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domenica 29 luglio 2012

FESTA DI COMPLEANNO



Don Calogero si alzò con fatica dalla poltrona, lentamente raggiunse la grande scrivania di mogano e premette il pulsante per chiamare la servitù.
Qualche secondo dopo il fedele Salvo comparve sulla porta:
«Mi avete chiamato?», disse con un tono di ossequio.
«Hai già mandato gli inviti per la cena del mio compleanno?».
«Certamente, state tranquillo, don Calogero, non mi dimentico mai».
« A tutti e tre, mi raccomando», insistette il vecchio signore, «questa volta ci tengo in modo particolare, compio novant’anni, un traguardo che pochi raggiungono», affermò, «voglio una festa più bella del solito».
La vita di Don Calogero era stata dura, ragazzo di strada si era arricchito associandosi alla malavita, e da allora, mettendo a tacere la coscienza, era vissuto pensando solo al denaro, qualsiasi mezzo era stato buono per arrivare a possedere un grande patrimonio. Era un uomo dal carattere forte, la sua esistenza al di fuori della legalità l’aveva fatto diventare cinico, a volte crudele. Per tutti era “Il Padrino” e la sua presenza incuteva timore, ma ormai da anni non si faceva vedere tanto in giro, preferiva rimanere rinchiuso nella sua bella villa affacciata sul mare.
Non si era mai sposato e non aveva avuto figli, gli unici parenti erano i figli di suo fratello ai quali ogni anno mandava l’invito per la cena del suo compleanno, l’unica occasione per esibire il suo potere. Sapeva che Luigi, Giacomo e Chiara non sarebbero mai mancati all’appuntamento per nessuna ragione al mondo: erano gli unici eredi della sua grande fortuna , non avevano molte possibilità economiche e non l’avrebbero mai contrastato, non certo per affetto ma soltanto in vista dell’eredità che speravano fosse vicina. Purtroppo per loro la cosa sembrava andare per le lunghe, nonostante lo zio avesse novant’anni sembrava godere di buona salute e il suo carattere non si era addolcito, anzi, col tempo era diventato ancor più dispotico e aggressivo. E allora ogni anno si sottoponevano alla tortura della cena in suo onore. La dimora del miliardario ritornava agli antichi splendori di un  tempo, quando i ricevimenti del Padrino erano l’evento più importante dell’anno e chi era invitato era guardato con invidia. Per la festa di compleanno don Calogero esigeva che l’argenteria fosse lucidata, la tavola apparecchiata con vasellame di pregio e bicchieri di cristallo. Con sottile perfidia si divertiva a sbattere sotto gli occhi dei nipoti lo sfarzo di cui si circondava, ordinava una cena raffinata e guai se tutto non filava liscio, i domestici correvano ai suoi ordini senza battere ciglio, i fornitori arrivavano con le provviste che dovevano essere di prima qualità,  il cuoco era terrorizzato dalle sue visite improvvise in cucina..
L’invito era per le ore venti, ma gli ospiti dovevano essere presenti in abito da sera un’ora prima per l’aperitivo servito nel salotto giallo Luigi IV.
Alle diciotto e quarantacinque Giacomo e Chiara erano davanti al cancello della villa:
«Sei sicuro che tutto vada bene?...sono nervosa ho uno strano presentimento», Chiara si stringeva nello scialle di seta, tremava leggermente, ma non per il freddo. 
«Stai tranquilla, questa è l’ultima volta che partecipiamo a quest’ assurda commedia»,.
«Dov’è la scatola dei sigari?», chiese ancora lei ansiosa.
«Sta arrivando Gigi, la porta lui», rispose secco Giacomo.
«L’avete comprata della solita marca…altrimenti lo zio non la degna nemmeno di uno sguardo», disse lei con un tremito nella voce.
«Accidenti Chiara, ti vuoi calmare? Mi metti un’agitazione!»,.
Entrarono nel vialetto e posteggiarono la vettura appena fuori il portone d’ingresso
 «Don Calogero vi aspetta in salotto», disse il maggiordomo scostandosi per lasciarli passare.
Chiara camminava lentamente sulla passatoia del lungo corridoio e diede un’occhiata all’orologio:
«Come mai Gigi non è ancora arrivato?», sussurrò al fratello che procedeva a piccoli passi davanti a lei.
Giacomo si voltò infuriato:
«Ti ho detto di stare calma…sarà qui a momenti».
Lo zio, seduto sul divano indossava uno smoking di buona fattura, sul suo viso rugoso gli occhi neri brillavano sotto la luce del grande lampadario di cristallo.
Il vecchio squadrò i nipoti da capo a piedi mettendoli a disagio:
«Buona sera, ragazzi, avete fatto buon viaggio?»
«Certo, zio Calogero, siamo lieti di vederti in forma», rispose Chiara avvicinandosi per abbracciarlo, «buon compleanno!», aggiunse con un sorriso forzato.
Anche Giacomo si avvicinò guardandolo fisso negli occhi:
«Buon compleanno anche da parte mia», disse a voce bassa.
«Non vedo Gigi», lo sguardo del vecchio li superò per guardare oltre, «come mai non è venuto?», chiese e il viso si rabbuiò .
«Sarà qui tra poco», rispose Chiara rassicurante.
In quell’istante la porta del salotto si aprì e comparve Gigi :
«Eccomi zio…tanti auguri e posò sul tavolino una grande scatola, «questi sono per te».
 Don Calogero osservò l’involucro con aria critica: «Sono sempre gli stessi, vero?», s’informò mentre scartava il pacchetto, «ah…benissimo fumo solo questi sigari avana, ormai lo sapete, aspetto  il vostro regalo per fare rifornimento», tentò di scherzare, strinse gli occhi come due fessure per esaminare la scatola e fece un cenno di assenso.
«Vi ringrazio, ne fumerò uno prima di andare a dormire, come faccio sempre», concluse, i tre nipoti si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Durante la cena la conversazione non era delle più brillanti, don Calogero mangiava e osservava i nipoti con aria critica, ogni tanto si divertiva a giocare come fa il gatto con il topo, lanciava messaggi sull’eredità illustrando i suoi averi, come per dire: “posso farvi arricchire, ma dovete aspettare…quanto dovete aspettare? non si sa...” i nipoti gustavano gli ottimi piatti in silenzio, assentendo ogni tanto ai discorsi del vecchio.  I camerieri in guanti bianchi versavano da bere quando i bicchieri erano vuoti.

  (continua)
    

venerdì 13 luglio 2012

FINALE DI "UNA NOTTE MAGICA"

L’enigmatica risposta stupì Adriano che voleva sapere di più, ma fu interrotto dal suono del telefono, l’uomo della reception chiedeva alla contessa se doveva mettere le catene alla sua vettura.
Poco dopo Adriano e Azzurra scesero tenendosi per mano, e si presentarono al bureau per pagare il conto sotto gli occhi attoniti del segretario.
La lussuosa berlina nera era pronta davanti alla porta dell’hotel, misero le valigie nel bagagliaio e la donna appoggiò con cura il grande pacco con la carta dorata, sul sedile posteriore.
La contessa si mise al volante e partirono. Da quando erano entrati nell’abitacolo, Azzurra era ammutolita, tanto che Adriano era a disagio, cercava argomenti banali per far passare il tempo, ma otteneva soltanto risposte a monosillabi. Lei era diversa dalla donna frizzante e disinvolta della sera prima, ora gli sembrava un’altra, anche l’espressione del viso si era indurita, più cupa, una riga le attraversava la fronte aggrottata. “Forse la strada la preoccupa, con questa neve c’è poco da scherzare”, pensò. Arrivarono giù, nella valle dove la strada era sgombra, Azzurra riprese velocità ma non cambiò atteggiamento:
«Ho fatto qualcosa che non va?», chiese infine lui, stanco di sopportare quel silenzio che lo innervosiva.
La giovane donna rimase un attimo in silenzio:
«Tu non mi hai fatto niente…anzi, mi hai dato tanto, ti chiedo solo di sopportarmi, ne avrò ancora per poco…poi passerà», distolse per un attimo gli occhi dalla strada e lo guardò, «somigli molto a qualcuno che dovrebbe essere al tuo posto», concluse amaramente.
Diede un rapido sguardo all’orologio, continuò a guidare fino ad arrivare al casello dell’autostrada.
La vettura nera s’infilò nella corsia di sorpasso e si sparò come un proiettile in mezzo al traffico. Adriano si aggrappò al sedile, e lanciò uno sguardo al tachimetro che segnava duecento.
«Vai più piano, vorrei arrivare a casa tutto intero», quasi gridò.
«Non ti preoccupare…questa è la mia velocità abituale», rispose lei tranquilla.
Adriano era teso, il rumore ritmico che sentiva nell’abitacolo da quando erano partiti aumentava il suo disagio:
«Senti anche tu questo ticchettio?», chiese infine .
Azzurra rispose senza staccare gli occhi dalla strada:
«In quel pacco sul sedile c’è un giocattolo per un bambino, forse è stato schiacciato qualche pulsante e la batteria si è messa in funzione».
Adriano si accontentò della risposta ma non ne era molto convinto: pensava a un guasto della macchina, a quella velocità se si fosse rotto qualcosa, sarebbe stato pericoloso.
«Fermati al primo autogrill, voglio dare un’occhiata al motore».
«Non abbiamo tempo, ho i minuti contati», rispose seccata la donna.
«Guarda l’insegna, fra un chilometro ce n’è uno, ti prego, facciamo una sosta, è più prudente».
Azzurra si fermò di malavoglia, Adriano scese a controllare il motore e la carrozzeria, ma non trovò niente che potesse far pensare a un guasto.
«Andiamo a prendere un caffè?», propose, voleva alleggerire la tensione che si era creata tra loro.
Lei lo guardò freddamente: «Va bene, ma poi ce ne andiamo subito», sibilò.
Il bar era affollatissimo, Adriano si mise in coda per pagare i caffé, fra i banchi, in esposizione, c’era un orsetto molto carino con un buffo berretto rosso e gli venne voglia di prenderlo, ma non ne ebbe il tempo, il suo turno alla cassa era già arrivato.
Al banco sorseggiarono la bevanda calda in silenzio, poi Azzurra si avviò all’uscita.
 Lui la seguì, ma appena fuori fu preso dall’irresistibile desiderio di acquistare quel peluche, voleva darlo a Federico, il nipotino che adorava e al quale aveva promesso un regalo.
«Scusa, vengo subito», e tornò sui suoi passi.
Azzurra si voltò inviperita. «Sbrigati, ti aspetto in macchina», urlò, negli occhi aveva un’espressione di follia.
Adriano stava uscendo dall’autogrill con il pacchetto in mano, quando un enorme boato scosse l’aria: pezzi di lamiera stavano volando dappertutto, la vettura di Azzurra era esplosa disintegrandosi e…dentro quella macchina c’era lei!
Impietrito lui restò sul piazzale stringendo fra le mani il giocattolo che gli aveva salvato la vita.
Seppe poi che la contessa Brandi, disperata per un amore sbagliato, si era suicidata portando nella vettura una bomba a orologeria: quel regalo avvolto in carta dorata, con il nastro rosso, che aveva posato delicatamente sul sedile posteriore.
Adriano si chiese perché quella bella donna avesse scelto lui come suo partner in quel viaggio verso la morte… forse, come aveva detto lei, assomigliava a qualcuno che l’aveva fatta soffrire.

FINE 



     

sabato 7 luglio 2012

UNA NOTTE MAGICA



La pioggia stava scendendo a dirotto, i tergicristalli con un ritmo frenetico schizzavano l’acqua dai vetri, la luce dei fari fendeva a malapena la cortina nebbiosa che oscurava la strada . Adriano stava tornando dall’Austria, dove era andato a un congresso di medicina, procedeva con prudenza sulla strada viscida dove, a ogni curva c’era pericolo di sbandare. Improvvisamente in mezzo alla carreggiata si materializzò un grosso tronco, caduto dagli alberi vicini, Adriano frenò di botto, la macchina sbandò e andò a sbattere contro il muretto che delimitava la strada. Rimase un secondo di più attaccato al volante per sincerarsi di non essere ferito, poi scese e allargò le braccia in un gesto di sconforto: la berlina aveva il davanti distrutto. Guardò giù dal muretto e gli vennero i brividi: sotto di lui si apriva un pauroso precipizio . “L’ho scampata bella”, pensò con terrore. Chiamò il carro attrezzi che poco dopo lo condusse in un piccolo borgo alpino con poche case. Stava venendo sera e, dopo aver lasciato la macchina nell’unica officina meccanica, chiese che gli indicassero un posto dove passare la notte.
«Provi alla “Locanda del Lupo”, gli consigliò il meccanico.
Adriano si avviò per la via indicata, le porte delle case erano sbarrate e con fatica scorse     
l’insegna della locanda. Entrò, i tavoli erano tutti occupati, gli occhi dei presenti si volsero verso di lui, una donna bionda e robusta si avvicinò.
«Avete una camera per questa notte?», chiese Adriano guardandosi intorno.
«Se vuole mangiare…ma per dormire non ho più posto», rispose lei accennando un sorriso.
Confortato dal calore che emanava da una grande stufa di ceramica, Adriano si sedette a un tavolo e ordinò il menù del giorno. La rubiconda ostessa arrivò con un piatto fumante e, dopo averlo posato sul tavolo, si fermò un attimo per vedere se era gradito. Il profumo del capriolo in salmì con la polenta stuzzicò le narici di Adriano che approvò con un gesto di soddisfazione l’ottima scelta.
Timidamente, con una voce sottile che contrastava con la sua corporatura la donna disse:
«Se vuole posso darle l’indirizzo di un albergo poco lontano da qui, è l’Hotel del Bosco, sicuramente hanno posto, è un vecchio castello ristrutturato e ci sono tante camere».
«La ringrazio, lei è molto gentile. Quando ho finito questo magnifico piatto ne parliamo», rispose Adriano accingendosi ad affrontare l’invitante cena.
«Se vuole telefono subito», propose la donna.
«Oh…sì, grazie», farfugliò lui con la bocca piena.
Dopo pochi minuti: «Signore, può andare…nell’albergo c’è posto. La faccio accompagnare da mio figlio», annunciò con un largo sorriso.
Più tardi il dottor Adriano Rinaldi, si presentò nell’Hotel del Bosco: un vecchio maniero che manteneva la sua aria severa anche se le luci al neon dell’insegna cercavano di dargli un aspetto più moderno. Nella hall cosparsa di poltrone in velluto rosso, faceva spicco un enorme tappeto persiano, l’uomo della reception gli diede le chiavi della camera:
«Non ha bagagli, signore?», chiese
Adriano con poche parole spiegò la sua presenza in quell’albergo:
«Rimango solo stanotte, domani cercherò di raggiungere una stazione ferroviaria. Ho avuto un incidente e ho la macchina in riparazione», disse conciso.
Stava avviandosi all’ascensore quando fu avvicinato da una giovane donna bruna:
«Ho sentito che è in difficoltà», disse la sconosciuta puntandogli addosso gli occhi neri nei quali brillava una strana luce.
Adriano notò che era una bella donna , con il viso dai lineamenti forti che le davano un aspetto interessante, l’abito nero le fasciava il corpo snello e ben  fatto.
«Ho quasi distrutto la mia macchina, ho trovato un ostacolo sulla strada, ho frenato e ho sbandato contro un muretto», rispose lui osservandola con interesse.
La sconosciuta gli allungò una mano lunga e sottile:
«Sono la contessa Brandi, anch’io mi fermo solo per stanotte, domani mattina ritorno in città, se vuole posso darle un passaggio…odio viaggiare da sola», disse con un sorriso accattivante.
 Adriano rimase un attimo perplesso, l’invito arrivava a proposito e non seppe rifiutare, tanto più che la bella signora lo stava guardando in un certo modo.
«E’ stata un’insperata fortuna a conoscerla…posso offrirle qualcosa?».
«Con piacere, andare in  camera mi rattrista, se vuole facciamo quattro chiacchiere».
Adriano non se lo fece ripetere due volte, non avrebbe mai pensato di concludere la serata in compagnia di una bella donna!
 Il cameriere servì il whisky e appoggiò i bicchieri sul tavolino di cristallo, la bevanda forte contribuì a dare a entrambi l’euforia necessaria per cominciare una piacevole conversazione che durò a lungo. Non si accorsero che era passata mezzanotte quando lei disse:
«Si è fatto tardi, andiamo?», nel suo sguardo c’era un palese invito che Adriano colse, del resto era scapolo e libero, un’avventura poteva permettersela, quella donna lo intrigava, gli piaceva non solo per l’aspetto ma per il suo modo di fare diverso dalle donne che era solito frequentare.
Salirono lo scalone che portava alle camere, guardarono fuori, dai finestroni e con sorpresa videro che la neve stava scendendo copiosa.
«E’ bellissimo», sussurrò lei ,« è una notte magica…», nel suo sguardo perduto nel buio c’era un’ombra di tristezza.
Adriano si fermò a osservarla:
«Qualcosa non va?», chiese.
«Non ci faccia caso, è solo un momento di debolezza», rispose la contessa.
Le loro camere erano vicine: «Non ho sonno», disse la donna.
Adriano si fece coraggio : «Possiamo continuare a parlare in camera mia», azzardò.
Lei lo guardò: «Perché no… ma preferirei stare da me, se ti fa piacere, naturalmente», era passata al tu senza tanti preamboli e lui non aspettava che questo.
Entrarono nella stanza arredata con mobili antichi, una grande pacco avvolto in una carta dorata e legato con un fiocco rosso era posato sul letto. La contessa lo prese con delicatezza e lo posò su una sedia. «E’ un regalo che mi sono fatta…», disse. Poi si volse verso Adriano: « sei sposato, hai bambini?», chiese fissandolo.
«No…sono single convinto», rispose lui.
«Meglio così», sussurrò la donna facendogli una lieve carezza sui capelli. 
«Non mi hai detto ancora il tuo nome», disse lui abbracciandola.
«Mi chiamo Azzurra…come un cielo sereno che non mi assomiglia...e adesso stringimi…», bisbigliò buttandogli le braccia al collo.
Da quel momento il tempo non ebbe più dimensione, le ore sembravano minuti, l’alba li colse abbracciati nel grande letto con baldacchino. Si addormentarono e quando si svegliarono c’era il sole. «Meno male che non nevica più», disse Azzurra guardando fuori dalla finestra che Adriano aveva spalancato. «dobbiamo partire», sussurrò con la voce impastata di sonno, aveva il viso un po’ gonfio e gli occhi avevano perso la brillantezza della sera prima.
«Forza… alzati, devi farmi da autista», scherzò lui, «te la senti?».
«Sono in gran forma…ho sempre sognato una notte così prima di…», si interruppe bruscamente.
«Prima di che cosa?», domandò lui sorpreso.
«Niente, sono cose che non puoi capire», rispose lei a bassa voce.
 (continua)