ferma. Si sedeva in salotto, poi si alzava e andava in cucina a farsi una tisana, poi si metteva di nuovo in poltrona, sempre con lo sguardo rivolto all’apparecchio telefonico che non suonava mai. Aspettava che Fred o addirittura sua figlia si facessero vivi, ma le ore passavano senza nessuna novità. Gli avvenimenti di quella giornata erano stati talmente straordinari che le sembrava di vivere in un sogno. Era vero che Fred era tornato? Era vero che Elisa era coinvolta in quell’assurdo pasticcio del quadro falso?  la luce del giorno si affievoliva e lei era ancora lì ad aspettare non sapeva nemmeno che cosa.
A un tratto il campanello della porta la fece sobbalzare. Si precipitò all’uscio e guardò dallo spioncino: un uomo di mezza età, robusto, vestito di blu era dietro la porta. La donna si mise in allarme: “Chi è?”, esclamò sospettosa.
“Non abbia paura, signora, sono un tassista”, rispose lo sconosciuto.
“Non ho chiamato nessun taxi”, affermò lei sempre più agitata.
“Le porto notizie del professor Adams”, disse ancora lui.
A quelle parole Maria aprì:
“Cosa è successo? Dov’è il professore?”, chiese con ansia.
L’uomo, sempre rimanendo sul pianerottolo le spiegò come erano andate le cose:
 “Il professore mi ha detto che se non fosse tornato entro mezz’ora dovevo farle avere questo”, disse l’uomo porgendole un foglietto.
Maria lesse concitatamente quello che c’era scritto: “Sto seguendo Elisa, sono in un capannone alla periferia, fatti dire dal tassista l’indirizzo…poi vai alla polizia. Fred”.
Con il biglietto fra le mani Maria non sapeva cosa fare, sospettava che tutta quella faccenda fosse un intrigo che in quel momento lei non sapeva spiegare.
“E’ tutto vero, signora, il mio cliente è entrato là dentro e non è più uscito, poi ho visto una macchina partire con tre persone a bordo”, l’uomo che aveva davanti sembrava sincero, Maria doveva prendere una decisione al più presto:
“Mi aspetti”, disse improvvisamente, “vengo con lei, andiamo al commissariato”.
In quell’istante il telefono squillò: la voce che sentì le fece battere il cuore.
“Elisa”, esclamò abbandonandosi su una poltrona.
“Mamma, sto partendo, io sto bene…non ti preoccupare, ti telefono appena posso…”, le frasi smozzicate della ragazza facevano pensare che fosse in compagnia di qualcuno.
“Non staccare la comunicazione, ti prego…dimmi dove vai e cosa ti sta succedendo…”, gridò. Ma la conversazione era stata interrotta.
Maria si precipitò fuori accompagnata dall’uomo che la guardava preoccupato: quella signora era talmente agitata che poteva sentisi male da un momento all’altro…

Il commissario Loiacono stava seguendo pazientemente il racconto di quella bella donna con gli occhi lucidi che stava davanti a lui da parecchi minuti. Mentre l’ascoltava l’osservava compiaciuto,  Maria era il tipo di donna per la quale avrebbe fatto follie…bruna, con la pelle ambrata e gli occhi neri, focosi. Però, forse perché si era distratto, forse perché lei parlava in modo concitato, aveva capito ben poco di ciò che gli era stato detto.
“Ricapitoliamo”, l’interruppe ad un certo punto, “un certo professor Adams è stato sequestrato in un capannone …non si sa da chi e perché”, affermò infine per cercare di mettere un punto fermo in tutta quella faccenda.
“Proprio così…però, commissario non perdiamo tempo, le spiegherò meglio dopo… la prego, mandi qualcuno a vedere…non so cosa gli sia successo”, lo scongiurò Maria con tutta la grazia di cui era capace. Aveva capito, da come il poliziotto la guardava, di essergli simpatica e cercava di sfruttare l’occasione.
“Farò come dice lei ma…questo Adams cos’è per lei?…”, chiese curioso Loiacono.
“Un caro amico e…forse di più”, rispose la donna con un piccolo sorriso.
Il commissario si lasciò commuovere:
“Va bene…andiamo a vedere “, disse infine.
Poco dopo la macchina della polizia sfrecciò lungo la città a sirene spiegate.
 
 Fred aprì gli occhi, e si accorse di essere sdraiato sul pavimento polveroso, che ci faceva lì?…non ricordava nulla…lo sguardo vagò smarrito per tutto l’ambiente, sopra di lui l’alto soffitto pieno di ragnatele gli dava un senso di nausea, si toccò con la mano la testa che gli faceva male. Quando la ritrasse si accorse che era piena di sangue, fece un tentativo di alzarsi ma non ci riuscì…era debole e intontito. Con uno sforzo cercò di ricordare. Le cose intorno a lui non gli dicevano niente, quel luogo gli era completamente sconosciuto. Chiuse di nuovo le palpebre e sforzò la memoria fino a sentire un cerchio attorno alla testa. Poi, lentamente dal profondo dell’inconscio qualcosa cominciò a riaffiorare, la prima cosa che ricordò fu Elisa…c’erano due persone con lei…infatti come se un velo si fosse improvvisamente squarciato il volto dei due uomini gli apparve chiaro e da quel momento ricordò tutto. Se ne erano andati e avevano portato con loro il quadro autentico, aveva sentito che dovevano consegnarlo a un compratore a Berlino…non c’era tempo da perdere…non sapeva ancora come, ma doveva fermarli. Si alzò con fatica e si appoggiò a una sedia, il sangue continuava a scendere dalla ferita ancora aperta, raggiunse la porta e girò la maniglia, ma si accorse che era chiuso dentro.  Non si perse d’animo cercò in quella specie di sgabuzzino qualcosa che servisse a forzare la serratura: trovò un arnese appuntito e provò ancora ad aprire. Dopo molti sforzi dovette desistere, non ci riusciva; si sedette  per terra…dopo pochi minuti sentì il cigolio del portone di ferro: qualcuno stava entrando. “Finalmente…”, pensò, “il tassista ha avvertito Maria…”. Si rialzò e si preparò mentalmente a uscire; qualcuno aprì la porta ma la sorpresa non fu proprio piacevole. Davanti a lui, con una rivoltella in mano c’era il boss, quello che aveva dato gli ordini ai due ragazzi che se n’erano andati.
“Eccomi professore, cosa credevi che ti lasciassi qua dentro con il pericolo che qualcuno ti trovasse?  “, sibilò, “ adesso vieni con me …sbrigati!”. Con un gesto imperioso della mano agitò la pistola e si fece da parte per lasciarlo passare.
Fred si rese conto che c’era poco da fare, doveva ubbidire a quell’uomo che aveva dei buoni argomenti a suo vantaggio; gli passò davanti e l’altro lo seguì sempre con l’arma puntata dietro le spalle. Si inoltrarono nel grande spazio del capannone, il portone era ancora lontano, il professore fece finta di inciampare e cadde a terra. L’altro si lasciò sfuggire un’imprecazione, lo prese per la manica e tentò di rialzarlo, Fred si voltò e gli si aggrappò alle ginocchia facendolo cadere… con tutta la sua forza lo tempestò di pugni…dalla pistola uscì improvvisamente un proiettile, Fred rimase a terra raggomitolato su se stesso…
In quel momento la porta del capannone si spalancò e il commissario Loiacono si trovò di fronte a quella scena da film. “Aveva ragione la signora”, borbottò, “è più grave di quello che pensassi”. Mettendo in pratica la sua esperienza cominciò immediatamente a impartire ordini.
I poliziotti si gettarono sull’uomo che tentava di scappare, il commissario si avvicinò a Fred che era per terra dolorante: “ Lei è il professor Adams?”, chiese chinandosi sopra di lui. Il ferito annuì con un cenno del capo. “Presto, chiamate un’ambulanza”, ordinò Loiacono rendendosi conto che il ferito era in gravi condizioni. Quando gli infermieri arrivarono Fred aveva perso conoscenza.
( continua)
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

domenica 11 dicembre 2016

RITORNO AL PASSATO - seconda puntata


 

 

 

 Durante il lungo viaggio ebbe tempo di ripensare ai giorni trascorsi, conoscere Elisa l’aveva turbato, sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiata. Da tutti era considerato l’integerrimo professor Adams di principi severi che mai avrebbe preso in considerazione una sbandata per una ragazza che poteva essere sua figlia,  era meravigliato di se stesso ma sapeva di aver fatto la cosa giusta per  non essersi lasciato catturare dalla forte attrazione che provava per lei, poiché era sicuro che se ne sarebbe pentito.

 

 A Los Angeles l’aspettava Margaret, alla quale era legato da tempo e che aveva pressappoco la sua età. Margaret gli voleva bene e lui le era affezionato accontentandosi di un legame che non aveva nulla di scoppiettante, era una relazione tranquilla tra due persone che si capiscono e che stanno bene insieme. Con lei aveva anche rapporti di lavoro poiché era la maggior azionista della casa d’arte Malwin Corporation per la quale di tanto in tanto lavorava e per la quale, a Perugia, aveva acquistato il dipinto messo all’asta. Sull’aereo ogni tanto controllava che il bagaglio fosse al suo posto, e si rassicurava vedendo la preziosa borsa nera.

Arrivò a destinazione frastornato per le lunghe ore di volo e per lo strano stato d’animo nel quale era invischiato da quando aveva salutato Elisa: non voleva pensare a lei, si voleva convincere che era stato solo un incontro fugace e casuale, ma non ci riusciva. Gli occhi neri lucidi e la zazzeretta spettinata gli tornavano sempre in mente. Solo per il fatto che gli ricordava  Maria provava per lei un trasporto particolare. Margaret l’aspettava all’aeroporto, gli fece cenno con una mano appena lo scorse fra i passeggeri sbarcati dal volo Alitalia. Rivederla lo portò immediatamente alla realtà: i sogni erano finiti e quella era la sua vita.

“Hai fatto buon viaggio?....ti trovo un po’ giù di tono”, disse lei osservandolo con attenzione.

“Sono stanco”, rispose Fred “non vedo l’ora di farmi una doccia…andiamo a casa”.

Margaret era una donna attraente: alta, bionda, molto curata nel vestire e nell’aspetto. Massaggi e creme avevano contribuito a conservarle la bellezza, anche se si avviava verso la cinquantina. Portava un tailleur blu di un noto stilista italiano,  gli accessori, dalle scarpe alla borsa di nappa, erano perfetti: era la classica donna americana sempre a posto in ogni occasione.

 Fred l’aveva conosciuta dopo il divorzio da Grace, la delusione subita dal matrimonio andato in fumo per colpa del carattere instabile della moglie, l’aveva indirizzato verso quella donna che gli dava sicurezza per il suo modo di fare molto attaccato alla realtà e in quel periodo lui aveva bisogno di certezze.

In seguito era nato un affetto solido, anche se a volte avrebbe voluto da lei un po’ più di tenerezza.

Anche il quel momento, Margaret non si lasciò andare a effusioni che considerava superflue, passò subito all’argomento che la interessava:  

“Bravo…sei riuscito a spuntarla, quel quadro ci porterà un notevole guadagno, c’è già chi è disposto ad acquistarlo”, disse compiaciuta. “E’ qui dentro, vero?”, aggiunse accennando alla piccola valigia che Fred teneva saldamente in mano.

“Stai tranquilla…è andato tutto alla perfezione, se vuoi andiamo subito a depositarlo nella cassaforte dello studio, prima di rincasare”, la rassicurò lui.

Quando il professor Adams si accinse a fare scattare le serrature le mani gli tremavano, accanto a lui Margaret emozionata aspettava di ammirare il dipinto di Piero della Francesca.

 Inspiegabilmente il congegno non si aprì, per quanti sforzi facesse non riuscì a far girare la chiave.

“Deve essersi bloccato…”, borbottò Fred mentre tentava in tutti i modi di sollevare quel benedetto coperchio. La donna non si scompose, chiamò la segretaria: “Faccia venire un esperto per aprire questa valigia”, comandò. Poco dopo un giovanotto compì il miracolo e finalmente la serratura si sbloccò.

La tela era adagiata sul fondo, Fred la prese e la mostrò alla donna:
“Che emozione”, disse lei, “questo dipinto ha più di seicento anni…guarda, i colori sono rimasti quasi intatti”, si avvicinò per guardare meglio. Qualcosa attrasse la sua attenzione: posò un dito e, leggermente, lo fece scorrere sulla superficie del quadro.

“Sei certo che sia autentico?”; chiese dubbiosa.

“Vuoi scherzare? Ho con me tutte le garanzie della casa d’aste, puoi essere sicura che è quello vero”, rispose Fred contrariato.

“Chiama subito mister Johnson, voglio una perizia immediata”, ribatté Margaret decisa.

Il professore la guardò sorpreso, quando faceva così non la poteva sopportare:
“Non dirai sul serio…io sono sicuro di ciò che ho acquistato. La casa d’aste è una delle più serie in campo internazionale e mai si presterebbe a un raggiro…gli esperti che lavorano per loro sono abituati a trattare quadri di questo genere ed è impossibile che sbaglino…credimi Margaret, hai davanti a te un originale, non capisco come mai ti sia venuto questo dubbio !”

 Preso dalla discussione Fred era diventato rosso non aveva dubbi: il quadro acquistato a Perugia era stato dipinto da Piero della Francesca intorno alla metà del quattrocento, avrebbe scommesso la vita, anche lui era un esperto ed era difficile imbrogliarlo. Dopo tanti anni passati fra le opere d’arte non gli era mai capitato di sbagliare.  

Margaret era cocciuta, quando si metteva in testa qualcosa era difficile che tornasse indietro. Prese il telefono e si accinse a chiamare il perito.

 Fred le mise una mano sul braccio:

“Fermati”, le disse con la voce dura, “stai facendo un errore”.

 La donna lo guardò dritto negli occhi:

“Lasciami fare, cosa ci costa chiedere un consiglio a chi se ne intende più di noi…”, affermò decisa. Con un gesto secco si liberò della stretta di Fred e compose il numero.

Mister Johnson, strappato all’abitudine quotidiana di fare una piccola siesta, accettò malvolentieri di recarsi allo studio di Margaret. Quando fu in presenza del quadro, si volse verso il professore:


“Questo è autentico”, disse sicuro.

 Fred lanciò un’occhiata di soddisfazione verso la sua compagna:

“Hai visto?”, disse compiaciuto.

“Non sono convinta”, rispose lei, “desidero che mister Johnson faccia una perizia come si deve”, aggiunse con un tono che non ammetteva replica.

“Cosa le fa pensare che questo sia una copia ?”, replicò il perito avvicinandosi al quadro e osservandolo con attenzione.

“E’ una strana sensazione, al tatto la vernice risulta troppo morbida…”, sussurrò Margaret .

“Va bene, l’accontento, porto il quadro in laboratorio poi le comunicherò il risultato della perizia. Devo osservare la tela al microscopio, se si tratta di un falso me ne accorgerò…eppure i colori hanno la luminosità di quel genio e il viso della Madonna ha i tratti inconfondibili …”, rispose assorto Johnson, “se fosse un falso chi l’ha fatto è a sua volta un grande pittore”, concluse.

Il perito d’arte  se ne andò portando con sé il quadro. Fra Fred e Margaret si era instaurata una atmosfera fredda,  lui non ammetteva che la sua donna l’avesse trattato come un incompetente.

Tornarono a casa in silenzio, nessuno dei due voleva fare la prima mossa per riprendere i contatti, così la serata trascorse in modo molto formale, cenarono raccontandosi reciprocamente come avevano trascorso i giorni di lontananza, ma non toccarono mai l’argomento tabù per non degenerare in discussioni.

 Il giorno dopo, il verdetto del perito mise fine ai dubbi: il quadro acquistato da Fred a Perugia non era di Piero della Francesca ma di un abilissimo falsario.

Il professor Adams si sentì sprofondare, essere caduto in questo raggiro lo faceva sentire una nullità. Si mise subito in contatto con la casa d’aste dove aveva acquistato il dipinto:

“Lei professore può fare qualsiasi perizia e chiamare chi vuole,  noi rispondiamo di quello che abbiamo venduto al cento per cento. Non abbiamo assolutamente paura delle le sue azioni legali, lei venga qui, porti con sé la tela e le dimostreremo che sta prendendo un grande granchio”, fu la secca risposta che ebbe Fred da un tale indignato che lo minacciava di diffamazione.

Margaret gongolava, quello che aveva scoperto mister Johnson le aveva dato ragione, il suo carattere rigido la portava a essere fredda nei confronti di Fred che, secondo la sua etica professionale, non avrebbe dovuto cadere nel terribile equivoco che le aveva fatto perdere milioni di dollari.

 Non riusciva a scusarlo “ a me non sarebbe successo, infatti me ne sono accorta subito…” era la frase preferita pronunciata almeno una volta al giorno, con acredine. Fred non dormiva più, si sentiva responsabile, ma anche gli sembrava impossibile aver portato a casa una crosta, ricordava quando aveva esaminato il piccolo dipinto, di averlo guardato in tutti i minimi particolari, con l’apparecchiatura necessaria in queste occasioni. Il quadro poi proveniva dalla collezione privata di una persona la cui serietà e onestà erano al di sopra di ogni sospetto. Anche il certificato di autenticità rilasciatogli dopo l’acquisto era una prova tangibile che tutto era nella regolarità.

“Non mi resta che tornare in Italia”, disse a Margaret, “parto domani non c’è tempo da perdere”, affermò accingendosi a buttare in valigia nervosamente qualche indumento.

Scese dall’aereo al tramonto, e non poté fare a meno di pensare a Elisa, alla serata trascorsa con lei nell’atmosfera incantata del castello immerso nel verde. Si recò in albergo e telefonò immediatamente al signor Alberti, il proprietario della galleria per avere un appuntamento per l’indomani.

Cenò a un tavolo appartato, mangiò senza appetito, poi uscì per distrarsi, non voleva pensare ai suoi guai. L’aria era tiepida e invogliava a passeggiare, indugiò a guardare i negozi già chiusi ma che mantenevano illuminate le loro vetrine, mentre camminava distrattamente  gli sembrò di scorgere dall’altro lato della strada una figura femminile inconfondibile:
“Elisa”, gridò. La donna si voltò e non rispose. Non era Elisa, ma qualcuna che le assomigliava in modo incredibile, più avanti con gli anni, ma con lo stesso portamento e lo stesso modo di muoversi di Elisa.

A quel punto Fred non ebbe esitazioni: “Maria… quella donna è senz’altro Maria”, pensò. Attraversò di corsa per raggiungerla, ma la donna era entrata in un portone che aveva chiuso in fretta dietro di sé. Ritornò sui suoi passi turbato, forse non era lei, probabilmente era sempre quel desiderio, quando si trovava a Perugia, di ritrovare i sogni del passato. Forse per questo aveva voluto vedere le somiglianze fra Elisa e Maria e si era illuso, per una sera, di tornare indietro nel tempo.

Rientrò in hotel e cercò di mettersi a letto, sapeva però che non avrebbe dormito: l’aspettava per il giorno dopo una battaglia che sarebbe stata molto difficile da combattere. Non sapeva a cosa andava incontro: sperava di sentirsi dire che il quadro era autentico e che mister Johnson si era sbagliato, così avrebbe riconquistato la fiducia in se stesso e avrebbe avuto la soddisfazione di tornare da Margaret a testa alta, in caso contrario la sua vita professionale sarebbe stata distrutta per lo scandalo internazionale che ne sarebbe scaturito.

 Quando si alzò aveva gli occhi gonfi per la veglia notturna. La galleria d’arte era a pochi passi dall’albergo nel quale alloggiava; Fred s’incamminò stringendo saldamente in mano la piccola valigia. Entrò nel locale e chiese del signor Alberti, il proprietario.

“Ha fatto bene a tornare subito, professor Adams”, disse senza tanti preamboli l’uomo. “Venga con me, ho convocato i nostri esperti, così potremo risolvere insieme i suoi problemi….che restano solo suoi, perché da parte nostra siamo perfettamente tranquilli”, concluse seccato. In un’altra sala erano presenti due persone, che salutarono Fred solo con un cenno del capo.

“Vediamo l’oggetto della discordia”, continuò sempre molto rigido Alberti.

Fred tolse dall’involucro la tela che consegnò a un tipo con gli occhiali. L’uomo l’osservò con attenzione  usando una lente d’ingrandimento: l’espressione del suo viso era impenetrabile, i presenti pendevano letteralmente dalle sue labbra. Il silenzio nella sala era pesante, i minuti sembravano interminabili; imperturbabile il perito si accinse a esaminare il retro, voltò il quadro e scosse la testa:
“Questa tela non è stata battuta nella nostra asta, noi non ne rispondiamo, non è quella che lei ha portato via di qui”, disse sicuro volgendo lo sguardo verso Fred che lo guardava attonito.

“Non è possibile…”, questi mormorò esterrefatto.

“Vede, non c’è il nostro timbro che mettiamo sempre quando consegniamo il quadro all’acquirente”, nel dire questo mostrò al professore il retro di un quadro da poco venduto.

“Allora quello cos’è?”, disse indicando il dipinto che era ancora nelle mani dell’esperto.

“Una copia perfetta…”, rispose subito l’uomo, “avrebbe tratto in inganno molte persone, ma noi ci cauteliamo appunto in questo modo per non incorrere in incidenti spiacevoli come il suo”, concluse sbrigativamente allungando una mano per salutare il professor Adams che era rimasto immobile, impietrito, pallido come di chi sta per sentirsi male. Chiese un bicchier d’acqua che trangugiò a occhi chiusi.

Il signor Alberti si avvicinò sorridendo:

“Ero sicuro che avremmo fatto piena luce su questo spiacevole equivoco”, disse “ora mi domando chi ha sostituito la tela, lei deve fare uno sforzo per ricordare le mosse che ha fatto quel giorno, uscendo da qui”.

Fred  cercò di riprendersi e di rispondere con un tono il più calmo possibile. Si mise una mano sulla fronte: “Devo fermarmi a pensare, mi ricordo però di essere andato direttamente all’aeroporto …ho preso un taxi che mi ha portato a destinazione, la valigia l’avevo con me e non l’ho lasciata un solo istante prima di imbarcarmi”, disse a fatica. In quell’istante gli tornò alla mente il momento in cui aveva salutato Elisa. Aveva appoggiato il bagaglio per terra per abbracciarla. Qualcuno di mano lesta avrebbe potuto sostituirlo…

“Scusatemi, devo andare a cercare una persona”, affermò concitato e, fra lo stupore dei presenti, si precipitò fuori senza salutare nessuno.  

Uscì con la testa confusa ma aveva la sensazione che la giovane pittrice fosse coinvolta in tutta quell'oscura faccenda: doveva ritrovarla e parlarle per guardarla negli occhi e sapere se lei conosceva la verità. Era determinato a non andarsene dall’Italia prima di scoprire chi l’aveva raggirato.

Cercò di ricordarsi dov’era la chiesa nella quale l’aveva conosciuta, si rammentò che qualcuno dell’albergo, forse il portiere, gli aveva consigliato di andarla a visitare per i preziosi affreschi sulle pareti. Camminava a passi lunghi, in preda all’ansia e, dopo aver girato per una buona mezz’ora,  riconobbe con sollievo il rosone frontale della chiesa. Entrò e si diresse senza alcuna esitazione verso un’impalcatura che si intravvedeva nella navata di destra, avanzò deciso lungo il corridoio buio, arrivato sotto il ponteggio, alzò il capo e vide una donna intenta a dipingere:
“Elisa”, la sua voce, nel silenzio, anche se smorzata arrivò fin su in cima, la donna si voltò: non era Elisa.

“Sono Chiara,” rispose dall’alto, “Elisa non viene più…”.

“Sa dove posso trovarla?”, chiese ancora Fred.

“Mi dispiace, io non la conosco, ho preso il suo posto, ma non ho mai avuto il piacere d’incontrarla…so che è molto brava…se vuole avere notizie può rivolgersi in sagrestia”, disse gentilmente la ragazza prima di volgere le spalle a Fred.

Il professore deluso, si recò da Padre Francesco. Il frate, un giovane con una lunga barba bionda, chiese avvicinandosi:

“Posso esserle utile?”

Fred rimase un attimo perplesso, forse quel frate non gli avrebbe detto dove trovare Elisa, forse stava perdendo tempo, ma si decise a parlare:

“ Sto cercando la pittrice che qualche settimana fa stava eseguendo dei restauri nella vostra chiesa: si chiama Elisa…”, disse.

Il frate lo guardò scuotendo la testa:

“Mi dispiace”, disse poi, “non sono in grado di risponderle, padre Giovanni che si occupava di queste cose non c’è, è andato via per qualche mese, io lo sostituisco ma…non so chi c’era prima della signorina Chiara”, affermò dispiaciuto.

Quando il professor Adams uscì dalla chiesa era avvilito: avrebbe dovuto ricominciare le ricerche da principio, dove trovare Elisa?  di lei non sapeva nulla, né il cognome, né dove abitasse: era stato un incontro così bello che, di proposito aveva voluto rimuovere per non rischiare di essere coinvolto sentimentalmente, si sarebbe sentito in colpa verso Margaret e verso se stesso, ma ora se ne pentiva; avrebbe dovuto chiederle di più.

Ma quello che stava vivendo era talmente assurdo che non si diede per vinto, decise di tornare nel  ristorante, dove avevano cenato quella sera: anche lì Elisa aveva lavorato e certamente si ricordavano di lei. Con taxi si fece portare in collina, fra i boschi, nel luogo incantato dove avevano cenato insieme

.Il castello medievale, visto di giorno era meno suggestivo, forse anche perché Fred era meno disposto ai sentimentalismi. Entrò e chiese del proprietario; un uomo alto e magro gli venne incontro:

“Desidera?”, chiese sospettoso. Fred fece la domanda che gli premeva:
“Vorrei avere notizie di Elisa”, disse senza tanti preamboli.

“Lei chi è?”, replicò l’altro.

“Un suo amico”, rispose Fred, poi si fece più discorsivo, aveva capito che era partito con un atteggiamento che poteva dar luogo a equivoci. “Sono venuto qui a cena con lei, qualche tempo fa, e vorrei rivederla….sa, io mi intendo di arte e vorrei proporle un lavoro…visto che questi quadri sono opera sua ritengo che Elisa abbia del talento…”, concluse cercando di dare alla sua espressione qualcosa che assomigliasse ad un sorriso.

L’uomo che aveva davanti perse l’aria di sospetto e divenne più malleabile.

“Purtroppo la conosco molto poco, da quando ha lavorato per me l’ho vista solo una volta, era venuta al ristorante in compagnia di un uomo”, rispose.

“Probabilmente quell’uomo ero io”, si affrettò a dire Fred, “…le sarei grato se potesse dirmi dove posso rintracciarla”, concluse.

“Aspetti…forse posso fare qualcosa per lei, lavora qui un tale che penso sia suo amico, erano sempre insieme quando portavano i quadri”, il suo interlocutore si voltò e chiamò un cameriere, “chiedi a Fabio di venire…questo signore ha bisogno di parlargli”, disse.

Poco dopo un giovane vestito con jeans e maglietta si presentò, Fred riconobbe in lui il ragazzo che aveva salutato Elisa la sera in cui erano a cena in quel ristorante: la cicatrice che gli attraversava la guancia era inconfondibile. Il professore si mise subito all’erta: forse aveva trovato la strada giusta. Ma appena il nuovo venuto sentì il nome di Elisa si irrigidì:

“E’ partita…e non so dove è andata”, rispose frettolosamente. “Mi dispiace, non posso dirle di più”, fece per allontanarsi, ma Fred lo fermò:

 “E’ una cosa molto importante”, gli disse cercando di catturare il suo sguardo sfuggente, ma l’altro scosse la testa.

“Le assicuro che non so nulla…sta perdendo il suo tempo, adesso, mi scusi, devo lasciarla”, fece una specie di smorfia arricciando la bocca, poi se ne andò.

“Speravo di esserle utile”, disse il padrone del ristorante rivolto a Fred che era rimasto silenzioso, sul suo viso si leggeva l’evidente delusione.

Tornò al taxi che  lo stava aspettando fuori, l’autista capì che non era il caso di intavolare una conversazione , e in silenzio, fece la strada di ritorno.

La sera Margaret, in albergo, lo chiamò:

“Hai parlato con quelli della galleria?”, chiese subito senza nemmeno chiedergli come stava. Lui non si meravigliò: la conosceva molto bene. Era come se la vedesse: sdraiata sul divano, con la sigaretta tra le dita, avvolta nella vestaglia di seta bianca, impeccabile, ordinata, sempre presente a se stessa e sempre molto attenta ai suoi interessi. Molto pacatamente le raccontò ciò che era successo, l’esclamazione di Margaret gli trapassò un timpano:

“Hai visto che avevo ragione? …e adesso cosa fai?…Sicuramente hanno sostituito la valigia e tu non te ne sei nemmeno accorto…”, gli strilli che uscivano dal telefono lo innervosirono. 

“Adesso smettila…”, disse perentorio, “riavrai la tua tela, così non avrai perso i soldi…sono quelli che ti preoccupano, non è vero?”.

Non volle sentire quello che rispondeva lei, nervosamente interruppe la conversazione. Il telefono squillò ancora,  ma Fred lo ignorò, non aveva voglia di sentire altre parole sgradevoli, era già abbastanza di malumore.

 Aveva promesso a Margaret, in un momento di rabbia, la restituzione del dipinto…si prese la testa fra le mani: come avrebbe potuto mantenere se brancolava nel buio e non aveva niente cui aggrapparsi? La tenue speranza che Elisa sapesse qualcosa stava svanendo, se non fosse stato in grado di ritrovarla anche quella pista sarebbe risultata vana.

Non riuscì nemmeno a coricarsi, si affacciò alla finestra, la notte era chiara e il cielo stellato, la città addormentata, ricca d’arte e di cultura, gli diede un senso di pace; qualche finestra illuminata testimoniava che anche qualcun altro in quel momento vegliava. Da quella posizione si dominava la pianura ombrosa punteggiata da luci come un presepio, Fred lasciò spaziare lo sguardo cercando di pensare ad altro, ma era molto difficile estraniarsi dalla situazione drammatica che stava vivendo. Trascorse la notte in bianco, passeggiava per la suite pensando continuamente a quello che era meglio fare: andare a denunciare l’accaduto? Cercare ancora di trovare Elisa? Arrivò il mattino e le domande non avevano ancora una risposta. Si buttò sul letto distrutto e quando l’alba tingeva di rosa il cielo, si assopì.        

Lo svegliò, verso le dieci, il gracchiare del telefono sul comodino, si sollevò con fatica e afferrò la cornetta:

“Cosa c’è?”, farfugliò con la voce impastata dal sonno.

“Professore, ho un messaggio per lei…posso mandarglielo in camera?”, disse cerimonioso il portiere della reception.

Poco dopo sentì bussare alla porta e una cameriera gli consegnò una busta:

 “Mister Adams? Questa è per lei”.

Fred la rigirò fra le dita, oltre al suo nome non c’era altro. L’aprì. Un biglietto conteneva una sola frase: “Telefonami”, un numero e una firma: Maria.

Era la sua Maria? Una moltitudine di sensazioni lo pervase: il ricordo dolcissimo dell’amore di un tempo, la gioia di averla ritrovata proprio in quel momento drammatico della sua vita in cui aveva bisogno di sentire vicino qualcuno. Compose il numero e disse “pronto” con la voce incerta.

      
                                                                                                                       (continua)