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sabato 26 settembre 2015

L'ORCHIDEA NERA - Seconda puntata

SECONDA PUNTATA


"Veramente mi aveva parlato di lavori domestici, ma forse non sono ancora in grado…e ha ragione lui. A casa sua potrò curarmi e guarire”, borbottò lei fra sé e sé.
“Comunque non ti lascerò sola…verrò a controllare che tutto proceda per il meglio”.
Zaira si chiedeva se l’interessamento del capitano fosse soltanto per dovere oppure se, come stava capitando a lei, ci fosse qualcosa di più. Quel giovane in divisa l’aveva colpita fin dal primo momento, aveva sentito per lui un’attrazione mai provata con altri; forse per i suoi modi gentili, o perché aveva gli occhi chiari, sinceri e un sorriso particolare.   
“Grazie…perché fai tutto questo per me?”, domandò .
Vito non rispose, le prese le mani e rimase così per un attimo, che a lei sembrò lunghissimo:
“Ho paura di essermi innamorato di te”, sussurrò facendo scorrere lo sguardo sul suo viso.
Zaira abbassò gli occhi:
"…mi è successa la stessa cosa”, sussurrò., " sei quello che ho sempre cercato”.
In quel momento i due giovani vissero la magia dell’incontro di due anime che si erano ritrovate.
Vito si scosse dal turbamento che l’aveva preso, era così felice di sapere che il suo sentimento era ricambiato che abbracciò Zaira sotto lo sguardo stupito della donna che condivideva la camera della ragazza. Rimasero così uniti assaporando il piacere di sentire i loro corpi vicini. Quando si sciolsero avevano ambedue gli occhi lucidi:
“Ti rivedrò presto, ho bisogno di stare con te, di conoscerti, di parlarti”, mormorò lui
 Si batté una mano sulla fronte:
“Ah, dimenticavo, ti ho portato qualcosa da metterti addosso…quando sei arrivata eri fradicia e penso che quel vestitino azzurro ormai sia rovinato”, scherzò.
 Trasse da una borsa un paio di jeans, una maglietta e un pullover.
Zaira prese gli indumenti e se li appoggiò al corpo:
 “Penso proprio che mi vadano bene…grazie, avrei dovuto uscire con il camice bianco”, alzò lo sguardo su Vito, “ho avuto una bella fortuna ad incontrarti!”, esclamò, “ormai sei diventato il mio angelo custode”.
Si lasciarono poco dopo, ognuno di loro era felice, pensavano solo al momento in cui si sarebbero rivisti.
Il dottor Giannini abitava in una villetta a schiera  alla periferia della città, di stile mediterraneo, bianca con un piccolo giardino antistante. Zaira scese dall’auto, si fermò a guardare e pensò che poteva dirsi fortunata. La moglie del dottore l’aspettava sulla porta. Era una donna ossuta, con il viso segnato, era difficile darle un’età , le borse sotto gli occhi e le rughe sulla fronte la facevano sembrare vecchia.
“Sei tu Zaira?”, chiese squadrandola da capo a piedi, “Non sembri una negra, sei molto bella”, disse ancora., “ capisco perché mio marito ti ha portata a casa….”.

 Il tono della donna era sprezzante, la giovane somala si sentì umiliata, stava per rispondere quando il dottor Giannini sopraggiunse:
“Vieni, mettiti a tuo agio….Marisa, falle vedere dove si sistemerà”, ordinò rivolto alla moglie che aveva cambiato atteggiamento non appena l’aveva visto arrivare.

Entrarono, Zaira stupita dal lusso che la circondava era intimidita. Attraversarono il salone arredato con grandi divani e morbidi tappeti persiani, sui mobili d’epoca brillavano le argenterie messe in bella mostra, salirono la scala a chiocciola che portava alla mansarda.
“Ecco, tu starai qui”, disse Marisa, “spero sia di tuo gusto”, nella sua voce c’era un tono canzonatorio che non sfuggì alla ragazza. Si guardò intorno e pensò che era una sistemazione decorosa: nell’angolo della stanza un lettino, appoggiato alla parete un armadio un po’ rovinato, ma decente, un piccolo bagno era annesso al locale.
“Va benissimo”, rispose .
“Ora ti lasciamo, ti ho messo degli abiti e un po’ di biancheria. Dopo ti dirò cosa devi fare”, aggiunse la donna che la stava guardando insistentemente.
 Rimasta sola Zaira si sedette sul letto a pensare: era contenta di avere un lavoro, si riprometteva di mettercela tutta per cercare di accaparrarsi la simpatia della signora Giannini che sentiva ostile.
Si riposò  poi scese la scala: marito e moglie erano seduti sul divano e stavano prendendo l’aperitivo, due bambini giocavano sul tappeto. La donna si alzò:
 “Ti faccio vedere la casa, così potrai renderti conto di cosa dovrai fare. Tutte le mattine pulirai i pavimenti, una volta alla settimana i vetri….ti insegnerò a fare la lavatrice, poi dovrai stirare…”.
“Scusi”, l’interruppe timidamente Zaira, “il dottore mi aveva detto che avrei dovuto fare compagnia a sua madre..”.
“Tua madre?…è morta due anni fa”, esclamò la donna rivolta al marito, “cosa le hai fatto credere? “
 Il dottore, imbarazzato, arrossì leggermente:
“Sì…quel capitano mi dava sui nervi e, per portarti con me ho detto una piccola bugia …avevo promesso a mia moglie che le avrei dato un aiuto…”, si scusò disorientato cercando di captare lo sguardo di Marisa per farsi perdonare.

Zaira lo guardò perplessa, aspettò un poco prima di rispondere: le venne in mente la miseria dalla quale era fuggita e pensò che in fin dei conti ogni lavoro aveva la sua dignità, purché fosse onesto.
“Non importa, va bene così…se la signora m’insegnerà imparerò presto”, rispose umilmente. C’era soprattutto la certezza che, se avesse avuto delle difficoltà, Vito l’avrebbe aiutata.
. L’incontrò pochi giorni dopo: l’aspettava sulla strada, davanti al cancello, lei gli corse incontro:
“Finalmente…non ne potevo più di vederti”, gli disse buttandogli le braccia al collo.

Lui era in borghese, indossava blue-jeans stinti e un maglioncino celeste, come il colore dei suoi occhi. 
“Fatti guardare…sei sempre bella, ma…c’è qualcosa che non va”, esclamò osservandola da capo a piedi, “chi ti ha dato questo vestituccio ?”, chiese.
“La signora…non avevo altro, e ho dovuto metterlo…”, rispose guardandosi addosso: era un vecchio abito fuorimoda, senza nessuna pretesa di eleganza.
“Vieni…andiamo a comprare qualcosa di meglio”, propose Vito.
Nella boutique dove entrarono la commessa li guardò con curiosità:
“Posso esservi utile?”, domandò esaminando Zaira da capo a piedi.
 Vito scelse qualcosa di suo gusto:
“Prova questo”, propose: era un tailleur pantalone-bianco da indossare sopra un top nero.    
 “No…è troppo elegante”, si schermì lei.
“Fammi solo vedere come ti sta…poi prenderemo anche qualcosa di più pratico”, insistette Vito.
Quando la giovane somala uscì dalla cabina di prova il capitano ebbe un soprassalto: non aveva mai visto nessuna donna indossare qualcosa con tanta eleganza. Sul suo corpo quell’abito di serie acquistava uno stile particolare.
Rimase ad ammirarla sempre più stregato dalla sua bellezza.
 Usciti dal negozio passeggiarono a lungo, si dissero molte cose…stavano bene insieme e il tempo che Zaira aveva a disposizione passò troppo in fretta.
 Cominciò così la loro storia: si incontravano una volta alla settimana e in quelle poche ore capirono che fra di loro stava nascendo un amore prorompente che non si accontentava di parole…avevano bisogno di stare soli, per dare sfogo alla passione che li stava travolgendo.
Una sera, dopo un bacio rubato su una panchina, Vito le chiese di andare da lui…lei tacque, ma nei suoi occhi carichi di desiderio Vito colse la risposta. Così, nel piccolo appartamento, si amarono come era già scritto nel loro destino fin dal primo momento in cui si erano incontrati.
Zaira si stirò pigramente e guardò fuori, vide che stava imbrunendo:
“Devo andare…la signora mi ha dato solo due ore di permesso”, esclamò ricomponendosi.
Vito la strinse a sé ancora una volta:
“ ti voglio per sempre…non mi lasciare”, supplicò.
Accostò il viso al suo:
 “Voglio passare la mia vita con te…ti sposerò”, affermò, era diventato serio, stava dicendo una verità che non avrebbe mai pensato di dire. Fino ad allora nessuna donna gli aveva dato quelle emozioni che aveva provato in quell'ora d'amore.
Lei scosse la testa:
 “Non facciamo progetti…., dopo quello che mi è successo ho capito che la vita va vissuta giorno per giorno”.
Si lasciarono a malincuore e Zaira tornò a casa del dottore aspettandosi i rimbrotti della moglie . Entrò cauta, era in ritardo di mezz’ora e non voleva farsi sentire; i bambini erano nella loro stanza che stavano facendo i compiti. Salì la scala in silenzio, nel piccolo locale sotto il tetto era buio, fece per accendere la luce quando si sentì afferrare, non riuscì a gridare perché qualcosa le tappò la bocca mentre veniva trascinata sul letto.
“Stai buona…”, disse una voce roca, “mia moglie non c’è…ti conviene tacere…”. Sentì sul suo corpo le mani dell’uomo che la toccavano, la frugavano, cercavano di farle violenza. Lo sentì ansimare sopra si sé con orrore. Si ribellò con tutte le sue forze, scalciò e si divincolò finché non riuscì ad alzarsi. Si strappò il cerotto dalle labbra: “Mi lasci dottore…”, implorò. Lui era come impazzito, la schiaffeggiò brutalmente, la prese per le braccia per immobilizzarla ma Zaira si liberò con uno strattone, raggiunse la porta e si precipitò per le scale. L’uomo l’inseguì, si sporse per acciuffarla ma perse l’equilibrio e precipitò, rotolò sui gradini e batté la testa sul pomolo della ringhiera in ferro. Rimase immobile, con gli occhi sbarrati mentre un rivolo di sangue macchiava la moquette della scala. Zaira, in preda al terrore, fissò il corpo del dottor Giannini senza vita, con un braccio proteso nell’ultimo tentativo di afferrare la sua preda. Un silenzio agghiacciante, poi la ragazza si voltò, sulla porta del salone, immobile, c’era Marisa che aveva assistito alla tragedia. La donna puntò un dito contro di lei “Assassina!”, gridò. Il suo urlo invase la casa. Zaira ferma, la fissava incredula: “Noo!…lei ha visto…non sono stata io…”, balbettò sconvolta. La moglie di Giannini si mosse: “Chiamo i carabinieri…l’hai ammazzato!”, nei suoi occhi c’era un odio immenso. Si avvicinò al telefono e prese la cornetta. Zaira istintivamente si mise a correre, attraversò il salone, diede uno spintone alla donna e scappò. Col fiato grosso corse, aveva negli occhi la visione dell’uomo con la testa spaccata e nelle orecchie l’urlo di Marisa.
Correva senza meta per la città deserta, la gente era a cena al riparo nelle loro case e lei era disperata….non sapeva dove andare. Si trovò davanti al portone della casa dove abitava Vito, non aveva il coraggio di suonare e si accovacciò sul marciapiede gemendo come un animale ferito.
Marisa, rimasta sola era impietrita davanti al corpo inanimato del marito, nella mente sconvolta passavano pensieri demenziali: “è stata lei, l’ha ucciso con la sua bellezza…è lei la colpevole…Claudio non aveva occhi che per lei…se non l’avesse portata qui sarebbe ancora vivo…gliela farò pagare…”. Si mosse lentamente, passò davanti alla  specchiera stile Luigi XIV e si fermò: lo specchio le rimandò l’immagine di una donna spenta, il viso segnato dalle rughe e il corpo magro, senza nessuna attrattiva. Ebbe uno scatto di rabbia, e voltò le spalle alla figura riflessa. Si diresse decisa verso un grande quadro, lo tolse dalla parete: dietro c’era una cassaforte. L’aprì e, da una scatola, estrasse un collier d’oro e brillanti.
Senza guardare il corpo del marito salì i gradini della scala a chiocciola, andò nella stanza di Zaira e mise il gioiello sotto il materasso, poi ritornò in salone e si recò nella camera dei bambini che non si erano accorti di nulla:
“Rimanete qui, mi raccomando, deve arrivare un signore importante…poi andrete dalla nonna”, disse con la voce piana, per non spaventarli.

 Per i ragazzini non cambiava nulla, stavano guardando un cartone animato e continuarono tranquilli.

 Vito era ancora in servizio, l’appuntato Gargiulo entrò in ufficio:
“Capitano, una donna dice che c’è stato un omicidio”.

Sorpreso alzò il capo dalle scartoffie: “Dove?”, chiese.
L’uomo gli disse l’indirizzo e Vito sobbalzò: era l’abitazione del dottor Giannini e il suo pensiero andò subito a Zaira.      
"Chi è stato ucciso?”, domandò .

                                                                                              ( continua)



sabato 19 settembre 2015

L'ORCHIDEA NERA


 

 1° puntata


   

L'onda gigantesca si alzò dal mare infuriato e si abbatté con rabbia sullo scafo, che galleggiava alla deriva come un fuscello sulla massa scura dell’acqua. Nella notte senza stelle si stava compiendo, ancora una volta, una tragedia del mare: la nave di clandestini si era rovesciata gettando fra i flutti il suo carico umano a qualche centinaia di metri dalla riva. Zaira si trovò nell’acqua gelida senza neppure rendersi conto di cosa fosse successo. Quando si era diffusa la notizia che la costa era già stata avvistata, un grido di gioia si era levato da quella povera gente : quel terribile viaggio era terminato, erano arrivati nella terra tanto sognata… ma la tempesta arrivò all’improvviso, i cavalloni si alzarono e l’imbarcazione cominciò ad ondeggiare paurosamente impedendo l’attracco. Le grida esultanti si trasformarono in urla di terrore, i più coraggiosi si buttarono giù, gli altri aggrappati ai parapetti delle fiancate, sferzati dai marosi fissavano annichiliti il buio in preda alla paura, poi la nave si rovesciò…

La giovane donna affondò e riemerse, cominciò a nuotare disperatamente cercando di raggiungere la spiaggia ma sentiva che le forze l’abbandonavano, le braccia si stavano irrigidendo e …si lasciò andare, il corpo s’immerse lentamente nell’acqua…

 Intanto dalla capitaneria di porto era già partito l’allarme: immediatamente erano stati allestiti i soccorsi, le lance facevano la spola fra il relitto della nave e la riva portando i naufraghi che riuscivano a recuperare, qualcuno purtroppo era già senza vita. Le ambulanze, con un andirivieni frenetico, trasportavano i feriti all’ospedale della città vicina.

Il capitano dei carabinieri Vito Lombardi dirigeva le operazioni di salvataggio; sulla battigia si abbandonavano sconvolti i clandestini portati in salvo. 

La morsa allo stomaco nel vedere quell’umanità disperata lo faceva star male; uomini, donne, qualche bambino venivano portati a riva grondanti d’acqua, nei loro occhi si leggeva il terrore. Da una lancia scaricarono una giovane donna che sembrava non dar segni di vita. Il vestito azzurro aderiva al corpo bruno, mettendo in risalto le forme perfette, aveva gli occhi chiusi e sulla bocca  una smorfia di dolore, sembrava molto giovane, poteva avere poco più di vent’anni. I marinai l’adagiarono sulla sabbia e Vito si avvicinò:

“E’ morta”, domandò.

“No, respira ancora”, rispose un ragazzo alzando gli occhi su di lui.

Vito fece un cenno, due infermieri arrivarono di corsa e stesero il corpo sulla barella. L’ambulanza partì a tutta velocità seguita dallo sguardo del capitano: “Spero che se la cavi”, si disse impietosito, senza spiegarsi perché proprio quella ragazza, fra i tanti naufraghi, aveva suscitato in lui un particolare interesse.

La giornata era stata faticosa, il via vai delle lance di salvataggio sembrava non finisse mai…i somali superstiti dovevano essere rifocillati, rivestiti, avviati in un campo di accoglienza per dar loro modo di ritemprarsi dopo l’orribile notte trascorsa. Vito Lombardi, come un automa continuava a dare ordini, arrivò al mattino distrutto. Le immagini di chi aveva visto la morte in faccia non l’abbandonavano… ma, fra i tanti che gli erano passati davanti non riusciva a dimenticare il corpo inerte della ragazza con il vestito azzurro. Chissà se era ancora viva? Questo pensiero lo assillava e si riprometteva di chiedere sue notizie all’ospedale più tardi. Il mare si stava calmando e il cielo rischiarava in procinto dell’alba. Vito si passò una mano sugli occhi che gli bruciavano per la fatica, ormai le operazioni di soccorso erano giunte al termine, purtroppo non tutti erano stati salvati, molti erano dispersi fra i flutti e non c’era speranza di poterli recuperare. Lombardi aveva fatto di tutto per portare aiuto…ormai il destino si era compiuto: decise perciò di tornarsene a casa, non prima però di aver fatto visita ai feriti.

 In ospedale il primario lo informò sulle condizioni dei superstiti:
“Ne abbiamo ricoverati dodici, dieci uomini e due donne…purtroppo una di queste non ce l’ha fatta, quando è arrivata era in condizioni disperate”, disse il medico.

Vito sussultò: “Era giovane?”, chiese con cautela.

Il dottore lo guardò meravigliato, non si aspettava quella domanda:

“No…avrà avuto circa cinquant’anni”.

“…e l’altra?…”, insistette Vito.

Il medico sempre più sconcertato dalla strana richiesta fissò il suo interlocutore:
“E’ viva, capitano…la ragazza è ancora in terapia intensiva, ma ce la farà”, rispose leggermente seccato.

Vito sentì dentro qualcosa che lo alleggerì dall’angoscia. L’altro lo osservava con curiosità e si capiva che aveva una domanda che gli bruciava sulle labbra, infine sbottò:
“Come mai questo interessamento?”.
 “Non si meravigli, dottore, l’ho vista portare fuori dall’acqua che sembrava morta e mi ha fatto molta pietà: così giovane…mi chiedevo se era riuscita a sopravvivere, tutto qui”, rispose pronto Vito.

 Arrivato a casa il capitano Lombardi si buttò sul letto e ci rimase fino alla sera…

  Zaira aprì gli occhi e, la prima cosa che vide fu il soffitto bianco, poi le sue narici si riempirono dell’odore dei medicinali.

“Dove sono?”, si chiese, era sdraiata su un lettino e su un braccio era infilato l’ago di una flebo. Non sentiva dolore, ma era in uno stato confusionale, non si ricordava nulla di quello che era successo e di come era arrivata lì. La sua mente era ancora annebbiata. Un’infermiera si avvicinò al letto.
“Bene…ti sei svegliata, come ti senti?”, domandò premurosa. La giovane somala rimase in silenzio.
“Non capisci?”; le chiese ancora la donna.

Zaira stentava a mettere a fuoco le immagini e a coordinare le idee, si sforzò e rispose:
“Sì, capisco …mio nonno era italiano”.

“Molto bene…ora chiamo il dottore di turno…ti visiterà e magari ti potremo trasportare in corsia”, affermò l’altra.

Il medico era un uomo di mezza età, alto e magro, con un viso severo, la visitò con cura:

“Come ti chiami?”, le chiese poi.

“Zaira”, sussurrò lei.

“Sei stata fortunata, te la sei cavata mentre tanti tuoi compatrioti ci hanno rimesso la vita”, il tono era spiccio, freddo, con una punta di polemica. L’uomo le sollevò il viso: “Sei molto bella…che ci sei venuta a fare in Italia?”, domandò.

La ragazza intimidita dai modi bruschi non rispose.

“Non importa…sono affari tuoi, tanto ti rimanderanno al tuo paese, prima o poi…”, tagliò corto lui allontanandosi.

Il dottor Claudio Giannini era in quell’ospedale da più di vent’anni, era considerato un bravo medico ma come uomo non riscuoteva molte simpatie. Era sposato con due figli, andava poco d’accordo con la moglie, di lui si diceva che gli piacessero molto le donne. Aveva avuto diverse storie anche nell’ambito ospedaliero, appena ne aveva occasione non si faceva scappare una bella infermiera e ci provava anche con le pazienti se erano giovani ed attraenti.

Zaira venne trasferita in una camera a due letti, si sentiva meglio e a poco a poco anche il ricordo della notte del naufragio riaffiorò nella sua mente. Aveva sperato tanto di raggiungere l’Italia per cominciare una vita senza stenti, il suo sogno era di tornare nella terra dove avevano vissuto i nonni e dove aveva le sue radici…ma ora si trovava lì, e non sapeva che fine avrebbe fatto: aveva ragione il dottore? L’avrebbero rimandata indietro? Senza un lavoro e senza il permesso di soggiorno non poteva rimanere…. Questi pensieri la tormentavano e non riusciva a prendere sonno…

Anche le notti di Vito Lombardi erano agitate: da quando aveva vissuto in prima persona il dramma di quel maledetto naufragio non era più lui. Nei sogni inquieti appariva spesso la donna con la veste azzurra, in piedi, sulla spiaggia, vedeva le linee morbide del suo corpo disegnate dalla stoffa bagnata e quando riusciva a raggiungerla lei lo chiamava per nome e gli chiedeva aiuto. Ossessionato da quella visione il capitano Lombardi decise di andare a informarsi di nuovo in ospedale. Con l’autorità che gli conferiva il suo grado chiese di conoscere i sopravvissuti.

Lo portarono in una corsia dove c’erano uomini che lo guardavano con occhi grandi e rassegnati, ad uno ad uno passò fra i letti dicendo qualche parola di conforto e sperando di vedere la giovane che disturbava i suoi sogni.

“Non c’è anche una donna?”; chiese all’infermiera che lo accompagnava.

“ Venga”, rispose lei dirigendosi verso una stanza.

Vito entrò e si trovò davanti a Zaira che lo guardò intimorita dalla divisa: negli occhi dorati passò un lampo di paura.

 La ragazza era vestita di un camice bianco che faceva risaltare la sua pelle scura, i capelli corvini, inanellati le scendevano sulle spalle: era bellissima.

“Sei venuto a portarmi via?”, chiese con un filo di voce.
“Stai tranquilla”, rispose lui, “sono qui solo per chiedere come stai…l’ultima volta che ti ho vista sembravi morta…”.

Un sospiro di sollievo sollevò il petto di Zaira:

“Ti ringrazio, ora sto meglio ma…dovrò tornare in Somalia?”, mormorò ancora, mentre la bocca si piegava in una smorfia.

“No…ti cercherò un lavoro, se vuoi…”. La giovane si avvicinò e gli toccò un braccio: “Sei buono…come ti chiami?”, domandò. Lui sentì una leggera scossa per tutta la persona: “Vito…e tu?”.

La ragazza disse il suo nome e rimasero qualche secondo a guardarsi negli occhi. Ognuno provò un’emozione sconosciuta. L’uomo si riprese e le chiese come mai parlasse l’italiano e lei gli raccontò la storia della sua famiglia: nonno Salvatore si era trasferito in Somalia negli anni trenta per lavoro e c’era rimasto perché si era innamorato di una ragazza del posto, così alla seconda generazione era nata lei, di sangue misto, che portava in sé le caratteristiche delle due razze. Purtroppo in quel paese tutto era precipitato: la guerra e la miseria l’avevano spinta ad accettare la proposta di un tale che le prometteva lavoro facile in cambio di una bella somma di denaro. Con sacrifici era riuscita a raggranellare i soldi ed era partita piena di speranze a bordo di quella sfortunata carretta del mare.

“Non so ancora come sono riuscita a salvarmi….se non ci fosse stato l’intervento dei tuoi uomini sarei annegata…ti devo la vita”, concluse Zaira avvicinandosi ancor di più.

“Sono felice che sia finita così”, mormorò lui emozionato, “non ti avrei conosciuta e avrei perso molto…”.

La giovane donna sorrise scoprendo i denti bianchissimi, sopra il labbro superiore un piccolo neo rendeva ancora più attraente la bocca carnosa.
“Anche per me è stato bello incontrarti, in un primo momento mi hai fatto paura, ma poi…ho capito dai tuoi occhi buoni che mi avresti aiutato”, asserì guardandolo intensamente. 

 Il feeling che si era creato fra loro era evidente, Vito era turbato: non gli era mai capitato di essere così imbranato di fronte ad una donna. Si riscosse : “Ora devo andare, ma verrò ancora a trovarti”, disse.

“Non dimenticarti di me…non voglio tornare là”, lo pregò lei.

“Stai tranquilla, cercherò in tutti i modi di farti restare ”.  

Per tutto il giorno Vito pensò a Zaira, oltre alla bellezza fisica l’aveva colpito la dolcezza del suo sguardo e il suo modo di muoversi: aveva una sinuosità particolare e una signorilità innata.

Ma non solo Vito era caduto vittima dell’avvenenza della giovane somala, anche il dottor Giannini ci aveva fatto un pensiero e non voleva farsela scappare. Era convinto che, pur di non essere rimpatriata, sicuramente avrebbe ceduto alle sue voglie…erano questi i suoi pensieri segreti ogni volta che l’aveva davanti… così una sera, prima di andarsene la convocò nel suo studio:

“Siediti…”, l’invitò. La ragazza si accomodò di fronte a lui, rigida, sospettosa.

“Tu non vuoi tornare da dove sei venuta, vero?”, cominciò il medico. Zaira scosse la testa per dire di no.

“Allora dovresti trovarti un lavoro….”, continuò lui.

“Come faccio?…non conosco nessuno…il capitano mi ha promesso che lo cercherà per me”, rispose sottovoce la giovane.

“Stai attenta…quel militare non mi convince…che ne diresti di venire a casa mia come domestica?”, insinuò lui con aria melliflua. “Sono sposato e ho due figli, con noi ti troverai come in famiglia”, continuò.

Zaira rimase sorpresa dall’offerta del dottore, sorpresa e contenta, se avesse accettato le avrebbero dato anche il permesso di soggiorno e non ci sarebbero più stati problemi. Poteva ricominciare a vivere.

“Non so come ringraziarla, dottore,” rispose sollevata di aver preso quella decisione; in fin dei conti quel medico si stava dimostrando una brava persona… aveva pensato male di lui quando, durante le visite si soffermava un po’ troppo con le mani sul suo corpo, le dava fastidio essere toccata in quel modo ma…ora doveva ricredersi, sicuramente era stata un’impressione sbagliata…

Quando Vito tornò a trovarla la ragazza era felice:
“Ho un lavoro!”, annunciò allegra, “appena sarò ristabilita andrò a casa del dottor Giannini”.

Il capitano le lanciò uno sguardo sospettoso:
“A fare che cosa?”, chiese rabbuiandosi.

“Aiuterò la moglie nelle faccende domestiche….per me va bene, anche se non l’ho mai fatto. I miei genitori mi hanno fatto studiare, ma non fa niente…ora l’importante è guadagnare qualcosa per aiutarli: muoiono letteralmente di fame. Se la situazione non fosse stata così disperata non mi avrebbero lasciata andare…”, disse tristemente Zaira.

Vito rimase perplesso:
“Anch’io ti avrei trovato una sistemazione…dal parroco”, propose titubante.

In quel momento entrò Giannini: “Allora, Zaira, domani ti dimettiamo e verrai con me”, annunciò trionfante sfidando con lo sguardo il capitano.

La ragazza guardava l’uno e l’altro confusa, il medico notò l’indecisione:

“Non ci avrai ripensato?”, si allarmò, “non puoi andare da nessuna parte…hai bisogno ancora di cure…e se sei in casa mia non ci sarà nessun problema…”. Mentre pronunciava queste parole guardò Vito, aveva capito di avere un rivale e giocava tutte le sue carte per vincere la partita. Il capitano Lombardi non si scompose:
“La decisione deve prenderla lei”, disse secco accennando a Zaira.

“No…”, interruppe Giannini”, “come ho detto, per il momento la ragazza non è in grado di andare altrove….ne va della sua salute…deve ancora curarsi”.

“ Non le farà certo bene fare la serva”, affermò categorico Vito.

“Ma…forse non mi sono spiegato: a casa mia farà compagnia a mia madre che è anziana, solo questo…se poi non si trova bene e se ne vorrà andare, io non la tratterrò”, continuò il dottore cercando di sorridere in modo cordiale.

Zaira era indecisa, lanciò uno sguardo a Vito come per chiedere aiuto, ma Giannini non le diede il tempo nemmeno di rispondere. “Ho pensato di anticipare ad oggi l’uscita dall’ospedale…preparati, verrò a prenderti prima di sera”, detto questo accennò ad un saluto e se ne andò senza dare il modo di replicare.

“Quel medico non mi piace”, disse Vito, “però… un lavoro vale l’altro e se si tratta di fare compagnia ad una persona anziana può andare anche bene…”.
                                                                                                                                             (continua)