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sabato 29 dicembre 2012

LE TRE STREGHINE

LE TRE STREGHINE


 C’erano una volta tre streghine che si chiamavano Scarabì, Scarabà e Scarabù. Un bel giorno, dopo avere tanto studiato, sostennero l’esame per diventare streghe e furono promosse. Le prove erano state difficili e qualche volta Scarabù, che era la più imbranata e aveva dimenticato le formule, si era trovata in difficoltà e aveva copiato dalla sorella più brava Scarabà… ma nessuno se n’era accorto.
“Evviva, ce l’abbiamo fatta!”, esclamarono in coro quando ottennero finalmente il diploma, “adesso possiamo fare tutti gli incantesimi che vogliamo…tremate…tremate, le streghe sono arrivate!”
“Possiamo andare dalla sarta a farci i vestiti”, propose Scarabà che era la più ambiziosa.
In sartoria, strega Forbicetta le guardò di traverso:
“Come siete brutte! Ma…pazienza, vediamo un po’. Tu, Scarabù sei grassa e bassa, ci vuole un abito che ti slanci”. Detto e fatto prese una pezza di tela color fumo e con un solo colpo di forbice la tramutò in una palandrana larga e lunga fino ai piedi.
Scarabù osservò il nuovo vestito:
“Non mi piace, sembro un sacco…”, borbottò scontenta.
“Poche storie, mettilo!”, ordinò Forbicetta, “qui ci sono le ciabatte e la bacchetta magica…avanti un’altra”.
Intimorita Scarabì avanzò: “Eccomi..”, mormorò sottovoce.
La strega sarta l’osservò con occhio critico:
”Sei magra come uno stecco”, disse disgustata, “sembri un’acciuga!”.
Sospirando prese della stoffa e…zac! Un colpo di forbice… ed ecco il vestito per Scarabì: un tubo nero lungo e stretto. La streghina si guardò allo specchio e le vennero le lacrime agli occhi: “Sono orribile”, disse.
“Certo”, replicò Forbicetta, “proprio come si conviene ad una strega!”.
Finalmente toccò a Scarabà.
“Oh!..”, esclamò soddisfatta la sarta, “sei la più normale, per te voglio fare qualcosa di speciale”.
Zac…zac…zac… l’abito comparve come per incanto: nero, con un bel collettone di ragnatele grigie.
“Eccovi servite…potete andare”. La strega Forbicetta indicò la via d’uscita. Le tre streghe raggiunsero ciabattando la porta, in quell’istante arrivò trafelata una messaggera:
”Presto!…La strega Bellona vi sta aspettando nella sala del trono…sbrigatevi!”
Agitatissime le neo-streghe si precipitarono correndo, Scarabù inciampò nel vestitone e precipitò a terra impolverandosi in un modo indecente.
“Sei sempre la solita pasticciona!…alzati…altrimenti saranno guai”, urlarono le sorelle. Ripresero a correre per il lungo corridoio e arrivarono trafelate dinanzi alla strega Bellona che le stava aspettando inviperita.
“Siete in ritardo…come primo giorno mi sembra che non vada molto bene! Ricordatevi che la prossima volta vi punirò duramente”, gli occhi della regina mandavano lampi di collera e le poverette non osavano alzare la testa. Bellona era seduta su un seggiolone dorato, aveva un vestito di ali di pipistrello, sulla testa una corona di cristallo che mandava bagliori accecanti. Con voce roca cominciò a parlare:
“Vi ho convocate perché devo mandarvi in missione. Purtroppo siete rimaste soltanto voi tre, i miei aiutanti sono tutti fuori per fare incantesimi. Ascoltatemi bene: nel paese di Collefiorito si sposa la principessa Rosa con il principe Azzurro. Questo matrimonio non si deve fare, io sola devo sposare il principe perché è il più bello del mondo. Voi avete il compito di impedire che avvengano le nozze. Vedete questa pietra preziosa?”, disse mostrando alle streghine un brillante di colore rosso fuoco, “è magica e se riuscirete a metterla in tasca al principe Azzurro lui si innamorerà perdutamente di me e lascerà la promessa sposa”. Scarabì, Scarabà, Scarabù si guardarono:
“Come faremo?”, mormorarono preoccupate.
“Arrangiatevi, ma dovete portare a temine la missione a tutti i costi altrimenti vi rinchiuderò nella torre dei topi”, minacciò la grande strega.
Scarabù cercò di replicare, ma un’occhiata gelida di Bellona la zittì:
“Andate in magazzino a prendere le scope…dovete partire oggi stesso, il tempo stringe”, ordinò.
Le tre sorelle se ne andarono a testa bassa:
”Siamo in un bel pasticcio!”, esclamò Scarabà, “non so proprio come faremo…”.
“Ho paura…”, piagnucolò Scarabì, la più piccola e striminzita.
“Smettila di lamentarti, non c’è altro da fare, dobbiamo partire subito!”, continuò Scarabà, “andiamo a prendere le cavalcature”.
 Ma, nel capannone non era rimasta neppure una scopa.
“Provate con questi”, propose la magazziniera presentando alle tre malcapitate degli aspirapolvere sgangherati. Le poverette si guardarono e, non potendo ribellarsi accettarono rassegnate. Ma non fu così facile usare quegli aggeggi: Scarabù, grassa com’era non riusciva a far partire il suo, saliva in groppa e regolarmente precipitava sul pavimento. “Ohi!…Ohi!” si lamentava massaggiandosi il sederone. Anche Scarabì aveva qualche problema: era troppo leggera e, appena si metteva in moto, andava contro il soffitto dove batteva delle belle testate.
“Ahi!”, esclamava ogni volta tastandosi un nuovo bernoccolo.
Delle tre, Scarabà era quella che riuscì meglio, al primo tentativo si sollevò con facilità e cominciò a volare.
Dopo quasi un’ora, finalmente le tre streghine partirono a cavallo delle scope, si trovarono lassù, nel cielo senza stelle e lo attraversarono dirette verso Collefiorito.  Arrivarono che il sole era già alto, il castello della principessa Rosa luccicava sotto i raggi.
“Attente all’atterraggio!”, avvertì Scarabà, “ci poseremo su quel prato, nessuno deve sapere che siamo qui”.
Senza fare rumore arrivarono a terra, Scarabù s’ infilò in un fossato, Scarabì s’impigliò in un albero e Scarabà si trovò sull’erbetta fresca.
Dopo essersi riprese, si liberarono delle cavalcature e s’incamminarono verso la sontuosa dimora della principessa.
Attraversarono un bosco e, poco dopo il castello apparve, sul portone tante guardie armate vigilavano attente. Scarabà avvertì le sorelle: “Nascondiamoci non dobbiamo farci scoprire…ho un’idea! Trasformiamoci in tre gatti così ci faranno passare. Scarabù prendi il librone delle formule magiche”.
Con la testa immersa nelle pagine del testo sacro le tre streghine cercarono disperatamente la formula ma, agitate com’erano, non riuscivano a trovarla. Naturalmente fu Scarabà la prima a scoprirla:
Oren Ottag...Ottag oren  otibus!”, ( che tradotto significa : gatto nero, gatto nero subito) esclamò e immediatamente si trasformò in un gatto nero. Le altre dissero le parole magiche e Scarabì si tramutò in un gattino grigio, ma per Scarabù si presentò qualche difficoltà. Siccome era molto grassa la formula non bastava e non riusciva a diventare un micio, dopo vari tentativi al suo posto apparve un enorme gattone nero striato di bianco.
“Vado avanti io”, disse Scarabà, “se tutto va bene, voi mi seguite”.
Infatti la streghina si presentò davanti al portone e riuscì a passare senza destare alcun sospetto, Scarabì la seguì subito, ma per Scarabù la cosa non fu così semplice: l’incantesimo svanì proprio davanti alle guardie che si trovarono dinanzi una grassona vestita di nero.
 “Alto là”, intimarono presentando le alabarde. “Dove vai?”.
Scarabù balbettò impaurita: “Veramente …dovrei entrare nel castello”.
“Perché”, continuò minaccioso il capitano.
La strega si spaventò talmente che non seppe rispondere.
”Via…”, urlò lui, “portatela in cucina…così servirà a qualcosa!”.
Le altre streghine intanto si erano fermate costernate:
 “Scarabù deve dimagrire, altrimenti le formule non bastano….”, miagolò Scarabà preoccupata. “Vieni, seguiamola, così vediamo dove la portano”.
 Intanto, i soldati trascinarono la povera streghetta grassa nelle cucine: “Avete bisogno di aiuto?”; chiese l’uomo mentre sbatteva Scarabù per terra. Il cuoco non si voltò nemmeno : “Mettila a pelar  patate”, disse mentre spennava un pollo.
Così la malcapitata si trovò in una stanza piena di tuberi:
“Comincia il tuo lavoro, per questa sera devi aver finito”, le disse un omone mettendole in mano un coltello appuntito.
Intanto Scarabà e Scarabì, sempre sotto forma di gatti, entrarono: “Stai tranquilla, ti aiuteremo noi”, miagolarono sottovoce. Rassicurata dalla presenza delle sorelle Scarabù chiuse la porta a chiave mentre le altre due riprendevano le sembianze di streghe. Cominciarono insieme a lavorare ma, dopo qualche ora avevano la schiena a pezzi:
”Siamo o non siamo streghe?”, disse improvvisamente Scarabà, “con una magia dobbiamo pelare le patate entro sera”. Detto fatto, si concentrò e pronunciò solennemente: Etalep Etatap. In un battibaleno il mucchio di patate ancora intere si pelò: l’incantesimo aveva funzionato. Non credendo ai propri occhi le streghine si misero a ballare dalla felicità.
Scarabà e Scarabì tornarono ad essere mici sgattaiolarono via e Scarabù si presentò al cuoco:
”Ho finito”, annunciò contenta. L’uomo la guardò stupito e andò a controllare. “Brava!”, esclamò soddisfatto, “d’ora in poi sei promossa, verrai ad aiutarmi in cucina”.
Cominciò così il lavoro di cuoca per la povera Scarabù che, tutta sudata si aggirava fra i fornelli: in cucina c’era molto fermento, si stava preparando il banchetto di fidanzamento e tutti correvano da una pentola all’altra senza tregua. Intanto Scarabà e Scarabì diventate di nuovo streghe, avevano catturato due cameriere che dovevano servire alla tavola del banchetto reale, le avevano rinchiuse in un armadio e avevano preso le loro sembianze per poter più facilmente avvicinare il principe Azzurro.
Ad un certo punto si accorsero di non possedere più la pietra magica: “Dove l’abbiamo messa?”, si chiesero costernate.
“L’hai messa in tasca tu”, disse inviperita Scarabì.
“Non è vero…ce l’hai tu”, rispose l’altra.
Le due streghine si accapigliarono, poi improvvisamente Scarabà si ricordò una cosa: “Sono sicura che l’ha presa Scarabù”, disse, “prima di diventare un gatto l’aveva nascosta nel cappello!”,
“Povere noi…sicuramente l’avrà persa”, gridarono sconsolate.
Si precipitarono in cucina proprio mentre Scarabù stava rimestando la pasta della torta in un grosso recipiente. Quando le sorelle la chiamarono lei si voltò di scatto e…il cappello cadde nell’impasto.
“Presto…prendilo!”, le gridarono. La strega si sporse, ma il copricapo affondava sempre più. Finalmente l’afferrò e lo mostrò trionfante alle due  che la stavano guardando preoccupatissime. “Guarda se c’è ancora la pietra”, urlarono. Ma, la pietra non c’era più: era caduta dentro la pasta della torta nuziale. Nessuno se ne accorse, il pasticcere mise in forno il dolce e, quando fu cotto lo guarnì con confetti rosa e azzurri in onore degli sposi. Il giorno seguente fu imbandita una tavola lunghissima, con piatti d’oro, bicchieri e posate d’argento. Principi, principesse, re e regine presero posto, arrivò anche la strega Bellona, che si accomodò trionfante nel suo abito scintillante.
Tutti aspettavano i promessi sposi, finalmente Rosa e Azzurro arrivarono accolti dal battimani degli ospiti che ammiravano la loro bellezza.
 Scarabì e Scarabà servivano a tavola; tra una portata e l’altra si lanciavano occhiate disperate in attesa del momento in cui avrebbe fatto la sua comparsa la gigantesca torta dentro la quale era nascosta la pietra magica.
Dopo aver mangiato a sazietà gli ospiti aspettavano il dolce per fare il brindisi ai promessi sposi, finalmente su un carrello d’oro arrivò il capolavoro del pasticcere di corte. Il cuoco Cucki, un omone sul cui faccione rubicondo trionfavano dei baffoni neri, si apprestò a tagliare la torta, Scarabì e Scarabà, servirono le porzioni agli invitati osservandoli attentamente mentre mangiavano, nella speranza che, colui a cui fosse toccata la fetta con la pietra, la scartasse e la rimandasse in cucina, così avrebbero potuto recuperarla per infilarla nella tasca del Principe.
 La strega Bellona, sicura che le tre streghine avessero già compiuto il loro dovere, aspettava il momento in cui il Principe Azzurro le avrebbe dichiarato il suo amore rompendo il fidanzamento con la Principessina.
 Sempre con lo sguardo rivolto a lui Bellona, stava mangiando la torta distrattamente. Ad un certo punto strabuzzò gli occhi e diventò rossa come un peperone. “Aiuto….soffoco!” Dalla sua bocca uscì un rantolo. I presenti, spaventati cercarono di aiutarla, il re le affibiò una grossa pacca sulla schiena. La strega era sempre più paonazza e stava per strozzarsi.
Infine dalla sua bocca uscì di getto una pietra rossa che andò a finire nella tasca del cuoco che stava osservando costernato la scena.
Immediatamente l’omone si precipitò sulla strega Bellona e l’abbracciò esclamando: “Ti amo…ti voglio sposare!”
Bellona impaurita scappò a gambe levate inseguita dal cuoco innamorato.
Scarabà, Scarabì e Scarabù, ritornate insieme e ripreso il loro aspetto di streghine, scoppiarono in una grande risata: invece di sposare il bel principe la strega Bellona rischiava di sposare l’orribile cuoco.
Forse adesso stanno ancora correndo!....
 




 
 



lunedì 24 dicembre 2012

FInale UNA CIOCCA DI CAPELLI BIONDI

«Caputo!», la voce di Parisi fece sobbalzare la poliziotta che si precipitò nell’ufficio del superiore
«Eccomi, è arrivato il referto?», chiese cercando di sbirciare sul foglio che il commissario teneva in mano.
«Sì, ma c’è una novità: tutti i tuoi sforzi per carpire il DNA delle due sospettate…».
Il viso della ragazza si illuminò: «E’ stata una di loro!», esclamò.
«…sono stati vani», continuò Parisi amaramente, lesse nel viso della sua assistente tutta la delusione che c’era anche in lui.
«La ciocca di capelli biondi appartiene a un’emerita sconosciuta, così siamo tornati al punto di partenza, dobbiamo ricominciare da capo».
Si alzò dalla poltrona e cominciò ad andare su e giù, mettendo addosso un nervosismo fastidioso alla Caputo che ci era rimasta malissimo... Pensava ai sotterfugi che aveva dovuto fare per rubare la tazzina dove Ursula aveva bevuto il caffè al Circolo del tennis. Oppure alle ore passate davanti alla casa di Rossini, appiattita dentro la macchina aspettando che la moglie uscisse per poi seguirla e sperare di avere l’attimo fortunato per impossessarsi di qualcosa da poter spedire a Palermo. Infatti arrivò il momento che sperava quando Margherita, lasciò cadere a terra un fazzolettino di carta usato. “Ce l’ho fatta! le  ho incastrate”, aveva pensato … ma tutto era stato inutile! 
«Non sono convinto, c’è qualcosa che non va», borbottava Parisi passeggiando nervosamente, « non c'è altro da fare, tornerò a Palermo!... ma intanto tu», disse rivolto a Loredana, «devi fare quello che ti dico».

Mentre il commissario si arrovellava nel dubbio e stava facendo indagini in Sicilia, era in corso una telefonata:
"E' andato tutto bene?.
"Sì, tutto liscio come l'olio".
"Nessuno capirà chi l'ha ucciso, lui mi ha strappato i capelli prima di cadere, ma quel giorno portavo una parrucca bionda di capelli lunghi... ci vediamo domani, ricordati quello che mi hai promesso".
"Stai tranquilla, ormai sono ricchissima, ho ereditato tutto io…ti darò il milione di Euro come pattuito".
"Ciao Margherita".
"Ciao Ursula".
Immediatamente  un’altra telefonata attraversò l’etere:
«Commissario, può tornare, aveva ragione lei, dalle intercettazioni telefoniche che mi ha ordinato di fare ho sentito una chiacchierata molto interessante! E’ stata Ursula d’accordo con la moglie...poi le spiegherò».
«Me lo sentivo…vai subito ad arrestarle, brava Loredana, prendo il primo volo e stasera sono in commissariato. Sono curioso di sapere com’è andata», Parisi era euforico, un sospiro liberatorio gli uscì dalla gola.
«Da quello che ho capito Rossini e l'amante erano su un motoscafo al largo, lei l’ha colpito poi l’ha buttato in  mare, la moglie sapeva e aspettava che l’altra lo facesse fuori…una cosa squallida!», rispose Loredana.
«E i capelli? Di chi sono !», esclamò il commissario.
«Ha ragione…dimenticavo di dirle che Ursula portava una parrucca», concluse Caputo.
    
 Qualche ora dopo sedute sull’aereo diretto in  Brasile, due bionde eleganti stavano chiacchierando fra di loro in attesa del decollo.
Mancavano pochi minuti alla partenza, l’ hostess si avvicinò:
«Scusate, sono costretta a farvi scendere, un’ agente di polizia vi sta aspettando a terra».
Le due donne impallidirono:
«Ci deve essere un equivoco», replicò una delle due aggrappandosi ai braccioli.
Intanto l’agente speciale Loredana Caputo si stava dirigendo verso le poltrone occupate dalle due signore:
« Vi dichiaro in arresto per l’omicidio di Alberto Rossini, venite con me», ordinò senza tanti complimenti; le due donne capirono dall’atteggiamento dell’agente che sarebbe stato pericoloso rifiutare, si alzarono in silenzio e si diressero alla scaletta  fra gli sguardi attoniti dei passeggeri.
 Anche questa volta la coppia Parisi-Caputo, aveva centrato il bersaglio!  
 FINE
  





    

mercoledì 12 dicembre 2012

Seconda puntata "Una ciocca di capelli biondi"


 Intanto a Palermo, la Caputo seguiva gli ordini del capo: si recò all'albergo dove aveva preso alloggio Rossini e cercò di sapere ciò che aveva fatto e chi aveva frequentato nei giorni in cui  era ospite dell’hotel.
Cominciò a indagare interrogando l’addetto alla reception, in principio con scarso successo, ma dopo una lauta mancia il giovanotto si decise a parlare:
“Il dottor Rossini è stato qui solo per due notti, poi è ripartito il 29 settembre...”, disse con circospezione.
"Sa dirmi chi ha incontrato?", chiese lei sperando che l'uomo scucisse qualche altra novità..
"Non so...", rispose l'altro guardandosi in giro.
"Cerchi di ricordare", affermò ancora la poliziotta passandogli un'altra banconota.
"Sì...ha incontrato l'ingegner Messina, hanno parlato a lungo ma, ...non so altro", disse il portiere facendo intendere che non avrebbe soggiunto una parola di più.
“Va bene, basta così”, ribatté sbadigliando la ragazza, “ adesso vado a dormire, sono distrutta”. Appena arrivata in camera si gettò sul letto e si addormentò vestita.
L’indomani Loredana si mise alla caccia di Messina, scoprì l’imprenditore che non brillava certo per onestà: aveva appalti in tutta la regione e si diceva che avesse legami anche con la mafia locale. La ragazza aveva imparato dal suo capo che non doveva mollare mai finché non aveva risolto il problema, così Loredana Caputo si recò negli uffici della Messina Costruzioni e chiese del titolare. Quando l'ingegnere la ricevette la squadrò da capo a piedi:
"Chi è lei?", chiese sospettoso.
Loredana  si qualificò e l'altro divenne ancor più circospetto:
" Sì, ho visto Rossini negli ultimi giorni di settembre, vende materiali da costruzione, abbiamo parlato di un affare in corso... poi lui è ripartito", rispose con sufficienza alle domande..
"Non avete più avuto contatti da allora?"; domandò ancora l’agente.
"No...infatti mi sono meravigliato di non sentirlo più...avrebbe dovuto darmi una risposta, ho pensato che forse l'affare che gli ho proposto non lo interessava", l'ingegnere era in evidente imbarazzo, faceva di tutto per troncare quel colloquio che non gli era gradito.
" Rossini ha concorrenti in questa compravendita?", insistette lei.
Messina si fece serio e la guardò dritto in faccia:
"No", rispose seccamente. Poi si alzò e andò alla porta per fare intendere all'ospite che il tempo era scaduto.
"Ho molto da fare...perciò la saluto", disse porgendole la mano.
Loredana era delusa, fino a quel momento non aveva ricavato un granché dalle indagini, però aveva avuto la sensazione che Messina le nascondesse qualcosa...di sicuro c'era solo il fatto che Rossini era sparito nel nulla...Forse un concorrente nell'affare poteva essere intervenuto e, in questi casi bisognava pensare al peggio.
Telefonò al capo per comunicargli i suoi sospetti,  ma Parisi sembrava seguire altri pensieri, infatti l’interruppe e chiese : “ Sai se quando è ripartito era solo?".
L’agente speciale balbettò qualcosa e dal cellulare uscì una specie di urlo: "Vai subito a informarti all'albergo!...è di massima importanza". La voce del commissario le aveva trapassato il timpano.
Tornò all'hotel di malumore, non riusciva a farsi capire dal suo superiore e questo la faceva imbestialire.
 Quando il portiere dell’hotel se la rivide davanti cercò di squagliarsela, lei lo trattenne afferrandogli un braccio.
"Non scappi…devo farle solo un'ultima domanda: mi deve dire se Rossini era solo quando ha lasciato l’albergo.".
L'uomo si voltò: "Era con una donna", rispose velocemente.
Lei lo lasciò andare e si affrettò a telefonare in commissariato. Questa volta il capo l’ascoltò:
"Elementare Caputo...era quello che pensavo: se n'è andato con l'amante...vai subito all'aeroporto e cerca di scoprire che volo hanno preso quel giorno...sbrigati!", concluse con il solito tono brusco lasciando Loredana sempre più incavolata…

 Parisi, aveva deciso di continuare a seguire la pista della donna misteriosa e andò al circolo del tennis dove pensava di poter carpire qualche altro gossip sul conto del marito scomparso.
 Stava bevendo l'aperitivo, quando sentì dietro di sé una voce femminile:
“Ciao Ursula!”.
 Si voltò, una stupenda donna con un corto caschetto di capelli biondi, era entrata nel bar e si stava dirigendo a un tavolo dove erano sedute tre signore che  sgranocchiavano salatini:
"Dove sei stata? Sono giorni che non ti vediamo", cinguettò una di loro.
"Sono stata in Kenia, non potevo mancare, mi hanno invitata a un meraviglioso safari nella giungla, è stato bellissimo", rispose lei.
"Sei andata con Gigi Rossini?", chiese ancora una delle tre.
"No...con lui è tutto finito, non ci vediamo da un mese, non ho saputo più niente...del resto non poteva andare avanti, la moglie ci rendeva la vita un inferno, così ho preferito troncare", affermò la bella bionda scuotendo la testa.
 Il commissario drizzò le orecchie: caspita, quella sì che era una notizia interessante...peccato che doveva ricominciare tutto da capo, le sue ipotesi sulla fuga romantica erano crollate davanti all'arrivo di quella ragazza.
Doveva di nuovo prendere in considerazione le indagini della Caputo...a meno che, anche Ursula c'entrasse qualcosa nella sparizione...Proprio mentre stava si stava arrovellando il cervello, il cellulare squillò: era Loredana.
"Ho scoperto una cosa interessante...Rossini non è mai ripartito da Palermo, penso che continuerò le indagini che ho iniziato, voglio sapere con chi si è incontrato dopo aver parlato con l’ingegner Messina. C’è sotto qualcosa di poco chiaro…forse potrebbe aver pestato i piedi a qualcuno di importante”.
Parisi, quando interruppe la conversazione aveva cambiato umore: era inquieto, tutta la storia stava prendendo una piega diversa! sicuramente la soluzione del mistero stava in Sicilia.
 Non ci pensò su per molto tempo, dopo pochi minuti aveva deciso e il giorno stesso partì per raggiungere il suo agente speciale.
In aereo, sul quotidiano, lesse una notizia che attrasse la sua attenzione: il corpo di un uomo di mezza età, non ancora identificato, era stato trovato in mare, poco lontano da Palermo, sotto una scogliera; la polizia stava indagando ecc. ecc. Subito si mise in allarme e pensò che poteva essere proprio Rossini.
 Appena arrivato, si fece dire da Loredana  tutto quello che aveva scoperto, poi si recò al posto di Polizia locale per mettere al corrente i colleghi del caso di cui stava indagando. Di solito,  un commissario che veniva dal nord era visto come uno che metteva il naso dove non avrebbe dovuto,  ma in quell'occasione, Parisi fu bene accolto poiché il suo intervento fece luce sul mistero dello sconosciuto ritrovato in mare:
“Loredana, fai venire la moglie di Rossini, solo lei può tirarci fuori da questo pasticcio….dobbiamo essere certi che sia lui”.
 La signora Margherita arrivò affranta, dovettero sorreggerla, era pallida e tesa, le labbra serrate e gli occhi sbarrati la facevano sembrare allucinata: “E’ lui”, sussurrò dopo aver visto il corpo sul lettino dell’obitorio.
 Parisi si avvicinò: "Mi dispiace"; riuscì a dire a stento. Lei lo guardò e scoppiò in lacrime.
Cercò di consolarla, ma non sapeva come, così si allontanò in silenzio lasciando la donna con il suo dolore.

Ritrovare il corpo di Rossini aveva messo in moto un altro meccanismo di quel complicato ingranaggio, il commissario Parisi doveva scoprire come mai Rossini era finito in mare dallo strapiombo. Disgrazia?, suicidio?, omicidio?. Erano gli interrogativi ai quali doveva rispondere se voleva trovare la verità. Tutti i casi che gli erano stati affidati li aveva brillantemente risolti e, se non fosse stato così, non se lo sarebbe mai perdonato.
Gli diede una mano il medico legale:
"Il cadavere stringeva nel pugno una ciocca di capelli biondi, di donna..", affermò il dottore .
L'intrigo stava sciogliendosi: quell'indizio era prezioso, quello che Loredana era riuscita a carpire al portiere era vero, c’era di mezzo una donna...
 Alex Parisi si frugò in tasca cercando il pacchetto di sigarette: "Se non fumo, non riesco a pensare", borbottò. Si prese la testa fra le mani e si appartò: "Dunque, a questo punto la situazione cambia: le donne che avrebbero un movente valido per ucciderlo sono due: Ursula e Margherita, entrambe bionde e gelose una dell'altra...", in quel momento la sua testa lavorava come un computer. “A questo punto l’unica cosa che manca è di fare esaminare la ciocca di capelli, se appartenesse a una delle due avrei trovato l’assassina”, concluse.
Poco dopo Loredana Caputo si recava nei laboratori della scientifica di Palermo per comunicare che il commissario Parisi voleva conoscere il DNA dei capelli biondi trovati nella mano di Rossini.
Ormai il loro compito era finito e il commissario in compagnia dell’infaticabile agente speciale si recarono all’aeroporto per riprendere l’aereo del ritorno.

Dopo circa un interminabile mese arrivò ciò che attendevano:
“Finalmente!”, esclamò il poliziotto accingendosi ad aprire la busta.
Ma, non appena lesse il risultato il suo viso cambiò espressione:
"Non posso crederci….!", esclamò stupefatto. 

Continua

domenica 2 dicembre 2012

UNA CIOCCA DI CAPELLI BIONDI

Il commissario Alex Parisi, con la sigaretta penzolante all'angolo della bocca, stava spaparanzato sulla poltrona girevole della scrivania, con gli occhi socchiusi perso in chissà quali elucubrazioni mentali. Era in un periodo nero, sempre di malumore, quel giorno non si era fatto nemmeno la barba, anche l'abbigliamento era trasandato, la camicia che indossava non era proprio di bucato e i pantaloni sgualciti non vedevano il ferro da stiro da molto tempo. Tutto questo era il risultato della sua condizione di scapolo convinto.
 Un agente bussò prima di aprire la porta:
“Commissario, c’è una signora che vuole parlare con lei.”
“Falla entrare”; rispose lui passandosi una mano sulla capigliatura scomposta.
 Una giovane donna bionda, elegante, entrò e lo guardò intimidita:
"Il commissario Parisi?", chiese incerta percorrendolo con lo sguardo .
"Sono io...", rispose brusco lui.
La signora fece un passo avanti, si mise una mano alla bocca tossicchiando:
"Che fumo!", disse arricciando il naso.
"Ha ragione, mi scusi, provvedo subito", andò alla finestra e la spalancò: una ventata di aria fresca entrò nella stanza. "Si accomodi", continuò accennando alla poltrona di fronte la scrivania, "in che cosa posso esserle utile?".
La donna si sedette poco convinta, forse stava pensando che l'idea di venire in commissariato non era stata proprio delle migliori. Rimase in silenzio per qualche secondo.
"Sono Margherita Rossini", disse infine, "sto vivendo un brutto momento,...", esitò ancora prima di continuare,  "sono venuta qui nella speranza di ritrovare mio marito", concluse in fretta.
Parisi si accomodò sulla sedia:
"Si spieghi meglio, suo marito è scomparso?", domandò fissando l'interlocutrice.
"Sì...è partito per un viaggio d'affari e non è più tornato", negli occhi della donna erano spuntate due lacrime.
Il commissario si protese verso di lei:
"Quali affari?", indagò sospettoso.
"Non so...non mi parlava volentieri del suo lavoro, aveva rapporti con tanta gente e spesso si assentava da casa", rispose lei abbassando lo sguardo, "ma, di solito, stava fuori non più di una settimana...dieci giorni al massimo, questa volta è un mese che non si fa sentire...ha telefonato l'ultima volta da Palermo, poi più niente...il cellulare è spento, in albergo mi rispondono che è partito, non so più cosa pensare, sono disperata, mi aiuti per favore...". Nella sua voce c'era tanta angoscia e dolore che il commissario non poté fare a meno di consolarla alla sua maniera:.
"Non pianga, lo troveremo", affermò brusco.
Mentre la signora stava armeggiando nella borsa per trovare un fazzoletto, Alex Parisi stava studiando chi aveva davanti: quella donna era carina, giovane, ben vestita, con la faccia pulita...non doveva fare altro che farla parlare il più possibile per cercare di capire l'ambiente nel quale viveva.
Con l'arte che aveva acquisito in tanti anni di mestiere scavò nella sua vita senza quasi che lei se ne accorgesse, riuscì così a sapere che il marito era un trafficone impegolato in diverse attività: compravendita di immobili, terreni, macchinari...Seppe anche che era ricchissimo e che dal conto in banca non era stato prelevato nulla fino a quel momento.
"Perché non si è rivolta prima alla polizia?", chiese ad un tratto.
"Non voglio suscitare scandali, sa...è molto conosciuto ma, adesso non ho potuto fare a meno di venire in commissariato, sono preoccupata, è troppo tempo che non lo sento ", rispose lei fra i singhiozzi.
Parisi si alzò per prendere una sigaretta, l'accese, andò alla finestra e si voltò verso la donna:
"In questi casi si usa dire “cherchez la femme”, in parole povere...suo marito aveva un'amante che lei sappia?", sparò a bruciapelo.
La donna ebbe un sussulto: "No...lo escludo nel modo più assoluto...", affermò, alzando la testa di scatto come se fosse stata punta da una vespa.
"Sono contento per lei, è sempre spiacevole trovare delle brutte sorprese", disse il commissario alzandosi in piedi:
“Cerchi di stare tranquilla, inizierò le ricerche oggi stesso, ora vada a casa. Le prometto di farle avere notizie al più presto”, affermò rassicurante.
 Accompagnò la donna alla porta e ritornò alla scrivania.
Rimasto solo Parisi rimase a meditare dondolandosi sulla poltrona girevole poi, come era solito fare quando aveva  un nuovo caso da risolvere, si mise subito all'opera. In questi casi chi ne faceva le spese, di solito, era Loredana Caputo, suo braccio destro, una ragazza sveglia che sapeva interpretare al volo i pensieri del suo capo e che, con una pazienza infinita obbediva senza replicare.
 “ Caputo!!”, l’urlo attraversò il corridoio e arrivò nell’ufficio dell’agente che si precipitò immediatamente.
 “Eccomi, cosa devo fare?” chiese rassegnata .
Non appena se la vide davanti l’apostrofò fissandola in faccia:
“Sei siciliana ?”, chiese.
Lei lo guardò sorpresa:
“Sì”, rispose .
Parisi  le mise in mano un pacchetto di carte:
 " Allora sarai contenta di partire, ho già prenotato un posto per questa sera sull'aereo per Palermo, ti ho scritto tutto su questi fogli , se non ti è chiaro qualcosa, telefonami", ordinò perentorio.
Loredana era abituata a quel tipo di comportamento e non si scompose, uscì dall'ufficio andò a casa a prendere il pigiama e lo spazzolino da denti e si diresse dritta all'aeroporto.

Mentre Loredana indagava in Sicilia, da parte sua il commissario non perse tempo e cominciò le indagini sull’uomo scomparso. S'introdusse in incognito nei luoghi che il signor Rossini era solito frequentare: il circolo del tennis, il bar dove aveva l'abitudine di prendere l'aperitivo; fra una chiacchiera e l’altra seppe che l’uomo aveva una relazione sentimentale con una certa Ursula, nota per la sua avvenenza e per la facilità con cui cambiava partner; anche lei scomparsa dal giro da parecchi giorni.
“Avevo ragione di pensare a una fuga d’amore”, pensò ma i dubbi cominciarono a tormentarlo, era troppo semplice...la moglie evidentemente sapeva e si era servita di lui per conoscere il posto dove si erano rifugiati i due piccioncini. Questo pensiero lo tormentava, e gli aveva confuso le idee.
Continua












venerdì 14 settembre 2012

FINE : L'ASSASSINO E' DIETRO LA PORTA

Alex Parisi brancolava nel buio, c’erano diversi probabili colpevoli senza alibi e si chiedeva nelle notti in cui non riusciva a prendere sonno: fra di loro c’era l’assassino di Giada? A questo interrogativo doveva rispondere con i fatti, intensificò le indagini per frugare nella vita di ciascuno, e ognuno aveva i suoi scheletri nell’armadio che avrebbero potuto essere la causa dell’omicidio.
Ma, il giorno in cui era più depresso del solito, Loredana, irruppe nel suo ufficio brandendo un fascicolo:
«Commissario: i risultati della scientifica!», e appoggiò con un gesto deciso il dossier sulla scrivania.
«Spero che ci sia qualcosa che mi aiuti a capire, questo caso è complicato, il giudice mi assilla, i media sono implacabili, vogliono tutti sbattere il mostro in prima pagina e io… partirei subito per le Maldive…ma non posso!», mormorò Parisi passandosi una mano sui capelli.
Aprì la cartella e si immerse nella lettura, erano passati non più di cinque minuti quando fece un salto sulla sedia:
«Questa sì che è una notizia!!!», esclamò.
L’agente speciale Caputo si avvicinò:
« Hanno trovato qualcosa?», chiese incuriosita.
«Sull’orlo di uno dei bicchieri c’è il DNA della moglie di Tom Mariano», un sospiro di sollievo uscì dal petto del commissario: «qui non si scappa…qualcosa di sicuro c’è».
 Loredana era già pronta a uscire, infatti dopo nemmeno un secondo, arrivò l’ordine che si aspettava:
 «Vai a prendere la signora!».
Kristel davanti all’evidenza non ebbe più la possibilità di  negare:
«Sì, quella sera sono stata da Giada per convincerla ad andarsene, ero gelosa delle attenzioni che le riservava mio marito, la sua presenza metteva in pericolo il nostro matrimonio».
«Per questo l’ha uccisa?», incalzò il commissario.
Nello sguardo della donna passò la paura:
«No!», gridò, «io non ho fatto niente, anche perché mi aveva confidato che aveva intenzione di sposarsi e di lasciare la moda…», scoppiò in singhiozzi mettendo a disagio Parisi che non poteva vedere piangere una donna.
Infatti cercò di dare alla voce un’intonazione meno brusca:
«Mi dispiace signora, devo incriminarla per l’omicidio di Giada Ferri. Il GIP deciderà sul da farsi».
Kristel si asciugò gli occhi e guardò Parisi con uno sguardo disperato:
«La prego, commissario, mi creda, non sono stata io, ho soltanto avuto la sfortuna di essere andata in quella casa prima dell’omicida…».
Parisi era titubante, quella donna gli faceva pena, ma non c’era altro da fare dopo la prova del DNA, e, come si aspettava, il giudice ordinò l’arresto. Il giorno dopo gli agenti della squadra mobile irruppero nell’appartamento di Tom Mariano e arrestarono la moglie Kristel con l’accusa di aver ucciso la modella.
 «Commissario, è stata lei?», domandò Loredana pensierosa, il commissario si volse verso la sua aiutante:
«Perché mi fai questa domanda? Per il momento su di lei abbiamo in mano una prova sicura, per gli altri ci sono soltanto indizi…e poi, non mi mettere questi dubbi, ho bisogno di stare tranquillo», rispose Parisi innervosito.
Però la domanda di Loredana se l’era fatta anche lui, non era proprio convinto che quella donna avesse ucciso Giada e…se quello che diceva fosse vero? Se l’assassino fosse arrivato appena dopo che lei se n’era andata?
Nel suo mestiere c’era sempre in agguato il pericolo di incolpare un innocente e per Parisi era un incubo che lo tormentava quando i dubbi cominciavano a ronzargli in testa: perciò decise di andare a fare un’ulteriore ispezione nella casa di Giada.
Loredana e Parisi entrarono quasi in punta di piedi nel piccolo appartamento, un’atmosfera strana aleggiava  intorno a loro, nell’aria c’era ancora il profumo di Giada, la sua presenza era quasi palpabile, questa sensazione metteva a disagio i due poliziotti quando cominciarono la perquisizione. Aprirono i cassetti e misero le mani nelle cose della modella quasi con soggezione. Frugarono in ogni angolo della casa, sotto i mobili, nell’armadio con i vestiti ancora appesi, nella speranza di trovare qualche indizio che li portasse alla verità che ancora non era chiara.
«Commissario…ho trovato questo bottone sotto l’armadietto del bagno», Loredana mostrò al superiore un bottone di metallo che avrebbe potuto essere di una giacca o anche un cappotto da uomo. Parisi lo prese e lo rigirò nel palmo della mano: «Non ho mai visto un bottone così…Che forma strana», borbottò.
«Ha ragione, questo fregio al centro è particolare», disse la ragazza osservando con cura il piccolo oggetto, «Sembra un giglio in rilievo, anzi è proprio un giglio!», esclamò.
«Mettilo nel sacchetto dei reperti, lo esamineremo con calma», rispose Parisi continuando a cercare.  Aprì un cassetto, fra le tante cianfrusaglie c’era anche un disco per  computer sul quale era scritto qualcosa, strizzò gli occhi per leggere meglio: “Sfilata del 20 settembre”, la data dell’ultima apparizione in pubblico di Giada.
«Caputo, metti via anche questo, poi andiamocene, non c’è altro da vedere…almeno credo», Parisi si volse ancora prima di uscire dal locale, una stretta allo stomaco gli ricordò il corpo di Giada immerso nell’acqua.
Quel giorno il commissario non andò nemmeno alla solita trattoria, si fece portare un panino e lo addentò mentre si accingeva a vedere  il video sul computer.
Loredana seduta davanti il PC mise il disco nell’apposita fessura, poco dopo le immagini apparvero sul monitor:  le modelle incedevano sulla passerella e Parisi si sorbì la presentazione degli abiti con una leggera noia, finché arrivò il turno di Giada vestita da sposa. Era bellissima! e questa volta fece fatica a continuare la visione, un groppo gli impediva quasi di respirare.
Alla fine della sfilata Tom Mariano uscì attorniato dalle sue ragazze e ringraziò il pubblico.
«Nulla di interessante», brontolò il commissario ma, mentre stava per far uscire il disco Loredana si fermò:
«Vado  indietro, ho notato qualcosa!» e ritornò all’ultima immagine del video.
  «Si può sapere cosa devi vedere?», brontolò spazientito il commissario.
La ragazza si alzò e poco dopo tornò, il commissario seguiva i suoi gesti senza capire.
«Ecco…guardi bene la giacca dello stilista….ha i bottoni uguali a quello che abbiamo trovato in casa di Giada», mostrò quello che teneva stretto in mano, e ingrandì l’immagine, «è uguale! Lo stesso disegno in rilievo: il giglio».
Parisi osservò con cura il bottone:
«Acc…hai ragione! Loredana sei un genio!!! Adesso Tom Mariano ci deve  mostrare quella giacca…penso che abbiamo trovato il vero colpevole…brava!», Parisi era euforico e non aspettò un istante  a precipitarsi  all’atelier di Mariano.
La sirena della polizia sconvolse la quiete di quella tiepida sera settembrina.
Una settimana dopo Alex Parisi era davanti all’edicola all’angolo della sua strada, tutti i quotidiani titolavano a grandi caratteri la notizia del giorno:
 “ Tom Mariano ha confessato. Il caso del delitto nel mondo della moda è risolto. Scarcerata la moglie dello stilista”.
L’edicolante uscì: «Congratulazioni commissario!», disse.
«Grazie…ma il merito va a tutta la squadra», rispose lui e se ne andò con il giornale sottobraccio.
Entrò in ufficio e cominciò a leggere l’articolo dedicato all’omicidio di Giada Ferri. Mentre leggeva si rivedeva quando, con Loredana, era entrato nell’atelier dello stilista e aveva chiesto  di vedere la giacca incriminata… alla quale mancava proprio un bottone ! Fu un momento indimenticabile, aveva guardato in faccia la sua aiutante che aveva approvato con il capo come per dire: « sì…è lui!» e poi,  Tom Mariano non aveva avuto più più scampo finché non aveva confessatocon la voce rotta dall’emozione:
«E' vero, l’ho uccisa io…aveva deciso di andarsene e di sposare Federico….non potevo sopportare che una seconda volta Sonia mi lasciasse…sì perché lei per me era Sonia, rivedevo in lei il mio grande amore perduto e la mia mente si è offuscata…non sono più stato in grado di trattenermi, le ho tolto l’accappatoio, l’ho immersa nella vasca e l’ho tenuta sotto l’acqua fino a quando ho visto i suoi occhi perdere la luce».
«Portatelo via», aveva sussurrato lui scuotendo la testa, «non lo voglio più vedere!».
E poi, Loredana si era avvicinata:
 «Vada a casa commissario, ha bisogno di rilassarsi… domani comperi un biglietto per le Maldive!», gli aveva detto scherzando.
 «Se vieni anche tu…potrei anche farlo» le aveva risposto sorridendo, ma dopo era andato  a casa e si era messo a dormire.

FINE




 

giovedì 6 settembre 2012

Seconda puntata: L'ASSASSINO DIETRO LA PORTA

Mentre il commissario metteva sotto torchio il custode, Loredana Caputo si aggirava per l’appartamento attenta a non toccare nulla per non inquinare le prove, in attesa dell’arrivo della polizia scientifica. Però la sua attenzione fu attirata da un pacchetto nascosto sotto il divano e non poté fare a meno di interpellare il superiore:
«Commissario, guardi qui», esclamò rivolgendosi a Parisi, questi si avvicinò:
« Non mi piace», disse strizzando gli occhi per mettere a fuoco quell’oggetto, «mettiti i guanti e toglilo da lì», ordinò alla sua aiutante. Loredana si chinò e porse il pacchetto al commissario.
«Aprilo», ordinò lui incuriosito.
Loredana tolse la plastica che lo avvolgeva, dentro un altro involucro c’erano delle bustine contenenti una polvere bianca. Il commissario ne aprì una ne annusò il contenuto e la sua sentenza fu inequivocabile: «Cocaina…ora il caso si complica», mormorò con la fronte aggrottata: « metti da parte il sacchetto, dobbiamo consegnarlo ai colleghi della scientifica per avere una conferma».
 Poco dopo la squadra arrivò e Parisi ebbe la certezza di non essersi sbagliato.
A movimentare ancor di più l’atmosfera già elettrica, un giovanotto entrò infuriato:
 «Cosa ci fa qui la polizia?», esclamò rivolgendosi al commissario che lo guardava in modo non troppo conciliante.
«Lei chi è?», chiese fissando il nuovo venuto.
«Federico Bassi…Giada dov’è?», chiese scostante.
«In bagno…ma non sta facendo la doccia, è morta annegata», rispose brusco Parisi.
L’altro impallidì e si lasciò andare su una sedia:
« Non può essere vero!!!Come è successo?», chiese con la voce strozzata in gola.
«Vorrei saperlo anch’io…e soprattutto vorrei sapere chi è stato», sbottò il poliziotto guardando dritto negli occhi il suo interlocutore. Questi chinò la testa e sussurrò:
 «Povera Giada, non è possibile! Dovevamo sposarci…».
« Ci sarebbe anche qualche altra domanda da farle a proposito di queste…ne sa qualcosa? Le usava la sua fidanzata oppure…», e mostrò al giovane le bustine trovate.
Federico Bassi tardò a rispondere, poi vedendo che Parisi stava aspettando:
«Commissario, io con quella roba non ho niente a che fare», affermò.
«O.K., ne parleremo in seguito…..se vuole vedere Giada è di là»,  il commissario indicò una porta, «comunque si tenga a disposizione, ho il dovere di interrogarla, le farò sapere quando».
«Andiamo Caputo, qui non abbiamo più niente da fare», lasciò la scena del delitto senza voltarsi indietro.
Iniziava per l’agente speciale Caputo un periodo d’inferno, sapeva che avrebbe dovuto correre in ogni luogo su ordine del capo, e per Parisi cominciavano le notti bianche visitate da incubi e pensieri neri. Quell’inchiesta appena cominciata si presentava difficile, man mano che si svolgevano le indagini spuntava fuori un probabile colpevole.
Dagli esami di laboratorio della scientifica risultò che sui due bicchieri c’erano tracce di DNA femminile: una donna aveva bevuto un aperitivo con Giada. Chi poteva essere? Un’amica? Una conoscente? Una modella come lei?
Parisi incaricò Loredana di indagare per tentare di ricostruire la giornata della ragazza prima della sua morte avvenuta intorno alle ventuno circa.
Giada era rimasta tutto il giorno nell’atelier di Tom Marciano, non c’era stato niente di  particolare se non una discussione con un’altra modella, Morena, per un abito da indossare alle sfilate. Un battibecco dettato dalla gelosia di mestiere, in effetti Giada presentava gli abiti che lo stilista riteneva i migliori della collezione e questo spesso suscitava la gelosia delle colleghe. Ma tutto si era concluso senza conseguenze. Però per Parisi, anche il più piccolo indizio era importante, e volle parlare con l’indossatrice.
Il commissario era leggermente a disagio di fronte a quella bella ragazza con le gambe accavallate seduta al di là della scrivania:
«E’ stato un piccolo diverbio che si è risolto in nulla, sul lavoro capitano certi momenti di contrasto…ero amica di Giada…non ho niente altro da dire »,  Morena si toccava nervosamente i capelli arrotolandoli sull’indice.
 Parisi, usando tutto il tatto di cui era capace, fece la domanda d’obbligo:
 «Dov’era la sera del delitto?».
«A casa mia…ma nessuno può confermarlo perché abito sola…»,  la ragazza si fermò un attimo poi riprese: «commissario non penserà che l’abbia uccisa io?», era sconvolta e agitata.
«Stia calma, sto facendo solo il mio dovere»,  replicò lui, «ma ora può andare, se ho bisogno la richiamerò», concluse.
La ragazza uscì di corsa e il commissario alzò la cornetta del telefono:
 «Caputo, mandami l’altra indiziata…sì la moglie di Tom Mariano».
Kristel entrò con aria di sfida:
«Guardi che non ho tempo da perdere», cominciò arrogante accomodandosi sulla sedia.
«Nemmeno io signora Mariano, però devo sapere qualcosa di più dopo che mi è stato riferito che non vedeva di buon occhio Giada».
La donna sussultò leggermente:
«Chi ha detto questa sciocchezza! Per me Giada era come una figlia».
«Non proprio, lei era gelosa di quella ragazza che piaceva molto a suo marito…infatti qualcuno ha sentito la sua scenata il giorno prima del delitto durante la sfilata».
Kristel si tormentava le mani:
« Erano parole dettate dallo stress, ero molto nervosa. Non avevo niente contro di lei, era una perfetta professionista».
Parisi continuò imperterrito: « L’hanno vista uscire intorno alle venti, dopo aver chiuso l’atelier, non è andata per caso da Giada?».
La signora diventò rossa e urlò: «Come si permette?! Non vorrà incriminarmi…io non ho ucciso nessuno!!», era sconvolta.
«Non ho detto che lei è l’assassina di Giada, ma può essere semplicemente stata a casa sua quella sera…per qualche ragione che non conosco».
«Nego tutto, non può trattenermi e non può insinuare nulla sul mio conto, mi lasci andare…parlerà con il mio avvocato», la donna si alzò e s’incamminò verso la porta, Parisi la lasciò andare senza  cercare di trattenerla, avrebbe voluto dirle che il laboratorio stava esaminando i DNA dei due bicchieri e….se ci fosse stato anche il suo, sarebbe stata veramente nei guai, ma per il momento non poteva incriminarla, senza prove  certe.
C’era ancora qualcuno da sentire e forse era quello che gli avrebbe fatto perdere maggior tempo: il fidanzato inconsolabile che aveva forse molte cose sulla coscienza.
Se gli interrogatori precedenti erano stati abbastanza brevi, quello di Federico Bassi prometteva di durare anche delle ore. C’era di mezzo la cocaina trovata nell’appartamento, il giovane negava di esserne al corrente, ma dalle indagini su di lui risultava che in effetti era un consumatore abituale di droga. Potevano esserci mille motivi per cui quel pacchetto era nascosto sotto il divano, probabilmente Giada non ne sapeva nulla, oppure c’entrava anche lei e qualcuno poteva averla uccisa per vendetta …per punire Federico: un regolamento di conti con gli spacciatori.
Infine dopo che Parisi non aveva più il fiato per fare altre domande il giovanotto chiuse gli occhi stremato : «Basta!», disse e… confessò:
«Sì, la coca era mia», alzò il viso verso il commissario: «lei era all’oscuro di tutto, io ho nascosto il sacchetto sotto il divano che ritenevo un luogo sicuro…. ma non ho ucciso Giada…l’amavo troppo, mi creda commissario, ho molte colpe ma non sono un assassino».
Federico Bassi uscì dalla centrale della polizia con la testa in fiamme…e con il timore di essere indiziato per il delitto.
(continua) 
  
chi è l'assassino? 

venerdì 31 agosto 2012

L'ASSASSINO E' DIETRO LA PORTA

Le ragazze sfilavano sulla passerella con passo elastico e deciso, le lunghe gambe s’incrociavano , ondeggiando sui tacchi a spillo, i visi statici non esprimevano emozioni in una specie di cerimoniale che si ripete nelle presentazioni dell’alta moda.  Tom Mariano, dietro il pesante tendaggio rosso seguiva le modelle con lo sguardo attento, trepidante come un padre che segue i rampolli al debutto, osservava con occhio critico l’effetto sul pubblico dei suoi abiti. L’ultima indossatrice presentava, come sempre, il vestito da sposa: avvolta da una nuvola di tulle bianco Giada  incedeva come una regina, il viso senza sorriso dalla pelle ambrata risaltava in tutto quel candore.«E’ stupenda!», mormorò emozionato, seguì con lo sguardo la sua pupilla per tutta al passerella,
Ricordò quando la vide per la prima volta: era con altre nel cast delle indossatrici che dovevano  presentare la sua collezione nelle sfilate della settimana dell’alta moda, di solito le ragazze le sceglieva personalmente e quando se la vide davanti era rimasto attonito: «Sonia!»,aveva esclamato sussultando. Il nome gli era sfuggito dalle labbra suo malgrado, era rimasto colpito dalla somiglianza con una donna che aveva amato e che l’aveva fatto soffrire.
Lei l’aveva guardato sorpresa:
«Sono Giada…forse mi confonde con un’altra».
«E’ probabile, sono passati tanti anni…»
La ragazza era in leggero disagio
  «Comunque non mi chiamo Sonia, mia madre si chiama così».
Tom aveva avuto un sussulto:
«Sei sua figlia! Stessi occhi, stesso sorriso... come lei», disse con la voce che gli tremava.
Non ci potevano essere dubbi, nella ragazza che aveva davanti rivedeva la top model della quale si era perdutamente innamorato vent’anni prima  e che l’aveva lasciato improvvisamente, quasi con crudeltà, per seguire un fotografo americano.
 Dopo aver avuto  la conferma che Sonia era la madre di Giada,  non esitò a assumere la giovane donna  che da quel giorno divenne la sua modella preferita.  Non chiese mai notizie di Sonia, non volle sapere niente di lei, per lui non esisteva più.
Mentre Tom stava ancora ammirando Giada che ripercorreva la passerella, Kristel, la donna che aveva sposato qualche anno dopo la fine della sua storia d’amore , gli batté una mano sulla spalla:
«Abbiamo finito», disse, «devi uscire, il pubblico ti vuole». Lui si scosse, ritornò alla realtà e si unì alle sue modelle per ringraziare il pubblico che continuava ad applaudire:  ancora una volta Tom Mariano aveva fatto centro e si era dimostrato uno dei più grandi artefici della moda.
Rientrò nei camerini stringendo il braccio di Giada: «Brava, senza di te non saprei come fare», sussurrò. La moglie li stava osservando in silenzio, il suo sguardo era carico di tensione.
«Ti devo parlare, ho bisogno del tuo consiglio», disse la ragazza appoggiandosi a lui che considerava come un padre:  la sua famiglia era in California, viveva sola, in un monolocale nel centro storico, non aveva nessuno con cui confidarsi.
«Quando vuoi, sono sempre felice di vederti», Tom l’accompagnò nel camerino e poi ritornò dalla moglie: «Grande successo!», esclamò soddisfatto. Lei gli lanciò uno sguardo di sfida:
«Scommetto che lo attribuisci principalmente a Giada, senza di lei sarebbe stato diverso?»
Colto di sorpresa lo stilista non replicò, ma si vedeva che avrebbe voluto dare la risposta che Kristel si aspettava, sì era vero, quella giovane donna era la sua musa ispiratrice, quando disegnava   gli abiti li creava immaginandoli indossati da lei.
 Quando rivide Giada aveva ancora nelle orecchie la voce stridula della moglie.
Lei si avvicinò titubante:
«Ieri sera Federico, mi ha fatto una  tremenda scenata di gelosia, non vuole che la sua donna si mostri in pubblico, poi abbiamo fatto la pace e…mi ha chiesto di sposarlo. Tu che ne pensi?»
«Sono contento per te ma, stai attenta, mi sembra che abbia un brutto carattere….ti ho visto piangere molte volte per lui, ma se lo ami sposalo, è bello e ricco… ti auguro una vita felice.» Giada spontaneamente l’abbracciò :
«Sapevo che mi avresti capita, anche se…», e s’interruppe
«Continua», disse lui leggermente ansioso.
«Mi ha messo davanti a un bivio: o lui o la moda….e non so cosa fare».
Tom la guardò intensamente negli occhi, stava per risponderle quando sua moglie si avvicinò:
«Segreti?», attaccò scostante, «cercate di concludere, perché c’è ancora tutto da sistemare»
Quando Kristel si trovò sola col marito diede sfogo a tutto il suo rancore verso Giada:
«Da quando è arrivata quella lì, non sei più tu…sei sempre nervoso, ansioso, e non hai occhi che per lei. Dopo tanti anni per colpa sua il nostro matrimonio è in crisi…ma ricordati, farò di tutto per non perderti». Tom non l’aveva mai vista così, sembrava aver perso il controllo, preferì non rispondere e si allontanò per rompere la tensione che si era creata. Ma quella sera fece fatica ad addormentarsi, pensieri, angosce, amarezza gli giravano nella mente come in un frullatore, fu una notte tormentata dai fantasmi dei ricordi. Il sonno arrivò poco prima che suonasse la sveglia.
Si annunciava un’altra giornata frenetica: finita una sfilata se ne stava preparando un’altra…
Anche per Giada fu un giorno pesante, nel suo lavoro era difficile sedersi, doveva spesso stare in piedi per permettere alla sarta di aggiustare su di lei l’abito che avrebbe indossato.
«Finalmente a casa», esclamò la ragazza entrando nel monolocale, si tolse le scarpe, si massaggiò i piedi doloranti, si preparò un bagno caldo…ne aveva bisogno per rilassarsi dopo la faticosa giornata. Si immerse nella vasca e si lasciò coccolare dalla schiuma del sapone profumato. Era talmente stanca che quasi non aveva la forza di uscire dall’acqua, ma il campanello della porta cominciò a suonare…«Uffa! Proprio adesso…».
Uscì dalla vasca e indossò l’accappatoio,  guardò dalla spia della porta e, rassicurata aprì:
 «Ciao! Come mai a quest’ora? ».

 Per fortuna al posto di polizia  era un periodo di calma, i soliti furti negli appartamenti, le risse fra extracomunitari, ma niente di sensazionale; in commissariato Alex Parisi stava leggendo il giornale e non aveva nemmeno il vago sentore di ciò che stava per succedere. L’agente speciale Loredana Caputo aprì la porta dell’ufficio: «Commissario hanno trovato il corpo di una ragazza immerso nella vasca da bagno nel suo appartamento».
Parisi posò il quotidiano sulla scrivania, con calma, poi chiese:
«Si sa chi l’ha trovato?»
«Il custode dello stabile, la porta era accostata, ha aperto e, nella vasca c’era il cadavere dell’inquilina del monolocale, una modella».
«Non ci resta che andare a vedere, aspettami in macchina», il commissario si mise la giacca, si accese una sigaretta e uscì.
Quello che vide nel minuscolo appartamento lo ferì al cuore, come sempre succedeva quando il suo mestiere lo portava dove un assassino aveva colpito.
I lunghi capelli neri fluttuavano nell’acqua, il corpo era riverso come se fosse stato spinto con forza.
«Chiama la scientifica, bisogna sapere l’ora della morte», mormorò stancamente alla sua aiutante.
Parisi si rivolse al portinaio: «Mi sa dire come si chiamava e che lavoro faceva?», chiese all’uomo che si teneva in disparte, quasi spaventato .
«Era una modella d’alta moda, di solito sfilava per Tom Mariano».
«Come custode avrà visto se frequentava uomini, ragazze, amici in generale».
«Era fidanzata con Federico Bassi, il figlio del proprietario del Grand Hotel Splendor», rispose ancora il poveretto stremato dalla serie di domande di Parisi che voleva rendersi conto dell’ambiente in cui era maturato il delitto.  
(continua)