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lunedì 29 aprile 2013

UN FIORE NEL FANGO

Quarta puntata

Rosalia, confusa tra la folla, in fondo all’aula aveva assistito al processo cercando di non farsi notare da Giulio, la sentenza non la colse di sorpresa, sapeva già che da quando aveva fatto la telefonata alla caserma dei Carabinieri aveva condannato suo padre al carcere; era stato un gesto molto sofferto, ma doveva farlo: per la vita di Giulio e per non rischiare di far commettere un altro omicidio alla banda maledetta di cui suo padre era il boss.
 Era ritornata da poco da Parigi dove studiava belle arti, quando si trovò coinvolta  e complice del rapimento, era stata costretta con le minacce a collaborare…poi si era innamorata del prigioniero. In principio quell’uomo in preda alla disperazione le suscitava tenerezza e non era stata capace di trattarlo con la durezza che avrebbe dovuto, ma quando lui la baciò sentì dentro di sé che quella tenerezza era amore.
Ora il processo era finito, niente la tratteneva in quella terra così bella e travagliata, con quella sua gente fiera e gelosa fino a diventare violenta. Le valige erano pronte, non aveva più nessuno da salutare, nemmeno sua madre che se era andata fin da quando lei era bambina, si recò al porto per prendere il traghetto e quando partì rimase a lungo a fissare la sponda che si allontanava velocemente, chissà quando sarebbe tornata?   
Aveva scelto di andarsene per cancellare i brutti ricordi, forse lontano da lì l’aspettava una vita migliore, anche se dentro al suo cuore l’immagine di Giulio era difficile da cancellare.
Arrivò a Parigi che era notte: sapeva già dove andare. Fuori dell’aeroporto Charles De Gaulle cercò un taxi libero e si fece portare in rue Martin dove condivideva un monolocale con Valentina, sua compagna di studi all’accademia  artistica.. La ragazza l’accolse con sorpresa: “ Cosa ci fai qui?, potevi almeno telefonarmi…!”, esclamò leggermente contrariata.
“Ho deciso all’improvviso”, rispose Rosalia, “allora, posso entrare?”. Con le valige ai piedi era rimasta sulla porta: “Certo, ma… “, l’amica si fermò imbarazzata, “dovrai abituarti a un nuovo inquilino”.
Rosalia entrò e si guardò intorno: quella piccola stanza con uso cucina non poteva essere divisa in tre:
“Non ci voleva … chi è?”, chiese .
“Oh, è Claude, un ragazzo che viene dalla Provenza, studia scultura anche lui”, rispose l’amica.
 “Dove è sistemato?”, domandò scrutando il locale
“Non ti preoccupare, ci arrangeremo…lo faremo dormire per terra”, Valentina era a disagio, poi disse  tutto d'un fiato “…anche se fino ad ora occupava il tuo letto!”.
“Ah…bene!”, Rosalia era più stupita che contrariata: non si aspettava questa novità e non era nemmeno nello spirito per fare nuove conoscenze, tanto più che avrebbe dovuto dividere quotidianamente lo spazio vitale con uno sconosciuto.
Al di là della porta del bagno si sentiva un rumore d’acqua scrosciante, in quell’istante in cui Rosalia stava prendendo atto della sua presenza, Claude uscì da quell’uscio a piedi nudi e  con un asciugamano giallo attorno alla vita.
“Bonjour!…, esclamò fermandosi di botto. Con occhi attoniti guardò le due ragazze cercando di coprirsi come meglio poteva. Valentina prese per  mano l’amica:
“Ti presento Rosalia”, disse rivolgendosi al ragazzo sempre più imbarazzato.
“Sei arrivata in anticipo”, farfugliò Claude in uno stentato italiano, “non ti aspettavamo così presto, credevo di potermene andare prima che tu venissi…ma ormai hai scoperto tutto e dovrai sopportarmi, ancora per poco, te lo prometto…sto aspettando che si liberi un posto da un amico che in questi giorni ha dovuto ospitare la sua ragazza”, alzò le spalle come per scusarsi, stirò le labbra in una smorfia che voleva essere un sorriso, prese da una sedia un paio di jeans e sparì dentro la doccia.
Rosalia si girò verso Valentina:
“Mi adatterò se si tratta di un breve periodo”, brontolò appoggiando sul divano-letto la sua borsa.
Quando Claude si ripresentò indossava, una maglietta azzurra come i suoi occhi, il ciuffo biondo gli dava un’aria un po’ strafottente, puntò gli occhi sulla siciliana e il suo sguardo la considerò da capo a piedi:
“Carina la tua amica!”, disse rivolto a Valentina.
Rosalia si voltò come punta da una vespa: “Senti, non  ti mettere strane idee in testa, hai sbagliato momento! Se vuoi stare qui, ci rimani senza infastidire…”, il tono della sua voce non ammetteva repliche e i due la guardarono stupefatti. Valentina si avvicinò:
“Calmati…guarda che sta scherzando, finora si è comportato bene, è un bravo ragazzo”, disse tranquilla.
La convivenza, infatti, si rivelò meglio del previsto, Claude era simpatico e gentile, anche se qualche volta si soffermava a fissare Rosalia in silenzio. Frequentavano insieme i corsi d’arte e insieme trascorrevano le serate, qualche volta in casa e spesso nei bistrot a fare le ore piccole.
 Rosalia cercava di stordirsi per dimenticare il passato che ritornava implacabile specialmente quando si svegliava in preda agli incubi. Una notte, madida di sudore, aprì gli occhi di colpo: in sogno aveva visto Giulio morire. Un urlo strozzato le uscì dalla gola, Claude che dormiva nella piccola anticamera su una branda di fortuna, si alzò e si avvicinò in punta di piedi: “Cosa succede, ti senti male?”, le chiese premuroso.
“Non è niente”, rispose lei cercando di calmarsi. Lui le circondò le spalle con un braccio e l’attirò a sé.
“Buona...buona…è tutto passato”, ripeteva lentamente come si fa con i bambini quando hanno paura del buio. Rosalia si trovò abbracciata a lui senza saperlo. Valentina dormiva beata immersa in un sonno profondo.
“Parlami di te”, le sussurrò fra i capelli, “c’è qualcosa  che non riesco a capire”, concluse il ragazzo. Lei si rese conto di essere fra le sue braccia e si tirò indietro cercando di superare quell’attimo di abbandono: “Ti sbagli”, gli rispose freddamente, “non ho niente da nascondere…è stato solo un incubo!”.
Claude la respinse: “Volevo solo aiutarti!”, le disse, si alzò e ritornò a coricarsi.
Quel piccolo momento di intimità aveva fatto scattare nel ragazzo quello che fino allora aveva cercato di respingere: si era innamorato di Rosalia, ma capiva che era  senza speranza: negli occhi di lei c’era la tristezza di chi ha lasciato un amore. Capiva che lei soffriva, cercava di esserle vicino almeno come amico, cercando di scoprire cosa c’era dietro quello sguardo senza allegria, ma lei non si lasciava sfuggire nulla, teneva dentro di sé il segreto che aveva lasciato in Italia.
Claude rimase nella piccola casa di Montmarte più del previsto, la ragazza del suo amico ci aveva preso gusto a rimanere a Parigi, e lui ne era contento perché così poteva rimanere vicino a Rosalia, dividere con lei la vita quotidiana, sperando sempre di poter fare breccia nel suo cuore. 
Ma per Rosalia niente aveva più molta importanza, le insistenti attenzioni di Claude non la interessavano: si era buttata sullo studio che le stava dando grandi soddisfazioni.
“Stai facendo progressi”, le disse il professor Blanche osservando attentamente la scultura che Rosalia stava ultimando. “Se continui così sarai pronta fra breve per una mostra tutta tua”:
Gli occhi della ragazza si accesero:
“Grazie professore”, disse sorridendo.
Andava sempre più volentieri all’accademia, scolpire era diventato lo scopo della sua vita, trasferiva nel marmo la sua anima tormentata e forse era questo che la distingueva dagli altri.
Anche Claude si era accorto dell’impegno che metteva quando lavorava con lo scalpello.
“Brava!”, le disse un giorno, “vorrei avere io la tua sensibilità…diventerai una grande artista.”.
La profezia di Claude si avverò ben presto. Aiutata dal professor Blanche, Rosalia riuscì ad esporre le sue sculture, la critica fu molto lusinghiera e così cominciò a farsi strada nel mondo dell’arte, solo grazie al suo talento.
Una sera, mentre rincasava avvertì la presenza di qualcuno alle spalle, per la strada c’erano pochi passanti e la via era male illuminata. Con un certo timore affrettò il passo senza voltarsi indietro, cercava di raggiungere al più presto il portone della sua casa, ma era ancora lontana di parecchi isolati.. Svoltò un angolo e fu tentata di entrare in un bar per vedere chi aveva dietro di sé, ma la porta del locale era occupata da un tale che stava scaricando delle casse di bibite e proseguì. Poco dopo chi la inseguiva le era molto vicino, lei si voltò e riconobbe con terrore uno degli uomini della banda di suo padre…cercò di fuggire ma l’altro fu più svelto di lei.
 “Rosalia!”, disse prendendola per un braccio, “dove vai?…non scappare adesso che finalmente ti ho trovata…”. La ragazza impallidì e, con la voce in gola disse:
“Cosa vuoi da me…lasciami andare!”.
“Non ci penso nemmeno… sei stata tu che hai mandato in galera mio fratello, ti ho sentita quando telefonavi, e ti ho cercata dappertutto, anche se tuo padre non diceva mai a nessuno dove stavi…ho visto la tua foto su un giornale e finalmente ha capito dov’eri”.
“ Ormai non c’è più niente da fare, tuo fratello deve pagare per il male che ha fatto”, disse Rosalia fissando lo sguardo sul viso dell’altro mentre cercava di divincolarsi. Ma negli occhi del suo aggressore c’era tanto odio che la spaventò:
“Anche tu devi pagare!”, sibilò lui.
Improvvisamente comparve fra le mani dell’uomo la lama di un coltello. Rosalia urlò prima di cadere.
 (continua)






martedì 23 aprile 2013

UN FIORE NEL FANGO

Terza puntata

“Come posso riconoscere qualcuno se tutti avevano il cappuccio!”, rispose indispettito.
“Non si sa mai…forse per sbaglio lei ha visto qualcosa… oppure potrebbe avere notato qualche particolare, infatti noi le faremo vedere i soggetti incappucciati”, rispose calmo il capitano.
Dietro un vetro, una vicina all’altra, c’erano tre donne con la testa coperta, si vedevano solo gli occhi e una parte della fronte. Giulio si sporse in avanti per osservare meglio, ad  un tratto il cuore fece una capriola:
gli occhi verdi e soprattutto il neo di Rosalia si vedevano chiaramente nella fessura del passamontagna.
Cercò di non far trasparire l’emozione, riprese il controllo e scosse la testa decisamente. Aveva capito che  gli avevano teso una trappola. Probabilmente la figlia del boss era la più indiziata, ma il capitano voleva esserne sicuro: anche lui aveva notato il piccolo neo fra le sopracciglia e aveva sperato che da questo particolare Giulio l’avrebbe identificata.
“Allora Tomasi, cosa mi dice?”, chiese insinuante.
“Non riconosco nessuna di loro…non ho mai notato una donna, avevo rapporti solo con una persona che mi portava il cibo e il boss; c’era anche un altro, ma una volta sola…quando mi volevano mutilare. Glielo già ripetuto mille volte, non capisco perché si ostina a non credermi!”, rispose Giulio spazientito.
Le labbra del capitano Giorgi si incresparono in un lieve sorriso, scosse la testa e riprese:
“Forse io la capisco, ingegnere, mi comporterei nello stesso modo se dovessi la vita a qualcuno…, però la giustizia deve seguire il suo corso”, si interruppe aspettando una reazione. Poi, visto che le sue parole non avevano esordito nessun effetto, “ va bene così, può andare”, concluse.
 Si alzò leggermente sulla sedia, chinando il capo in segno di saluto mentre accompagnava con gli occhi il suo interlocutore che usciva.  
Giulio tornò a casa emozionato, per qualche minuto aveva avuto Rosalia vicina, era stata una tortura non poterle parlare, il suo cuore aveva sofferto nel vederla là, in piedi accanto ad altre come una delinquente, lei, che aveva messo in gioco la propria libertà e sacrificato quella di suo padre, per lui.
Sperava che, non avendo nessuna testimonianza contro di lei, il capitano Giorgi la lasciasse andare.   
 In attesa del processo Giulio si buttò nel lavoro per stordirsi, in casa non ci poteva stare, si aggirava per le stanze guardando le cose che lo circondano con gli occhi di chi vorrebbe essere in un altro posto. 
Ormai il rapimento stava passando in secondo piano anche come notizia, a poco a poco si accorse di essere rimasto solo a ricordare, anche sua moglie Linda, dopo le effusioni dei primi giorni, era ritornata fredda come prima: quando erano in crisi ai tempi del sequestro. Questa volta non aveva più voglia di riprendere il dialogo, lasciava che cose andassero per il loro verso, senza intervenire…se il suo matrimonio si doveva sfasciare, avrebbe accettato con filosofia: l’amore per Linda non poteva paragonarsi alla passione che aveva provato in quei pochi giorni nel cascinale nascosto fra i boschi ed era inutile trascinare un rapporto che aveva perso la freschezza.

L’aula del tribunale, nel giorno del processo era gremita fino all’inverosimile: già davanti alla villa si erano assembrati fotografi, giornalisti, cameraman di televisioni pubbliche e private; Giulio uscì, accompagnato dall’avvocato, facendosi largo tra la folla si infilò  nella vettura lasciandosi andare sul sedile, sfinito dal corpo a corpo. Arrivò in aula emozionato: girò intorno lo sguardo, quanta gente! Riconobbe qualcuno, ma la maggior parte non sapeva chi fossero: una giovane donna con lunghi capelli corvini attirò la sua attenzione e gli fece battere il cuore. In quel momento qualcuno lo chiamò, si volse per rispondere e quando si girò per guardare meglio, la ragazza era scomparsa. Voleva illudersi che fosse Rosalia, ma non ne era sicuro, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di parlarle almeno una volta.
 Seduto fra gli imputati c’era il padre di lei, non poté fare a meno di provare un profondo odio per quell’uomo spietato che l’aveva tenuto segregato con tanta ferocia. Si preparò ad affrontare l’arena, dove avrebbero dato in pasto al pubblico le sue sofferenze di quei giorni; nelle prime file c’erano gli inviati dei vari giornali che non vedevano l’ora di scrivere l’articolo, sapeva che avrebbero rimestato anche nella sua vita privata, senza nessun scrupolo, soltanto per sbattere la notizia in prima pagina. 
Durante tutto il processo presenziò come un automa, distaccato da quel mondo che avrebbe voluto non vedere mai più e, alla fine, quando il giudice emise la sentenza di condanna, fu per lui una seconda liberazione…

In piedi, davanti ai finestroni del soggiorno Giulio guardava il mare in tempesta: le onde si infrangevano con violenza sugli scogli spruzzando l’aria di schiuma bianca. Linda era seduta sul divano in silenzio: gli era stata accanto in quei giorni difficili, sopportando i suoi sbalzi d’umore, ma lui sentiva che non era più la stessa. Troppi sguardi sfuggenti, troppi sorrisi accondiscendenti di chi vuol far credere che tutto proceda come sempre .In quel posto si sentiva soffocare, aveva bisogno di respirare un’altra aria.
Improvvisamente si voltò verso di lei:
“Andiamocene”, le disse con la voce che gli tremava, “ lasciamo tutto nelle mani di Pandolfi, è un ottimo geometra…sono sicuro che saprà andare avanti da solo, tornerò soltanto quando sarà necessario; per il momento non ce la faccio a continuare, sono distrutto fisicamente e moralmente”.
Sua moglie lo guardò preoccupata: “Cosa stai dicendo?…vuoi mollare così?”, chiese.
“Sì, ho deciso…voglio andarmene”, dopo una lunga pausa riprese, “non ti obbligo a venire con me, capisco che qui ti trovi bene e… se non vuoi, rimani pure…”, concluse.
Linda era turbata, non si aspettava quella proposta e nemmeno che Giulio avesse capito che lei preferiva restare, cercava le parole adatte per rispondergli: era vero si stavano allontanando ogni giorno di più, forse lei non aveva fatto niente per rimettere insieme un matrimonio che da tanto tempo non funzionava. Le parole non dette, i silenzi, le incomprensioni erano sfociati in un rapporto fatto d’abitudine, di amicizia, anche d’affetto che  non era più amore.
 Aveva conosciuto il giovane ingegnere Tomasi ad un party di amici, lei aveva dieci anni più di lui: era una donna attraente, con un fascino particolare. Si erano innamorati a prima vista, e si erano sposati dopo poco tempo. Solo da quando erano in Sicilia si era accorta che guardava Giulio con altri occhi, in certe circostanze lo giudicava immaturo, la differenza di età stava venendo a galla…soprattutto da quando aveva incontrato il dottor Massimo Rosati, l’affascinante chirurgo con le tempie grigie che l’aveva operata di una banale appendicite all’ospedale di Catania. Non voleva confessarlo nemmeno a se stessa, ma stava bene insieme a lui, si erano rivisti molte volte ed era per questo che il rapporto con suo marito stava perdendo interesse giorno dopo giorno..
Ora le parole di Giulio l’avevano messa in difficoltà, non se la sentiva di tornare nella casa di Milano per vivere accanto a lui una vita senza slanci.
Da quando era tornato sembrava non sopportasse più di vivere in quell’ambiente, era molto cambiato, diverse volte l’aveva scoperto davanti alla finestrone del soggiorno a guardare il mare….rimaneva così per ore in silenzio, estraniandosi dal mondo che lo circondava. Capiva che aveva bisogno di allontanarsi da quella terra che l’aveva ferito.
 “Capisco che te ne voglia andare al più presto…questa esperienza ti ha molto cambiato e hai bisogno di dimenticare, lontano da qui sarà tutto più facile”, Linda si avvicinò al marito  “…ma io non posso venire”, disse sommessamente, “perdonami. Fra di noi tutto è cambiato, forse non ci amiamo più però anch’io lo devo capire , sarà un errore quello che sto facendo, ma devo provarci. Se vuoi torna a Milano, ti raggiungerò quando avrò scoperto dentro di me quello che mi sta succedendo”.
Giulio la guardò a lungo, in quel momento più di cinque anni di matrimonio erano sfumati nel nulla, si accorse che anche lei stava vivendo una crisi che forse non si sarebbe mai risolta.
“Ho capito, ormai abbiamo poco da dirci, forse la famosa pausa di riflessione ci farà bene…poi si vedrà”,
rispose e nella sua voce c’era molta amarezza.
Giulio decise di andarsene e quando l’aereo partì, Linda  era all’aeroporto:
“Arrivederci!”, gli gridò salutandolo con la mano.
Lui alzò  un braccio in segno di saluto e se ne andò senza voltarsi.

(continua) 



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lunedì 15 aprile 2013

UN FIORE NEL FANGO

Seconda puntata

 Nei giorni seguenti le speranze si affievolirono: non aveva più visto Rosalia,  il  pasto gli era stato recapitato da una mano sconosciuta che si introduceva nello spiraglio della porta semiaperta. Anche questo mistero contribuiva a esasperare il suo stato: cosa stava succedendo là fuori? La sua famiglia, sua moglie, i suoi operai… quanti pensieri si accavallavano nella sua mente! Da quanto tempo era prigioniero fra quelle quattro mura che odiava con tutto il suo essere? Cominciava a temere anche per la sua vita, se qualcosa fosse andato storto sapeva che non avrebbero esitato ad ucciderlo, quella era gente spietata che pur di salvarsi non aveva scrupoli, non avrebbero certo lasciato un testimone vivo.
Quando finalmente qualcuno si fece vedere, Giulio era al colmo della tensione . Con aria strafottente  il capo entrò e lo guardò diritto negli occhi:
“Caro ingegnere”, cominciò calcando sulle parole, “si mette male per lei…sua moglie è un osso duro, non vuol cedere, si è rivolta anche alla polizia….un passo falso, mi creda, probabilmente non le importa molto che suo marito ritorni vivo da questa avventura”, un sorriso di scherno gli increspava le labbra mentre si avvicinava a Giulio con in mano un piccolo registratore, “le dica di pagare altrimenti le assicuro che finirà davvero male questa storia…” Dall’espressione dura del viso si capiva che stava dicendo sul serio, i suoi occhi freddi lampeggiarono mentre avvicinava alla bocca di Giulio l’apparecchio.
 “Non farò mai una cosa simile”, rispose il prigioniero allontanando la testa, “lasciatemi in pace!”.
“Va bene…cominceremo a mandare alla bella signora un pezzo di suo marito, così capirà che non stiamo scherzando…”,  poco dopo un uomo incappucciato  entrò con un affilato coltello fra le mani. Quando vide quella lama luccicare a due centimetri dal padiglione del suo orecchio, Giulio cercò di stringere i pugni per non far vedere che aveva dalla paura, ma in quell’istante la porta si aprì e la voce di Rosalia arrestò la mano che lo stava mutilando.
“Fermatevi!”, gridò, “non servirebbe a niente…”.
 “Tu cosa ne sai?”, le chiese pieno di rabbia il boss, “ non sono cose che ti riguardano, vattene!”
La ragazza uscì senza replicare e Giulio si accorse che il suo intervento aveva allentato quel momento di estrema tensione che si era creata quando stavano per tagliargli l’orecchio, infatti l’uomo si allontanò da lui e volse il capo verso il padrone: “Cosa faccio?”, chiese indispettito.
“Per oggi lasciamo stare…l’abbiamo spaventato abbastanza, vedremo in seguito se deciderà di collaborare”, si avvicinò all’uscio e, prima di aprirlo si voltò: “Ricordati, ingegnere, la prossima volta non ti salverà nessuno…oggi sono stato buono!”
Giulio si abbandonò sul letto ancora tremante, sconvolto da una profonda emozione, il bagliore della lama affilata a pochi centimetri dal suo viso gli ritornava in mente e un brivido di paura lo percorse.
Dopo quella scena disgustosa  tutto ritornò nel silenzio più assoluto, ogni movimento al di fuori della porta lo metteva in ansia, per due giorni non gli diedero nemmeno da mangiare, si riempiva lo stomaco con l’acqua di un rubinetto che c’era nella stanza….finché una notte, sentì muovere il chiavistello dell’uscio. Si mise subito sulla difensiva, ma riconobbe la figura che si insinuava in silenzio attraverso l’uscio e si calmò.
“Sei tu Rosalia?”, chiese sottovoce.
“Sì…devo parlarti”, rispose lei con un sussurro. Si misero a sedere sul letto, per Giulio la vicinanza di quella giovane donna era come una ventata d’aria fresca.
“Sei in pericolo… si sta mettendo male! , tua moglie non vuole pagare, anche perché non sa se sei ancora vivo, ti prego, fa’ quello che ti dicono…”, disse la ragazza prendendogli una mano. Nel buio della stanza Giulio sentiva il suo profumo, e la sua vicinanza lo turbava:
“Perché fai questo per me?…forse ti hanno mandato a convincermi”, chiese scostandosi.
“No…, ti giuro che io non c’entro con questa storia. Sono contro la violenza, contro il sopruso e non condivido quello che fa mio padre, purtroppo devo ubbidire altrimenti non mi lascia vivere…ma stanotte se ne sono andati e ho approfittato per venire ad avvisarti”. La sua voce era sincera e  Giulio lo capì.
“Ti ringrazio, farò come mi consigli, almeno avrò ancora qualche giorno di tregua”, disse.
Rosalia gli passò del pane e del salame: “Mangia qualcosa …domani si faranno ancora vivi. Ora devo andare”, si alzò, Giulio non vedeva il suo viso, ancora nascosto dal cappuccio.
“Toglilo…”, sussurrò alzando una mano, “voglio vederti”.
“No!”, esclamò lei, “e poi è buio, non riusciresti …”.
Si allontanò da lui in fretta, prima di uscire gli disse: “Verrò ancora”.
Vennero i suoi carcerieri e Giulio fece quello che gli dicevano: incise un nastro dove assicurava che stava bene e invitava la sua famiglia a pagare il riscatto.
Dopo questo,  per qualche tempo lo lasciarono in pace, Rosalia tenne fede alla sua promessa e una sera, all’imbrunire ritornò. Era vestita con un paio di jeans e una maglietta bianca che metteva in risalto il suo seno prosperoso, lo sguardo di Giulio tradiva la sua ammirazione:
“Sorpreso?”, chiese lei avvicinandosi maliziosa.
“No…sapevo che eri bella, ma ora voglio vedere anche il viso”,  con un gesto improvviso le tolse il cappuccio: i capelli neri e lucidi come seta le caddero sulle spalle e la bella faccia dai lineamenti marcati della donna del sud si rivelò in tutto il suo splendore: gli occhi verdi e grandi, ombreggiati da lunghe ciglia scure, contrastavano con i capelli corvini; la bocca carnosa lasciava intravvedere i denti bianchi e forti, un po’ irregolari. Rosalia cercò di coprirsi il viso con le mani ma Giulio le scostò, le sue dita leggere le accarezzarono la fronte soffermandosi sul piccolo neo fra le sopracciglia:
“Sembri una principessa indiana”, mormorò. I loro sguardi si incrociarono e le labbra si unirono in un bacio. Con uno scatto Rosalia si staccò da lui: “No…non posso…”, disse.
“Perché?”, rispose Giulio scostandole i capelli, ma lei fuggì lasciandolo sconvolto da quell’attimo dolcissimo, con ancora negli occhi la visione del suo viso. Quella notte era ancora sveglio quando sentì il rumore dell’uscio che si apriva, riconobbe subito l’ombra che si era intrufolata , la vide attraversare a tentoni la stanza e sdraiarsi sul letto accanto a lui, il profumo dei suoi capelli abbandonati sul cuscino lo stordì: “Rosalia!”, sussurrò. “Sono qui”, rispose lei. 
Da quel momento magico non furono più capaci di sottrarsi alla passione che li aveva catturati, per quattro giorni ogni notte Rosalia andava da lui, sfidando il pericolo di venire sorpresa, ma non le importava niente, doveva vivere fino in fondo quell’amore che non aveva mai trovato fino allora. E Giulio l’aspettava con la febbre nel sangue, tremando ad ogni rumore che preannunciava la sua visita: quando stava con Rosalia
dimenticava tutto, provava con lei sensazioni nuove, una tenerezza infinita nell’accarezzare quella pelle morbida e calda, una dolcezza mai provata quando toccava al buio i suoi lunghi capelli di seta.. 
 “Questa è l’ultima volta che ci incontriamo”, sussurrò lei  nella quarta notte dei loro incontri.
“Come fai a dirlo, non sappiamo cosa succederà di noi…”, rispose lui stringendola a sé.
“Domani sarai libero”, nella voce di Rosalia c’era tanta tristezza.
“Allora è tutto finito?”, chiese Giulio sorpreso.
“Finirà domani…te lo prometto…ma non mi cercare, la tua vita deve continuare come prima…con tua moglie”, concluse lei abbassando gli occhi.
Giulio le rialzò il viso e la baciò: “Non ti potrò mai dimenticare principessa, rimarrai sempre l’unico vero amore della mia vita. Non ti posso promettere che non ti cercherò, devo rivederti ancora….”, la strinse forte forte . Dagli occhi di Rosalia scese silenziosa una lacrima.
L’alba arrivò e lei se ne andò senza voltarsi. Poco dopo Giulio sentì al di fuori un rumore assordante di motori, la porta venne sfondata e sulla soglia si stagliò la figura di un militare che imbracciava un mitra.
“Ingegnere, è libero!”, disse l’uomo avanzando verso di lui.
Giulio attonito non si rendeva ancora conto di quello che era successo, uscì da quel tugurio maleodorante e la luce del sole gli fece strizzare gli occhi. Davanti a lui c’erano delle camionette dei Carabinieri, gli uomini armati spingevano con le canne dei mitragliatori altri uomini in manette. Finalmente poteva guardare in faccia i suoi sequestratori: riconobbe il boss dagli abiti e dagli stivali che indossava quando era entrato per l’ultima volta nella prigione, lo fissò dritto negli occhi e l’altro abbassò lo sguardo.
“Venga, ingegnere”, disse quello che sembrava il comandante, “ce l’abbiamo fatta! Li abbiamo catturati tutti, finalmente la giustizia ha trionfato!”
Giulio cercava con gli occhi Rosalia, con sollievo vide che non era fra gli arrestati.
“Come è successo?”, chiese ancora istupidito dalla sorpresa.
“La telefonata di una donna ci rivelato il nascondiglio, sulle prime si credeva alla solita soffiata di una mitomane, ma poi…abbiamo costatato che era tutto vero, “, rispose il capitano soddisfatto.
“Si sente bene?”, riprese l’uomo.
“L’importante è essere ancora vivo”, rispose Giulio, “vi ringrazio per avermi liberato”, si mise una mano sulla fronte, “sono molto stanco, la prego mi porti a casa…” , salì sulla jeep e, prima di partire si voltò ancora una volta a rivedere il luogo dove aveva tanto sofferto, ma anche dove aveva provato le emozioni più intense della sua vita.
Linda lo accolse con gioia: “Finalmente  l’incubo è finito… Come sei sciupato! Ora non ci pensare più, tutto ritornerà come prima in breve tempo, ne sono sicura.  Hai bisogno di riposare e di dimenticare”, gli disse abbracciandolo.
Come poteva dimenticare? Ci sarebbe voluto tanto tempo per ricominciare a vivere in modo normale, sentiva che i giorni trascorsi là dentro si erano impadroniti di lui, i ricordi di quando non poteva lavarsi, non aveva da mangiare, la paura che lo rendeva insonne,  lo perseguitavano, ma soprattutto lo torturava il ricordo di Rosalia: ogni notte viveva i momenti vissuti su quel letto sgangherato che allora gli sembrava il posto più bello del mondo. Percepiva accanto a sé il respiro di Linda che dormiva e la guardava sentendosi in colpa, ma non poteva farci niente, era difficile cancellare quel sentimento scoppiato all’improvviso e vissuto così brevemente da sembrargli un sogno.
Il clamore suscitato dalla sua liberazione non serviva certo a staccarlo dai ricordi, ogni giorno era costretto a rivivere la sua prigionia e questo gli era sempre più difficile da sopportare. Le interviste alla televisione, alla stampa, i lunghi interrogatori nella caserma dei carabinieri, erano diventati un incubo. Il capitano Giorgi, che dirigeva le indagini, si era messo in testa di individuare la misteriosa donna della telefonata e tempestava Giulio di domande ogni volta che l’aveva davanti. L’intuito e la lunga esperienza in casi analoghi gli avevano fatto cogliere negli occhi del suo interlocutore quell’attimo di indecisione quando gli aveva chiesto a bruciapelo: “Non ha mai visto o sentito una donna durante il sequestro?”. Ma Giulio si era immediatamente ripreso e aveva risposto “no” con decisione. L’avevano lasciato tranquillo per qualche tempo poi, una mattina si era presentato un giovane carabiniere che l’aveva gentilmente pregato di recarsi in caserma urgentemente.
“Ingegner Tomasi”, gli disse Giorgi fissandolo negli occhi, “avrei bisogno che lei identificasse una persona…”.



venerdì 5 aprile 2013

UN FIORE NEL FANGO

 Romanzo


  
La notte era chiara e l’aria ancora tiepida anche se era autunno inoltrato, la ghiaia del vialetto scricchiolava sotto le ruote del fuoristrada.  Giulio procedeva con prudenza per non schiacciare i piccoli animali notturni che uscivano nel buio dalle loro tane; i muri bianchi della villetta in stile mediterraneo s’intravvedevano attraverso i rami delle palme. Dietro le finestre illuminate c’era Linda che l’aspettava, sorrise guardando la luce, si passò una mano sulla fronte come per cancellare la stanchezza: tornava da un lungo viaggio d'affari  riguardanti l’impresa di costruzioni di cui era proprietario. Scese dalla vettura per aprire il portellone del garage: due ombre si materializzarono accanto a lui e un tampone gli soffocò in gola l’urlo di paura.
Quando si svegliò un dolore lancinante gli martellava le tempie, il suo sguardo vagò smarrito intorno ai muri, sul soffitto un grosso ragno stava intessendo la sua tela, Giulio si fermò confuso a osservare i movimenti lenti dell’insetto, ancora sotto l’effetto della droga non riusciva a coordinare i pensieri. Lentamente stava risalendo dal buco nero dell’incoscienza: “Dove sono? Chi mi ha portato qui?”.
 L’ultimo ricordo che la sua mente gli rimandava erano le finestre illuminate della sua villa, poi il buio.  La capanna in cui era rinchiuso era illuminata solo dallo spiraglio di luce che filtrava da una piccola finestra sul tetto, dalle assi malamente inchiodate del pavimento filtrava la sabbia, in lontananza sentiva il rumore del mare. Si alzò a fatica dalla branda e sentì una fitta, si toccò la gamba e la  mano afferrò una grossa catena lunga qualche metro che gli imprigionava la caviglia, intanto nella testa continuava a picchiare il chiodo doloroso che si accentuava ad ogni movimento. Su un tavolino c’era un catino e accanto una brocca piena: “Acqua…ho bisogno di acqua”. Si trascinò a fatica e bevve avidamente, il liquido gli entrò nello stomaco calmando l’arsura che aveva dentro, ne versò un po’ nel catino e si sciacquò il viso.
Il chiavistello arrugginito della porta si mosse stridendo, un uomo con il cappuccio nero in testa entrò:
“Ecco il nostro ingegnere…ti sei svegliato finalmente! Ti piace l’albergo? Non abbiamo trovato di meglio, ti dovrai adattare…”, in mano aveva un sacchetto. “Ti ho portato qualcosa da mangiare…così non andrai a dire che hai patito la fame!”. Con una risata  ironica appoggiò l’involucro sul tavolo..
 “Come mai sono qui? Tu chi sei?”, chiese Giulio, avrebbe voluto ribellarsi, ma era senza volontà. Negli occhi lucidi che lo fissavano dalle fessure del cappuccio passò un piccolo lampo: “Io sono solo un servo”, rispose l’altro, “il capo si degnerà di farti visita fra poco… chiedilo a lui perché sei qui!”, gli voltò le spalle e se ne andò richiudendo l’uscio dal di fuori con un sinistro rumore di ferraglia. Rimasto solo Giulio aprì il pacchetto che l’uomo gli aveva portato: la pagnotta e il pezzo di formaggio gli fecero voltare la testa disgustato, la nausea gli saliva fin nella gola; si rimise a sedere: “mi hanno sequestrato”, pensò, “no… non è possibile!…e adesso cosa faccio?”. Nella sua mente ancora annebbiata si stava facendo luce la realtà, immediatamente pensò a Linda. Quella sera era tornato carico di buoni propositi, era un periodo in cui fra di loro sembrava che non funzionasse più niente, non c’era più l’intesa di un tempo, ma lui sperava ancora di poter salvare il matrimonio, in fin dei conti era solo questione di cercare una via d’uscita, le incomprensioni potevano essere superate… ma non aveva avuto il tempo per dirle che il suo amore per lei non era cambiato. Ora era lì, imprigionato con quella catena al piede in balìa di una banda di delinquenti, non aveva paura per lui, sapeva già quello che l’aspettava, pensava invece al tormento che sua moglie avrebbe dovuto superare: le lunghe ore vicino al telefono in attesa di una chiamata, il clamore che inevitabilmente si sarebbe scatenato quando la notizia del sequestro si fosse diffusa, la ricerca del denaro per pagare il riscatto …tutti questi pensieri si affollavano nel suo cervello e  lo mettevano in uno stato ansioso che non riusciva a calmare. Doveva aspettarselo, era quasi un sequestro annunciato: da un po’ di tempo oscure minacce lo perseguitavano, ma non aveva voluto cedere al ricatto, sapeva che dietro quei messaggi intimidatori c’era una banda del luogo capitanata da un boss che non gradiva la sua intrusione in Sicilia per costruire un villaggio turistico in una zona dimenticata.  
Ancora lo stridere del catenaccio gli annunciò una visita: questa volta un uomo ben vestito stava entrando nella capanna, il viso nascosto dal solito cappuccio.
“Buon giorno ingegner Tomasi”, disse con un accento marcato, “ non ha voluto seguire i miei consigli e sono stato costretto a prendere provvedimenti…come vede”.
Giulio arretrò di qualche passo, l’alta figura dell’uomo che aveva accanto gli fece venire un brivido lungo la schiena. Si riprese. “Cosa volete da me ?”, chiese con voce ferma.
“Solo un po’ di soldi, se si comporta bene e soprattutto se i suoi famigliari non mettono i bastoni fra le ruote sarà tutto finito in breve tempo…questo è il prezzo che deve pagare per essere venuto a sconvolgere la mia terra”, l’uomo si sedette sulla sedia sgangherata, incrociò ostentatamente le gambe e accese un sigaro.
Il fumo acre invase la stanza, Giulio strinse i pugni per la rabbia:
“Siete dei banditi”, disse con la voce che gli tremava.
“Attento alle parole, giovanotto”, rispose minaccioso l’uomo, “non permetto a nessuno di insultami…”. Si alzò con un agile movimento e si avviò alla porta, “adesso me ne vado, tornerò quando sarà necessario”. Uscì lasciando dietro di sé la puzza del sigaro.
Per l’ingegnere cominciarono giorni di lenta agonia, nessuno si faceva vivo, tranne il garzone che gli portava il cibo, le ore erano sempre uguali, il giorno e la notte si alternavano nell’angosciosa attesa che accadesse qualcosa.. Il tempo era cambiato, ogni tanto qualche violento temporale sconvolgeva il silenzio, spesso il freddo gli entrava fin nelle ossa., sentiva la febbre arrivare con brividi violenti. Era ridotto male e se ne accorse il suo carceriere: “Cosa ti succede?”, gli chiese una mattina, aveva visto gli occhi arrossati e il pallore del suo prigioniero che non promettevano niente di buono; venne a fargli visita anche il capo, li sentì parlottare fra loro poi andarsene senza rivolgergli la parola. Una mattina, bendato e con le mani legate dietro la schiena lo fecero salire su una jeep e lo trasportarono altrove. “Vieni,”, gli dissero, “non possiamo perdere un  milione di euro…qui è troppo umido, ti stai ammalando…”
Quando gli tolsero la benda  si trovava nella stanza di una casa in muratura, i muri erano scrostati e vecchi, sicuramente era a piano terra perché non aveva fatto nessun gradino per entrare: forse era una malandata masseria in disuso. Sentiva un’aria diversa, più frizzante, come un odore di bosco, anche il cinguettio degli uccelli che proveniva da fuori gli fece capire di essere stato trasportato lontano dal mare, forse nella campagna  vicina. Un robusto portone di legno con grossi catenacci lo chiudeva dentro; le finestre erano sbarrate e non poteva guardare fuori per confermare la sua ipotesi; l’arredamento non era dei migliori, ma questa volta c’era un vero e proprio letto, anche se i materassi erano appiattiti e non esistevano lenzuola. Cercò di interrogare il ragazzotto addetto al suo pasto, ma non ebbe risposta…
“Forse si sono spaventati perché mi sono ammalato…se rimango vivo possono chiedere un riscatto con più facilità”, pensò, “certo che qui è un lusso in confronto a quella catapecchia…” Infatti si sentì meglio, dopo qualche giorno la febbre cessò, ma la  tortura psicologica non era finita, la sua fibra forte aveva reagito, però la sua volontà stava vacillando; non sapeva cosa stava succedendo fuori: gli avevano fatto delle foto mentre teneva in mano un quotidiano, poi più niente.
Una sera al posto del solito rozzo individuo entrò un giovane alto e sottile, vestito di una tuta sportiva e con il capo coperto da un passamontagna blu, Giulio lo guardò stupito perché aveva modi e portamento diversi dai tipi selvaggi che, fino ad allora l’avevano avvicinato. Si muoveva con disinvoltura, in silenzio posò il cibo sul tavolino, andò al rubinetto a riempire una caraffa d'acqua fresca e gli versò da bere. Sempre più meravigliato gli mise una mano su un braccio e lo fermò:
“Chi sei?”, gli chiese, “come mai non è venuto l’altro?”
Senza rispondere il ragazzo si liberò dalla stretta, dalla fessura del passamontagna si vedevano gli occhi verdi, le ciglia nere e lunghe e, fra le sopracciglia un piccolo neo. Uscì senza voltarsi indietro .  
 Nei giorni seguenti era sempre il nuovo vivandiere a portargli da mangiare, Giulio cercava di attaccare discorso ma non c’era niente da fare: dalla bocca del giovane non usciva nessun suono; qualche volta si intuiva, dall’espressione  degli occhi che avrebbe voluto rispondergli, ma si tratteneva.
Il tempo passava, ma per lui era sempre uguale, non sapeva quanti giorni erano trascorsi dal suo sequestro, anche l’orologio gli era stato sottratto e si regolava solo con la luce del sole che filtrava dalle fessure delle finestre sbarrate, il giorno e la notte si susseguivano senza che accadesse niente: ogni volta che una nuova alba si annunciava c’era sempre la speranza che fosse l’ultima trascorsa in quella prigione. Ormai i suoi nervi stavano cedendo, nessun altro entrava in quella stanza all’infuori del silenzioso ragazzo che regolarmente due volte al giorno gli portava qualcosa per non farlo morire d’inedia; era arrivato anche a parlare con se stesso pur di sentire il suono di una voce umana. Credeva di essere sull’orlo della follia e una volta che il ragazzo arrivò lo aggredì alle spalle:
“Rispondimi, bastardo….quando finirà questa tortura… dimmelo!”, gli gridò disperato.
L’altro si voltò e arretrò di fronte a lui: “Lasciami stare…se grido non la passerai liscia!”, urlò.
“Sei una donna!”, esclamò Giulio, “avevo avuto il sospetto…ti muovi con troppa grazia per essere uno di loro, ma con questi vestiti senza forma e quel passamontagna non ne ero sicuro…”, concluse lasciandosi andare sul letto al colmo dello stupore.
“Sì, sono una donna…e allora? Adesso cosa farai? Ti consiglio di non essere violento, perché mio padre non te lo perdonerebbe  mai!”, rispose la ragazza allontanandosi¸ chiuse la porta e lasciò Giulio annichilito.
 Qualche ora dopo il rumore dell’uscio che si apriva lo fece sobbalzare, aspettava con curiosità l’arrivo della
ragazza, chissà se avrebbe continuato con il mutismo ora che si era rivelata? Sperava proprio di poter avere qualche notizia, con una donna gli sembrava più facile chiedere…
“Come ti chiami?”, domandò appena la vide.
L’altra, che stava posando il  pane sul tavolino, non si voltò.
“Ti prego”, scongiurò , “rispondimi…non posso continuare così, sto diventando pazzo!”
 L’accento disperato di quelle parole colpì la giovane che si girò verso di lui:
“Mi chiamo Rosalia”, rispose sommessamente, “ma, mi raccomando, non dire a nessuno che ti ho parlato”, 
 nella sua voce c’era un accento di paura.
Giulio si avvicinò: “Perché fai questo? “, le chiese mettendole una mano sulle spalle e fissando il suo sguardo negli occhi verdi che brillavano dalle fessure del passamontagna.
La ragazza si scostò con un moto brusco: “Non ho altra scelta…sono costretta. Adesso basta, devo andare”, disse  improvvisamente allontanandosi. L’uomo rimase a fissare la porta chiusa, la sua mente sconvolta aveva recepito un piccolo messaggio di speranza: era convinto di poter arrivare a sapere quando sarebbe finito il suo calvario attraverso le informazioni di quella ragazza. Ce l’avrebbe messa tutta per farla parlare, ormai aveva rotto il ghiaccio e solo il pensiero di poter sapere qualcosa di più gli toglieva l’ansia che aveva addosso da quando era rimasto recluso in quella stanza.
(continua)